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29 gennaio 2024
Il ricorso dell’avvocato carente del requisito contenuto-forma è inammissibile
Il requisito di contenuto-forma è imposto in modo chiaro e prevedibile, non è eccessivo per il ricorrente e risulta funzionale al ruolo nomofilattico della Corte di Cassazione e segnatamente all'esigenza di «consentire alla Corte di cassazione di conoscere dall'atto, senza attingerli aliunde, gli elementi indispensabili per una precisa cognizione dell'origine e dell'oggetto della controversia, dello svolgimento del processo e delle posizioni in esso assunte dalle parti».
La Redazione
L'Avvocato Tizio ricorre per la cassazione della sentenza della Corte d'Appello di Brescia, la quale aveva confermato la condanna al risarcimento dei danni nei confronti degli eredi X per responsabilità professionale. 
 
Il ricorso si espone ad un preliminare e assorbente rilievo di inammissibilità perché carente del requisito di contenuto-forma previsto dall'art. 366, c. 1, num. 3, c.p.c..
 
La premessa espositiva inerente ai fatti di causa è molto confusa e indecifrabile, dando per scontata la conoscenza di protagonisti ed eventi e non osservando un chiaro e lineare ordine logico e cronologico di questi ultimi.
Il ricorso è «inammissibile per inosservanza della detta norma processuale, dato che la sua struttura, nella parte preposta all'assolvimento del requisito ivi previsto, impedisce qualsivoglia sommaria percezione del fatto sostanziale e processuale, ma pretende che la Corte debba leggere la congerie di atti riprodotti per ricostruirla».
«La prescrizione normativa risponde non ad un'esigenza di mero formalismo, ma a quella di consentire una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa, sostanziali e/o processuali, che permetta di bene intendere il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato».
È necessario precisare che «il requisito di contenuto-forma in questione è imposto in modo chiaro e prevedibile, non è eccessivo per il ricorrente e risulta funzionale al ruolo nomofilattico della Suprema Corte e segnatamente all'esigenza di «consentire alla Corte di cassazione di conoscere dall'atto, senza attingerli aliunde, gli elementi indispensabili per una precisa cognizione dell'origine e dell'oggetto della controversia, dello svolgimento del processo e delle posizioni in esso assunte dalle parti».
Pertanto, si deduce, con i motivi riportati dal ricorrente, «la violazione di norme sostanziali o processuali senza alcuna indicazione delle affermazioni contenute in sentenza o delle impostazioni qualificatorie nelle le quali tale violazione dovrebbe ravvisarsi».
«Si tratta piuttosto di argomentazioni volte a sollecitare una rivisitazione di fatti e vicende processuali evocati in termini generici e con inosservanza degli oneri di specificità e autosufficienza imposti dall'art. 366 n. 6 e 369 n. 2 cod. proc. civ.;
Il tutto, peraltro, secondo chiavi di lettura di difficile comprensione e di ancor meno ravvisabile fondamento giuridico».
 
In definitiva, la Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 2503 del 26 gennaio 2024, dichiara inammissibile il ricorso dell'avvocato. 
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