Nel caso di specie, tuttavia, i Giudici non avevano considerato l'adottanda come parte del procedimento, né avevano verificato la sua perdurante volontà di essere adottata; di conseguenza accolgono le censure sollevate dalla ricorrente, nonché ex moglie dell'adottante.
La Corte d'Appello di Milano riformava la sentenza di primo grado dichiarando l'adozione da parte dell'adottante, coniuge separato dall'odierna ricorrente dalla cui unione non erano nati figli, della pronipote. A fondamento della decisione, il fatto che l'avvenuta separazione consensuale tra i coniugi, omologata con decreto del Tribunale, fa venir meno la condizione ostativa all'adozione, rappresentata dal dissenso della (ormai) ex coniuge nel procedimento di primo grado conclusosi con sentenza. L'
Contro tale decisione, la ex moglie propone ricorso in Cassazione lamentando, tra le altre cose, il fatto che la Corte d'Appello non avesse considerato l'adottanda come parte del processo, né avesse verificato la sua perdurante volontà di essere adottata.
Con l'ordinanza n. 3766 del 12 febbraio 2024, gli Ermellini accolgono le censure della ricorrente, evidenziando che per procedere all'adozione del maggiorenne non si può prescindere dal consenso dell'adottante e dell'adottando, nonché dei genitori dell'adottando, del coniuge dell'adottante e di quello dell'adottando non separati legalmente e dei figli maggiorenni dell'adottante, poiché tali soggetti subiscono con l'adozione una variazione importante circa il loro status. Poi il Tribunale può comunque pronunciare l'adozione laddove riscontri che il rifiuto dell'assenso da parte dei genitori o dei discendenti dell'adottante sia privo di giustificazione o contrario all'interesse dell'adottando.
Passando alla revoca del consenso, gli Ermellini affermano che dopo la decisione del Tribunale che pronuncia l'adozione, detta revoca da parte dell'adottante o dell'adottando non è più rilevante poiché è già intervenuta la sentenza di adozione costitutiva dello status. Tuttavia, il limite previsto per la revoca del consenso all'adozione ai sensi dell'art. 47
Nel caso in esame, la Corte d'Appello, dando rilevanza all'intervenuta separazione consensuale omologata tra l'adottante e la moglie che in primo grado aveva negato il suo assenso all'adozione, aveva implicitamente ritenuto che detto assenso costituisse una mera condizione dell'adozione, e non un presupposto processuale che poteva intervenire fino al momento della decisione, anche d'appello. Costituisce infatti condizione dell'azione l'evento che, anche se non sussiste al momento della domanda, consente al giudice di esaminare il merito della controversia se, al momento della decisione, risulta essersi verificato ed essendo verificabile, come tale, anche considerando i fatti sopravvenuti durante il giudizio.
Tuttavia, come osservano i Giudici, a causa della mancata conclusione del procedimento di adozione, ancora aperto e suscettibile di esame anche sulla base di fatti sopravvenuti, nel momento in cui la Corte d'Appello aveva ritenuto fosse venuta meno la causa ostativa all'adozione (il dissenso della ex moglie dell'adottante), avrebbe dovuto integrare il contraddittorio nei confronti dell'adottanda che non era stata evocata in giudizio in fase di reclamo e che invece è parte necessaria nel procedimento di adozione, così come era necessario verificare la condizione del persistere del suo consenso, tenendo conto che nel caso di specie la sentenza del Tribunale aveva negato l'adozione e quindi non era stata pronunciata alcuna pronuncia costitutiva ai fini che interessano.
Segue l'accoglimento dei motivi di ricorso.
Svolgimento del processo
Con sentenza n. 14/23, pubblicata il 20/3/2023, la Corte di appello di Milano, in riforma della sentenza n. 33/2022 del Tribunale di Milano del 2/05/2022, dichiarava l’adozione da parte di P. B., nato a S. il (omissis), fondatore di una casa di moda, coniuge separato di M. F. (dalla cui unione non erano nati figli), della pronipote A. B., nata a S. il (omissis) da R. A. B. e F. R. C., e ordinava all’Ufficiale dello Stato civile del Comune di S. di provvedere alla prescritta adozione a margine dell’atto di nascita dell’adottata, condannando M. F., ex coniuge di P.B. e odierna ricorrente in cassazione, al pagamento delle spese di lite.
La Corte di appello, ritenendo che in materia di adozione di maggiorenni la decisione può essere fondata anche su fatti sopravvenuti, sia per la natura della pronuncia, costitutiva del nuovo status parentale tra adottante ed adottato, sia per la necessità della «esistenza e permanenza delle condizioni previste dalla legge per farsi luogo alla declaratoria richiesta al momento della decisione», motivava la propria decisione alla luce del fatto che, con l’avvenuta separazione personale consensuale tra i coniugi P. B. e M. F., omologata con il decreto del 4/10/2022 del Tribunale di Milano, veniva meno la condizione ostativa all’adozione, rappresentata dal dissenso espresso da M. F. nel procedimento di primo grado, conclusosi con la sentenza n. 37/2022 (allorché si era accertato che non vi era «una reale definitività della cessazione della convivenza» tra i coniugi B.- F.).
Invero, l’art. 297 c.c. non richiede, per l’adozione del maggiorenne, anche il consenso del coniuge legalmente separato. Pertanto, la Corte territoriale non considerava le ragioni del dissenso di M. F. e riteneva non rilevanti le asserzioni di quest’ultima relative alla presunta incapacità di P. B., in quanto smentite «per facta concludentia dal recentissimo accordo di omologa del Tribunale della separazione personale tra i coniugi» e perché prive di prova.
Avverso tale sentenza, M. F. propone ricorso per cassazione, affidandosi a otto motivi, notificato il 19/5/2023, nei confronti di P. B., che resiste con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
Motivi della decisione
1. La ricorrente lamenta: a) con il primo motivo, la nullità della sentenza ex art. 360, n.4, c.p.c., in relazione agli art. 296, 298, 311, 312 e 2909 c.c. e 101, 102, 331, 737, 738, 739, 742 bis c.p.c., per non avere la Corte di appello considerato come parte del giudizio anche l’adottanda A. B., in considerazione del fatto che quest’ultima non era stata in alcun modo chiamata a partecipare al procedimento di reclamo, non risultando agli atti alcuna notifica indirizzata alla stessa, né essendo mai stata dichiarata contumace, sostenendo la ricorrente che l’adottanda sia una parte necessaria del procedimento di adozione, soprattutto in un caso come quello di specie in cui l’adozione è stata disposta solo nel secondo grado, anche al fine di verificare la perdurante volontà dell’adottante e dell’adottato all’adozione, potendo tali soggetti, ai sensi dell’art. 298 c.c. revocare il proprio consenso finché il decreto non è emanato; b) con il secondo motivo, la violazione e falsa applicazione ex art. 360, n. 3, c.p.c. degli art. 296, 298, 311, 312 e 313 c.c., per non avere la Corte d’appello verificato la perdurante volontà di adozione dell’adottanda A. B.; c) con il terzo motivo, la nullità della sentenza ex art. 360, n.4, c.p.c., in relazione agli artt. 24, commi 1 e 2, 6 CEDU, 101, 127 ter, 313, 345, 737, 738, 739, 742 bis c.p.c., 221, comma 4, d.l. 19 maggio 2020, n. 34, convertito dalla l. 17 luglio 2020, n. 77, per la violazione del giusto processo, del contraddittorio, delle regole sul procedimento di gravame e delle disposizioni sulla trattazione scritta, in relazione al procedimento di reclamo, sostenendo che la Corte d’appello non le abbia dato la possibilità di replicare in merito ai nuovi documenti prodotti in grado di appello da P. B., in quanto il procedimento di reclamo si è svolto secondo nelle forme della trattazione cartolare, previste dalla legislazione emergenziale, sulla scorta del provvedimento emesso dalla Corte d’appello in data 28.6.2022, poi confermato per la successiva udienza dall’invito della medesima Corte datato 10.3.1023; d) con il quarto motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360, n. 3, c.p.c. , dell’art. 111, comma 6, Cost., degli art. 296, 298, 311, 312, 313, 428, 2697 e 2729 c.c. e 112, 115, 116 e 132 c.p.c. per avere la Corte territoriale violato i principi di diritto che imponevano l’accertamento della capacità di P. B. a prestare consenso all’adozione; e) con il quinto motivo, le medesime doglianze sotto il profilo della nullità della sentenza ex art. 360, n.4, c.p.c., in relazione all’art. 111, comma 6, Cost., e agli artt. 296, 298, 311, 312, 313, 428, 1697 e 1729 e 112, 115, 116 e 132 c.p.c. per omessa o apparente motivazione; f) con il sesto motivo, omesso esame di un fatto decisivo della controversia ex art. 360, n. 5, c.p.c., per avere la Corte territoriale omesso di esaminare i fatti che attestano lo stato di incapacità naturale di P. B.; g) con il settimo motivo, la nullità della sentenza ex art. 360, n.4, c.p.c., in relazione all’art. 295 c.p.c., artt. 24, commi 1 e 2, 111, comma 6, Cost, 2697 c.c. e 115 e 132 c.p.c., per non avere la Corte territoriale disposto la sospensione del procedimento di reclamo, in attesa del procedimento per amministrazione di sostegno, e comunque per non avere, quantomeno, atteso l’esito della CTU psichiatrica disposta in detto procedimento, assumendo che la Corte d’appello fosse obbligata a sospendere il procedimento di reclamo, sussistendo un nesso di pregiudizialità tra quest’ultimo e il procedimento di «ADS» nei confronti del B., della cui pendenza la Corte era stata edotta dalla stessa ricorrente; h) con l’ottavo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360, n. 3, c.p.c. , degli artt. 2 e 29 Cost., 291, 296, 297, 298, 311, 312, 313, 428, 2697 e 2729 c.c., e 112, 115, 116, 132, 345, 739 c.p.c., per avere la Corte territoriale integralmente omesso di valutare e applicare i requisiti anche solidaristici e personalistici necessari per dare corso all’adozione, in quanto nella sentenza impugnata non vi è alcun riferimento al merito della vicenda, ai rapporti tra i diversi soggetti coinvolti, anche in considerazione all’opportunità dell’adozione, ai suoi presupposti e alle sue conseguenze.
2. Il controricorrente ha eccepito in questa sede di legittimità il difetto di legittimazione della F., in quanto tra i soggetti legittimati ad impugnare, ex art.313, comma 2, c.p.c., la sentenza che decide sull’adozione dei maggiorenni (l’adottante, il pubblico ministero, l’adottando) non vi è il coniuge dell’adottante. L’eccezione non merita accoglimento.
Nella specie il giudizio di reclamo, promosso dal B., si è svolto nel contraddittorio con la F., che ha quindi assunto la veste di litisconsorte processuale.
Questa Corte ha chiarito che «La legittimazione al ricorso per cassazione, o all'impugnazione in genere, spetta esclusivamente a chi abbia formalmente assunto la qualità di parte nel grado del giudizio di merito conclusasi con la sentenza impugnata, indipendentemente dall'effettiva titolarità del rapporto giuridico sostanziale dedotto in giudizio, atteso che con l'impugnazione non si esercita un'azione, ma un potere processuale che, per sua natura, può spettare soltanto a chi abbia partecipato al pregresso grado di giudizio, non rilevando in contrario che il soggetto, rimasto estraneo a questo, deduca a fondamento della proposta impugnazione la propria qualità di litisconsorte necessario e la sua illegittima pretermissione, in quanto siffatte deduzioni possono giustificare l'inopponibilità della sentenza nei suoi confronti o legittimarlo all'opposizione di terzo ex art. 404 cod. proc. civ., non anche all'impugnazione ordinaria».
3. Tanto premesso, le prime due censure sono fondate.
Nella specie, la domanda di adozione era stata in primo grado respinta, essendosi ritenuta operante la condizione ostativa del rifiuto di consenso da parte della coniuge dell’adottante (B.), all’epoca non legalmente separata.
Nelle more del procedimento di reclamo (proposto dall’adottante B. nei confronti della moglie F., che si era opposta all’adozione, senza evocazione in giudizio dell’adottata, A. B.), è intervenuta la separazione personale consensuale dei coniugi B.-F., con decreto del Tribunale di omologa del 4/10/2022.
Ora, per procedere all’adozione di maggiorenne occorre, oltre al consenso dell’adottante e dell’adottando (art.296 c.c.), soggetti tra i quali si costituisce il rapporto adottivo, l’assenso dei genitori dell’adottando, del coniuge dell’adottante e di quello dell’adottando non separati legalmente (art.297 c.c.), nonché dei figli maggiorenni dell’adottante (Corte Costituzionale n. 937/1988 e n. 345/1992), quali soggetti che subiscono rilevanti ripercussioni di status, proprio in seguito all’adozione; il Tribunale può ugualmente pronunciare l’adozione, se ritiene ingiustificato o contrario all’interesse dell’adottando il rifiuto dell’assenso da parte dei genitori o dei discendenti dell’adottante (Corte Cost. n. 345/1992).
L’adozione in esame è «essenzialmente determinata dal consenso dell’adottante e dell’adottando, giacché il controllo del Tribunale verte sui requisiti che legittimano l’adozione, essendo rimesso al giudice il ristretto potere di valutare se l’adozione “conviene” all’adottando (art. 312 del codice civile)» (sentenza n. 89 del 1993, punto 3 del Considerato in diritto).
Nell’adozione di persone maggiori di età, al giudice non è attribuito alcun discrezionale apprezzamento dell’interesse della persona dell’adottando, né possono essere effettuati quegli incisivi controlli previsti per l’adozione di minori, che significativamente rispecchiano la diversità di presupposti e di finalità dei due istituti.
L’art. 298 comma 2 stabilisce poi che, «finché il decreto non è emanato, tanto l’adottante quanto l’adottando possono revocare il consenso»; e questa Corte (Cass. 1133/1988) ha affermato che, «nel procedimento di adozione di persona maggiorenne disciplinato dagli articoli 291 e seguenti (nuovo testo) del codice civile, la revoca del consenso dell’adottante o dell’adottato deve essere espressa prima della pronuncia del tribunale e non anche prima della pronuncia della Corte d’appello in Sede di reclamo, essendo questa ultima meramente eventuale e non potendosi consentire che un atto dispositivo della parte ponga nel nulla il provvedimento del tribunale».
Quindi, dopo la sentenza del Tribunale che pronuncia l’adozione, la revoca del consenso, dell’adottante o dell’adottando, è irrilevante in quanto è già intervenuta la sentenza di adozione, costitutiva dello status.
Si è tuttavia precisato che il limite previsto per la revoca del consenso alla adozione, dall’art.47 l. 183/1984 (si discuteva infatti di un’adozione in casi particolari ex art.44 L. 183/1984), che non può essere successivo al decreto che pronuncia l’adozione, «non impedisce all’adottante di far valere, con il reclamo di cui all’art. 313 cod. proc. civ., sopravvenute circostanze ostative alla adozione, perché queste circostanze, anche quando dipendono dalla volontà dell’adottante (quale, nella specie, il deterioramento dei rapporti coniugali), si distinguono logicamente dalla revoca, che determina il venir meno di un dato soggettivo per la pronuncia del provvedimento di adozione» (Cass. 4258/1995).
Orbene, nella specie, la Corte d’appello, nel ritenere ammissibile la deduzione, in sede di reclamo avverso la sentenza che aveva respinto la domanda di adozione, del fatto sopravvenuto rappresentato dalla separazione consensuale omologata tra l’adottante e la moglie che in primo grado aveva negato l’assenso all’adozione, che faceva venir meno la causa ostativa, ha implicitamente ritenuto che tale assenso costituisse una mera condizione dell’adozione, non un presupposto processuale, che poteva intervenire sino al momento della decisione, anche d’appello.
Invero, costituisce condizione dell’azione l’evento – fattuale o giuridico – che, quand’anche insussistente al momento della proposizione della domanda, consente al giudice di esaminare il merito della controversia se, al tempo della decisione, risulta essersi verificato (Cass. 1626/1996; Cass. 8388/2000) ed essendo verificabile, come tale, anche tenendo conto dei fatti sopravvenuti nelle more del giudizio (Cass. 6718/1981).
Peraltro, anche ragioni di economia processuale sorreggono tale conclusione.
Tuttavia, per effetto della non conclusione del procedimento di adozione, ancora aperto e suscettibile di esame sulla base anche di fatti sopravvenuti, nel momento in cui la Corte d’appello aveva ritenuto che fosse venuta meno la causa ostativa all’adozione, rappresentata dal diniego del coniuge ormai legalmente separato, si sarebbe dovuto integrare il contraddittorio nei confronti dell’adottanda A. B., che non era stata evocata in giudizio nella fase di reclamo e che è invece parte necessaria nel procedimento di adozione (insieme all’adottante ed al pubblico ministero).
Doveva, inoltre, essere verificata la condizione del persistere del consenso dell’adottanda.
Invero, la revoca del consenso, dell’adottante o dell’adottando, è irrilevante soltanto dopo la sentenza del Tribunale «che pronuncia l’adozione», in quanto vi è la sentenza di adozione, costitutiva dello status ma, nella specie, la sentenza del Tribunale aveva negato l’adozione e non era quindi una pronuncia costitutiva, ai fini che qui interessano, ai sensi dell’art.298, comma 2, c.c..
4. Gli ulteriori motivi sono assorbiti.
5. Per quanto sopra esposto, vanno accolti i primi due motivi del ricorso, assorbiti gli altri, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio della causa alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione.
Il giudice del rinvio provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie i primi due motivi di ricorso, assorbiti i restanti motivi, cassa la sentenza impugnata con rinvio della causa alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, anche in ordine alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
Dispone che, ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi, in caso di diffusione del presente provvedimento.