Ma allora l’interruzione ingiustificata da parte del genitore adottivo dei rapporti di fatto significativi instaurati dal minore con soggetti non legati da consanguineità non può ricevere tutela?
Protagonista della vicenda in esame è un minore che si trovava in affidamento presso una coppia che poi lo aveva adottato. Tuttavia, il padre adottivo si era poi ammalato, una malattia terminale che lo aveva condotto alla morte, e in tale lasso di tempo l'odierno ricorrente aveva ospitato il minore, preoccupandosi di sostenere alcune spese relative ai suoi interessi e di intrattenere le necessarie relazioni con i servizi sociali. Lo stesso era accaduto durante il lockdown, periodo nel quale il minore era rimasto per circa tre mesi presso la sua abitazione.
In seguito, la madre adottiva aveva impedito ai due di proseguire i rapporti, al che il ricorrente aveva invocato dinanzi al Tribunale per i minorenni l'applicazione in via analogica dell'
Lo stesso proponeva reclamo, ma senza successo, per cui la vicenda viene sottoposta all'attenzione dei Giudici di legittimità, ponendo l'accento sul fatto che la continuità affettiva sia un diritto del minore.
Con l'ordinanza n. 35537 del 19 dicembre 2023, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso, rilevando come il comma 5-ter dell'art. 4 Legge cit. invocato dal ricorrente si riferisca esclusivamente all'affidamento extrafamiliare e non all'affidamento preadottivo, perché la ratio della disposizione è l'esigenza di tutelare i minori che, per via del lungo protrarsi dell'affido extrafamiliare riconducibile al permanere di una situazione di inidoneità dei genitori biologici, abbiano ormai instaurato una relazione affettiva significativa con i soggetti che nel frattempo si sono presi cura di loro per un periodo di tempo rilevante.
Come osservano gli Ermellini, si tratta di una garanzia sostanziale che trova tutela in altrettante garanzie processuali:
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Ora, l'obbligo di convocazione si riferisce solo all'affidamento extrafamiliare, e non a quello preadottivo.
Il ricorrente, in sostanza, non considera che è la legge ad indicare in materia quali siano gli adulti cui è affidata la rappresentanza dei minori e la legittimazione ad agire nel loro interesse, proprio in quanto soggetti privi di capacità di agire, con la garanzia che in ogni caso è assicurato l'intervento pubblico (
Si esclude che gli affidatari abbiano un'azione specifica a tutela della continuità affettiva poiché il loro ruolo è ben più significativo, per questo essi devono essere sentiti nei procedimenti indicati e hanno la possibilità di interloquire attraverso le memorie, potendo anche sollecitare l'intervento del P.M. su specifiche tematiche.
In tal senso va letto l'intervento del ricorrente, il quale è sì privo di legittimazione a promuovere l'azione di tutela della continuità affettiva, ma può sempre sollecitare il P.M. ad intervenire.
Concludendo, la Cassazione rigetta il ricorso del ricorrente e afferma i seguenti principi di diritto:
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Svolgimento del processo
Come si legge nel decreto impugnato, il ricorrente ha chiesto l'applicazione in via analogica della l. 184 del 1983, art. 4 comma 5-ter come introdotto dalla L. n. 173 del 2015, sul diritto alla continuità affettiva dei minori in affido familiare, deducendo di essere stato per un certo periodo affidatario di fatto del minore C.C. che era in affidamento preadottivo presso una coppia (che l'ha poi adottato). Egli ha poi rappresentato: che la famiglia aveva vissuto taluni periodi di difficoltà a seguito della malattia terminale e la morte del padre adottivo e durante il lockdown; che il minore era quindi stato suo ospite (per alcune settimane durante la malattia del padre e per tre mesi durante il lockdown) ed egli si era occupato anche di sostenere alcune spese nell'interesse del bambino e di tenere le necessarie relazioni con i servizi sociali; che successivamente la madre del bambino gli aveva impedito di mantenere i rapporti con lui, mentre d'altro canto, il minore si lamentava di essere maltrattato dalla madre.
Il Tribunale per i minorenni ha dichiarato l'inammissibilità della sua domanda per difetto di legittimazione.
A.A. ha proposto reclamo alla corte d'appello di Roma, che ha confermato il provvedimento impugnato, osservando che mancava un rapporto giuridico di affidamento, così che non poteva farsi applicazione diretta della L. 183 del 1984, art. 4 come introdotto dalla L. 173 del 2015; quanto all'applicazione analogica, osservava che la decisione sulle frequentazioni dei minori è appannaggio degli esercenti la responsabilità genitoriale, pur con il controllo pubblico sulla eventuale sussistenza di comportamenti pregiudizievoli; che in questo caso il pubblico ministero minorile si era fatto carico della segnalazione di maltrattamenti e di comportamenti non conformi all'interesse del minore, promuovendo una procedura ai sensi dell'art. 330 c.c., sicchè non vi era stato il vuoto di tutela denunciato dal ricorrente. La Corte di merito ha concluso osservando che "Al di fuori di quanto sopra, non sussiste, invece, per quanto detto, un interesse giuridicamente apprezzabile di un terzo, estraneo al rapporto parentale o a quello di affidamento espressamente preso in considerazione dalla norma, a frequentare un minore senza il consenso degli esercenti la responsabilità genitoriale".
Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso A.A. affidandosi a quattro motivi. Si è costituita resistendo con controricorso B.B., madre del minore, che ha anche depositato memoria.
La causa è stata trattata all'udienza camerale non partecipata del 15 novembre 2023.
Motivi della decisione
1.- Con il primo motivo del ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione dell'art. 12 comma 2 delle preleggi. Il ricorrente deduce che la Corte d'Appello di Roma avrebbe dovuto valutare, preliminarmente, se la legge invocata fosse potenzialmente idonea a disciplinare la fattispecie de qua, facendo una valutazione di carattere interpretativo e di applicabilità della norma indicata dal ricorrente in quanto compatibile al caso concreto e non di merito. Deduce altresì che, affermando che l'applicazione in via analogica sarebbe inapplicabile perchè contraria all'interesse del minore, la Corte d'Appello è incorsa in un erronea interpretazione dell'art. 12 comma 2 delle preleggi. La Corte di merito avrebbe dovuto, in via preliminare, valutare l'applicabilità in via analogica della L. 173 del 2015 al caso de quo, prima di arrivare ad un rigetto nel merito della domanda, adducendo magari che la ripresa dei rapporti con il minore, in base alla norma richiamata, non fosse corrispondente al superiore interesse del minore.
2.- Con il secondo motivo del ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione della L. n. 173 del 2015 sulla c.d. continuità affettiva. Il ricorrente in via preliminare ribadisce nuovamente di non avere mai affermato di avere i requisiti previsti dalla L. 173 del 2015, tanto da chiederne non l'applicazione tout cout, ma l'applicazione in via analogica. Rileva che il diritto per il quale ha invocato una tutela è un diritto del minore, il quale - così come affermato dalla L. n. 173 del 2015 nonchè dall'art. 8 della CEDU - ha diritto a essere tutelato in tutte quelle relazioni affettive che abbiano per lui il carattere della familiarità e della stabilità. Non a caso egli invoca l'applicazione della legge sulla continuità affettiva, poichè la norma richiamata riconosce valore giuridico a un qualcosa di intangibile ovvero ai legami interpersonali significativi, approntando una specifica forma di tutela, sebbene circoscritta a una determinata fattispecie, ovvero quella relativa ai rapporti tra i minori e le coppie affidatarie. Deduce che la Corte d'appello avrebbe dovuto preliminarmente valutare il tipo di relazione esistente con il minore e se questa relazione fosse meritevole di essere tutelata, in virtù del "supremo interesse del minore".
3.- Con il terzo motivo del ricorso si lamenta la violazione o falsa applicazione dell'art. 8 della CEDU. Il ricorrente deduce che hanno errato entrambi i giudici di merito affermando che egli non abbia alcun interesse giuridicamente apprezzabile dal punto di vista sostanziale, interesse che trova una tutela sul piano processuale interno. Tale affermazione è palesemente infondata e contraria a quanto stabilito dall'art. 8 della CEDU, violazione che si ravvisa sia relativamente alla posizione del minore che del ricorrente. Infatti, la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, ha affermato che è applicabile l'art. 8 della CEDU anche allorquando esista un legame familiare solo di fatto.
4.- Con il quarto motivo del ricorso si lamenta la violazione o falsa applicazione dell'art. 13 della CEDU. Il ricorrente deduce che la conclusione della Corte d'appello di Roma è erronea nella parte in cui afferma che non esiste un interesse giuridicamente rilevante di un terzo estraneo, a frequentare un minore senza il consenso degli esercenti la responsabilità genitoriale. Tale affermazione contrasta sia con l'art. 8 della CEDU che con l'art. 13 della CEDU, il quale sancisce un principio fondamentale, secondo cui "Ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella presente Convenzione siano stati violati, ha diritto ad un ricorso effettivo davanti a un'istanza nazionale".
5.- i motivi, che possono esaminarsi congiuntamente perchè tra loro connessi, e sono infondati.
il legislatore italiano ha enunciato, nel titolo della L. n. 173 del 2015, il diritto dei bambini e delle bambine in affido familiare alla salvaguardia della continuità affettiva, nel quadro dei rapporti tra il procedimento di adozione e quello di affidamento familiare, modificando e integrando la L. 4 maggio 1983 n. 184, e riferendo la tutela alla posizione del minore, piuttosto che a quella degli adulti che con lui intessono legami.
E' stato quindi introdotto nella L. n. 184 del 1983, art. 4 il comma 5-ter (di cui si chiede l'applicazione analogica) il quale dispone che, "qualora, a seguito di un periodo di affidamento, il minore faccia ritorno nella famiglia di origine o sia dato in affidamento ad altra famiglia o sia adottato da altra famiglia, è comunque tutelata, se rispondente all'interesse del minore, la continuità delle positive relazioni socio-affettive consolidatesi durante l'affidamento".
La norma si riferisce esclusivamente all'affidamento extra familiare, disposto dall'art. 4 medesima legge, e non all'affidamento preadottivo, poichè la ratio di tale previsione, a differenza di quella relativa all'affidamento preadottivo, è costituita dall'esigenza di tutelare quei minori che, a causa del lungo protrarsi dell'affidamento extra familiare per il permanere della situazione di inidoneità dei genitori biologici, hanno ormai instaurato una significativa relazione affettiva con i soggetti che di essi si sono occupati per rilevanti periodi temporali (Cass. 9 dicembre 2022, n. 36092; v. anche in arg. Cass. 28 settembre 2023, n. 27522). Essa è chiaramente ispirata al principio - posto dall'art. 3 della Convenzione di New York del 20 novembre 1898 - secondo il quale, in tutte le decisioni relative ai fanciulli, il loro miglior interesse deve essere una considerazione preminente.
Il legislatore nazionale, nella consapevolezza che la relazione familiare è qualcosa di più e di più ampio della mera filiazione biologica e del fatto che in essa possono rilevare anche legami non fondati sul vincolo biologico, ha previsto specifiche forme di tutela per una tipologia di relazione fondata non già sulla procreazione, ma sull'accoglienza del minore e sulla continuità della convivenza, connotata dalla assistenza materiale e morale, che si instaura a seguito del provvedimento di affidamento; la norma tutela quindi un legame tra soggetti non consanguinei, non meramente de facto, ma fondato su una chiara base normativa (L. 183 del 1984, art. 4 affidamento), cui si accompagna la convivenza e la continuità della relazione e sempre che il suo mantenimento corrisponda all'interesse del minore.
Si tratta di una garanzia sostanziale, che riceve tutela tramite tre garanzie processuali: a) il giudice, per adottare le decisioni sulla tutela della continuità affettiva (della L. n. 184 del 1983, commi 5-bis e -ter dell'art. 4) tiene conto anche delle valutazioni documentate dei servizi sociali; b) il giudice procede all'ascolto del minore; c) l'affidatario o l'eventuale famiglia collocataria devono essere convocati, a pena di nullità, nei procedimenti civili in materia di responsabilità genitoriale, di affidamento e di adattabilità relativi al minore affidato ed hanno facoltà di presentare memorie scritte nell'interesse del minore (L. n. 184 del 1983, art. 5 comma 1).
Deve qui osservarsi che questa Corte ha già intrepretato la garanzia processuale sub c) in senso restrittivo, affermando che l'obbligo di convocazione è riferito esclusivamente all'affidamento extrafamiliare, disposto ex art. 4 della medesima legge, e non all'affidamento preadottivo (Cass. n. 9456 del 09/04/2021) e che l'obbligo di convocazione non conferisce agli affidatari la qualità di parti dal momento che il nuovo regime giuridico dell'affido non incide direttamente sulla norma (art. 336 c.c.) che individua i soggetti legittimati ad agire (Cass. n. 18542 del 10/07/2019, si veda anche Cass. n. 19007 del 13/06/2022, non massimata).
La continuità affettiva viene quindi disegnata dal nostro legislatore come un diritto dei bambini in affidamento e non già come un diritto degli adulti a mantenere con loro detta relazione.
Questo punto è ben chiaro al ricorrente, il quale afferma che quello "di cui si invoca la tutela non è un diritto dell'Avv. A.A., ma un diritto del minore, il quale così come affermato dalla Legge 173 del 2015 nonchè dall'art. 8 della Cedu, ha diritto a essere tutelato in tutte quelle relazioni affettive che abbiano per lui il carattere della familiarità e stabilità".
Il ricorrente non considera però che in tema di diritti del minore, soggetti che sono privi di capacità di agire, è la legge che indica quali sono gli adulti cui è affidata la loro rappresentanza e che sono legittimati ad agire nel loro interesse, con la garanzia che in ogni caso è assicurato l'intervento pubblico (art. 336 c.c.). Ed è sempre la legge che stabilisce le modalità attraverso le quali si accorda tutela, all'interno del processo, a determinate posizioni di interesse giuridicamente rilevante.
Il legislatore del 2015 ha operato la scelta di tutelare la continuità affettiva tramite le garanzie processuali di cui sopra si è detto, che si aggiungono al quadro generale di azioni a tutela del minore già previste dal nostro sistema, ma non lo alterano nei suoi connotati essenziali, che sono poi quelli richiamati dalla stessa Corte di merito, la quale ricorda che la protezione degli interessi del minore è affidata a coloro che esercitano la responsabilità genitoriale, ai parenti e alla iniziativa del pubblico ministero. Ciò al fine di garantire che ogni adulto, che abbia qualche genere di responsabilità verso il minore, agisca nel suo specifico e individuale interesse, cioè si adoperi per porre in essere le condizioni necessarie a garantirgli la salute fisica e mentale, la sicurezza materiale, un insieme di relazioni interpersonali stabili e non superficiali, un'adeguata assistenza a sviluppare le sue capacità, un ragionevole grado di libertà e di autodeterminazione, crescenti con l'età, per seguire le sue inclinazioni naturali e le sue aspirazioni, in attuazione di quanto disposto dall'art. 315-bis c.c..
5.1.- Deve quindi escludersi che gli affidatari (cioè coloro che sono formalmente investiti del ruolo ex L. n. 184 del 1983, art. 4) abbiano un'azione specifica a tutela della "continuità affettiva" poichè la loro posizione è piuttosto quella di soggetti che hanno un ruolo importante nel realizzare il miglior interesse del minore e in quanto tali devono avere la possibilità di essere sentiti nei procedimenti indicati dalla norma, interloquire anche tramite memorie e possono anche sollecitare il pubblico intervento su tematiche specifiche che siano a loro conoscenza.
Di conseguenza, già questo vale ad escludere che applicando analogicamente il comma 5-ter dell'art. 4 cit. possa riconoscersi al soggetto che è in una relazione di fatto con il minore -anche qualora presentasse caratteristiche analoghe all'affidamento- una azione per tutelare la continuità affettiva, poichè l'azione diretta non è riconoscibile nemmeno in favore di colui che è formalmente chiamato al ruolo dell'affidatario.
6.- Ciò non vuol dire che manchi nel nostro ordinamento l'azione a tutela dell'interesse del minore (e in via riflessa di quello dell'adulto) alla continuità affettiva o in genere a tutela delle relazioni di fatto rilevanti e benefiche per il minore, e che pertanto si debba ricorrere al meccanismo della analogia, il cui presupposto, come recita l'art. 12 preleggi è che la controversia non possa essere decisa con una precisa disposizione di legge; nè può affermarsi che l'ordinamento giuridico nazionale non prenda in considerazione gli interessi degli adulti a mantenere la relazione con il minore, sia pure subordinatamente all'interesse di quest'ultimo. Piuttosto, l'ordinamento opera una scelta su come attuare questa tutela, individuando i soggetti legittimati a farla valere, e cioè in primo luogo i legali rappresentanti del minore, i genitori o il tutore, ma anche i parenti e, soprattutto, il pubblico ministero, poichè l'interesse alla protezione dei soggetti minori di età è (anche) un interesse pubblico.
Come bene rileva la Corte di merito, la circostanza che il A.A. non sia legittimato a promuovere l'azione per tutelare la continuità affettiva non comporta un vuoto di tutela poichè le sue istanze hanno valore di sollecitazione dell'intervento del pubblico ministero, organo deputato a far valere l'interesse del minore nelle sedi proprie che, nella fattispecie, ha effettivamente adottato una iniziativa a sua tutela.
Nell'ordinamento nazionale la tutela dei legami analoghi a quello dedotto dal ricorrente (non assisiti da rapporto biologico nè da rapporto giudico) è attuata non già accordando azione a chiunque, non consanguineo, sia entrato in relazione con il minore, ma per il tramite dell'iniziativa del pubblico ministero, come già la Corte costituzionale ha affermato nel caso in cui si faccia valere l'interesse del minore e mantenere la relazione con il genitore sociale (il partner del genitore legale non legato da vincoli giuridici con il minore).
La Corte costituzionale con sentenza 20 ottobre 2016, n. 225, in questa occasione, ha rimarcato che "la interruzione ingiustificata, da parte di uno o di entrambi i genitori, in contrasto con l'interesse del minore, di un rapporto significativo, da quest'ultimo instaurato e intrattenuto con soggetti che non siano parenti, è riconducibile alla ipotesi di condotta del genitore "comunque pregiudizievole al figlio", in relazione alla quale l'art. 333 dello stesso codice già consente al giudice di adottare "i provvedimenti convenienti" nel caso concreto. E ciò su ricorso del pubblico ministero (a tanto legittimato dall'art. 336 c.c.), anche su sollecitazione dell'adulto (non parente) coinvolto nel rapporto in questione".
Questa è esattamente la posizione espressa dalla Corte di merito, la quale ha ricordato al A.A. che egli non ha alcuna azione diretta per fare valere l'interesse del minore alla continuità familiare e che sulla denunciata condotta pregiudizievole che sarebbe stata tenuta dal genitore nei confronti del minore C.C., anche per avere interrotto i rapporti con il A.A., è intervenuto il pubblico ministero che ha iscritto un procedimento per valutare l'adozione dei provvedimenti a tutela del minore ex artt. 330 e segg. c.c.. Peraltro, la stessa Corte di merito, nel provvedimento oggi impugnato, non ha mancato di valutare, incindeter tantum, l'interesse del minore, esaminando le relazioni dei servizi sociali sulla condizione del minore, corredate dalle relazioni dei professionisti neuropsichiatri infantili e psicoterapeuti che lo seguono ove è riferito il fatto che il minore "avesse dapprima reso ad alcuni docenti dichiarazioni del contenuto analogo a quelle riportate dal A.A., per poi ritrattare e dichiarare di essere stato da questi "manipolato" e di avere temuto per l'incolumità della propria madre per mano dello stesso A.A.".
7.- In conclusione, e quale sintesi dei principi sopra richiamati, deve affermarsi che: a) In tema di minori d'età che abbiano intrattenuto relazioni affettive con persone che non siano legate da vincoli biologici, il loro mantenimento è consentito ai sensi della L. n. 184 del 1983 comma 5-ter, art. 4 ed è un diritto dei minori in affidamento extrafamiliare, diritto che riceve tutela nei modi e nelle forme previsti dalla legge e segnatamente tramite l'ascolto del minore e tramite le garanzie processuali di cui alla L. n. 184 del 1983, art. 5 comma 1; b) gli affidatari non sono legittimati ad agire per chiedere il mantenimento della continuità affettiva, nè - a maggior ragione - sono legittimati ad agire coloro che, non investiti da un formale provvedimento di affidamento, alleghino la sussistenza di un mero rapporto de facto con il minore; c) il mantenimento della continuità delle positive relazioni socio-affettive consolidatesi durante l'affidamento extrafamiliare è subordinato alla valutazione, in concreto, della sua rispondenza al miglior interesse del minore; d) la interruzione ingiustificata, da parte di chi esercita sul minore responsabilità parentali, dei rapporti di fatto significativi instaurati dal minore con soggetti non legati da consanguineità, è riconducibile alla ipotesi di condotta pregiudizievole di cui all'art. 333 c.c. in relazione alla quale, se accertata, il giudice, su istanza dei soggetti indicati nell'art. 336 c.c. può adottare i provvedimenti convenienti nell'interesse del minore; e) i soggetti non compresi nell'elenco contenuto nell'art. 336 c.c. possono tuttavia sollecitare, a tutela dei diritti e degli interessi del minore, l'iniziativa del pubblico ministero.
Ne consegue, alla luce dei principi menzionati, il rigetto del ricorso.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, Euro 200,00 per spese non documentabili, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale ricorso incidentale, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto. Dispone che, in caso di utilizzazione della presente ordinanza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l'indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti riportati nella ordinanza.