
Con la sentenza in commento, gli Ermellini chiariscono quale disciplina si applica in tal senso con riferimento alla materia della previdenza e dell'assistenza durante il periodo dell'emergenza epidemiologica da Covid-19.
In seguito all'instaurazione del giudizio da parte dell'INPS, il Tribunale di Chieti dichiarava il diritto dell'interessata di percepire l'assegno di invalidità, condannando l'Istituto a corrisponderle quanto di spettanza a tale titolo nella misura di legge.
In particolare, il Tribunale aveva ritenuto applicabile il termine più lungo di sospensione previsto dall'
Quest'ultimo impugna la decisione mediante ricorso in Cassazione, sostenendo che i Giudici avessero errato nell'applicare la più ampia sospensione di cui sopra, poiché non hanno considerato che il caso in esame è assoggettato alla normativa generale di cui all'art. 83 dello stesso D.L..
Con la sentenza n. 744 del 9 gennaio 2024, la Cassazione dichiara infondato il motivo di ricorso, evidenziando come la questione posta verta sul regime di sospensione applicabile alla materia della previdenza e dell'assistenza nel periodo dell'emergenza epidemiologica da Covid-19.
Gli Ermellini non condividono le argomentazioni a sostegno del ricorso proposto dall'INPS, evidenziando che la normativa di cui all'art. 34 cit. si atteggia come lex specialis, come rilevato anche dal Giudice di prime cure. La disciplina riguarda nello specifico il decorso dei termini di decadenza con riguardo alle prestazioni previdenziali, assistenziali e assicurativeerogate da INPS e INAIL, rispondendo all'esigenza di regolare in termini organici e autonomi la materia, che si distingue per la sua innegabile peculiarità rispetto a quella della normativa generale di cui all'art. 83. Tale peculiarità, sottolinea la Corte, si ravvisa anche nell'imposizione di termini di decadenza che vanno a tutelare la certezza delle situazioni giuridiche in un settore che comporta l'impiego di ingenti risorse pubbliche.
Alla specialità della disciplina racchiusa nell'art. 34 si affianca la considerazione del suo tenore indifferenziato nonché il contenuto precettivo della norma che estende la sospensione del decorso dei termini di decadenza non alla sola decadenza che si colloca sul piano del procedimento amministrativo, in mancanza di elementi testuali univoci che corroborino tale interpretazione riduttiva. Da ciò risulta la volontà del Legislatore di contemplare in termini omnicomprensivi la decadenza con riferimento alle prestazioni previdenziali e assistenziali, dunque anche alla peculiare decadenza prevista dall'
In ossequio a ciò si afferma il seguente principio di diritto:
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«Nelle controversie concernenti l'invalidità civile, la cecità civile, il sordomutismo, l'handicap e la disabilità ai fini del collocamento obbligatorio al lavoro, il decorso del termine semestrale previsto, a pena di decadenza, per la proposizione della domanda (art. 42, comma 3, secondo periodo, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 260, convertito, con modificazioni, nella |
Svolgimento del processo
1. – Con sentenza n. 193 del 2021, depositata il 31 maggio 2021, il Tribunale di Chieti, nel decidere il giudizio instaurato dall’INPS ai sensi dell’art. 445-bis, sesto comma, cod. proc. civ., ha dichiarato il diritto della signora N. M. di percepire l’assegno d’invalidità di cui all’art. 13 della legge 30 marzo 1971, n. 118, e ha condannato l’INPS a corrispondere «quanto di spettanza a tale titolo nella misura di legge».
1.1. – A fondamento della decisione, il Tribunale di Chieti ha disatteso, in primo luogo, l’eccezione di decadenza formulata dall’Istituto in base all’art. 42 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, nella legge 24 novembre 2003, n. 326.
A tale riguardo, il giudice di prime cure ha argomentato che, nel caso di specie, si applica il termine più ampio di sospensione previsto dall’art. 34 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, nella legge 24 aprile 2020, n. 27.
Specificamente dedicata alla materia delle prestazioni previdenziali, assistenziali e assicurative erogate dall’INPS e dall’INAIL, tale previsione sancisce la sospensione dei termini di decadenza dal 23 febbraio 2020 sino al primo giugno 2020 e si configura come speciale rispetto alla normativa racchiusa nell’art. 83 del d.l. n. 18 del 2020.
L’azione intrapresa della ricorrente, dunque, è tempestiva e non si ravvisa la decadenza eccepita dall’Istituto.
1.2. – Quanto al merito della domanda, il Tribunale rileva che l’accertamento esperito dal consulente tecnico d’ufficio avvalora la sussistenza delle «condizioni sanitarie per il riconoscimento del diritto all’assegno di invalidità».
Sussiste anche il requisito reddituale, che l’Istituto non ha specificamente contestato.
Si può, dunque, disporre la condanna dell’INPS «al pagamento di quanto di spettanza a tale titolo, con gli accessori di legge».
2. – L’INPS impugna per cassazione la sentenza del Tribunale di Chieti, con ricorso notificato il 22 settembre 2021 e affidato a tre motivi.
3. – La signora N. M. resiste con controricorso.
4. – Il ricorso è stato fissato per la trattazione alla pubblica udienza del 10 ottobre 2023.
5. – Il Pubblico Ministero ha depositato una memoria prima dell’udienza (art. 378, primo comma, cod. proc. civ.) e ha chiesto di accogliere la terza censura e di respingere il primo e il secondo mezzo.
Motivi della decisione
1. – Con il primo motivo (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.), l’Istituto denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 42 del d.l. n. 269 del 2003, dell’art. 83 del d.l. n. 18 del 2020, e dell’art. 36 del decreto-legge 8 aprile 2020, n. 23, convertito, con modificazioni, nella legge 5 giugno 2020, n. 40.
Avrebbe errato il Tribunale di Chieti nell’applicare la più ampia sospensione prevista dall’art. 34 del d.l. n. 18 del 2020, senza considerare che il caso di specie è assoggettato alla normativa generale dettata dall’art. 83 del medesimo decreto-legge.
A fronte d’un provvedimento negativo comunicato il 2 dicembre 2019 e d’una sospensione vigente dal 9 marzo all’11 maggio 2020 (art. 83 del d.l. n. 18 del 2020), sarebbe tardivo il ricorso per accertamento tecnico preventivo depositato il 5 settembre 2020, ben oltre il termine semestrale di decadenza sancito dall’art. 42 del d.l. n. 269 del 2003.
L’art. 34 del d.l. n. 18 del 2020, arbitrariamente applicato dal giudice di primo grado, riguarderebbe l’ipotesi «in cui il procedimento amministrativo non si sia concluso ovvero […] in cui, sempre a causa dell’emergenza, non […] abbia potuto avere inizio» (pagina 8 del ricorso per cassazione).
2. – Con il secondo mezzo (art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.), il ricorrente deduce omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione fra le parti, e lamenta che, sulla questione dell’intervenuta decadenza, la motivazione presenti i tratti della «mera apparenza» (pagina 9).
3. – Con la terza censura (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.), il ricorrente prospetta la violazione e la falsa applicazione dell’art. 445-bis, sesto e settimo comma, cod. proc. civ., dell’art. 115 cod. proc. civ. e dell’art. 13 della legge n. 118 del 1971.
Erroneamente la sentenza impugnata, nel definire il giudizio introdotto ai sensi dell’art. 445-bis, sesto comma, cod. proc. civ., avrebbe esaminato profili che esulano dall’accertamento del requisito sanitario.
Nello speciale giudizio di cui si discute, il giudice potrebbe vagliare soltanto tale requisito e gli sarebbero precluse tanto la declaratoria del diritto alla prestazione quanto la condanna al pagamento dei ratei arretrati. Condanna che, peraltro, il Tribunale avrebbe emesso, senza svolgere gl’imprescindibili approfondimenti in ordine ai «requisiti socio economici» (pagina 13 del ricorso per cassazione).
4. – I primi due motivi vertono sul regime di sospensione applicabile alla materia della previdenza e dell’assistenza nel periodo dell’emergenza epidemiologica da Covid-19.
Le censure, per l’intima connessione che le unisce, possono essere esaminate congiuntamente e si rivelano infondate.
5. – Nell’odierno giudizio, si disputa sulla decadenza sancita dall’art. 42, comma 3, secondo periodo, del d.l. n. 269 del 2003: «La domanda giudiziale è proposta, a pena di decadenza, avanti alla competente autorità giudiziaria entro e non oltre sei mesi dalla data di comunicazione all’interessato del provvedimento emanato in sede amministrativa».
6. – Tale disciplina si raccorda a quella introdotta nel 2020, anche in ambito processuale, per far fronte alle conseguenze pregiudizievoli del diffondersi del COVID-19.
Il d.l. n. 18 del 2020, in ragione della «straordinaria necessità e urgenza di contenere gli effetti negativi che l’emergenza epidemiologica COVID-19 sta producendo sul tessuto socio-economico nazionale» e di adottare, a tal fine, anche «disposizioni in materia di giustizia» (premessa al decreto-legge), ha dettato all’art. 83 «Nuove misure urgenti per contrastare l’emergenza epidemiologica da COVID-19 e contenerne gli effetti in materia di giustizia civile, penale, tributaria e militare».
Il comma 2, in particolare, dispone che, dal 9 marzo 2020 al 15 aprile 2020, sia sospeso «il decorso dei termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili e penali» (primo periodo).
Tale sospensione investe, tra l’altro, i termini «per la proposizione degli atti introduttivi del giudizio e dei procedimenti esecutivi, per le impugnazioni e, in genere, tutti i termini procedurali» (secondo periodo).
L’art. 36, comma 1, del d.l. n. 23 del 2020 ha differito all’11 maggio 2020 l’operatività della sospensione.
Ad avviso del ricorrente, tale sospensione si applica anche alle azioni volte a conseguire l’assegno mensile d’invalidità di cui all’art. 13 della legge n. 118 del 1971.
7. – La sentenza impugnata e la parte controricorrente, per converso, fanno leva sulla diversa disposizione dell’art. 34 del d.l. n. 18 del 2020, che, al comma 1, così stabilisce: «In considerazione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, a decorrere dal 23 febbraio 2020 e sino al 1° giugno 2020 il decorso dei termini di decadenza relativi alle prestazioni previdenziali, assistenziali e assicurative erogate dall’INPS e dall’INAIL è sospeso di diritto».
Il comma 2 puntualizza che, per il medesimo periodo, sono sospesi anche i termini di prescrizione.
8. – Le argomentazioni del ricorrente non possono essere condivise.
8.1. – Si deve evidenziare, in primo luogo, che la normativa recata dall’art. 34 del d.l. n. 18 del 2020 si atteggia come lex specialis, nei termini correttamente prospettati dal giudice di primo grado e dalla parte controricorrente e quindi ribaditi nella memoria del Pubblico Ministero.
La disciplina concerne il decorso dei termini di decadenza relativi alle prestazioni previdenziali, assistenziali e assicurative erogate dall’INPS e dall’INAIL e risponde all’esigenza di regolare in maniera organica e autonoma una materia, quella della previdenza e dell’assistenza, contraddistinta da un’innegabile peculiarità rispetto al diverso ambito applicativo della normativa generale di cui all’art. 83.
La peculiarità risiede anche nell’imposizione di termini di decadenza, che caratterizza a vari livelli il sistema normativo in esame, al fine di tutelare la certezza delle situazioni giuridiche, in un settore che implica l’impiego di ragguardevoli risorse pubbliche.
8.2. – Alla specialità della disciplina racchiusa nell’art. 34 si affianca la considerazione del suo tenore indifferenziato, che traspare sin dalla rubrica, denominata «Proroga termini decadenziali in materia previdenziale e assistenziale», ed è poi suffragato in modo dirimente dallo specifico contenuto precettivo della disposizione.
Il legislatore prevede, con dizione di portata generale, la sospensione del «decorso dei termini di decadenza» e il riferimento alla sospensione non è circoscritto alla sola decadenza che si colloca sul versante del procedimento amministrativo, in difetto di elementi testuali univoci che corroborino tale interpretazione riduttiva.
Non meno rilevanti, in tale materia, si dimostrano le fattispecie di decadenza che si correlano alla tempestiva instaurazione del giudizio. In difetto di indici probanti di un’accezione restrittiva, anche tali fattispecie devono essere ricondotte a pieno titolo all’ambito semantico del vocabolo generale “decadenza” adoperato dalla legge.
Dall’angolo visuale dell’interpretazione sistematica, non è senza significato che la medesima disposizione, proprio allo scopo di regolare in modo esaustivo tutti i profili inerenti all’incidenza del decorso del tempo, disciplini anche la sospensione dei termini di prescrizione.
La prescrizione, nell’evocare anche la proposizione della domanda giudiziale, in quanto atto idoneo a interromperla (artt. 2943 e 2945 cod. civ.), conferma che il legislatore non manca di volgere lo sguardo ai profili processuali, senza arrestarsi al piano del procedimento amministrativo.
L’ampia latitudine del dettato testuale, in coerenza con le indicazioni che si traggono dall’inquadramento sistematico della disciplina, contempla in termini onnicomprensivi la decadenza, riguardo alle prestazioni previdenziali e assistenziali, e dunque involge anche la peculiare decadenza regolata dall’art. 42, comma 3, secondo periodo, del d.l. n. 269 del 2003.
8.3. – Una diversa interpretazione del dato normativo condurrebbe a smembrare la disciplina della decadenza, che il legislatore ha inteso delineare in maniera unitaria e associare alla regolamentazione della fattispecie della prescrizione, e si risolverebbe nell’introduzione di un regime eterogeneo della sospensione dei termini di decadenza, in carenza di solidi appigli testuali e di giustificazioni plausibili delle difformità insite in una siffatta ricostruzione del sistema normativo.
9. – Le prime due censure devono essere, conseguentemente, respinte, in applicazione del seguente principio di diritto: «Nelle controversie concernenti l’invalidità civile, la cecità civile, il sordomutismo, l’handicap e la disabilità ai fini del collocamento obbligatorio al lavoro, il decorso del termine semestrale previsto, a pena di decadenza, per la proposizione della domanda (art. 42, comma 3, secondo periodo, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 260, convertito, con modificazioni, nella legge 24 novembre 2003, n. 326) è sospeso di diritto dal 23 febbraio 2020 al primo giugno 2020, in base alla disciplina speciale dettata dall’art. 34 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, nella legge 24 aprile 2020, n. 27, e applicabile, in linea generale, al decorso dei termini di decadenza relativi alle prestazioni previdenziali, assistenziali e assicurative erogate dall’INPS e dall’INAIL».
10. – Fondato, invece, è il terzo mezzo, per le persuasive ragioni illustrate nel ricorso e nella memoria del Pubblico Ministero.
10.1. – Per giurisprudenza costante di questa Corte, che le osservazioni della parte controricorrente non inducono a rimeditare, la pronuncia emessa in esito al giudizio di cui all’art. 445-bis, ultimo comma, cod. proc. civ. ha ad oggetto l’accertamento del requisito sanitario delle prestazioni previdenziali e assistenziali d’invalidità e, dunque, solo un elemento della fattispecie costitutiva.
La pronuncia, pertanto, non può contenere un’efficace declaratoria sul diritto alla prestazione, destinata a sopravvenire solo in esito agli accertamenti relativi agli ulteriori requisiti socio-economici (Cass., sez. lav., 26 agosto 2020, n. 17787).
10.2. – Incorre così nei vizi denunciati dal ricorrente la sentenza impugnata, nella parte in cui non si è limitata ad accertare il requisito sanitario.
11. – Ne discende che la terza doglianza dev’essere accolta e la sentenza impugnata va cassata in parte qua senza rinvio, alla stregua dell’art. 382, ultimo comma, secondo periodo, cod. proc. civ., in quanto la causa relativa al requisito extrasanitario non poteva essere proposta.
Resta fermo l’accertamento del requisito sanitario.
I primi due motivi, per contro, devono essere disattesi.
12. – La novità delle questioni poste con i primi due motivi di ricorso e il recente consolidarsi della giurisprudenza di questa Corte in ordine ai temi prospettati con il terzo mezzo consigliano di compensare le spese dell’intero processo.
Resta fermo il riparto delle spese della consulenza tecnica d’ufficio, espletata nella fase dell’accertamento tecnico preventivo e nel successivo giudizio riguardo al requisito sanitario, spese poste a carico dell’Istituto dalla sentenza impugnata.
13. – In considerazione dell’attinenza della controversia a dati inerenti alla salute, si deve disporre, in caso di riproduzione in qualsiasi forma della presente sentenza, l’omissione delle generalità e degli altri dati identificativi della controricorrente, ai sensi dell’art. 52, comma 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti della parte.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso; respinge il primo e il secondo mezzo; cassa senza rinvio, per quanto di ragione, la sentenza impugnata, in quanto la domanda relativa al requisito extrasanitario non poteva essere proposta; compensa le spese dell’intero processo, fermo restando il riparto delle spese di consulenza tecnica d’ufficio, disposto dalla pronuncia impugnata.
Dispone, in caso di riproduzione in qualsiasi forma della presente sentenza, l’omissione delle generalità e degli altri dati identificativi della parte controricorrente, ai sensi dell’art. 52, comma 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196.