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«l’art. 76 prevede, quali condizioni per l’ammissione al gratuito patrocinio, la titolarità di un reddito imponibile ai fini dell'imposta personale sul reddito, risultante dall'ultima dichiarazione, non superiore a euro 9.296,22, stabilendo, altresì, che, salvo quanto previsto dall'articolo 92, se l'interessato convive con il coniuge o con altri familiari, il reddito è costituito dalla somma dei redditi conseguiti nel medesimo periodo da ogni componente della famiglia, compreso l'istante, tenuto conto anche dei redditi che per legge sono esenti dall'imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) o che sono soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta, ovvero ad imposta sostitutiva o del solo reddito personale quando sono oggetto della causa diritti della personalità, ovvero nei processi in cui gli interessi del richiedente sono in conflitto con quelli degli altri componenti il nucleo familiare con lui conviventi». |
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L’art. 112 del medesimo d.P.R. prevede che il giudice revoca l'ammissione con decreto motivato:
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Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza (ud. 24 gennaio 2024) 7 febbraio 2024, n. 3501
Svolgimento del processo
1. Con decreto del 14 ottobre 2022, il Tribunale per i minorenni di Perugia, preso atto dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato in favore di C.A., disposta, nell'ambito del procedimento n. 679/17 aperto a tutela dei figli minori A. e S., dal Consiglio dell'Ordine degli avvocati di Perugia con provvedimento del 6 Febbraio 2019, revocò la stessa sul presupposto che la Direzione Provinciale di Perugia dell'Agenzia delle Entrate ne avesse fatto chiesta in tal senso e che il giudice dovesse prenderne atto, essendo demandata in via esclusiva a tale ufficio la facoltà di verifica delle condizioni reddituali del richiedente.
2. Contro il predetto decreto C.A. propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi, illustrati anche con memoria. Il Ministero della giustizia è rimasto intimato.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso, si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 112, comma 1, d.P.R. n. 115 del 2002, in relazione all’art. 161, n. 1, cod. proc. civ. e all'art. 360, n. 4, cod. proc. civ., per avere il giudice di merito revocato il provvedimento di ammissione al gratuito patrocinio senza specificare i motivi sottesi alla decisione, non essendo stato chiarito in quale delle due cause previste dall’art. 112 citato (mancanza originaria o sopravvenuta delle condizioni di reddito) fosse stata sussunta la fattispecie esaminata.
2. Col secondo motivo di ricorso, subordinato al primo, si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 76, comma 2, d.P.R. n. 115 del 2002, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., per avere il giudice di merito revocato l’ammissione al gratuito patrocinio, sostanzialmente aderendo agli accertamenti compiuti dall’Agenzia delle Entrate, che aveva cumulato i redditi del ricorrente con quelli della madre, R.S., benché non fosse con questa convivente, come dimostrato dagli allegati certificati storici di residenza, restando indifferente il fatto che la predetta avesse dichiarato di avere il proprio figlio a carico, che, peraltro, stava scontando una condanna dapprima in carcere e poi in una comunità di recupero. I giudici di merito avevano, perciò, errato in quanto avevano fondato la decisione equiparando i soggetti fiscalmente a carico di una determinata persona e il soggetto convivente, nonostante la norma, ai fini del cumulo dei redditi, richiedesse la convivenza.
3. Il primo motivo è infondato.
L’art. 76 prevede, quali condizioni per l’ammissione al gratuito patrocinio, la titolarità di un reddito imponibile ai fini dell'imposta personale sul reddito, risultante dall'ultima dichiarazione, non superiore a euro 9.296,22, stabilendo, altresì, che, salvo quanto previsto dall'articolo 92, se l'interessato convive con il coniuge o con altri familiari, il reddito è costituito dalla somma dei redditi conseguiti nel medesimo periodo da ogni componente della famiglia, compreso l'istante, tenuto conto anche dei redditi che per legge sono esenti dall'imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) o che sono soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta, ovvero ad imposta sostitutiva o del solo reddito personale quando sono oggetto della causa diritti della personalità, ovvero nei processi in cui gli interessi del richiedente sono in conflitto con quelli degli altri componenti il nucleo familiare con lui conviventi.
L’art. 112 del medesimo d.P.R. sancisce, poi, che il giudice revoca l'ammissione con decreto motivato: a) se, nei termini previsti dall'articolo 79, comma 1, lettera d), l'interessato non provvede a comunicare le eventuali variazioni dei limiti di reddito; b) se, a seguito della comunicazione prevista dall'articolo 79, comma 1, lettera d), le condizioni di reddito risultano variate in misura tale da escludere l'ammissione; c) se, nei termini previsti dall'articolo 94, comma 3, non sia stata prodotta la certificazione dell'autorità consolare; e d) d'ufficio o su richiesta dell'ufficio finanziario competente presentata in ogni momento e, comunque, non oltre cinque anni dalla definizione del processo, se risulta provata la mancanza, originaria o sopravvenuta, delle condizioni di reddito di cui agli articoli 76 e 92.
Quest’ultima fattispecie, che, come già affermato da questa Corte, assorbe le due fattispecie di cui alle lett. a) e b) (Cass., 3/4/2023, n. 9158, non massimata), è quella afferente al caso di specie, in cui, come si legge nel decreto impugnato, il Tribunale per i Minorenni ha revocato l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, già disposta in favore del ricorrente dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Perugia, in seguito alla richiesta in tal senso inoltrata dalla Direzione provinciale di Perugia dell’Agenzia delle Entrate, prendendo atto dell’accertamento svolto dall’Ufficio finanziario e sostenendo che si configurasse una delle ipotesi di revoca del provvedimento ai sensi degli artt. 126 e 136 d.P.R. n. 115 del 2002, a mente del quale la revoca del provvedimento è disposta in caso di sopravvenienza di modifiche alle condizioni reddituali rilevanti a questi fini o di insussistenza dei presupposti per l'ammissione (comma 1) ovvero se l'interessato ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave (comma 2).
Benché la norma richieda espressamente la motivazione del decreto di revoca, non può dirsi che questa sia stata nella specie mancante, atteso che il percorso argomentativo seguito dal giudice, nei termini sopra descritti, rende subito chiara la sua adesione agli esiti dell’indagine reddituale svolta dall’Ufficio accertatore, che, in quanto atto propulsivo del procedimento espressamente contemplato dalla lett. d) del ridetto art. 112, deve ritenersi conosciuto dall’istante.
Pertanto, la sussistenza della motivazione, sia pure sviluppata per relationem, non può che comportare la reiezione del primo motivo di doglianza.
4. La seconda censura è parimenti infondata.
Secondo quanto già affermato da questa Corte, l’art. 76, comma 1, del d.P.R. n. 115, secondo cui il limite di reddito per essere ammessi a tale beneficio è quello risultante dall'ultima dichiarazione dei redditi antecedente all'istanza di ammissione, va interpretato in correlazione con gli artt. 76, comma 3, e 79, comma 1, lett. d), del medesimo d.P.R., dai quali si desume che il presupposto sostanziale per l'ammissione è costituito dal reddito effettivamente percepito nell'anno antecedente all'istanza, dovendosi, al riguardo, tenere conto anche dei redditi non rientranti nella base imponibile (o perché esenti o perché non risultanti di fatto soggetti ad alcuna imposizione), nonché delle variazioni di reddito avvenute dopo la presentazione della dichiarazione predetta per tutta la durata del procedimento e sino alla sua definizione (Cass., Sez. 6-2, 21/7/2020, n. 15458), e anche della somma dei redditi conseguiti nel medesimo periodo dai familiari, da intendersi non soltanto coloro i quali sono legati all'istante da vincoli di consanguineità o comunque giuridici, ma anche quanti convivono con lui, rilevando un legame affettivo stabile e duraturo, a prescindere dalla coabitazione fisica, atteso che, nella materia di cui si discetta, la locuzione ”componente della famiglia“ ha una sua specifica pregnanza, avendo il legislatore voluto tenere conto della capacità economico- finanziaria di tutti coloro che, per legami giuridici o di fatto, comunque concorrono a formare il reddito familiare del soggetto richiedente il beneficio (come in caso di convivenza more uxorio, vedi Cass. Civ. n. 4975/2022, Cass. Pen. n. 109/2005, Cass. Pen. n. 19349/2005, Cass. Pen. n. 13265/2004), e ciò in quanto non sarebbe conforme ai princìpi costituzionali di solidarietà, di equa distribuzione e di partecipazione di ogni cittadino alla spesa comune attraverso il prelievo fiscale il fatto di gravare i contribuenti del costo della difesa di chi può fruire dell’apporto economico dei vari componenti il nucleo familiare, ancorché il suo reddito personale gli consenta di accedere al beneficio (Cass., Sez. 2, 26/6/2023, n. 18134).
Peraltro, il rapporto di convivenza familiare, essendo caratterizzato da continuativi rapporti di affetto, da costante comunanza di interessi e responsabilità, e dunque da un legame stabile e duraturo, prescinde dalla coabitazione fisica e non può ritenersi escluso dallo stato di detenzione, pur protratto nel tempo, di uno dei componenti del nucleo familiare, il quale, pertanto, anche in una siffatta ipotesi, non può omettere di indicare, nell’istanza di ammissione, il reddito dei familiari conviventi (cfr. Cass. Pen., Sez. 4, 20/3/2015, n. 15715; Cass. Pen., Sez. 4, 17/1/2006, n. 17374), mentre, proprio perché la convivenza realizza una situazione di fatto e non di diritto, la sua prova non può scaturire, del tutto formalisticamente, dalle sole risultanze anagrafiche, essendo invece ricavabile da ogni accertata evenienza fattuale che, nella sostanza e nella realtà, dia contezza della sussistenza di un simile rapporto (cfr. Cass. Pen., Sez. 4, 3/10/2022, n. 37207; Cass. Pen., Sez. 4, 22/9/2021, n. 36559; Cass. Pen., Sez. 4, 9/3/2017, n. 11470; Cass. Pen., Sez. 4, 17/2/2005, n. 19349).
Alla stregua di tali principi, deve perciò escludersi la fondatezza del motivo, non rilevando, ai fini della determinazione del reddito, il fatto che, nel periodo esaminato dagli accertatori, il ricorrente si trovasse in stato di detenzione o in comunità di recupero.
Ne consegue il rigetto della censura.
5. In conclusione, dichiarata l’infondatezza dei due motivi, il ricorso deve essere rigettato. Non avendo l’intimato spiegato difesa, nulla deve disporsi sulle spese.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.