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19 gennaio 2024
Aziende fantasma e partite IVA fittizie
La Guardia di Finanza ha posto in essere un'attività volta alla prevenzione e al contrasto dell'uso illecito di partite IVA “fantasma” esistenti nel territorio.
La Redazione
L'oggetto Uso illecito della partita IVA 
La normativa Art. 35, commi 15-bis e quinquies, d.P.R. n. 633/1972
La disciplina In argomento, (art. 35, comma 15-bis, D.P.R. n. 633/1972) si osserva che l'attribuzione del numero di partita IVA determina la esecuzione di riscontri automatizzati per la individuazione di elementi di rischio connessi al rilascio dello stesso nonché l'eventuale effettuazione di accessi nel luogo di esercizio dell'attività, avvalendosi dei poteri previsti dal presente decreto. Gli Uffici, avvalendosi dei poteri di cui al presente decreto, verificano che i dati forniti da soggetti per la loro identificazione ai fini dell'IVA, siano completi ed esatti. In caso di esito negativo, l'Ufficio emana provvedimento di cessazione della partiva IVA e provvede all'esclusione della stessa dalla banca dati dei soggetti passivi che effettuano operazioni intracomunitarie. Oltre a ciò, il Legislatore (art. 35, comma 15-quinquies, D.P.R. n. 633/1972) ha previsto che l'Agenzia delle Entrate procede d'ufficio alla chiusura delle partite IVA dei soggetti che, sulla base dei dati e degli elementi in suo possesso, risultano non aver esercitato nelle tre annualità precedenti attività di impresa ovvero attività artistiche o professionali. Sono fatti salvi i poteri di controllo e accertamento dell'amministrazione finanziaria.
La notizia giuridica Con comunicato stampa del 18 gennaio 2024, con un controllo su circa 423 aziende, nell'àmbito del contrasto al fenomeno delle imprese “apri e chiudi, è emerso che la Guardia di Finanza ha chiuso nel corso del 2023 nel territorio di Prato 120 partite Iva "fantasma", fittiziamente operative nel settore manifatturiero legato alla filiera del tessile, nonché in àmbito immobiliare, commerciale e dei servizi. 
Tra questi l'emissione di fatture per operazioni inesistenti, il favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, il riciclaggio ed il trasferimento all'estero di proventi illeciti, oltre all'ottenimento e monetizzazione di crediti d'imposta non spettanti derivanti, ad esempio, dai "bonus facciate" e "super bonus 110%". Tali partite Iva risultavano, dunque, in parte riconducibili a società "inattive" o cosiddette "dormienti" in quanto rivelavano l'inesistenza di qualsiasi attività economica nelle tre annualità precedenti, oppure a società di recente costituzione per le quali non sono stati forniti dati esatti ai fini della loro corretta individuazione.
L'attività di analisi sulle banche dati, oltre ai riscontri effettuati direttamente sul territorio, ha fatto emergere la non operatività di queste partite IVA, fornendo elementi per proporre la loro chiusura ed evitare così il loro utilizzo per finalità illecite di carattere economico finanziario.
Considerazioni Quanto accaduto a Prato, ricalca l'ulteriore recente previsione della Legge di bilancio 2024 (art. 1 comma 99 della L. 213/2023), ove sono state rafforzate le misure di contrasto alla diffusione di partite IVA false o inattive. Nel dettaglio, il comma 99 aggiunge il comma 15-bis.3 (dopo il comma 15-bis 2) all'articolo 35 (recante disposizione regolamentare concernente le dichiarazioni di inizio, variazione e cessazione attività) del D.P.R. n. 633 del 1972. Difatti, la nuova norma (operativa dal 1° gennaio 2024) prevede che i medesimi effetti di cui al comma 15-bis.2 si producono anche in conseguenza della notifica da parte dell'ufficio di un provvedimento che accerta la sussistenza dei presupposti per la cessazione della partita IVA, in relazione al periodo di attività, ai sensi dei commi 15-bis e 15-bis.1, nei confronti dei contribuenti che nei dodici mesi precedenti abbiano comunicato la cessazione dell'attività ai sensi del comma 3. Si applica in ogni caso la sanzione di cui all'articolo 11, comma 7-quater, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471).
Precedenti giurisprudenziali In argomento, si osserva che la Corte di Cassazione penale, con la sentenza n. 19213 depositata il 7 maggio 2019, chiarisce che l'amministratore di diritto “testa di legno” risponde del reato omissivo anche quando risulti mero prestanome di altri soggetti che agiscono in sua vece quali amministratori di fatto. Questo in quanto la semplice accettazione della carica gli attribuisce doveri di vigilanza e controllo e la sua responsabilità è comunque integrata se costui ha consapevolezza che tale condotta negligente è in grado di fare emergere gli elementi tipici del reato. In tal caso, secondo altro provvedimento, l'amministratore di diritto, il quale incarni unicamente il ruolo di “testa di legno” rispetto all'attività gestionale dell'amministratore di fatto, non può sottrarsi alla responsabilità a titolo di concorso nella condotta di quest'ultimo (Trib. Milano, sez. spec., 29 novembre 2012, n. 13363).
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