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Svolgimento del processo / Motivi della decisione
1. L’avv. G. B. proponeva opposizione avverso il decreto del 4 luglio 2018 con il quale il Tribunale di Milano aveva liquidato il compenso per l‘attività professionale maturata per l’assistenza offerta ad un cittadino extracomunitario in un processo penale, nel quale era stato designato come difensore d’ufficio.
In particolare, lamentava che, avendo agito per il pagamento del compenso da parte dello Stato, attesa l‘irreperibilità dell’assistito, il decreto aveva omesso di riconoscere anche le spese sostenute per il recupero del credito professionale, che costituisce però presupposto necessario per la liquidazione.
Il Tribunale di Milano con ordinanza del 29 gennaio 2019 ha parzialmente accolto l’opposizione, in quanto, pur ritenendo dovute le spese sostenute per il procedimento monitorio esperito dall’avv. B. nei confronti del proprio assistito, ed avendo provveduto alla loro determinazione in base ai parametri di cui al DM n. 55/2014, riteneva però che tali importi dovessero essere ridotti di un terzo ex art. 106 bis del DPR n. 115/2002.
Inoltre, pur reputando applicabile il principio di soccombenza per il giudizio di opposizione, applicava all’importo riconosciuto la riduzione della metà ai sensi dell’art. 130 del DPR n. 115/2002.
2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso B. G., articolando tre motivi di ricorso.
Con ordinanza interlocutoria n. 24358 del 10 agosto 2023, questa Corte ha disposto la rinnovazione della notifica all’Avvocatura Generale dello Stato, essendo stato inizialmente notificato il ricorso presso l’Avvocatura Distrettuale.
All’esito della rinnovazione, il Ministero della Giustizia si è costituito soli ai fini dell’eventuale discussione orale della causa.
3. Con il primo motivo di ricorso si denuncia la falsa applicazione dell’art. 106 bis del DPR n. 115/2002 quanto alla riduzione di un terzo dei compensi professionali relativi alle procedure di recupero del credito professionale, in quanto si evidenzia che la norma de qua è riferibile ai soli compensi maturati dal difensore per le prestazioni rese in favore della parte ammessa al beneficio del patrocinio, ovvero della parte difesa d’ufficio, ma successivamente resasi irreperibile, così che la relativa riduzione non può estendersi alle diverse spese sostenute per dimostrare l’impossibilità di conseguire il compenso dal proprio assistito.
Il motivo è fondato.
L’art. 116 del DPR n. 115/2002, quanto alla liquidazione dell'onorario e delle spese al difensore di ufficio, prevede che “L'onorario e le spese spettanti al difensore di ufficio sono liquidati dal magistrato, nella misura e con le modalità previste dall'articolo 82 ed è ammessa opposizione ai sensi dell'articolo 84, quando il difensore dimostra di aver esperito inutilmente le procedure per il recupero dei crediti professionali”.
La giurisprudenza di questa Corte, alla quale in parte qua risulta essersi conformata anche l’ordinanza impugnata, ha poi affermato che (Cass. n. 278/2022) il difensore d'ufficio ha diritto al rimborso dei compensi maturati nella infruttuosa procedura esecutiva volta alla riscossione del proprio onorario, ed in generale di tutte le spese, dei diritti e degli onorari relativi alle procedure di recupero del credito non andate a buon fine (Cass. n. 15006/2021; Cass. n. 22579/2019; Cass. n. 30484/2017, che in motivazione ha evidenziato che trattasi di approdo al quale è giunta la più recente giurisprudenza di questa Corte, che ha preso le mosse dall'indirizzo maggioritario nella giurisprudenza delle sezioni penali della Corte di cassazione, secondo cui il difensore d'ufficio, che abbia inutilmente esperito la procedura esecutiva volta alla riscossione dell'onorario, ha diritto al rimborso dei compensi ad essa relativi in sede di liquidazione dei propri compensi da parte del giudice ai sensi del combinato disposto del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 82 e 116).
Il Tribunale, pur ritenendo che il ricorrente avesse esperito le procedure finalizzate al recupero del proprio credito verso l’assistito, procedure che hanno determinato il compimento di prestazioni professionali, ha però ritenuto di dover riconoscere i relativi importi con la decurtazione di cui all’art. 106 bis del DPR n. 115/2202, a mente del quale “Gli importi spettanti al difensore, all'ausiliario del magistrato, al consulente tecnico di parte e all'investigatore privato autorizzato sono ridotti di un terzo”.
Trattasi però di conclusione erronea in punto di diritto, in quanto la norma risulta dettata evidentemente per i soli compensi maturati per la difesa prestata in favore del soggetto beneficiato (o perché ammesso ab origine al patrocinio a spese dello Stato, ovvero perché trattasi di soggetto difeso d’ufficio e resosi irreperibile) nel processo penale, di modo che risulta evidente come la decurtazione non possa estendersi alla diversa attività professionale che il difensore abbia dovuto esperire per potersi avvalere della liquidazione del compenso ex art. 116 citato.
Depone in tal senso la circostanza che si tratta in questo caso di attività difensiva che non si esplica nel processo penale (il che rende già evidente l’inconferenza del richiamo all’art. 106 bis) e che soprattutto è rivolta non già a vantaggio dell’assistito ma contro questi, al fine di rendere manifesto come sia maturato il presupposto dell’impossibilità di recuperare il compenso nei confronti del cliente. In tal caso, la prestazione professionale poi non è necessariamente svolta da parte del soggetto che richiede la liquidazione, ma si configura come una spesa da affrontare necessariamente per poter richiedere la liquidazione allo Stato. Inoltre, l’attività di recupero non deve essere per forza svolta dallo stesso difensore che chiede la liquidazione del compenso, ma ben potrebbe essere affidata ad un diverso professionista, al quale sicuramente non potrebbe essere opposta la decurtazione del compenso, agendo su incarico e nell’interesse del collega a tutela dei diritti di credito vantati da quest’ultimo nei confronti del soggetto difeso d’ufficio.
Il provvedimento impugnato deve quindi essere cassato e va affermato il seguente principio di diritto: In caso di applicazione dell’art. 116 del DPR n. 115/2002, le spese sostenute per il recupero dei crediti professionali, ove consistenti nel rimborso dei compensi maturati per le procedure civili esperite nei confronti del cliente (monitorie o esecutive) non sono suscettibili di decurtazione ai sensi dell’art. 106 bis del medesimo DPR n. 115/2002.
4. Il secondo motivo denuncia la falsa applicazione dell’art. 130 del DPR n. 115/2002, con riferimento alla riduzione alla metà delle spese di lite liquidate a seguito dell’accoglimento dell’opposizione.
Assume il ricorrente che la regolazione delle spese, in base al principio di soccombenza, all’esito del giudizio di opposizione non ha alcuna attinenza con il diritto alla liquidazione dei compensi maturati per l‘attività prestata in favore della parte ammessa al beneficio del patrocinio, così che avere esteso anche alle prime la detta decurtazione costituisce una violazione di legge.
Anche tale motivo è fondato.
E, infatti, è stato ribadito che (Cass. 1470/2018) il ricorso avverso il decreto di liquidazione del compenso all'ausiliario del magistrato, nel regime introdotto dall'art. 170 del d.P.R. n. 115 del 2002 - come già nella vigenza della l. n. 319 del 1980 -, non è atto di impugnazione, ma atto introduttivo di un procedimento contenzioso, nel quale il giudice adito ha il potere-dovere di verificare la correttezza della liquidazione in base ai criteri legali, a prescindere dalle prospettazioni dell'istante - con il solo obbligo di non superare la somma richiesta, in applicazione del principio di cui all'art. 112 c.p.c. - e di regolare le spese secondo il principio della soccombenza.
A differenza dell’ipotesi in cui l’opposizione sia rivolta avverso il provvedimento con il quale sia stata rigettata la richiesta di ammissione al beneficio del patrocinio, ove si ritiene che il decreto di ammissione estenda i suoi effetti a tutte le procedure, derivate ed accidentali, comunque connesse al procedimento penale, tra le quali deve essere annoverata quella originata dal rigetto della domanda di ammissione (Cass. pen. n. 22757/2018; Cass. n. 30380/2023), tale estensione non opera nel momento in cui, esauritasi la prestazione resa a favore del soggetto patrocinato, l’oggetto del contendere verta unicamente sulla misura del compenso.
In tale ipotesi, le spese eventualmente sostenute per l’opposizione al decreto di liquidazione (che ben potrebbe essere patrocinato da difensore diverso da quello che ha presentato istanza di liquidazione) vanno riconosciute, come detto, in base al principio della soccombenza, ma senza alcuna possibilità di riduzione ai sensi dell’art. 130 citato.
Anche tale motivo deve quindi essere accolto con la conseguente cassazione dell’ordinanza impugnata.
5. Il terzo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 91 c.p.c. quanto alla mancata liquidazione da parte del giudice dell’opposizione delle anticipazioni sostenute dal ricorrente (contributo unificato, marca da bollo, costo notifica ricorso e decreto di fissazione) sebbene le stesse fossero state documentate.
In disparte l’applicazione del principio secondo cui, in tema di spese processuali, qualora il provvedimento giudiziale rechi la condanna alle spese e, nell'ambito di essa, non contenga alcun riferimento alla somma pagata dalla parte vittoriosa a titolo di contributo unificato, la decisione di condanna deve intendersi estesa implicitamente anche alla restituzione di tale somma, in quanto il contributo unificato, previsto dall'art. 13 del d.P.R. n. 115 del 2002, costituisce un'obbligazione "ex lege" di importo predeterminato, che grava sulla parte soccombente per effetto della stessa condanna alle spese, la cui statuizione può conseguentemente essere azionata, quale titolo esecutivo, per ottenere la ripetizione di quanto versato in adempimento di quell'obbligazione (Cass. n. 18529 del 10/07/2019), quanto alla mancata liquidazione delle spese vive, va richiamato l‘altrettanto pacifico principio secondo cui l'errore del giudice nella determinazione della misura delle spese vive sostenute dalla parte vittoriosa può essere emendato o con il procedimento di correzione di cui all'art. 287 cod. proc. civ., ovvero per mezzo del procedimento di revocazione del provvedimento che le ha liquidate, ma non col ricorso per cassazione (Cass. n. 21012 del 12/10/2010; Cass. n. 16778/205).
Il motivo deve quindi essere dichiarato inammissibile.
6. Atteso l’accoglimento dei primi due motivi, l’ordinanza è cassata, ma non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la controversia può essere decisa nel merito, provvedendosi al riconoscimento delle spese per le procedure di recupero sostenute dal ricorrente, al netto della decurtazione operata, e quindi in misura pari ad € 585,00.
Del pari le spese del giudizio di opposizione vanno liquidate in misura pari ad 700,00 (al netto della decurtazione sempre illegittimamente operata), oltre oneri di legge.
7. Anche le spese del presente giudizio, attesa la prevalente soccombenza del Ministero, seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte accoglie i primi due motivi di ricorso nei limiti di cui in motivazione, dichiara inammissibile il terzo motivo, cassa l’ordinanza impugnata in relazione ai motivi accolti e decidendo nel merito liquida in favore del ricorrente la somma di € 585,00, a titolo di rimborso delle spese di recupero del credito professionale, e di € 700,00, oltre spese generali pari al 15 %, ed accessori di legge se dovuti, quale rimborso delle spese del giudizio di opposizione;
Condanna il Ministero della Giustizia al rimborso delle spese del presente giudizio che liquida in complessivi € 750.00, di cui € 550,00 per esborsi, oltre spese generali, pari al 15% sui compensi, ed accessori di legge se dovuti.