
La Cassazione risponde al quesito con un nuovo principio di diritto.
La controversia trae origine dall'accertamento della responsabilità penale di Tizio, quale esercente di un'attività commerciale, in ordine al delitto di somministrazione di bevande alcoliche a Caio, che si trovava già in stato di manifesta ubriachezza. Ne conseguiva la comminazione della pena di euro 1000 di ammenda oltre che...
Svolgimento del processo
1. Il Giudice di pace di Pavullo nel Frignano, con sentenza del 17 aprile 2023 accertava la responsabilità penale di C.Y., quale esercente del '(omissis)' in Serramazzoni, in ordine al delitto di somministrazione di bevande alcoliche a M.C., che nell'impostazione accusatoria già si trovava in stato di manifesta ubriachezza, dunque in violazione dell'art. 691 cod. pen.. Ne conseguiva la condanna alla pena di euro 1000 di' ammenda, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, oltre che alla sanzione accessoria della sospensione dell'attività commerciale per sei mesi.
2. Il ricorso per cassazione proposto nell'interesse di C.Y. consta di due motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
3. Il primo motivo deduce violazione di legge, in quanto il Giudice di pace avrebbe erroneamente disposto la sospensione dell'attività per sei mesi, in quanto l'art. 35 cod. pen. subordina la sanzione alla inflizione della pena principale superiore a un anno di arresto. In sostanza, osserva la ricorrente, l'attività di somministrazione di alimenti e bevande rientra nel concetto di 'commercio' richiamato dall'art. 35, comma 3, cod. pen.
4. Il secondo motivo deduce vizio dli motivazione in relazione sia all'identificazione della imputata come colei che somministrò effettivamente la bevanda alcolica, essendo stato incerto a riguardo C., sia anche in ordine alla consapevolezza della imputata quanto allo stato di ebbrezza dell'acquirente, oltre che sia infine in ordine alla inutilizzabilità della dichiarazione dell'imputata riferita da un carabiniere per violazione dell'art. 191 cod. proc. pen.
5. Il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale, ha depositato requisitoria e conclusioni scritte - ai sensi dell'art. 23 comma 8, d.l. 127 del 2020 - con le quali ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso in quanto aspecifico e manifestamente infondato.
6. Il ricorso è stato trattato senza intervento delle parti, ai sensi dell'art. 23, comma 8, d.l. n. 137 del 2020, disciplina proro1Jata sino al 31 dicembre 2022 per effetto dell'art. 7, comma 1, d.l. n. 105 del 2021, la cui vigenza è stata poi estesa in relazione alla trattazione dei ricorsi proposti entro il 30 giugno 2023 dall'articolo 94 del decreto legislativo 10 ottobre 2022 n. 150, come modificato dall'art. 5-duodecies d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito con modificazioni dalla I. 30 dicembre 2022, n. 199.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è in parte fondato, per altra parte inammissibile.
2. Va premesso che come per il pubblico ministero (cfr. Sez. 1, n. 48928 del 11/07/2019, El Baji, Rv. 277462 - 01) anche per l'imputato è possibile, ai sensi dell'art. 37, comma 2, d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, proporre ricorso per cassazione avverso la sentenza inappellabile di condanna del giudice di pace che applichi la sola pena pecuniaria, in assenza di condanna a risarcimento del danno, per tutti i motivi di cui all'art. 606 cod. proc. pen., ivi inclusi i vizi di contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione di cui alla lett. e) della citata norma.
3. Quanto al secondo motivo di ricorso, logicamente antecedente in quanto relativo alla responsabilità penale della ricorrente, va evidenziato che il motivo è in parte versato in fatto, in quanto propone e implica una rilettura delle attività istruttorie, non consentita in sede di legittimità.
Infatti, la valutazione operata dal Giudice di pace in ordine allo stato di ubriachezza, che interessava Costi all'atto della somministrazione, si fondava sulla narrazione dei militari intervenuti, che ne rilevavano la patente ubriachezza, e risulta del tutto avulsa da manifeste illogicità, cosicché non può esserne offerta una lettura alternativa in questa sede.
Inoltre, allorchè il motivo denuncia di fatto il travisamento del «significante» relativamente alla deposizione di Costi, in ordine alla individuazione dell'imputata come somministratrice della bevanda, il ricorso si limita a riportare un piccolo stralcio della deposizione.
E bene quanto agli stralci di deposizione, allorchè si deduca l'esistenza di contenuti diversi da quelli emergenti dalle sentenze di merito, degli stessi non può questa Corte tener conto, in quanto dedotto il vizio di manifesta illogicità della motivazione richiamando atti specificamente indicati, il ricorso è inammissibile se non contiene la loro integrale trascrizione o allegazione, così da rendere lo stesso autosufficiente con riferimento alle relative doglianze, in base al combinato disposto degli artt. 581, comma primo, lett. c), e 591 cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 20677 del 11/04/2017, Schioppo, Rv. 270071; Sez. 4, Sentenza n. 46979 del 10/11/2015, Bregamotti, Rv. 265053; Sez. 3, Sentenza n. 43322 del 02/07/2014, Sisti, Rv. 260994; Sez. 2, Sentenza n. 26725 del 01/03/2013, Natale, Rv. 256723), ovvero se non vi sia stata richiesta alla cancelleria del giudice a quo di allegazione ai sensi dell'art. 165, comma 2, disp. att. cod. proc. pen.
Da ultimo, quanto alla dedotta inutilizzabilità, è onere della parte che eccepisce l'inutilizzabilità di atti processuali indicare, pena l'inammissibilità del ricorso per genericità del motivo, gli atti specificamente affetti dcii vizio e chiarirne altresì la incidenza sul complessivo compendio indiziario già valutato, sì da potersene inferire la decisività in riferimento al provvedimento impugnato {Sez. U, n. 23868 del 23/04/2009, Fruci, Rv. 243416) .. A tal riguardo la ricorrente non indica quale sia l'atto contenente la testimonianza del carabiniere F., ma soprattutto non ne deduce la decisività, nel senso che dalla sentenza emerge che nel bar non vi fossero altri addetti, se non l'imputata, cosicchè non risulta la natura disarticolante - non dedotta per altro - della censura di inutilizzabilità della dichiarazione che il militare ebbe a ricevere dall'imputata.
Ne consegue la natura generica del motivo.
4. Quanto al primo motivo, relativo alla pena accessoria della sospensione dell'esercizio, va evidenziato come Sez. 5, n. 49499 del 24/10/2013, Di Filippo, Rv. 257316 - 01 abbia affermato che, nel c21so di condanna per il reato di cui all'art. 691 cod. pen., si applica, qualora il colpevole sia esercente un'osteria o un altro pubblico spaccio di cibi o bevande, la pena accessoria della sospensione dall'esercizio, prevista dall'art. 691, comma 2, cod. pen., indipendentemente dall'entità della pena inflitta, essendo tale ultima previsione speciale rispetto a quella dell'art. 35 cod. pen.
4.1 Nel caso in esame risulta dalla sentenza impugnata, e non è in contestazione, la qualità della imputata di esercente del pubblico spaccio. Pertanto, trova applicazione l'art. 691, comma 2, cod. pen.
Riguardo alla doglianza avanzata dalla ricorrente, rileva il Collegio come l'art. 35 cod. pen. risulti norma generale, che rimette all'interprete la valutazione della sussistenza del presupposto, vale a dire la consumazione della contravvenzione con abuso della professione, dell'arte, del commercio, e così via. In sostanza in tali casi l'abusività va verificata e ritenuta, se del caso, da parte del giudice in relazione alla fattispecie concreta. In altri casi, invece, come è per la somministrazione di bevande alcoliche a persone in stato di manifesta ubriachezza (art. 691 cod. pen.) o a minori o infermi di mente (art. 689 cod. pen.) è il legislatore che impone la sospensione dell'esercizio dell'osteria o dell'altro pubblico spaccio, senza richiedere di accertare altro se non la sussistenza del reato.
In sostanza, la somministrazione da parte dell'esercente la rivendita pubblica di bevanda alcolica a chi sia in stato di manifesta ubriach,ezza integra una fattispecie che in sé viene ritenuta integrare l'abuso della attività commerciale, con valutazione del legislatore, non più rimessa al giudice, come invece prescrive la norma generale.
Pertanto, data la natura speciale della norma incriminatrice ora in esame, la stessa si sottrae ai limiti previsti dall'art. 35 cod. pen. , che invece prevede la sospensione solo in caso di pena inflitta dell'arresto non inferiore a un anno.
D'altro canto, alla specialità delle fattispecie normate dagli artt. 691 e 689 cod. pen., come emerge anche dalla lettera della norma, consegue la scelta del legislatore di prevedere la sospensione obbligatoria come conseguenza della condanna, quale che sia la dosimetria della pena e senza alcuna discrezionalità quanto all'an della sanzione accessoria.
E dunque, sia l'interpretazione letterale che quella teleologica, collegata alla finalità di prevenzione dell'alcoolismo e dei delitti commessi in stato di ubriachezza, come anche alla salute del 'somministrato', evitando anche l'aggravamento dello stato di ubriachezza, in uno al principio di specialità dell'art. 15 cod. pen., conducono a ritenere inapplicabile l'art. 35 cod. pen. al caso in esame (nello stesso senso, Sez. 5, n. 49499 del 24/10/2013, Di Filippo, Rv. 257316 - 01; Sez. 3, 29/11/1951, rie. Imperi).
4.2 Diversamente, trova applicazione l'art.. 37 cod. pen. che prescrive che le pene accessorie temporanee, non espressamente determinate -- quale è quella in esame - abbiano durata pari a quella «della pena principc1le inflitta, o che dovrebbe scontarsi, nel caso di conversione, per insolvibilità del condannato>>, (diversamente, in motivazione Sez. 5, Di Filippo, cit., esclude l'esistenza di un limite di durata).
Quanto al caso di specie, ai fini della verifica della legalità della pena, la ricorrente è stata condannata alla pena dii euro 1000,00 ammenda e la sospensione dell'esercizio è stata fissata in mesi sei.
E' evidente che la ratio legis è quella della comparazione, a mezzo della conversione, della sanzione pecuniaria con quella detentiva dell'arresto, secondo i criteri per i reati di competenza del giudice di pace, declinati dcill'art. 58, comma 3, d.lgs. 274 del 2000 che prevede che 38,00 euro di pena pecuniaria irrogata ai sensi dell'art. 52 cit. in luogo della pena detentiva corrispondano a un giorno di pena detentiva.
Pertanto, a fronte della pena di 1000,00 euro di ammenda la pena detentiva convertita è pari a ventisei giorni di arresto, con la conseguenza che nel caso in esame vi è una palese violazione dell'art. 37 cod. pen. che richiede che la sospensione dell'esercizio nel caso dell'art. 691 cod. pen. abbia la medesima durata della pena detentiva principale.
Ne consegue che la pena accessoria per la durata di sei mesi è illegale, in quanto esorbita dalla misura fissata dal legislatore, nel caso di specie determinata in giorni ventisei di sospensione.
4.3 A ben vedere, va richiamato l'autorevole orientamento delle Sez. U, n. 38809 del 31/03/2022, Miraglia, Rv. 283689 - 01 che, quanto alla divisione dei poteri fra legislazione e giurisdizione, hanno richiesto a questa Corte di verificare officiosamente la legalità o meno della pena: «la pena è illegale, ai fini qui rilevanti del rilievo officioso anche in caso di inammissibilità del ricorso, non quando consegua ad una mera erronea applicazione dei criteri di determinazione del trattamento sanzionatorio, alla quale l'ordinamento reagisce approntando i rimedi processuali delle impugnazioni, ma solo quando non sia prevista dall'ordinamento giuridico ovvero sia superiore ai limiti previsti dalla legge o sia più grave per genere e specie di quella individuata dal legislatore». Proseguono le Sezioni Unite affermando che «[i]n definitiva, è necessario che la nozione di pena illegale [ ...] venga calibrata sulla sua funzione di rappresentare l'altro polo del giudizio di bilanciamento da operare in relazione alle garanzie sottese al giudicato, ossia quale limite estremo di tutela della libertà personale esposta al rischio di un arbitrio che travalichi i limiti del potere sanzionatorio riconosciuto al giudice.
Tale conclusione si impone in quanto «irrogare una sanzione diversa per specie e/o quantità rispetto ai confini edittali impegna il valore costituzionale della legalità della pena di cui all'art. 25 Cast., che resterebbe vulnerato se non si potesse porre rimedio, anche d'ufficio, all'errore del giudice del grado precedente» (Sez. 2, n. 12991 del 19/02/2013, Stagno, Rv. 255197; così anche Sez. 5, n. 44897 del 30/09/2015, Galizia Lima, Rv. .265529; Sez. l, n. 33326 del 14/02/2017, Vizzaccaro, non mass.; Sez. 1, n. 40896 del 28/03/2017, Pucci, non mass.)».
Pertanto «...la pena che non sia prevista, nel genere, nellla specie o nella quantità, dall'ordinamento, è una pena che attesta un abuso del potere discrezionale attribuito al giudice, con l'usurpazione dei poteri esclusivi del legislatore. Il rilievo dell'illegalità della pena, .anche ab origine, deve, pertanto, prevalere sul giudicato sostanziale [ ...]».
4.4 Anche l'illegalità della pena accessoria va rilevata d'ufficio, pur in caso di ricorso inammissibile (Sez. 2, n. 7188 del 11/:1.0/2018, dep. 2019, Elgendy, Rv. 276320 - 01; mass. conf. N. 46122 del 2014 Rv. 262108 - 01, N. 6997 del 2018 Rv. 272090 - 01).
Ne consegue che, nel caso di specie, anche a fronte di un ricorso complessivamente inammissibile pure in ordine al secondo motivo, correlato impropriamente all'art. 35 cod. pen., va comunque rilevata l'illegalità della pena accessoria che, in quanto connessa alla durata della pena principale non richiede alcun accertamento in fatto, cosicché ai sensi dell'art. 620, comma 1, lett. I), cod. proc. pen. questa Corte deve pronunciare sentenza di annullamento senza rinvio, essendo superfluo lo stesso quando, anche all'esito di valutazioni discrezionali, la Corte di cassazione può decidere la causa alla stregua degli elementi di fatto già accertati o sulla base delle statuizioni adottate dal giudice di merito, non risultando necessari ulteriori accertamenti (cfr. Sez. U, n. 3464 del 30/11/2017, dep. 2018, Matrone, Rv. 271831 - 01).
4.5 Deve pertanto affermarsi il principio per cui, in tema di somministrazione di bevande alcoliche a persona in stato di manifesta ubriachezza, è illegale la pena accessoria della sospensione dell'esercizio di vendita al pubblico, prevista dall'art. 691, comma 2, cod. pen., quando determinata applicando i criteri dell'art. 35 cod. pen. o senza alcun limite, dovendo invece la durata della pena accessoria, non quantificata dalla norma incriminatrice, essere determinata ai sensi dell'art. 37 cod. pen., quindi in modo corrispondente alla pena detentiva, calcolata a seguito della conversione di quella pecuniaria inflitta, secondo il criterio dell'art. 58, comma 3, d.lgs 274 del 2000.
5. Va quindi annullata senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente alla pena accessoria della sospensione dell'esercizio la cui durata va rideterminata in giorni ventisei, mentre nel resto il ricorso è inammissibile.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limit21tamente alla durata della pena accessoria, che ridetermina in giorni ventisei. Dichiara inammissibile il ricorso nel resto.