La società proponeva ricorso, ma il TAR lo rigettava.
La controversia giunge così davanti al Consiglio di Stato. In tale sede, la società lamenta:
- la mancanza dell'elemento soggettivo dell'illecito;
- l'adozione di misure di self cleaning che impedirebbero la revoca del rating.
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza (ud. 14 dicembre 2023) 2 gennaio 2024, n. 12
Svolgimento del processo
1. La presente controversia origina dal provvedimento con cui la AGCM ha disposto nei confronti dell’odierna appellante la revoca del rating di legalità a seguito della mancata comunicazione, da parte della medesima società, dell’adozione di misure penali cautelari personali nei confronti di due dei propri amministratori.
Si riassumono di seguito brevemente i fatti presupposti all’anzidetto provvedimento.
2. In data 3 maggio 2022, in forza di un’ordinanza emessa dal G.i.p. del Tribunale di Milano nell’ambito di una indagine avente ad oggetto i reati di cui agli artt. 319, 319-bis, 321 e 353, commi 1 e 2, c.p., sono stati sottoposti agli arresti domiciliari un ex consulente della odierna appellante nonché -OMISSIS-, all’epoca Presidente della società, e -OMISSIS-, all’epoca uno dei due amministratori delegati della medesima società.
3. -OMISSIS- -OMISSIS-, dopo essere stati sospesi dalle rispettive cariche il 6 maggio 2022, si sono dimessi e, successivamente, il 13 maggio 2022 è stato nominato un nuovo Consiglio di Amministrazione (c.d.a.).
4. La società odierna appellante ha omesso di comunicare alla AGCM (di seguito anche “Autorità”), come previsto dall’articolo 7, comma 1, del “Regolamento attuativo in materia di rating di legalità” (di seguito “Regolamento”), come da ultimo modificato dall’AGCM con delibera n. 28361 del 28 luglio 2020, l’intervenuta adozione dei provvedimenti cautelari da parte del G.i.p. del Tribunale di Milano e l’Autorità, in data 26 maggio 2022, ha inviato alla società la comunicazione di avvio del procedimento di revoca del rating di legalità.
5. A seguito del contraddittorio procedimentale, l’AGCM ha concluso il procedimento con l’adozione del provvedimento Rif. RT5782 del 14 luglio 2022, con cui è stata disposta, ai sensi dell’art. 7, commi 2 e 3, del Regolamento, la revoca del rating di legalità con divieto di presentare una nuova domanda di concessione del rating prima che sia decorso un anno dalla cessazione del motivo ostativo.
6. La società odierna appellante ha proposto tempestivo ricorso davanti al Tar impugnando il menzionato provvedimento nonché gli atti presupposti e, in via gradata, impugnando in parte qua il Regolamento.
7. Con la sentenza ora gravata il primo giudice ha respinto integralmente il ricorso della società ritenendolo infondato.
8. Con l’odierno appello, tempestivamente proposto, la società contesta la sentenza di prime cure articolando cinque motivi di censura, con cui ripropone i cinque motivi del ricorso di primo grado ritenuti infondati dal Tar, chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata e, per l’effetto, l’accoglimento del ricorso di primo grado, se del caso previo sollevamento di questione pregiudiziale davanti alla Corte di Giustizia.
Il primo motivo è rubricato “Errores in iudicando. Violazione dell’art. 6 e dell’art. 7, commi 1 e 2 del Regolamento AGCM. Violazione del generale principio di inesigibilità della condotta per impossibilità della stessa. Violazione del principio di responsabilità personale. Violazione del principio di proporzionalità (art. 5 TFUE). Violazione degli artt. 3 e 97 Cost. (primo motivo del ricorso al TAR)”.
Il secondo motivo è rubricato “Errores in iudicando. Violazione dell’art. 2, comma 3, lett. a), art. 6 e art. 7 del Regolamento AGCM. Violazione degli artt. 3 e 97 Cost. sotto altri profili (secondo motivo del ricorso al TAR)”.
Il terzo motivo è rubricato “Errores in iudicando. Violazione degli artt. 6, comma 6 e 7 del Regolamento AGCM. Violazione del principio di proporzionalità e ragionevolezza (art. 5 TFUE). Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 3 e 97 Cost. (terzo motivo del ricorso al TAR)”.
Il quarto motivo è rubricato “Error in iudicando. Violazione dell’art. 2, comma 5, lett. e), art. 6 e art. 7 del Regolamento AGCM. Violazione del principio di proporzionalità e ragionevolezza (art. 5 TFUE). Violazione dell’art. 97 e 41 della Costituzione (quarto motivo del ricorso al TAR)”.
Il quinto motivo è rubricato “Error in iudicando. Violazione dell’art. 7 del Regolamento AGCM. Violazione del principio di proporzionalità e ragionevolezza (art. 5 TFUE). Violazione dell’art. 97 e 41 della Costituzione (quinto motivo del ricorso al TAR)”.
9. Si è costituita in giudizio l’Autorità resistendo alle avverse domande e chiedendone il rigetto.
10. A seguito dello scambio delle memorie ex art. 73 c.p.a., alla pubblica udienza del 14 dicembre 2023 la causa è stata trattenuta in decisione.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo la società contesta la sentenza di prime cure laddove ha rigettato il primo motivo del ricorso proposto davanti al Tar.
Ritiene l’appellante che il provvedimento adottato dalla AGCM non sia coerente con il criterio dell’imputabilità soggettiva dell’inadempimento ex art. 1218 c.c. e che, altresì, trattandosi di una “sanzione in materia penale” alla luce della giurisprudenza CEDU, manchi l’elemento soggettivo dell’illecito e non sia rispettato il principio di proporzionalità posto che, nel caso di specie, non sarebbe stato possibile per la società medesima rispettare l’obbligo di comunicazione.
L’appellante impugna altresì il capo della sentenza del Tar con cui è stata respinta la domanda volta ad ottenere l’annullamento del Regolamento “nella parte in cui impone all’AGCM l’automatica revoca del rating senza che l’AGCM possa valutare le circostanze del caso concreto che abbiano impedito all’impresa di rispettare il predetto termine e nella parte in cui non prevede alcuna gradazione della sanzione in ragione delle specifiche condotte, prevedendo la sola applicazione della revoca”.
Infine, l’appellante chiede che sia sollevata questione pregiudiziale davanti alla Corte di Giustizia al fine di sottoporre al giudice comunitario il seguente quesito: “se il meccanismo sanzionatorio derivante dal combinato disposto gli artt. 6 e 7 del Regolamento, ove interpretati nel senso di: i) prescrivere ad AGCM l’automatica revoca del rating laddove le imprese che ne sono in possesso non rispettino l’obbligo di comunicazione degli eventi di cui all’art. 7, comma 1, lett. a) nel termine ivi indicato (<<entro dieci giorni dal verificarsi degli stessi>>), senza che l’AGCM possa valutare le circostanze che in concreto abbiano impedito all’impresa di rispettare il predetto obbligo o il predetto termine; ii) non prevedere alcuna gradazione della citata sanzione in ragione delle specifiche condotte, prevedendo la sola, non modulabile, applicazione della <<revoca>>; sia conforme al principio di proporzionalità di cui all’art. 5 TFUE”.
1.1. Il motivo è infondato.
1.2. Il provvedimento adottato dall’Autorità ed oggetto del presente giudizio si fonda sull’art. 7 del Regolamento il quale, al comma 1, lettera a), prevede un obbligo per la società in possesso del rating di comunicare “gli eventi che incidono sul possesso dei requisiti obbligatori di cui all’art. 2 e quelli di cui all’art. 6, commi 6 e 7, la perdita di requisiti premiali di cui all’art. 3, comma 2, nonché l’iscrizione nel Casellario informatico delle imprese di annotazioni rilevanti ai sensi dell’art. 3, comma 5, del Regolamento, entro dieci giorni dal verificarsi degli stessi, se di conoscenza immediata dell’impresa, o dalla notifica dei relativi provvedimenti”.
Al comma 2, il medesimo articolo 7 prevede che “[l]a violazione degli obblighi di cui al precedente comma determina la revoca di cui all’articolo 6, comma 4, del presente Regolamento, a far data dal momento in cui il requisito è venuto meno o dalla scadenza di tali obblighi di comunicazione”.
Infine, al comma 3, detto articolo 7 dispone che “[s]alvo il disposto di cui al comma 2, la mancata comunicazione di un evento che abbia comportato l’insorgere di un motivo ostativo all’attribuzione/mantenimento del rating comporta altresì il divieto di presentazione di una nuova domanda prima di un anno dalla cessazione di tale motivo ostativo, come stabilita dallo stesso Regolamento”.
1.3. La revoca del rating di legalità ed il divieto di ripresentare la domanda di attribuzione del rating per un anno dalla cessazione del motivo ostativo sono configurati come sanzioni amministrative conseguenti all’illecito consistente nell’inottemperanza agli obblighi informativi gravanti sull’impresa. Ritiene il Collegio che si tratti di provvedimenti sanzionatori in senso stretto, i.e. aventi natura punitiva.
A tale conclusione può giungersi da un confronto sistematico tra, da un lato, la disciplina delle conseguenze previste laddove l’impresa interessata da sopravvenienze ottemperi al relativo obbligo comunicativo e, dall’altro lato, la disciplina delle conseguenze riservate all’impresa interessata dalle medesime sopravvenienze ma inottemperante all’obbligo comunicativo.
Nel primo caso, l’art. 6, ai commi 4 e ss., del Regolamento, prevede la revoca del rating solo ove vengano meno i requisiti obbligatori di cui al comma 2 ovvero prevede la sospensione del rating ove sia stata disposta una misura cautelare personale o patrimoniale, per determinati reati, a carico delle figure apicali dell’impresa.
Di contro, l’art. 7, ai commi 2 e 3, in caso di omesso rispetto, da parte dell’impresa, degli obblighi informativi, prevede in ogni caso la revoca del rating, anche laddove le sopravvenienze riguardino i soli requisiti premiali (i.e. che consentono di raggiungere un punteggio maggiore di quello base) e non incidano sul possesso dei requisiti obbligatori per il rilascio e il mantenimento del rating. Inoltre, laddove la violazione degli obblighi comunicativi sia più rilevante, riguardando un motivo ostativo all’attribuzione/mantenimento del rating, è altresì prevista la sanzione del divieto di presentazione di una nuova domanda per un certo periodo di tempo.
Emerge, pertanto, che i provvedimenti di cui ai commi 2 e 3 dell’art. 7 cit. hanno natura di sanzioni in senso stretto, essendo diretti a reprimere la violazione degli obblighi informativi di cui al comma 1.
Pertanto, senza necessità di stabilire se le sanzioni di cui all’articolo 7, commi 2 e 3, del Regolamento abbiano anche natura “sostanzialmente penale” ai sensi della giurisprudenza della Corte EDU, si applicano a tali provvedimenti i principi e le regole previsti in materia di sanzioni amministrative dalla Legge 24 novembre 1981, n. 689 e, pertanto, deve sussistere in capo alla società sanzionata l’elemento soggettivo.
1.4. Nel caso di specie tale elemento sussiste.
A seguito dell’adozione del provvedimento del G.i.p. del 3 maggio 2022 con cui si disponevano gli arresti domiciliari a carico dei sigg.ri -OMISSIS-- provvedimento che rappresenta un evento che incide sul possesso di un requisito obbligatorio ai sensi dell’art. 2 del Regolamento - la società non ha trasmesso alla AGCM la prescritta comunicazione che, invece, avrebbe dovuto inviare entro dieci giorni ai sensi dell’art. 7, comma 1, del Regolamento.
Non hanno pregio le doglianze dell’appellante secondo cui l’adempimento non sarebbe stato esigibile in considerazione delle peculiarità del caso di specie, dovendosi sul punto confermare la sentenza del Tar.
Difatti, fino alla nomina del nuovo c.d.a. avvenuta il 13 maggio 2022 l’obbligo informativo avrebbe potuto essere assolto, quantomeno, dall’altro amministratore della società rimasto in carica e non attinto dalla misura cautelare. Priva di pregio è l’osservazione, avanzata dall’odierna appellante, secondo cui, essendo venuta meno la maggioranza degli amministratori a seguito delle dimissioni dei sigg.ri -OMISSIS-, sarebbe decaduto l’intero c.d.a. ex art. 2386, comma 2, c.c. Tale ultima disposizione, difatti, si limita a prevedere che “[s]e viene meno la maggioranza degli amministratori nominati dall'assemblea, quelli rimasti in carica devono convocare l'assemblea perché provveda alla sostituzione dei mancanti”. Non è pertanto prevista nessuna decadenza immediata dell’intero c.d.a., limitandosi la norma a prevedere che, nel caso in cui venga meno la maggioranza degli amministratori, la nomina dei mancanti è effettuata dall’assemblea, fermo restando che gli altri amministratori rimangono comunque in carica (come si evince anche dal comma 3 del medesimo art. 2386 c.c., ove si prevede che gli amministratori nominati dall’assemblea scadono insieme con quelli “in carica all'atto della loro nomina”). Del resto, anche laddove particolari disposizioni dello statuto prevedano che a seguito della cessazione di taluni amministratori cessi l'intero c.d.a., il legislatore comunque assicura la continuità nella gestione dell’impresa stabilendo che, fino all’assemblea convocata per la nomina del nuovo consiglio, rimangano in carica i restanti amministratori (art. 2386, comma 4, c.c.).
Pertanto, anche prima della nomina del nuovo c.d.a. intervenuta il 13 maggio 2022, la società aveva la possibilità di provvedere alla prescritta comunicazione.
Successivamente al rinnovo del c.d.a., i nuovi amministratori avrebbero potuto provvedere a tale adempimento. Sul punto, non è condivisibile l’osservazione della appellante secondo cui il 13 maggio 2022, giorno della nomina del c.d.a., era un venerdì e, pertanto, il nuovo c.d.a. avrebbe effettivamente iniziato ad operare solo il successivo lunedì 16 maggio 2022. Al di là della circostanza per cui il consiglio di amministrazione assume le proprie funzioni dal momento stesso della nomina, essendo irrilevante che questa avvenga il venerdì, è sufficiente osservare che, nel caso di specie, il consiglio di amministrazione non ha assolto all’obbligo informativo nemmeno tardivamente. Alla data del 26 maggio 2022, giorno in cui la società ha ricevuto la comunicazione di avvio del procedimento da parte della AGCM, ossia quando erano decorsi ventitré giorni dall’ordinanza del G.i.p. e tredici dall’insediamento del nuovo c.d.a., la medesima società non aveva in alcun modo ottemperato all’obbligo di comunicazione di cui all’art. 7, comma 1, del Regolamento.
Nemmeno può ritenersi, come sostiene l’appellante, che il dies a quo del termine di dieci giorni previsto per effettuare la comunicazione possa essere “modulabile” in ragione delle vicende organizzative della società. L’art. 7, comma 1, del Regolamento àncora tale dies a quo al momento della conoscenza delle sopravvenienze e, nel caso di specie, è pacifico che la società abbia avuto conoscenza dell’ordinanza che ha disposto gli arresti domiciliari quantomeno dal momento in cui ha sospeso i propri amministratori.
Le doglianze avanzate dalla appellante non sono pertanto idonee ad escludere la sussistenza in capo alla società dell’elemento soggettivo dell’illecito amministrativo.
1.5. Non fondata è la richiesta di annullamento, in parte qua, del Regolamento.
Come sopra detto, l’art. 7, commi 2 e 3, del Regolamento, correttamente interpretato, consente di valutare la sussistenza dell’elemento soggettivo in capo all’impresa sanzionata dovendosi fare applicazione dei principi generali in materia di sanzione amministrativa.
La sanzione della revoca, prevista dall’art. 7, comma 2, del Regolamento, non appare sproporzionata rispetto all’illecito amministrativo consistente nella omessa comunicazione di un evento riguardante, nel presente caso, i requisiti obbligatori previsti per la concessione iniziale e per il successivo mantenimento del rating di legalità.
L’obbligo di comunicazione imposto alle imprese è finalizzato a far sì che l’Autorità acquisisca tempestivamente conoscenza delle sopravvenienze che incidono sui requisiti in base ai quali il rating è stato rilasciato e possa quindi adottare i conseguenti provvedimenti. La violazione di tale obbligo di comunicazione potrebbe comportare la permanenza del rating in capo a società che hanno perso i relativi requisiti (ovvero la permanenza di un rating con un punteggio superiore a quello spettante), con conseguente possibile pregiudizio per gli interessi pubblici e per quelli dei privati controinteressati, considerato che il rating di legalità, tra l’altro, concorre alla valutazione della reputazione dell’impresa nell’ambito delle procedure ad evidenza pubblica, ex artt. 109 e 222, D.lgs. 31 marzo 2023, n. 36.
Si tratta di doveri di collaborazione gravanti sull’impresa e ai quali la stessa si è sottoposta chiedendo l’attribuzione del rating e che appaiono senz’altro ragionevoli, anche considerato che il rating di legalità costituisce un indicatore premiale del rispetto di determinati standard di legalità, anche più elevati rispetto a quelli ordinariamente imposti alle imprese.
1.6. Occorre inoltre considerare - e tale circostanza incide anche sulla valutazione dell’elemento soggettivo - che il rating di legalità è attribuito ad imprese aventi significativi requisiti dimensionali (fatturato minimo di due milioni di euro, ai sensi dell’art. 5 ter del d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla L. 24 marzo 2012, n. 27 e art. 1 del Regolamento) e che, pertanto, devono essere dotate - a maggior ragione in presenza di situazioni potenzialmente idonee a compromettere i requisiti che hanno dato luogo all’attribuzione del rating - di una struttura organizzativa idonea a far fronte agli obblighi informativi previsti. Tali obblighi, peraltro, si sostanziano in una mera comunicazione da inviare alla AGCM e non appaiono, pertanto, particolarmente gravosi per l’impresa.
1.7. Deve osservarsi, inoltre, che il Regolamento prevede una graduazione delle sanzioni, dal momento che il divieto di chiedere per un anno un nuovo rilascio del rating (ex art. 7, comma 3, del Regolamento) viene applicato solo nel caso in cui l’impresa ometta di comunicare tempestivamente un evento “che abbia comportato l’insorgere di un motivo ostativo all’attribuzione/mantenimento del rating”, ossia nel caso di violazioni di obblighi informativi di maggiore disvalore. Negli altri casi, ossia quando l’impresa omette di comunicare altri eventi indicati dall’art. 7, comma 1, lett. a), alla sanzione della revoca del rating non si accompagna anche il divieto di presentare fin da subito una domanda volta ad ottenere una nuova attribuzione del rating.
1.8. Infine, il Collegio ritiene non vi siano i presupposti per sollevare una questione pregiudiziale davanti alla Corte di Giustizia.
I quesiti interpretativi proposti dall’appellante muovono dalle seguenti due premesse: il Regolamento non consente di tenere conto dell’elemento soggettivo in sede di adozione della sanzione e non prevede un gradualismo sanzionatorio.
Per le ragioni che si sono fin qui esposte, entrambi tali presupposti sono erronei.
Quanto alla possibilità di valutare l’elemento soggettivo, si rinvia alle osservazioni di cui sopra (§§ 1.3 e 1.4.).
Si è anche già detto (supra § 1.7.) del gradualismo sanzionatorio già rinvenibile nel Regolamento.
Si consideri, peraltro, che nel caso di specie appare rispettato il rapporto di proporzionalità tra gli interessi protetti dalla norma violata, l’entità del pericolo causato dal fatto illecito e l’intensità del sacrificio imposto con la sanzione.
Si sono già individuati gli interessi che l’obbligo di comunicazione mira a tutelare (supra, § 1.5.).
Quanto alla gravità della condotta, può considerarsi come la società abbia omesso di comunicare l’intervenuta adozione di una misura cautelare personale (arresti domiciliari) tra le più severe tra quelle previste nell’ambito del procedimento penale in quanto avente carattere custodiale e che è stata disposta, per presunti reati contro la pubblica amministrazione, nei confronti di due dei tre amministratori della società, tra cui il presidente. L’omissione comunicativa è stata accertata quando era decorso un tempo pari ad oltre il doppio rispetto al termine di dieci giorni che la società aveva a disposizione.
Il sacrificio imposto alla società con la revoca del rating non appare quindi sproporzionato rispetto alla condotta accertata, anche considerato che, in base al Regolamento, la presenza di una misura cautelare personale a carico degli amministratori della società, per i reati di cui all’art. 2 del Regolamento, rappresenta in ogni caso una circostanza che impedisce il rilascio iniziale del rating ovvero il mantenimento dell’efficacia del medesimo.
Alla luce di quanto esposto, la questione pregiudiziale proposta dall’appellante risulta irrilevante non potendo in alcun modo influire sull’esito della presente causa e, pertanto, conformemente alla costante giurisprudenza comunitaria sul punto, il giudice nazionale non è tenuto a sollevare una tale questione ai sensi dell’art. 267 TFUE (cfr. Corte di Giustizia, grande sezione, 6 ottobre 2021, causa C 561/2019, Consorzio Italian Management, §34, e giurisprudenza ivi citata).
1.9. In conclusione, il primo motivo non merita accoglimento.
2. Il secondo, il terzo e il quinto motivo possono esaminarsi congiuntamente stante la loro connessione.
2.1. Con il secondo motivo l’appellante, riproponendo il secondo motivo di ricorso al Tar, contesta il provvedimento della AGCM ritenendo che la revoca del rating non possa essere disposta laddove la società abbia adottato misure di self cleaning. In subordine, l’appellante ripropone la domanda - che lamenta non essere stata esaminata dal Tar - finalizzata ad ottenere l’annullamento in parte qua del Regolamento “se interpretato nel senso di prescrivere ad AGCM l’automatica revoca del rating laddove le imprese che ne sono in possesso non rispettino l’obbligo di comunicazione degli eventi di cui all’art. 7, comma 2 nel termine ivi indicato (‘entro dieci giorni dal verificarsi degli stessi’), senza che l’AGCM possa valutare le misure di self cleaning adottate in applicazione dell’art. 2, comma 5, lett. e)”.
Con il terzo motivo la società ripropone il terzo motivo del ricorso di prime cure, sostenendo che l’Autorità avrebbe dovuto applicare l’art. 6, comma 6, del Regolamento disponendo la sospensione del rating, anziché la revoca. In subordine, l’appellante ripropone la domanda volta ad ottenere l’annullamento in parte qua del Regolamento ove interpretato nel senso di vietare all’AGCM l’applicazione dell’art. 6, comma 6, cit. ove l’obbligo di comunicazione non sia stato previamente rispettato.
Con il quinto motivo la società si duole della asserita non proporzionalità della sanzione consistente nel divieto di presentare la nuova domanda di rating per un anno dalla cessazione del motivo ostativo, ex art. 7, comma 3, del Regolamento.
2.2. I motivi sono infondati.
2.3. Le misure di self cleaning sono disciplinate all’art. 2, commi 5 e ss., del Regolamento e sono configurate come deroghe rispetto ai requisiti richiesti ai commi precedenti del medesimo articolo per il rilascio del rating. In deroga al criterio che prescrive, per quanto qui interessa, l’assenza di misure cautelari personali, per taluni reati, nei confronti delle figure apicali della società, l’art. 2, comma 5, lett. e), del Regolamento prevede che l’impresa possa comunque ottenere il rating se dimostra che “vi sia stata completa ed effettiva dissociazione dalla condotta posta in essere rispetto ai reati ostativi al rilascio del rating, tenuta dai soggetti di cui al comma 2, lettere a) e b), cessati dalle cariche nell’anno precedente la richiesta del rating”.
2.4. L’appellante sostiene che l’art. 6, comma 4, del Regolamento prevede la revoca del rating “in caso di perdita dei requisiti di cui all’articolo 2” e che, nel caso di specie, avendo la società adottato misure di self cleaning ex art. 2, comma 5, i requisiti prescritti per il rilascio del rating non sarebbero venuti meno.
Come correttamente rilevato dal Tar, il richiamo all’art. 6 del Regolamento, operato dall’appellante, non è conferente, dal momento che il provvedimento impugnato si fonda sull’art. 7 del Regolamento.
L’articolo 6 e l’articolo 7 del Regolamento hanno ambiti di applicazione differenti. Come emerge da una interpretazione sistematica dei medesimi articoli, l’art. 6, ai commi 4 e ss., si occupa delle conseguenze derivanti dalle sopravvenienze che incidono sui requisiti di rilascio del rating e che siano state tempestivamente comunicate dall’impresa e, di contro, l’art. 7, ai commi 2 e 3, prevede le sanzioni conseguenti all’omesso rispetto, da parte dell’impresa, degli obblighi informativi riguardanti le dette sopravvenienze. È pur vero che l’art. 7, comma 2, dispone che la violazione degli obblighi informativi “determina la revoca di cui all’articolo 6, comma 4, del presente Regolamento”, ma tale riferimento è volto solamente ad inquadrare gli effetti del provvedimento (revoca) e non anche a definire i presupposti in presenza dei quali il medesimo viene adottato.
Nel caso di specie, come si è sopra evidenziato, la revoca ed il divieto di ripresentare la domanda di rilascio del rating per un certo periodo sono stati disposti quali conseguenze dell’omessa comunicazione, da parte dell’impresa, dell’ordinanza del g.i.p. che ha interessato due figure apicali dell’impresa. Il provvedimento della AGCM, pertanto, come emerge anche dalla motivazione del medesimo, trova la propria base normativa nell’articolo 7, commi 2 e 3, del Regolamento non facendosi applicazione dell’art. 6 del Regolamento medesimo.
Pertanto, non può trovare applicazione al caso di specie nemmeno la sospensione del rating di cui all’art. 6, comma 6, cit.
2.5. In ogni caso, le misure adottate dall’impresa – consistenti nella sospensione dei sigg.ri -OMISSIS-e nella nomina di un nuovo c.d.a. – non potrebbero configurarsi quali iniziative di self cleaning ai sensi dell’art. 2, comma 5, lett. e), cit. poiché queste misure comportano una dissociazione dell’impresa dalla condotta addebitata agli amministratori “cessati dalle cariche nell’anno precedente alla richiesta del rating”. Il Regolamento, pertanto, prevede una certa distanza temporale tra il momento in cui le misure di dissociazione sono adottate e il momento in cui gli amministratori interessati sono cessati dalla carica. Nel caso di specie, invece, le misure sono state adottate dall’impresa immediatamente dopo la cessazione dalla carica degli amministratori raggiunti dal provvedimento cautelare penale e, pertanto, non soddisfano i presupposti di cui all’art. 2, comma 5, lett. e), cit.
2.6. Del pari infondata è la domanda di annullamento in parte qua del Regolamento.
È ragionevole la previsione del Regolamento che non consente di tenere in considerazione eventuali misure di self cleaning ove vi sia una violazione degli obblighi informativi gravanti sull’impresa.
Come sopra evidenziato, l’inottemperanza agli obblighi di comunicazione rappresenta di per sé una violazione che, alla luce degli interessi coinvolti, giustifica la revoca del rating di legalità. Ragionando diversamente, si depotenzierebbe l’obbligo di comunicazione previsto dall’art. 7, comma 1, del Regolamento ammettendo che l’impresa possa non rispettarlo e, ciononostante, andare esente da sanzione in ragione delle misure di dissociazione adottate.
2.7. È conforme al principio di proporzionalità anche la previsione del Regolamento che stabilisce una sanzione consistente nel divieto di ripresentare la domanda di attribuzione del rating per un anno dalla cessazione del motivo ostativo. Come si è detto, tale conseguenza sanzionatoria è giustificata alla luce della gravità dell’inadempimento di cui si è resa responsabile l’impresa, che ha omesso di comunicare una circostanza particolarmente rilevante che ha inciso sugli stessi requisiti obbligatori per il rilascio e il mantenimento del rating medesimo.
2.8. Sono inoltre inconferenti i richiami dell’appellante al principio di presunzione di innocenza, dal momento che la sanzione irrogata non discende dagli arresti domiciliari disposti a carico degli amministratori della società bensì dalla violazione degli obblighi informativi gravanti sull’impresa.
2.9. In conclusione, sono infondati i motivi nn. 2, 3 e 5.
3. Con il quarto motivo, l’appellante ripropone il quarto motivo del ricorso al Tar contestando il provvedimento della AGCM nella parte in cui riporta la seguente motivazione: “Oltre a ciò, le osservazioni miranti a dimostrare la dissociazione e, quindi, l’applicazione della deroga di cui all’art. 2, comma 5, lett. e), del Regolamento, non possono trovare accoglimento, considerato tra l’altro che i due amministratori attinti dalle misure cautelari sono attualmente soci di maggioranza (ciascuno in possesso del 50% delle quote) della società-OMISSIS- S.R.L., che controlla al 100% codesta Società”.
3.1. Il quarto motivo del ricorso di primo grado è improcedibile, con conseguente improcedibilità del quarto motivo di appello.
3.2. Come si è sopra esposto, l’Autorità ha fondato il proprio provvedimento sulla violazione degli obblighi informativi di cui all’art. 7, comma 1, del Regolamento. Il riferimento alla ritenuta insufficienza delle misure di self cleaning adottate dall’impresa appare un passaggio ulteriore svolto dall’Autorità ad abundantiam (come emerge anche dalle locuzioni utilizzate nel provvedimento: “oltre a ciò”, “tra l’altro”). In ogni caso, l’odierna appellante non ha più interesse all’esame del relativo motivo di ricorso, proposto al Tar e riproposto nel presente grado, dal momento che sono state rigettate le restanti doglianze che si appuntavano sulla ragione portante del provvedimento, da sola sufficiente a sostenerne il contenuto dispositivo.
Di conseguenza, il quarto motivo del ricorso al Tar va dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, così come il quarto motivo di appello.
4. In conclusione, l’appello è infondato con riguardo ai motivi nn. 1, 2, 3 e 5, mentre, con riguardo al motivo n. 4, va dichiarato improcedibile.
La sentenza impugnata va confermata con parziale diversa motivazione, data l’improcedibilità del ricorso di primo grado con riguardo al motivo n. 4.
Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto:
- in parte lo respinge e in parte lo dichiara improcedibile, nei sensi di cui in motivazione;
- conferma con parziale diversa motivazione la sentenza impugnata, dichiarando in parte improcedibile il ricorso di primo grado nei sensi e nei limiti di cui in motivazione;
- condanna l’appellante al pagamento, in favore dell’appellata, delle spese di lite del presente grado di giudizio quantificate in euro 4.000,00, oltre IVA e CPA.
Vista la richiesta dell'interessato e ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, comma 1, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte interessata.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.