
Il giudicato formatosi non è certamente a lui opponibile come titolo esecutivo ma può costituire un elemento di prova per esperire un giudizio di cognizione.
Dei lavoratori ottenevano dal Tribunale di Roma un decreto ingiuntivo per il pagamento del loro del tfr nei confronti della federazione di cui erano dipendenti (nello specifico, trattasi di un'associazione non riconosciuta). La federazione proponeva opponeva, la quale tuttavia veniva rigettata. Tale decisione, munita di formula esecutiva in relazione alle spese...
Svolgimento del processo
1.- B.C., G.L., O.A. e T.M. chiedevano ed ottenevano dal Tribunale di Roma decreto ingiuntivo per il pagamento del loro t.f.r. nei confronti della Federazione Italiana K., di cui erano stati dipendenti.
2.- L’opposizione proposta dalla Federazione veniva rigettata dal Tribunale di Roma con sentenza n. 8944/2014 del 30/09/2014, con cui veniva confermato il decreto ingiuntivo e l’opponente era condannata al rimborso delle spese processuali.
3.- Tale sentenza, munita di formula esecutiva in relazione alle spese processuali del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, veniva notificata unitamente al precetto sia alla Federazione (associazione non riconosciuta) sia all’avv. N. Giuseppe, presidente della predetta federazione, in data 05/06/2015.
4.- Avverso tale precetto proponeva opposizione il N. con atto del 18/06/2015 dinanzi al Tribunale di Potenza, invocando la decadenza del creditore ex art. 1957 c.c.
5.- Costituitosi il contraddittorio, il Tribunale di Potenza rigettava l’opposizione.
6.- Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’Appello rigettava il gravame interposto dal N..
Per quanto ancora rileva in questa sede, a sostegno della sua decisione la Corte territoriale affermava:
a) il Tribunale ha rigettato l’opposizione, dichiarando inapplicabile l’art. 1957 c.c., poiché l’obbligazione in questione (ossia le spese di lite di cui alla sentenza n. 8944/2014 del Tribunale di Roma) non ha una scadenza prefissata, dalla quale calcolare il termine dei sei mesi previsto dall’art. 1957 cit.;
b) secondo l’appellante, invece, la scadenza dell’obbligazione era immediata, attesa l’immediata esecutività delle sentenze in materia di lavoro, sicché tale scadenza coincideva con la data di pubblicazione del titolo (ossia della sentenza);
c) questa tesi non può essere condivisa, atteso che la natura giudiziale del titolo (fonte dell’obbligazione relativa alle spese processuali) lo espone al solo limite dell’actio iudicati, mentre la decadenza ex art. 1957 c.c. opera solo in presenza di titoli non giudiziali;
d) anche il secondo motivo, con cui si invoca l’art. 1183 c.c. (secondo cui se non è determinato il tempo in cui la prestazione deve essere eseguita, il creditore può esigerla immediatamente) per farne parimenti discendere l’intervenuta decadenza ex art. 1957 c.c, e infondato, poiché è irragionevole far discendere una sanzione da una mera facoltà riconosciuta al creditore.
7.- Avverso tale sentenza N. Giuseppe ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.
8.- Gli intimati sono rimasti tali.
Motivi della decisione
1.- Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, nn. 4) e 5), c.p.c. il ricorrente lamenta “violazione e/o falsa applicazione” degli artt. 99 e 112 c.p.c. per avere la Corte territoriale, investita della sola questione del momento di esigibilità del credito, rivalutato l’intera questione pur non riproposta dagli appellati con impugnazione incidentale.
Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c., il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 324, 342 e 345 c.p.c. per avere la Corte territoriale pronunziato oltre i limiti del devoluto, finendo per violare il giudicato che si era formato circa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. alla fattispecie concreta.
I due motivi – da esaminare congiuntamente per la loro connessione –sono infondati.
Contrariamente all’assunto del ricorrente, nella sentenza di primo grado, come riportata dalla Corte territoriale (e come riportata anche dal ricorrente: v. ricorso per cassazione, p. 3), era stata esclusa l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. proprio in considerazione del fatto che l’obbligazione cui si riferiva il precetto, in quanto nascente da una sentenza, “non ha una scadenza prefissata dalla quale poter calcolare il suddetto termine” (così ha motivato il Tribunale) di decadenza di sei mesi previsto dall’art. 1957 cit. per far valere la garanzia fideiussoria ex lege posta dall’art. 38 c.c. a carico di coloro che hanno agito in nome e per conto dell’associazione non riconosciuta.
Proprio per questa ragione i motivi d’appello attenevano all’ambito applicativo dell’art. 1957 c.c., norma che secondo l’appellante (il N.) era pur sempre applicabile, mentre il Tribunale – come si è detto – ne aveva escluso l’applicabilità. Dunque l’esame della Corte territoriale è stato strettamente attinente al thema decidendum così come devoluto dall’appellante, senza necessità che sul punto fosse necessaria un’impugnazione incidentale degli appellati. Il Tribunale, infatti, contrariamente all’assunto del ricorrente, aveva espressamente affermato:
“… nel caso di specie non può trovare applicazione il suddetto termine decadenziale di sei mesi …”. Questa motivazione, lungi dal significare affermazione dell’applicabilità dell’art. 1957 c.c., significa l’esatto contrario e vedeva vittoriosi gli odierni intimati, per tale ragione non onerati di proporre impugnazione incidentale.
2.- Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. il ricorrente lamenta “violazione ed errata applicazione” dell’art. 2909 c.c. sia per avere la Corte territoriale ritenuto che gli effetti del giudicato – intervenuto fra i dipendenti e la Federazione Italiana Karting – possano estendersi anche nei confronti di un soggetto estraneo al giudizio nel quale il titolo si è formato, sia per avere ritenuto sufficiente ai fini della responsabilità solidale ex art. 38 c.c. la carica di presidente dell’associazione, senza la prova (di cui erano onerati i creditori) che la persona fisica (ritenuta corresponsabile in solido) fosse quella che aveva agito in nome e per conto dell’associazione non riconosciuta.
Il motivo è inammissibile in relazione alla seconda censura.
La responsabilità solidale (di natura fideiussoria) è prevista dall’art. 38 c.c. solo a carico di chi ha agito in nome e per conto dell’associazione non riconosciuta, compiendo un atto dal quale sia derivata l’obbligazione associativa rimasta inadempiuta.
Tuttavia il ricorrente – che assume di essere solo il presidente della Federazione, non pure colui che aveva assunto gli odierni intimati in nome e per conto della Federazione – non precisa se ed in quale atto e fase processuale abbia posto tale questione, di cui non vi è traccia nella sentenza impugnata. Anzi, dallo sviluppo processuale come ricostruito dallo stesso ricorrente si evince che egli giammai ha contestato la circostanza di aver agito in nome e per conto della Federazione, ossia di possedere quella qualità soggettiva, prevista dall’art. 38 c.c. ai fini della responsabilità solidale della persona fisica per le obbligazioni contratte dall’associazione non riconosciuta.
Il motivo è invece fondato in relazione alla prima censura.
Va premesso che la controversia è rappresentata da un’opposizione all’esecuzione sub specie di opposizione a precetto.
Orbene, ai sensi dell’art. 2909 c.c., il giudicato fa stato fra le parti, i loro eredi e i loro aventi causa.
Coloro che hanno agito in nome e per conto di un’associazione non riconosciuta sono responsabili in solido, ai sensi dell’art. 38 c.c. E questa Corte in varie occasioni ha qualificato la fattispecie in termini di garanzia fideiussoria ex lege. Ma il fideiussore non è né debitore, né erede del debitore, né avente causa dal debitore.
Quindi il giudicato – formatosi in un giudizio nel quale non sia stato convenuto anche il responsabile solidale – non è certamente a lui opponibile come tale, ossia come titolo esecutivo (Cass. n. 12714/2019; Cass. ord. n. 2506/2023), potendo semmai costituire un elemento di prova per esperire un giudizio di cognizione, all’esito del quale procurarsi altro titolo esecutivo nei suoi confronti.
Quindi la Corte territoriale ha ritenuto erroneamente opponibile quel giudicato al N., a causa di un’errata applicazione dell’art. 2909 c.c. alla fattispecie concreta.
Sebbene questa questione non sia stata mai sollevata dal N. nei due gradi del giudizio di merito, va ribadito che l’inesistenza del titolo esecutivo è rilevabile d’ufficio anche nel giudizio di cassazione (Cass. n. 15363/2011; Cass. n. 22430/2004), sicché va in questa sede doverosamente rilevata, a prescindere dalla sua prospettazione nei due gradi di merito.
4.- Con il quarto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3) e 5), c.p.c. il ricorrente lamenta ancora la violazione dell’art. 1957 c.c. e un difetto di motivazione nella ritenuta inapplicabilità di tale norma.
Il motivo è assorbito dal parziale accoglimento del terzo.
5.- La sentenza impugnata va pertanto cassata, con rinvio alla medesima Corte territoriale, in diversa composizione, affinché decida l’opposizione all’esecuzione alla luce del seguente principio di diritto: “L'efficacia esecutiva del titolo formatosi contro la sola associazione non riconosciuta in un giudizio di cognizione nel quale il creditore non abbia convenuto, in proprio, anche l'eventuale soggetto responsabile in via solidale con questa ai sensi dell'art. 38 c.c., al fine di ottenere l'accertamento della sua responsabilità solidale e la sua condanna unitamente a quella dell'ente stesso, non si estende automaticamente al predetto soggetto”.
La Corte territoriale regolerà altresì tutte le spese processuali, comprese quelle del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie per quanto di ragione il terzo motivo, rigetta i primi due e dichiara assorbito il quarto; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Potenza, in diversa composizione, per la decisione di merito, nonché per la regolazione di tutte le spese processuali, comprese quelle del giudizio di legittimità.