
Mentre l’interruzione del processo è automatica, il termine per la relativa riassunzione o prosecuzione decorre dal momento in cui la dichiarazione giudiziale dell'interruzione stessa sia portata a conoscenza di ciascuna parte.
Una compagnia assicurativa proponeva opposizione agli atti esecutivi avverso l'ordinanza di assegnazione,
Svolgimento del processo
la (omissis) soc. coop. a r.l. (lite pendente Società (omissis) di assicurazione S.p.A.; in appresso, per brevità: (omissis)) propose opposizione agli atti esecutivi avverso l’ordinanza di assegnazione ex art. 553 cod. proc. civ. emessa in data 8 febbraio 2017 dal giudice dell’esecuzione del Tribunale di Rovigo all’esito di una espropriazione presso terzi promossa dalla società CP s.r.l. (creditore procedente) in danno della società (omissis) s.r.l. (debitore esecutato) e nei riguardi, quale terzo pignorato, di (omissis);
espletata la fase sommaria, nel corso del giudizio di merito sulla opposizione, con le note sostitutive dell’udienza del 30 luglio 2021 (omissis) rilevò il fallimento, dichiarato con sentenza del 26 luglio 2019, della società esecutata (omissis) s.r.l., depositando siffatto provvedimento, su invito del giudice, il 30 agosto 2021;
all’udienza tenuta il giorno 8 settembre 2021 il giudice dichiarò interrotto il processo, che venne poi riassunto da (omissis) con ricorso depositato in data 2 dicembre 2021;
la decisione in epigrafe indicata ha pronunciato l’estinzione del giudizio, per tardiva riassunzione dello stesso, ritenendo il termine perentorio ex art. 305 cod. proc. civ. decorrente dal 30 luglio 2021, epoca in cui (omissis) era «a conoscenza (legale, perché formalizzata in giudizio con il deposito delle proprie note sostitutive di udienza) del fallimento e dell’interruzione automatica ad essa conseguente»;
ricorre per Cassazione (omissis), affidandosi ad un unico motivo; non svolgono difese in sede di legittimità la CP s.r.l. e la Curatela
del fallimento della (omissis) s.r.l.;
all’esito dell’adunanza camerale sopra indicata, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di cui al secondo comma dell’art. 380-bis.1 cod. proc. civ.;
Motivi della decisione
l’unico motivo di ricorso denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., violazione o falsa applicazione dell’art. 43, terzo comma, legge fallimentare, degli artt. 300 e 305 cod. proc. civ., dell’art. 143 del codice della crisi dell’impresa e dell’insolvenza;
in estrema sintesi, parte ricorrente assume che il dies a quo per la riassunzione vada individuato nel momento in cui la dichiarazione giudiziale dell’interruzione determinata dall’apertura del fallimento sia portata a conoscenza della parte e, quindi, nel caso di specie, nel giorno 8 settembre 2021, data del provvedimento di interruzione, da ciò inferendo la tempestività del deposito del ricorso in riassunzione;
il motivo è fondato;
sulla questione controversa, questa Corte, nella sua composizione più tipica di organo della nomofilachia e a composizione di contrasto manifestatosi nell’ambito della giurisprudenza anche di legittimità, ha enunciato il seguente principio di diritto: «in caso di apertura del fallimento, l’interruzione del processo è automatica ai sensi dell’art. 43, terzo comma, l.fall. ma il termine per la relativa riassunzione o prosecuzione, per evitare gli effetti di estinzione di cui all’art. 305 cod. proc. civ. e al di fuori delle ipotesi di improcedibilità ai sensi degli artt. 52 e 93 l. fall. per le domande di credito, decorre dal momento in cui la dichiarazione giudiziale dell’interruzione stessa sia portata a conoscenza di ciascuna parte; tale dichiarazione, qualora non già conosciuta in ragione della sua pronuncia in udienza ai sensi dell’art. 176, secondo comma, cod. proc. civ., va notificata alle parti o al curatore da uno degli interessati o comunque comunicata dall’ufficio giudiziario» (Cass., Sez. U, 07/05/2021, n. 12154);
onde addivenire a siffatto principio, le Sezioni Unite, all’esito di una analitica ricognizione degli indirizzi ermeneutici manifestatasi sul tema, hanno ritenuto preferibile l’orientamento che «ha tematizzato la decisività dell’ordinanza d’interruzione pronunciata in udienza, ascrivendole la portata di mezzo di conoscenza legale»;
detto orientamento, infatti, «che collega l’onere di riassunzione o prosecuzione del processo interrotto alla dichiarazione giudiziale d’interruzione per intervenuto fallimento della parte» esprime «le più congrue forme di produzione della conoscenza»: esso, «descrivendo proprio la dichiarazione giudiziale quale elemento indefettibile e generale costitutivo del dies a quo per la decorrenza del termine di riassunzione o prosecuzione, sembra meglio rispettare un approccio di compatibilità dell’art. 43, terzo comma, l.fall. senza assorbirne del tutto la portata tra gli eventi interruttivi degli artt. 299, 300, terzo comma, e 301, primo comma, cod. proc. civ., bensì più coerentemente considerando, con la specialità della norma, la funzione già attuale cui essa assolve» (punto 34. della decisione);
l’arresto ha chiarito che «intervenuto il fallimento, l’interruzione è sottratta all’ordinario regime dettato in materia dall’art. 300 cod. proc. civ. (è, cioè, automatica e deve essere dichiarata dal giudice non appena sia venuto a conoscenza dall’evento), ma non anche nel senso che la parte non fallita è tenuta alla riassunzione del processo nei confronti del curatore indipendentemente dal fatto che l’interruzione sia stata o meno dichiarata […] ricadendo anche sullo stesso giudice del processo un dovere di cooperazione alla fissazione di una celere stabilità delle relative sorti, mediante un suo atto di natura dichiarativa che provochi altresì l’inizio della decorrenza del termine per riassumere o proseguire da chi vi abbia interesse e legittimazione» (punto 35.);
in forza di tali premesse sistematiche, la Sezioni Unite, dando espresso e convinto seguito a precedenti pronunce, espressamente richiamate, hanno precisato che «il decorso dei termini previsti dall’art. 305 cod. proc. civ. ai fini della declaratoria di estinzione presuppone, rispetto alla parte contrapposta a quella colpita dall’evento interruttivo, non solo la conoscenza in forma legale del medesimo evento, ma anche una situazione di quiescenza del processo, che si verifica per effetto della formale constatazione da parte del giudice istruttore dell’avvenuta interruzione automatica della lite, comunque essa sia stata conosciuta», sicché «non v’è nessun onere di riassunzione prima della formale dichiarazione di interruzione» (ancora punto 35.);
e tanto perché «la citata doverosità giudiziale della dichiarazione, pur integrando un segmento dei plurimi veicoli conoscitivi sinora praticati nella giurisprudenza delle forme di produzione di cui all’art. 305 cod. proc. civ. esprime invero un dato di idoneità rappresentativa assoluta rispetto ad ogni altro mezzo partecipativo dell’evento interruttivo del processo, perché riunisce le qualità istituzionali della fonte privilegiata (il soggetto emittente) alla certezza dell’inerenza del fallimento esattamente al processo su cui quello incide (affermata proprio dal giudice che ne è singolarmente investito)» (punto 37; le Sezioni Unite citano, quali precedenti conformi: Cass. 27/02/2018, n. 4519; Cass. 27/03/2018, n. 7547; Cass. 11/04/2018, n. 9016; Cass. 17/04/2019, n. 10696; Cass. 24/02/2020, n. 4795);
la sentenza qui gravata ha ritenuto non applicabili dette regulae iuris al caso in esame, sul rilievo della peculiarità dello stesso costituita dal «fatto che sia stata proprio la (unica) parte processuale interessata alla riassunzione del giudizio ad aver veicolato all’interno del processo la notizia dell’intervenuto fallimento di una delle controparti», ritenendo quindi che il termine per la riassunzione decorresse dal momento in cui la parte aveva manifestato (con il deposito delle note di udienza) la consapevolezza del fallimento aliunde dichiarato, anziché dalla data della pronuncia giudiziale di interruzione del giudizio;
la statuizione non è conforme a diritto;
essa trascura la (dirimente) circostanza per cui non è - logicamente ancor prima che giuridicamente - predicabile la riassunzione (e, quindi, la decorrenza del termine per il compimento delle attività di impulso ad onere della parte a ciò interessata) di un processo che non sia ancora entrato in una fase di quiescenza, declinata in una delle due possibili modalità previste dal codice di rito (sospensione o interruzione): il lemma “riassunzione” descrive, da un punto di vista semantico, la ripresa dello svolgimento di un’attività in precedenza arrestata;
l’operatività ipso iure del fallimento quale causa di interruzione del processo vale a sottrarre al giudice ogni valutazione (discrezionale) in ordine all’idoneità dell’evento a provocare la stasi del giudizio, ma non esclude la necessità, perché il processo si arresti, di un provvedimento (seppur meramente) ricognitivo degli effetti ex lege prodotti sul singolo e specifico processo;
in difetto di un provvedimento del genere - di natura sì dichiarativa ma comunque postulante la verifica della incidenza dell’evento interruttivo sul proseguire di quel giudizio - non può reputarsi gravante sulle parti l’onere di riassumere il processo non (ancora) interrotto, né decorrente il termine per compiere l’attività a tal fine necessaria, per essere la quiescenza presupposto - ulteriore e specifico rispetto alla conoscenza dell’evento - per riattivare la sequenza processuale;
in definitiva, il principio generale affermato dalle Sezioni Unite, per cui il dies a quo per la riassunzione (o prosecuzione) del processo va ancorato alla conoscenza della dichiarazione giudiziale di interruzione, non soffre deroga quando la parte sia - per notizia aliunde acquisita - edotta dell’intervenuto fallimento e nemmeno quando ella manifesti siffatta conoscenza in atti processuali, proprio diretti a sollecitare la pronuncia che ponga il giudizio in situazione di quiescenza;
a tale principio il Collegio intende assicurare, condividendone gli snodi argomentativi e le conclusioni, piena continuità;
deve concludersi, in applicazione di quello, che ha dunque errato il giudice territoriale nel considerare decorrente il termine per la riassunzione (e, per l’effetto, intempestiva l’istanza ad hoc finalizzata) da un momento anteriore alla pronuncia (avvenuta in udienza) dichiarativa dell’interruzione;
accolto il ricorso, la sentenza va per l’effetto cassata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Rovigo, in persona di diverso magistrato; al giudice del rinvio è altresì demandata la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità;
P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia per nuovo esame della controversia al Tribunale di Rovigo, in persona di diverso magistrato, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.