
Gli Ermellini colgono l’occasione per chiarire come il giudice del merito debba condurre la valutazione sullo stato di abbandono del minore ai fini della dichiarazione di adottabilità, ponendo l’accento sul fatto che essa deve basarsi su indagini e approfondimenti riferiti alla situazione presente, e non passata.
Il ricorso in Cassazione ha origine dalla pronuncia del Tribunale per i minorenni che aveva dichiarato la madre dei minori decaduta dalla responsabilità genitoriale su di essi e collocato i medesimi provvisoriamente presso una o più famiglie, con nomina di un tutore.
La vicenda è piuttosto complessa ed era iniziata molti anni prima, arrivando al punto in cui il Tribunale aveva ordinato ai Servizi sociali di attuare interventi di sostegno in favore dei genitori e di vigilanza sui medesimi, effettuando un’indagine sociale sui nuclei familiari della madre e del padre dalle quali era emerso, tra le altre cose, la presenza di numerosi precedenti penali a carico del padre, il quale veniva ricordato con paura dai minori che ne descrivevano le condotte violente. In concomitanza, gli operatori della comunità ove erano stati collocati a quel tempo i minori insieme alla madre avevano registrato la crescente incapacità di quest’ultima ad occuparsi dei figli per una grande fragilità di fondo che la caratterizzava.
Da qui la dichiarazione del Tribunale di decadenza dalla responsabilità genitoriale del padre sui figli e la prosecuzione del ricovero di madre e figli per altri 18 mesi con l’affidamento dei piccoli ai Servizi sociali, affermando che non vi erano allo stato altre forme possibili di adozione tali da consentire il mantenimento dei legami con la famiglia di origine dei minori.
Si arriva dunque alla pronuncia in questione, la quale viene impugnata dal padre che contesta i motivi alla base del provvedimento.
Con l’ordinanza n. 7 del 2 gennaio 2024, la Corte di Cassazione dichiara il ricorso inammissibile, osservando come i Giudici abbiano il compito di esprimere, in sede di accertamento dello stato di adottabilità di un minore, una prognosi circa l’effettiva e attuale possibilità di recupero delle capacità e competenze genitoriali attraverso un apposito percorso di crescita e sviluppo, come tramite l’elaborazione di un progetto, anche futuro, di un’assunzione diretta della responsabilità genitoriale caratterizzata da cura, accudimento e coabitazione con il minore, avvalendosi dell’aiuto di parenti, terzi e anche dei servizi territoriali.
In tema di adozione del minore, infatti, il giudice, valutando lo stato di abbandono quale presupposto ai fini della dichiarazione di adottabilità, deve fondare il suo convincimento su un riscontro attuale e concreto che si basa su indagini e approfondimenti riferiti alla situazione presente, e non passata, considerando la volontà positiva di recupero del rapporto genitoriale da parte dei genitori.
Alla luce di tali principi, gli Ermellini rilevano che è proprio ciò che è stato fatto nel caso di specie dal Giudice del merito, il quale ha argomentato in modo esaustivo lo stato di abbandono dei minori e l’insussistenza di ogni possibilità di recupero della capacità genitoriale del padre, vista la sua inidoneità e assoluta mancanza di volontà in tal senso, anche alla luce dei precedenti penali significativi a suo carico.
Segue allora la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Svolgimento del processo
Con ricorso del 20.8.20 il Pubblico Ministero presso il Tribunale per i minorenni di Palermo chiedeva che venisse dichiarato lo stato di abbandono e la conseguente dichiarazione di adottabilità dei minori S. e S. C., e E. P. B..
Il Tribunale, con sentenza del 2021, dichiarava la madre, P.B., decaduta dalla responsabilità genitoriale sui detti minori e collocando quest’ultimi provvisoriamente presso una o più famiglie, con nomina di un tutore.
Con sentenza del 31.3.2003, la Corte d’appello ha rigettato l’appello proposto da M. C., osservando che: l’impugnazione era generica, priva di critiche specifiche; nel 2019, il Tribunale di Agrigento aveva rigettato la domanda di riconoscimento del figlio minore E. P. proposta dal C. il quale non era dunque legittimato ad impugnare la pronuncia per cui è causa nella parte nella quale aveva dichiarato lo stato di adottabilità del predetto minore; con provvedimento del 2017 il medesimo Tribunale aveva confermato il ricovero dei minori presso una comunità ad indirizzo segreto ove erano già stati accolti unitamente alla madre, incaricando il Servizio sociale di attuare interventi di sostegno e vigilanza, e di effettuare un’indagine sociale sui nuclei familiari sia del padre che della madre, dalla quale era emerso che a carico del C. pendevano plurimi procedimenti penali per reati contro il patrimonio, di lesioni, detenzione di armi, che il padre era ricordato dai minori con paura, descrivendone comportamenti violenti; gli operatori della nuova comunità registravano, con il passar del tempo, una crescente incapacità materna nella prassi quotidiana e un fragilità di fondo della B.; non era stato possibile avviare percorsi di recupero della genitorialità nei confronti del C. per l’assenza di ogni legame con i figli, oltre ai precedenti penali.
Con sentenza del 2018 il Tribunale per i minorenni dichiarava il ricorrente decaduto dalla responsabilità genitoriale sui figli; per madre e figli minori veniva disposta proroga del loro ricovero presso la struttura protetta ospitante per 18 mesi, ed i minori venivano affidati al Servizio sociale, rilevando che: non vi era spazio concreto per instaurare relazioni genitoriali ulteriori e parallele, quali quelle conseguenti all’affidamento etero-familiare o all’adozione di cui all’art. 44, lett. d), l. n. 184/83, con particolare riferimento alla capacità concreta degli appellanti di consentire l’instaurazione di ulteriori legami genitoriali e di comprendere e non ostacolare la funzione necessariamente vicariante assolta da un secondo nucleo parentale; pertanto, non erano praticabili forme differenti di adozione tali da consentire il mantenimento dei legami con la famiglia d’origine dei minori in questione.
M. C. ricorre in cassazione con unico motivo. Resiste con controricorso l’avv. G. R., tutrice provvisoria dei minori. Non hanno svolto difese P. B. e la Procura Generale presso la Corte d’appello.
Motivi della decisione
L’unico motivo denunzia nullità della sentenza per violazione degli artt. 132, c.2, n.4, c.p.c., 1, 8, 12, c.1, 15, 17, c.4, Convenzione di Strasburgo, 2729 c.c., 29, 30 Cost., per aver la Corte d’appello motivato lo stato di abbandono dei tre minori in maniera generica ed apparente, avendo esaminato fatti, valutati dai Servizi sociali, che risalivano a tempo prima della decisione, senza indicare la gravità dei fatti contestati.
Il ricorso è inammissibile.
Il giudice di merito, nell'accertare lo stato di adottabilità di un minore, deve esprimere una prognosi sull'effettiva ed attuale possibilità di recupero, attraverso un percorso di crescita e sviluppo delle capacità e competenze genitoriali, con riferimento, in primo luogo, alla elaborazione, da parte dei genitori, di un progetto, anche futuro, di assunzione diretta della responsabilità genitoriale, caratterizzata da cura, accudimento, coabitazione con il minore, ancorché con l'aiuto di parenti o di terzi, ed avvalendosi dell'intervento dei servizi territoriali (Cass., n. 9501/23).
In tema di adozione del minore, il giudice, nella valutazione della situazione di abbandono, quale presupposto per la dichiarazione dello stato di adottabilità, deve fondare il suo convincimento effettuando un riscontro attuale e concreto, basato su indagini ed approfondimenti riferiti alla situazione presente e non passata, tenendo conto della positiva volontà di recupero del rapporto genitoriale da parte dei genitori (Cass., n. 4002/23).
Nel caso concreto, il motivo è diretto al riesame dei fatti, o a ribaltarne l’interpretazione adottata correttamente dalla Corte territoriale che ha plausibilmente, ed in maniera esaustiva, argomentato sullo stato d’abbandono dei minori e sull’insussistenza di qualunque possibilità di recupero della capacità genitoriale del ricorrente, considerata la sua inidoneità e l’assoluta mancanza di sua volontà, anche alla luce dei rilevanti precedenti penali.
Pertanto, la doglianza sull’omessa o apparente pronuncia è in sostanza del tutto generica e non attinge la ratio decidendi.
Data la natura della causa, e gli interessi sostanziali sottesi, ricorrono giusti motivi per compensare le spese del giudizio. La causa risulta esente dal contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e compensa interamente tra le parti le spese del giudizio.
Dispone che ai sensi dell’art. 52 del d.lgs. n. 196/03, in caso di diffusione della presente ordinanza si omettano le generalità e gli altri dati identificativi delle parti.