
Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 31/01/2023, il Tribunale di Bologna, in riforma, ai soli fini civili, della sentenza di assoluzione del 11/04/2022 del Giudice di pace di Alto Reno Terme - la quale era stata appellata dalle parti civili M.I.P. e L.C. - condannava V.V. al risarcimento del danno, da liquidare in un separato giudizio civile, cagionato alle suddette parti civili dal reato, commesso dalla V.V., di invasione di un terreno di loro proprietà, sul quale l'imputata aveva realizzato una piattaforma in cemento con muro perimetrale in cemento armato e muretto in sasso, in sostituzione di una preesistente vecchia concimaia.
2. Avverso l'indicata sentenza del 31/01/2023 del Tribunale di Bologna, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del proprio difensore, V.V., affidato a due motivi.
2.1. Con il primo motivo, la ricorrente lamenta, in relazione all'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., l'erronea applicazione dell'art. 573 cod. proc. pen., come modificato dall'art. 33, comma 1, lett. a), del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, con riguardo all'ordinanza del 31/01/2023 del Tribunale di Bologna con la quale lo stesso Tribunale aveva negato l'immediata applicabilità, anche ai processi in corso, della suddetta modifica, e aveva, perciò, illegittimamente escluso di dovere rinviare, per la prosecuzione, alla sezione civile competente.
La ricorrente sostiene l'immediata applicabilità, in particolare, del comma 1- bis dell'art. 573 cod. proc. pen., introdotto dal già menzionato art. 33, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 150 del 2022, sulla base del principio secondo cui gli atti del procedimento sono disciplinati dalla norma in vigore al momento del loro compimento, con la conseguente illegittimità dell'impugnata sentenza del Tribunale di Bologna per avere questo deciso la causa anziché rinviarla alla sezione civile competente.
2.2. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce, in relazione all'art. 606, comma 1, lett. b) e e), cod. proc. pen., l'erronea interpretazione e/o applicazione dell'art. 633 cod. pen., nonché degli artt. 1140, 1141, 1158, 1168 e 1170 cod. civ., in quanto incidenti su detta interpretazione e/o applicazione.
La ricorrente lamenta che il Tribunale di Bologna avrebbe erroneamente ritenuto irrilevante, ai fini dell'integrazione del reato di cui all'art. 633 cod. pen., il fatto che l'area della vecchia concimaia non era utilizzata dalla sua proprietaria persona offesa ma, da tempo, dall'imputata.
Secondo la ricorrente, il Tribunale di Bologna, nel ritenere ciò, avrebbe anzitutto erroneamente reputato che il riferimento, che viene operato dalla giurisprudenza della Corte di cassazione, con riguardo al suddetto reato di invasione di terreni o edifici, alla tutela della relazione di fatto del possesso, dovesse essere rilevante solo nel senso di estendere soggettivamente la tutela di chi lamenta l'invasione e non anche nel senso che la pregressa situazione dell'agente di essere già in possesso del terreno o dell'edificio sia tale da escludere l'esistenza di un'invasione rilevante sul piano penalistico. La ricorrente afferma in proposito che il Tribunale di Bologna avrebbe riconosciuto che essa era già in possesso dell'area de quo al momento della contestata invasione, come era confermato anche dal non uso della stessa area da parte della proprietaria.
Ad avviso della V.V., il Tribunale di Bologna avrebbe in secondo luogo erroneamente ritenuto l'illegittimità della situazione di fatto del possesso in capo all'imputata - con la conseguente integrazione del reato di cui all'art. 633 cod. pen. - errore che emergerebbe alla luce dell'invocata normativa civilistica di cui agli artt. 1140, 1141, 1158, 1168 e 1170 cod. civ. Da tale normativa discenderebbe infatti, sempre ad avviso della ricorrente, la legittimità del suo preesistente possesso, la sua tutela giuridica e, quindi, l'esclusione del reato di cui all'art. 633 cod. pen. La ricorrente rappresenta in proposito che: a) contrariamente a quanto mostrerebbe di ritenere il Tribunale di Bologna, ai sensi dell'art. 1140 cod. civ., la conoscenza dell'altruità della cosa non rende il possesso di per sé illegittimo; b) alla luce dell'art. 1158 cod. civ., «se il possesso di fatto, in presenza del disinteresse del proprietario formale e di sua prolungata mancanza di contestazione, vale ad acquisire un diritto col decorso del tempo, non può considerarsi di per sé illegittimo mentre lo si esercita»; c) ai sensi degli artt. 1168 e 1170 cod. civ., una volta consolidata una situazione possessoria ultrannuale da parte del possessore di fatto, tale situazione è tutelabile nei confronti dei terzi e dello stesso proprietario «formale» con le azioni, rispettivamente, di reintegrazione e di manutenzione, quest'ultima in assenza, nel caso in esame, di un acquisto del possesso violento (essendosi l'imputata limitata a utilizzare l'area della vecchia concimaia a servizio del suo agriturismo tenendola pulita ed effettuando opere di manutenzione nel disinteresse del proprietario per la stessa area) e clandestino (essendo stato il possesso «pubblicamente esercitato», senza che possa rilevare il fatto che il proprietario non ne fosse a conoscenza). Pertanto, alla luce di tale invocata normativa civilistica, sarebbe «indubbio che un possesso acquisito e consolidato da anni in presenza dell'inerzia del proprietario formale che se ne è disinteressato [...] non può considerarsi illegittimo e deve necessariamente rilevare nell'interpretazione o applicazione del reato ex art. 633 c.p». Diversamente ritenendo, si giungerebbe, secondo la ricorrente, «alla aberrante conclusione che l'usucapione in itinere e il possesso comunque acquisito e stabilizzato ultrannuale sarebbero fonte di continui reati di invasione (e ciò sarebbe in contrasto con le norme civilistiche citate in particolare gli artt. 1168 e 1170 e.e.)».
La ricorrente conclude quindi che il reato di invasione di terreni non potrebbe essere integrato dall'effettuazione, come nel caso in esame, di opere di manutenzione straordinaria su di un bene di cui l'imputata era già legittimamente in possesso, essendosi in presenza del mero compimento di «un ulteriore atto di possesso correlato alla situazione di relazione di fatto già esistente col bene, in assenza di alcun comportamento del proprietario. Situazione peraltro legittimata dalle norme civilistiche sopra citate. E questo, manutenzione straordinaria della concimaia con rifacimento dei muretti a secco deteriorati, è quello che ha fatto la V.V.».
La ricorrente deduce ancora che tale conclusione sarebbe confortata dai fatti che la suddetta opera di manutenzione straordinaria era stata effettuata a seguito del ritrovamento, negli originari muretti a secco della concimaia, di ordigni esplosivi risalenti alla seconda guerra mondiale e che le autorità avevano chiesto l'intervento della ricorrente e non del proprietario, a ulteriore dimostrazione dell'esistenza di un consolidato possesso della stessa ricorrente sull'area.
Motivi della decisione
1. Il primo motivo non è fondato.
Le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno infatti affermato il principio - al quale il Collegio, condividendolo, intende dare continuità - secondo cui l'art. 573, comma 1-bis, cod. proc. pen., introdotto dall'art. 33 del d.lgs. n. 150 del 2022, si applica alle impugnazioni per i soli interessi civili proposte relativamente ai giudizi nei quali la costituzione di parte civile sia intervenuta in epoca successiva al 30 dicembre 2022, quale data di entrata in vigore della citata disposizione (Sez. U, n. 38481 del 25/05/2023, D., Rv. 285036-01). /'
Pertanto, poiché, nel caso in esame, la costituzione di parte civile di M.I.P. e di L.C. era avvenuta, davanti al Giudice di pace di Alto Reno Terme, all'udienza del 13/12/2021 e, quindi, in epoca antecedente alla menzionata data del 30 dicembre 2022 di entrata in vigore del comma 1-bis dell'art. 573 cod. proc. pen., del tutto correttamente il Tribunale di Bologna ha ritenuto l'inapplicabilità di tale comma nel giudizio sottoposto al proprio esame.
2. Il secondo motivo non è fondato.
È vero che, secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione, la pregressa situazione di possesso del terreno o dell'edificio può escludere l'invasione dell'immobile e, quindi, la sussistenza del reato di cui all'art. 633 cod. pen. Ma ciò quando l'agente, il quale prosegua, pur illegittimamente, nell'occupazione dell'immobile contro la sopraggiunta volontà dell'avente diritto, fosse precedentemente entrato in possesso dello stesso immobile in modo legittimo (Sez. 6, n. 25382 del 17/05/2023, Santucci, Rv. 284886-01; Sez. 2, n. 51754 del 03/12/2013, Papasidero, Rv. 258063-01; Sez. 2, n. 5585 del 01/12/2011, dep. 2012, A.L.E.R., Rv. 251804-01).
Diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, tale situazione non si può ritenere ricorrente nel caso in esame.
In tale caso, infatti, se una situazione di possesso dell'altrui terreno de quo si poteva ritenere creata - da ultimo, come indicato nel capo d'imputazione, anche con la realizzazione della piattaforma in cemento con muro perimetrale in cemento armato e del muretto in sasso, in sostituzione della preesistente vecchia concimaia -, tale possesso era nato in assenza di alcun titolo legittimo, con la conseguenza che la realizzazione dei menzionati manufatti, che presuppone un'invasione anche attuale del terreno sul quale gli stessi sono stati realizzati, è idonea a integrare il reato di invasione di terreni di cui all'art. 633 cod. pen.
La tesi sostenuta dalla ricorrente, del resto, ancorché suggestiva, condurrebbe alla conseguenza, essa sì «aberrante», di escludere la tutela anche penale di una situazione ab initio illecita solo perché la sua costituzione sarebbe stata risalente nel tempo, per poi protrarsi, con sempre ulteriori atti (come la realizzazione dei più volte ricordati manufatti), anch'essi illeciti.
Né - come è stato correttamente rilevato dal Tribunale di Bologna - l'eventuale volontà dell'agente di usucapire il terreno si pone in contraddizione con il fine di occuparlo o di trarne altrimenti profitto, atteso che tali scopi appaiono tra loro del tutto coerenti.
3. Pertanto, il ricorso deve essere rigettato, con la conseguente condanna della ricorrente, ai sensi dell'art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.
Dal rigetto del ricorso consegue altresì la condanna della stessa ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili M.I.P. e L.C., le quali si liquidano in complessivi € 2.426,00, oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, la ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili che liquida in complessivi euro duemilaquattrocentoventisei, oltre accessori di legge.