
L'assegno di mantenimento può comprendere anche la quota alimentare e non presuppone necessariamente lo stato di bisogno. Per questo, diversamente dal caso inverso, qualora venga chiesto il mantenimento per la prima volta in appello nell’ambito di un giudizio alimentare, la relativa domanda si rivela inammissibile, qualificandosi come domanda nuova.
Il Tribunale di Roma rigettava le domande dell’attore, proposte nelle vesti di figlio maggiorenne che in virtù dello stato di bisogno suo e della sua famiglia, aveva chiesto una somma maggiore a titolo di alimenti da parte dei genitori. Nella specie, egli percepiva già 700euro mensili, ma sosteneva che non fossero sufficienti per il sostentamento suo e della sua famiglia, considerato che egli aveva dichiarato (in precedenti giudizi) di lavorare saltuariamente. Allo stesso tempo, egli confermava l’importo versato ogni mese dai genitori e il fatto che la l’abitazione ove viveva fosse stata dagli stessi concesso in comodato gratuito (con spese per utenze ed altro sempre a carico dei genitori).
La Corte d’Appello confermava la pronuncia di primo grado, al che il figlio si rivolge alla Corte di Cassazione censurando, tra le altre cose, la statuizione con la quale i Giudici avevano ritenuto adeguato l’assegno alimentare che già riceveva, tenendo conto non solo dell’assenza di spese abitative, ma anche del fatto che egli percepiva una pensione di invalidità. In tal senso, il ricorrente sostiene l’insufficienza dell’importo complessivamente percepito (la pensione di invalidità ammontava a 299,00 euro) al fine di garantire un’esistenza dignitosa a lui e alla sua famiglia.
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Deve precisarsi che il ricorrente era affetto da disturbo bipolare diagnosticato all’età di 20 anni con diversi ricoveri ospedalieri in regime di TSO, ragione per cui gli era stata riconosciuta una inabilità al lavoro al 100% e la pensione di invalidità. In aggiunta, la moglie era priva di occupazione poiché affetta da disturbo ansioso depressivo e gastrite recidivante, mentre il figlio era un soggetto con disturbo dell’umore e una depressione a marcata componente ansiosa e ossessivo fobica. |
Per questa ragione, il ricorrente invoca l'applicazione del principio secondo cui la posizione dei figli maggiorenni portatori di handicap grave si equipara a quella dei figli minori ai sensi dell'art. 337-septies c.p.c..
Con la sentenza n. 2710 del 29 gennaio 2024, la Corte di Cassazione dichiara inammissibile il motivo di ricorso, poiché prospetta una questione di nuova introduzione in quanto non assistita da dovuta specificità.
In tale contesto, i Giudici di legittimità affermano che
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«L'assegno di natura alimentare non può essere equiparato all'assegno di mantenimento per i figli, essendo diverse sia la natura e sia le finalità proprie dei due tipi di assegno, solo in minima parte potendo coincidere le due provvidenze. Invero, l'assegno di mantenimento può comprendere anche la quota alimentare e non presuppone necessariamente lo stato di bisogno, su cui il ricorrente ampiamente ha insistito, dimostrando di avere qualificato la domanda originaria proprio come domanda per alimenti, così come ritenuto dai giudici di merito in primo e secondo grado. |
Da ciò segue che quando la domanda di mantenimento venga formulata per la prima volta in appello nell’ambito di un giudizio alimentare, diversamente che nel caso inverso, essa si rivela inammissibile e si qualifica come domanda nuova.
Segue il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
1.- Con atto di citazione ritualmente notificato, A.A. (n. omissis) convenne in giudizio, dinanzi al Tribunale di Roma, i genitori B.B. (n. nel omissis) e C.C. (n. nel omissis) affinché, accertato e dichiarato il suo stato di bisogno e la sua impossibilità di provvedere al proprio mantenimento, questi venissero condannati a corrispondergli a titolo di alimenti la somma di Euro 1.200,00 o quella maggiore o minore ritenuta di giustizia, purché superiore all'importo di Euro 700,00 mensili già dagli stessi corrisposto spontaneamente. Chiese, inoltre, che venisse ordinato alla madre, che gli aveva concesso in comodato gratuito l'abitazione nella quale egli viveva con il proprio nucleo familiare composto da moglie e figlio, di autorizzare il trasferimento della propria residenza nell'abitazione.
I convenuti B.B. e C.C. chiesero preliminarmente di dichiarare l'inammissibilità delle domande, in quanto già respinte: con decreto n. 9345/2006 e con sentenza n. 21407/2013; nel merito chiesero, in via principale, il rigetto della domanda e la condanna della controparte per lite temeraria; in via riconvenzionale, chiesero che fosse dichiarato non dovuto, da parte loro, alcun contributo poiché il figlio aveva dichiarato nei precedenti giudizi di lavorare saltuariamente, e confermato l'importo già dagli stessi versato, considerato che gli avevano messo a disposizione la casa e provvedevano a pagare le utenze (ed altro).
Il Giudice, dichiarata la decadenza della parte attrice dalla prova testimoniale per mancata comparizione dei testi, introitò la causa a sentenza.
Il Tribunale di Roma, con la sentenza n.1647/2020, rigettò le domande attoree; accolse la domanda avanzata in riconvenzionale dalle parti convenute e stabilì in Euro 700,00 mensili la somma dovuta dal padre in favore del figlio a titolo di alimenti, dichiarando compensate per metà, tra le parti, le spese del giudizio.
L'appello proposto da A.A. e stato rigettato dalla Corte di appello di Roma, con condanna alla parziale rifusione delle spese di giudizio.
A.A. ha proposto ricorso con due mezzi, chiedendo la cassazione della sentenza in epigrafe indicata. B.B. e C.C. hanno replicato con controricorso.
È stata disposta la trattazione in pubblica udienza.
Il P.G. si è riportato alle conclusioni scritte con cui ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso o, in subordine, il rigetto.
I difensori delle parti costituite hanno confermato le conclusioni rassegnate nei rispettivi atti.
Motivi della decisione
2.1.- Con il primo motivo si denuncia la nullità della sentenza o del procedimento per violazione dell'art. 345 c.p.c. in materia di domande ed eccezioni nuove nel giudizio di appello, ai sensi dell'art. 360 n. 4 c.p.c.
Secondo il ricorrente, la Corte di Appello di Roma erroneamente avrebbe dichiarato inammissibili le domande del ricorrente volte ad ottenere la condanna di C.C. a far eseguire lavori di riparazione dell'immobile concessogli in comodato d'uso e a consentirgli di indicare la sua residenza nell'immobile in questione, in quanto sarebbero state formulate dal ricorrente, per la prima volta, nel giudizio di appello.
2.2.- Il primo motivo è in parte infondato ed in parte inammissibile.
2.3.- Il motivo difetta di autosufficienza, poiché il ricorrente avrebbe dovuto indicare, a fronte della espressa statuizione nella sentenza di appello circa la novità delle suddette domande, in quale atto del giudizio di primo grado tali domande, nella loro esatta consistenza, erano state svolte, per consentire alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione (Cass. n. 23420/2011).
2.4.- Va aggiunto, sia pure per la sola domanda di autorizzazione al trasferimento della residenza — che la stessa sentenza appellata (fol. 2, righe 3-6) afferma essere stata proposta in primo grado (salvo poi a considerarla nuova e tardiva) — che essa, come condivisibilmente osservato dal P.G., si presenta ictu oculi infondata e tale infondatezza può essere affermata anche in questa sede (Cass. n. 21272/2015), non essendo necessari accertamenti in fatto, al riguardo.
Appare, infatti, evidente che il trasferimento della residenza in un determinato immobile, nel quale il richiedente è autorizzato dal proprietario a dimorare abitualmente, non può essere oggetto né di consenso, né di dissenso da parte di quest'ultimo. Il riconoscimento della residenza in un determinato luogo, infatti, dipende esclusivamente dalla ricorrenza delle condizioni fattuali di cui all'art. 43, comma 2, c.c. ed è oggetto di un apposito procedimento amministrativo di accertamento regolato dalla l. 24.12.1954, n. 1228 e dal D.P.R. 30.5.1989, n. 223, rispetto al quale il consenso del proprietario non è rilevante. La domanda di condanna del proprietario alla prestazione del consenso al trasferimento della residenza anagrafica è carente, pertanto, di quella condizione dell'azione che va sotto il nome di possibilità giuridica.
3.1- Con il secondo motivo si denuncia l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.
La censura concerne la statuizione con cui la Corte di appello ha affermato che "deve ritenersi che l'importo dell'assegno alimentare riconosciuto dal Tribunale sia del tutto adeguato a sopperire alle esigenze personali di vita dell'appellante, in ragione dell'assenza di spese abitative (delle quali si fanno carico le controparti) e della percezione della pensione di invalidità; esso non appare eccessivo, tenuto conto della perdita del potere d'acquisto subito nel tempo dall'importo continuativamente versato dai genitori e delle disponibilità economiche di questi ultimi".
Il ricorrente si duole che la Corte di merito non abbia tenuto conto dell'irrisorietà della pensione di invalidità, ammontante ad Euro 299,00 — ed ha dedotto l'insufficienza del complessivo importo di Euro 1.000,00 — a garantire una vita dignitosa a lui ed alla sua famiglia.
Deduce che il proprio nucleo familiare è composto dalla moglie D.D., priva di occupazione e affetta da stato ansioso depressivo e gastrite recidivante, e dal figlio, soggetto con problemi di disturbo dell'umore, ovvero depressione a marcata componente ansiosa e ossessivo fobica. Riferisce di essere affetto lui stesso da disturbo bipolare di tipo I, diagnosticatogli all'età di venti anni, con diversi ricoveri ospedalieri in regime di T.S.O., in ragione del quale gli è stata riconosciuta la inabilita al lavoro al 100% e la pensione di invalidità.
Invoca l'applicazione del principio secondo il quale la posizione dei figli maggiorenni portatori di handicap grave è equiparata a quella dei figli minori ex art. 337-septies c.c.
Deduce, inoltre di avere chiesto la verifica della reale situazione reddituale di B.B., elemento ritenuto rilevante ai fini della corretta determinazione dell'assegno di mantenimento in suo favore, per il quale ha proposto domanda di incremento.
3.2.- Il secondo motivo è inammissibile perché non considera e non censura che la complessiva ratio decidendi.
3.3.- La sentenza impugnata ha affermato "nel merito, come è noto, presupposto per il riconoscimento del diritto agli alimenti è lo stato di bisogno del beneficiario che si realizza quando questi non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento (art. 438 c.c.). Gli alimenti devono essere determinati in proporzione dello stato di bisogno del richiedente e delle condizioni economiche dell'onerato, dovendo essere la loro misura circoscritta a quanto necessario per la vita dell'alimentando (art. 438 c.c.). Ai sensi dell'art. 433 c.c., in mancanza di coniuge e figli, i genitori sono tenuti all'obbligo di prestare alimenti a favore dei figli. Condizione dell'azione alimentare proposta contro persone obbligate in un grado determinato e, pertanto, la mancanza di obbligati di grado anteriore o la loro incapacità di prestare gli alimenti; inoltre, se più persone sono obbligate nello stesso grado, può essere accolta l'azione proposta contro solo alcuni di essi nel caso in cui gli altri risultino incapaci di sostenere la prestazione alimentare. Anche se non è necessario che tutti gli obbligati incapaci economicamente siano presenti nel giudizio, grava sempre sull'alimentando l'onere della prova delle suddette circostanze, sia pure nei confronti dei soli chiamati in giudizio, quale presupposto per l'accoglimento di una domanda volta ad ottenere gli alimenti da obbligati in un grado ulteriore o da una parte sola dei coobbligati nello stesso grado, tra i quali la prestazione dovrebbe essere ripartita".
Invero, il ricorrente, unico originario attore, non tiene in conto e non censura la complessiva decisione che ha riconosciuto gli alimenti in suo favore e ha escluso di dover considerare le esigenze della moglie e del figlio (maggiorenne), precisando che questi, avrebbero dovuto autonomamente agire secondo le loro proprie legittimazioni rispetto ai loro obbligati, secondo l'ordine previsto dell'art. 433 c.c. e, in relazione a questa perimetrazione della domanda, ha proceduto alla comparazione delle condizioni economiche, con motivazione sicuramente sufficiente.
3.4.- Quanto alla prospettazione di un titolo al mantenimento in qualità di figlio maggiorenne handicappato, svolta da A.A. con riferimento a sé medesimo, va osservato che la questione è di nuova introduzione in quanto non assistita dalla dovuta specificità; non è stata articolata come violazione di legge — atteso che il motivo è svolto come omessa motivazione — e sembra piuttosto volta a sollecitare una maggiore quantificazione dell'assegno rispetto all'importo riconosciuto, inammissibile in sede di legittimità.
3.5.- Va aggiunto che il motivo, così come formulato, introduce surrettiziamente un inammissibile ampliamento della domanda originaria.
L' assegno di natura alimentare non può essere equiparato all'assegno di mantenimento per i figli, essendo diverse sia la natura e sia le finalità proprie dei due tipi di assegno, solo in minima parte potendo coincidere le due provvidenze. Invero, l'assegno di mantenimento può comprendere anche la quota alimentare e non presuppone necessariamente lo stato di bisogno, su cui il ricorrente ampiamente ha insistito, dimostrando di avere qualificato la domanda originaria proprio come domanda per alimenti, così come ritenuto dai giudici di merito in primo e secondo grado.
In ogni caso, la domanda di assegno alimentare costituisce, comunque, un minus rispetto alla domanda di riconoscimento di un assegno di mantenimento per il figlio maggiorenne portatore di handicap grave e richiede la ricorrenza di un più stringente presupposto, costituito dallo stato di bisogno.
3.6.- Ne consegue che la domanda di mantenimento, ove venga formulata per la prima volta in appello in un giudizio alimentare promosso ex art.433 c.c., diversamente che nel caso inverso, è inammissibile e va qualificata come domanda nuova ai sensi dell'art. 345 c.p.c., atteso che la diversa natura degli interessi ad essa sottesi comporterebbe un ampliamento della materia giustiziabile incompatibile con il rispetto dei principi del contraddittorio, del diritto di difesa e del giusto processo.
Questo principio non induce alcun contrasto con il principio di ammissibilità affermato da questa Corte in relazione all'opposta fattispecie in cui, proposta in primo grado la domanda di assegno di mantenimento, la stessa venga rimodulata "al ribasso" come domanda di alimenti in secondo grado (Cass. n. 27768/2022; Cass. n. 27695/2017).
4.- In conclusione, il ricorso va rigettato.
I profili sostanziali sottostanti e la particolare situazione di tutte le parti induce alla compensazione delle spese del giudizio di legittimità.
Va disposto che in caso di diffusione della presente sentenza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.LGS. n. 196 del 2003, art. 52.
Raddoppio del contributo unificato, ove dovuto.
P.Q.M.
- Rigetta il ricorso;
- Compensa le spese del giudizio di legittimità tra le parti;
- Dispone che in caso di diffusione della presente sentenza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.LGS. n. 196 del 2003, art. 52;
- Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso, se dovuto.