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7 febbraio 2024
Gratuito patrocinio: rilevanti i redditi del convivente anche se l’istante è in carcere
Il rapporto di convivenza familiare prescinde dalla coabitazione fisica e non può ritenersi escluso dallo stato di detenzione, pur protratto nel tempo, di uno dei componenti del nucleo familiare. Pertanto, anche in tale ipotesi, l’istante non può omettere di indicare il reddito dei familiari conviventi nell’istanza di ammissione.
La Redazione
Il Tribunale per i minorenni di Perugia, preso atto dell'ammissione al gratuito patrocinio a spese dello Stato in favore di Caio, disposta nell'ambito del procedimento aperto a tutela dei 2 figli minori dal COA di Perugia, revocava la stessa sul presupposto che la Direzione Provinciale di Perugia dell'Agenzia delle Entrate ne avesse richiesto la verifica delle condizioni reddituali del richiedente.
Avverso tale decreto Caio propone ricorso per cassazione, lamentando, il fatto che il Giudice di merito aveva revocato l’ammissione al gratuito patrocinio, sostanzialmente aderendo agli accertamenti compiuti dal Fisco, che aveva cumulato i redditi del ricorrente con quelli della madre, anche se non conviventi, come dimostrato dagli allegati certificati storici di residenza, restando indifferente il fatto che la predetta avesse dichiarato di avere il proprio figlio a carico, che, peraltro, stava scontando una condanna dapprima in carcere e poi in una comunità di recupero. I giudici di merito avevano, perciò, sbagliato in quanto avevano fondato la decisione equiparando i soggetti fiscalmente a carico di una determinata persona e il soggetto convivente, nonostante la norma, ai fini del cumulo dei redditi, richiedesse la convivenza.
Giunti in sede di legittimità, la Suprema Corte precisa che 

legislazione

«l’art. 76 prevede, quali condizioni per l’ammissione al gratuito patrocinio, la titolarità di un reddito imponibile ai fini dell'imposta personale sul reddito, risultante dall'ultima dichiarazione, non superiore a euro 9.296,22, stabilendo, altresì, che, salvo quanto previsto dall'articolo 92, se l'interessato convive con il coniuge o con altri familiari, il reddito è costituito dalla somma dei redditi conseguiti nel medesimo periodo da ogni componente della famiglia, compreso l'istante, tenuto conto anche dei redditi che per legge sono esenti dall'imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) o che sono soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta, ovvero ad imposta sostitutiva o del solo reddito personale quando sono oggetto della causa diritti della personalità, ovvero nei processi in cui gli interessi del richiedente sono in conflitto con quelli degli altri componenti il nucleo familiare con lui conviventi».

legislazione

L’art. 112 del medesimo d.P.R. prevede che il giudice revoca l'ammissione con decreto motivato:
  1. se l'interessato non provvede a comunicare le eventuali variazioni dei limiti di reddito;
  2. se le condizioni di reddito risultano variate in misura tale da escludere l'ammissione;
  3. se non sia stata prodotta la certificazione dell'autorità consolare;
  4. d'ufficio o su richiesta dell'ufficio finanziario competente presentata in ogni momento e, comunque, non oltre 5 anni dalla definizione del processo, se risulta provata la mancanza, originaria o sopravvenuta, delle condizioni di reddito.
 
La Corte di Cassazione precisa che l’art. 76, c. 1, del d.P.R. n. 115, secondo cui il limite di reddito per essere ammessi a tale beneficio è quello risultante dall'ultima dichiarazione dei redditi antecedente all'istanza di ammissione, va interpretato in correlazione con gli artt. 76, c. 3, e 79, c. 1, lett. d), del medesimo d.P.R., dai quali si desume che il presupposto sostanziale per l'ammissione è composto dal reddito effettivamente percepito nell'anno antecedente all'istanza, dovendosi, al riguardo, considerare anche i redditi non rientranti nella base imponibile nonché delle variazioni di reddito avvenute dopo la presentazione della dichiarazione predetta per tutta la durata del procedimento e fino alla sua definizione e anche della somma dei redditi conseguiti nel medesimo periodo dai familiari, da intendersi non solo coloro che sono legati all'istante da vincoli di consanguineità o comunque giuridici, ma anche coloro che convivono con lui, rilevando un legame affettivo stabile e duraturo, a prescindere dalla coabitazione fisica.
 
Peraltro, il rapporto di convivenza familiare, essendo caratterizzato da continuativi rapporti di affetto, da costante comunanza di interessi e responsabilità, e dunque da un legame stabile e duraturo, prescinde dalla coabitazione fisica e non può ritenersi escluso dallo stato di detenzione, pur protratto nel tempo, di uno dei componenti del nucleo familiare, il quale, pertanto, anche in tale ipotesi, non può omettere di indicare, nell’istanza di ammissione, il reddito dei familiari conviventi, mentre, proprio perché la convivenza realizza una situazione di fatto e non di diritto, la sua prova non può scaturire, del tutto dalle sole risultanze anagrafiche, essendo invece ricavabile da ogni accertata evenienza fattuale che, nella sostanza e nella realtà, dia contezza della sussistenza di un simile rapporto.
 
Per questi motivi, la Cassazione, con l’ordinanza n. 3501 del 7 febbraio 2024, rigetta il ricorso non rilevando, ai fini della determinazione del reddito, il fatto che, nel periodo esaminato dagli accertatori, il ricorrente si trovasse in stato di detenzione o in comunità di recupero.