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L'uomo era stato accusato di aver offeso, nella sua qualità di direttore di un quotidiano, la reputazione di tre commissari straordinari di un Comune. |
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Tra le frasi contestate: «Rimborsi d'oro ai commissari straordinari del comune (ommissis)? Dopo le accuse di immobilismo adesso scoppia il caso delle spese...Qualcuno ha storto il naso dinanzi alle cifre...». |
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«in tema di diffamazione, il contenuto diffamatorio di allusioni ed insinuazioni contenute in uno scritto o in una frase pronunciata non può assumere rilevanza penale quando non sia immediatamente ed inequivocamente percepibile come offensivo della reputazione altrui secondo parametri di comune comprensione, ancorati al registro di verifica dell'uomo medio». |
Svolgimento del processo
1. Con il provvedimento impugnato, il Tribunale di Foggia, all'esito di rito abbreviato, ha assolto F. P. dal reato di diffamazione, per la particolare tenuità del fatto ai sensi dell'art. 131-bis cod. pen., condannandolo al risarcimento del danno patito dalle costituite parti civili, preso atto della dichiarazione di incostituzionalità, pronunciata, con sentenza n. 173 del 2022, additiva dell'art. 538 cod. proc. pen., dalla Corte costituzionale.
L'imputato è accusato, nella sua qualità di direttore responsabile del quotidiano "L'immediato", di aver offeso, in data 21.11.2020, la reputazione di tre commissari straordinari del comune di (omissis), con le frasi: "Rimborsi d'oro ai commissari straordinari del comune di (omissis)? Dopo le accuse di immobilismo adesso scoppia il caso delle spese...Qualcuno ha storto il naso dinanzi alle cifre...".
2. F. P. ha proposto ricorso tramite il difensore di fiducia deducendo cinque diversi motivi.
2.1. Il primo argomento difensivo eccepisce mancanza o manifesta illogicità della motivazione del provvedimento impugnato in relazione alla sussistenza dell'elemento oggettivo del reato di diffamazione, mancando la carica offensiva e lesiva della reputazione nel testo dell'articolo incriminato.
Del resto, l'assenza di toni palesemente offensivi o denigratori è enfatizzata contraddittoriamente anche dalla sentenza impugnata (a pag. 2) e, d'altra parte, il reato era stato escluso dallo stesso pubblico ministero, che aveva chiesto l'archiviazione del procedimento in fase di indagini, superata poi dall'imputazione coatta formulata dal GIP del Tribunale di Foggia.
La motivazione della sentenza sembra non conferente con il caso giudicato.
2.2. Il secondo motivo di ricorso evidenzia vizio di carenza o manifesta illogicità della motivazione in relazione anche alla sussistenza dell'elemento soggettivo del reato di diffamazione, su cui il giudice non si sofferma che genericamente.
2.3. Il terzo ed il quarto motivo eccepiscono violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla ritenuta insussistenza delle esimenti del diritto di critica e di cronaca giornalistica, su temi di pubblico interesse, al centro di dibattito cittadino e oggetto legittimo di giornalismo d'inchiesta da parte del ricorrente.
2.5. Il quinto passaggio di critica difensiva ruota intorno alla condanna al risarcimento del danno inflitta al ricorrente, che, a giudizio della difesa, non sarebbe sorretta dalla prova della sussistenza di un danno morale patito dalle persone offese costituitesi parti civili.
Si contesta, in particolare, il richiamo alla opportunità di concedere un riconoscimento "simbolico" del danno morale patito e la sottovalutazione della diffusione tutta locale della testata giornalistica.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è fondato nel primo motivo, che ha valenza assorbente rispetto alle ulteriori censure.
2. La denunciata insussistenza oggettiva del fatto, pur dedotta formalmente come vizio di motivazione, configura, piuttosto, una violazione di legge e, pertanto, legittimamente instaura il rapporto processuale del ricorrente "per saltum", ai sensi dell'art. 569 cod. proc. pen.; sono state proposte, infatti, eccezioni che, nel loro nucleo essenziale, puntano a veder riconosciuta la corretta interpretazione delle disposizioni di cui all'art. 595 cod. pen.
2.1. L'eccezione difensiva coglie, poi, l'essenza del reato di diffamazione, evocando l'insussistenza, nelle espressioni oggetto dell'imputazione, della stessa valenza offensiva della reputazione altrui.
Come noto, quanto alla possibilità per il giudice di legittimità, di verificare la portata diffamatoria di frasi pronunciate o scritti contenuti in documenti anche informatici, costituisce principio consolidato di questa Corte regolatrice, ritenere che il giudice di legittimità possa conoscere e valutare l'offensività della frase che si assume lesiva della altrui reputazione, perché rientra nel suo sindacato procedere, anzitutto, a considerare la sussistenza o meno della materialità della condotta contestata e, quindi, della portata offensiva delle frasi ritenute diffamatorie (così, tra le molte, Sez. 5, n. 2473 del 10/10/2019, Fabi, dep. 2020, Rv. 278145; Sez. 5, n. 48698 del 19/09/2014, Demofonti, Rv. 261284; Sez. 5, n. 832 del 21/06/2005, Travaglio, Rv. 233749).
Orbene, alle frasi pronunciate dal ricorrente, pur già ritenute nella sentenza impugnata di ben minima portata offensiva, tanto da configurare un'ipotesi di particolare tenuità del fatto, deve riconoscersi la completa mancanza di qualsiasi attitudine o valenza offensiva della reputazione delle persone offese.
Si tratta, è vero, di frasi che alludono ad una determinazione dei compensi dei commissari straordinari del comune di (omissis) piuttosto elevata, a giudizio dell'autore dell'articolo giornalistico: il sintagma "rimborsi d'oro" si rivela icasticamente evocativo in tal senso.
Tuttavia, all'espressione metaforica non seguono contenuti che rimandino ad illiceità di sorta, riferite alla quantificazione concreta dei compensi, bensì la mera cronaca dell'esistenza di un "caso", sorto in relazione all'entità dei rimborsi dei commissari straordinari, nel contesto politico-amministrativo di riferimento; una questione – quella del dibattito sulla misura economica dei rimborsi - che si nutre, riferendoli, dei legittimi dubbi di chi, in un contesto accompagnato dalla necessità di informare la pubblica opinione di accadimenti di rilievo collettivo, si limita ad esporli, senza prendere neppure posizione al riguardo.
Non vi è dubbio che, come ha sostenuto la difesa di parte civile, anche le allusioni e le suggestioni possano avere una valenza diffamatoria.
Si è già evidenziato, infatti, in questa direzione, che l'intento diffamatorio può essere raggiunto anche con mezzi indiretti e mediante subdole allusioni e pure in questa forma deve essere ritenuto penalmente rilevante (Sez. 5, n. 4384 del 7/2/1991, Giannini, Rv. 187192).
D'altra parte, questa stessa Sezione ha precisato che, in tema di diffamazione, il contenuto allusivo e insinuante di uno scritto o di una frase pronunciata non assume rilevanza penale nel caso in cui non sia immediatamente e inequivocabilmente percepibile - la valenza diffamatoria, si intende - secondo parametri di comune comprensione, ancorati al registro di verifica dell'uomo medio (Sez. 5, n. 1365 del 9/11/2022, dep. 2023, Simone Vullo, Rv. 284044, in una fattispecie in cui la Corte ha escluso che l'espressione "I tempi d'oro sono finiti... vi ricordo che i vertici della Procura sono cambiati!!!", pubblicata su "Facebook" e diretta all'amministrazione locale, fosse offensiva nei confronti del vertice dell'ufficio giudiziario).
Nel caso che oggi è posto all'attenzione del Collegio, non si è realizzata una figura narrativa diffamatoria, poiché non si registra una carica offensiva percepibile nei contenuti dell'articolo giornalistico per come riportati nell'imputazione; né può sostenersi che, con le richiamate frasi, l'autore abbia voluto ipotizzare eventuali cattive gestioni della macchina comunale o il percepimento di rimborsi indebiti o, peggio ancora, illeciti. A ragionare diversamente, infatti, come si è evidenziato nella sentenza n. 1365 del 2023, la scure della rilevanza penale ai sensi dell'art. 595 cod. pen. si leverebbe a reprimere le intenzioni possibili e sottostanti a frasi pronunciate o scritte e non, come invece dovrebbe, l'esternazione materiale percepibile del pensiero che si è in concreto e nella realtà realizzata.
In altre parole, in tema di diffamazione, il contenuto diffamatorio di allusioni ed insinuazioni contenute in uno scritto o in una frase pronunciata non può assumere rilevanza penale quando non sia immediatamente ed inequivocamente percepibile come offensivo della reputazione altrui secondo parametri di comune comprensione, ancorati al registro di verifica dell'uomo medio.
2.2. Del resto, anche sotto il diverso profilo dell'esercizio del diritto di critica rispetto a frasi oggettivamente inquadrabili nel reato di diffamazione, la Cassazione ha avuto modo di valorizzare sia la contestualizzazione di espressioni giudicate inizialmente diffamatorie, riportandole nell'alveo della liceità secondo parametri di uso comune del criterio di continenza espressivo (cfr. Sez. 5, n. 37397 del 24/6/2016, C., Rv. 267866); sia la peculiare possibilità di esercitare il diritto di critica nei riguardi di pubblici amministratori o magistrati nel modo più ampio possibile, in ragione della necessità di assicurare un efficace strumento di controllo democratico dell'esercizio di una rilevante attività istituzionale (cfr., tra le altre, Sez. 5, n. 19960 del 30/1/2019, Giorgetti, Rv. 276891; Sez. 5, n. 45249 del 25/10/2021, Longo, Rv. 282379, in motivazione).
Nella libertà di opinione - che è configurata dalla CEDU come diritto, non solo a diffondere informazioni, ma ad esprimere opinioni e a trasmettere idee (art. 10 par. 1) - un ruolo primario è assegnato alla libertà espressiva nel dibattito politico o di pubblico interesse, il cui esercizio avviene tradizionalmente attraverso il mezzo della stampa e altri strumenti di diffusione mediatici o informatici; il dibattito sui media e attraverso la stampa è finalizzato a fornire al pubblico un mezzo per scoprire e formarsi un'opinione sulle idee e le attitudini dei rappresentanti politici.
In quanto tale, la libertà di dibattito di questioni di pubblico interesse è uno dei punti focali dei sistemi democratici e rispetto ad essa il margine di apprezzamento degli Stati per configurare la tutela del diritto alla reputazione individuale è limitato (ex multis, Morice c. Francia [GC], n. 29369/10, § 125, CEDU 2015), soprattutto tenuto conto della evoluzione nella percezione della carica offensiva di alcune espressioni nel contesto politico, in cui la critica assume spesso toni aspri e vibrati, e del fatto che la critica può, ed anzi normalmente deve, assumere forme tanto più incisive e penetranti quanto più elevata è la posizione pubblica del destinatario (Sez. 5, n. 27339 del 13/06/2007, Rv. 237260; Sez. 5, n. 4530 del 10/11/2022, dep. 2023, Alloro, Rv. 283964, in cui è stata riconosciuta la scriminante del diritto di critica rispetto ad una diffamazione commessa ai danni di amministratori pubblici).
E' stato affermato, ancora, che il livello e l'intensità, pur notevoli, delle censure indirizzate quali critiche a coloro che occupano posizioni di rilievo nella vita pubblica, non escludono l'operatività della scriminante, poiché nell'ambito politico risulta preminente l'interesse generale al libero svolgimento della vita democratica (Sez. 5, n. 15236 del 28/01/2005, Ferrara, Rv. 232125). Di conseguenza, quanto maggiore è il potere esercitato, maggiore è l'esposizione alla critica, perché chi esercita poteri pubblici deve essere sottoposto ad un rigido controllo sia da parte dell'opposizione politica che dei cittadini (Sez. 5, n. 11662 del 06/02/2007, Rv. 236362).
La configurabilità dell'esimente dell'esercizio del diritto di critica politica trova fondamento, infatti, nell'interesse all'informazione dell'opinione pubblica e nel controllo democratico nei confronti degli esponenti politici o pubblici amministratori, sebbene, ovviamente, è necessario che l'elaborazione critica non sia avulsa da un nucleo di verità e non trascenda in attacchi personali finalizzati ad aggredire la sfera morale altrui, pur nell'ampia visione convenzionale del diritto alla libertà di espressione in contesti di critica politica (Sez. 5, n. 31263 del 14/9/2020, Capozza, Rv. 279909, riferita ad un sindaco).
L'elaborazione ermeneutica si è sempre più affinata, dunque, nel corso degli anni, sino a giungere all'attuale stabilizzazione di un orientamento di particolare apertura nei confronti della liceità della critica giudiziaria, sulla base del principio di derivazione anche dalla giurisprudenza europea, secondo cui, in democrazia, a maggiori poteri corrispondono maggiori responsabilità e l'assoggettamento al controllo da parte dei cittadini, esercitabile anche attraverso il diritto di critica (cfr. la sentenza della Corte EDU Magosso e Brindani c. Italia del 16 gennaio 2020, nonché come precedenti, cfr. anche Medlis Islamske Zajednice Bréko e altri e, Bosnia Erzegovina [GC] del 27 giugno 2017; Mariapori c. Finlandia del 6 luglio 2010).
Tale contesto, pur riferito al piano della esimente del diritto di critica, che non intercetta, invece, la inconfigurabilità oggettiva del reato di diffamazione, rilevabile nel caso di specie, è utile ad inquadrare ed illuminare al meglio il contesto storico e giurisprudenziale attuale, nel cui prisma la giurisprudenza deve leggere sia la carica oggettiva che la portata del diritto di cronaca e di critica giornalistiche e, in ultima analisi, è essenziale per spiegare il sostrato culturale in cui si muove il giudizio di verifica della carica oggettiva diffamatoria di talune espressioni riferite ad un campo di pubblico interesse e nei confronti di pubblici amministratori.
2.3. Alla luce di tali coordinate interpretative complessivamente considerate, pertanto, le espressioni oggetto dell'articolo giornalistico in contestazione devono ritenersi prive di rilevanza penale, non raggiungendo la soglia di tipicità oggettiva richiesta dall'art. 595 cod. pen., sicchè la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste.
2.4. Le spese richieste dalle parti processuali possono essere compensate.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il fatto non sussiste.