
La chiara conoscibilità dell'atto lesivo, quale elemento connaturato al diritto di difesa, comporta il diritto degli stranieri di ricevere gli atti amministrativi in una lingua comprensibile per il destinatario del provvedimento.
A seguito di domanda per il riconoscimento della protezione internazionale per richiedenti asilo, Tizio veniva ammesso al sistema di accoglienza e temporaneamente collocato nel centro di accoglienza per stranieri.
A seguito di rinuncia di Tizio al ricovero presso altra struttura indicata dalla Prefettura, quest'ultima disponeva la revoca delle misure di accoglienza. L'atto, tradotto nelle lingue veicolari, è stato notificato a mani del ricorrente dalla Questura in pari data.
Il ricorrente impugnava con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica il provvedimento domandandone l'annullamento, previa sospensione della sua efficacia, per violazione della disciplina di settore e difetto dei presupposti (primo motivo), per mancata traduzione del testo nella propria lingua di origine od in una delle lingue c.d. veicolari (secondo motivo) e per omessa comunicazione dell'avvio del procedimento (terzo motivo).
L'Amministrazione eccepiva l'irricevibilità del ricorso perché presentato dopo i 120 giorni dalla notificazione dell'atto impugnato per la proposizione del ricorso straordinario.
L'eccezione è infondata. L'
Nel caso di specie, l'atto impugnato è stato redatto in lingua italiana e privo di traduzione in lingua comprensibile all'interessato o in una delle lingue veicolari per cui lo stesso abbia espresso la preferenza: pertanto, è violato il diritto del destinatario alla conoscenza o conoscibilità del provvedimento amministrativo a lui indirizzato.
Secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale e del giudice amministrativo, la chiara conoscibilità dell'atto lesivo, quale elemento connaturato al diritto di difesa, comporta il diritto degli stranieri di ricevere gli atti amministrativi, in particolare quelli che restringono la libertà e incidono sul diritto al soggiorno nel nostro Stato, in una lingua comprensibile per il destinatario del provvedimento.
Seguendo tali insegnamenti, «la norma sui termini di impugnazione deve essere interpretata nel senso che, in assenza di traduzione in lingua conosciuta, i termini di decadenza dall'impugnazione non decorrono, a meno che l'Amministrazione non fornisca prova contraria circa l'avvenuta conoscenza o conoscibilità dell'atto».
Pertanto, «va riconosciuto il beneficio della rimessione in termini, qualora la revoca delle misure di accoglienza non sia stata tradotta in una lingua comprensibile al destinatario del provvedimento e non sia stata a quest'ultimo personalmente notificata, sì da garantire la piena conoscibilità del contenuto del provvedimento, garanzia necessaria all'effettività del diritto di difesa in giudizio, secondo l'
Passando ai motivi di ricorso, il Consiglio di Stato ritiene fondato il motivo con cui il ricorrente lamenta la carenza dei presupposti di fatto per l'emanazione del provvedimento impugnato. Consegue l'assorbimento dell'esame delle ulteriori censure mosse dal ricorrente.
Il Consiglio di Stato, con parere n. 258 del febbraio 2024, ritiene che il ricorso debba essere accolto.
Consiglio di Stato, sez. I, parere (ud. 31 gennaio 2024) 26 febbraio 2024, n. 258
Svolgimento del processo
1. Il ricorrente ha presentato alla competente Commissione territoriale la domanda per il riconoscimento della protezione internazionale per richiedenti asilo ed è stato ammesso al sistema di accoglienza e temporaneamente collocato nel centro di accoglienza per stranieri (CAS) “-OMISSIS-”.
2.- Il responsabile del CAS ha trasmesso, in data 7 dicembre 2022, la rinuncia sottoscritta di proprio pugno dal ricorrente al ricovero presso altra struttura indicata dalla Prefettura, nell’imminenza della cessazione (il 30 novembre 2022) degli affidamenti di urgenza dei richiedenti asilo presso “-OMISSIS-”.
3.- Con provvedimento del 7 dicembre 2022, il Prefetto di -OMISSIS- ha disposto la revoca delle misure di accoglienza, ai sensi degli articoli 13 e 23, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142.
Il provvedimento si fonda su tale rinuncia e sul comportamento del ricorrente che non si è presentato presso la nuova struttura di accoglienza indicata dalla Prefettura.
L’atto, tradotto nelle lingue veicolari, è stato notificato a mani del ricorrente dalla Questura in pari data, come risulta da ricevuta di consegna depositata in atti.
4.- In data 29 dicembre, il ricorrente ha inoltrato alla Prefettura un’istanza di riesame in autotutela per il ripristino delle misure di accoglienza revocate.
4.1- La Prefettura non ha riscontrato l’istanza.
5.- Il ricorrente ha impugnato con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, notificato il 28 aprile 2023, il predetto provvedimento domandandone l’annullamento, previa sospensione della sua efficacia, per violazione della disciplina di settore e difetto dei presupposti (primo motivo), per mancata traduzione del testo nella propria lingua di origine od in una delle lingue c.d. veicolari (secondo motivo) e per omessa comunicazione dell’avvio del procedimento (terzo motivo).
6.-L’Amministrazione esprime l’avviso che il ricorso debba essere dichiarato irricevibile e, comunque, respinto.
Motivi della decisione
1.- Eccepisce l’Amministrazione l’irricevibilità del ricorso perché presentato dopo i 120 giorni dalla notificazione dell’atto impugnato indicati dall’art. 9 del d.P.R. n.1199 del 24 novembre 1971 per la proposizione del ricorso straordinario.
Il provvedimento di revoca delle misure di accoglienza del 7 dicembre 2022 è stato notificato in pari data, mentre il ricorso straordinario è stato notificato il 28 aprile 2023.
2.- L’eccezione è infondata.
2.1- Ai sensi dell’art. 9, comma 2, d.P.R. 1199/1971, il termine di 120 gg. per proporre ricorso straordinario al Presidente della Repubblica decorre dalla data della notificazione o della comunicazione dell’atto impugnato o da quando l’interessato ne abbia avuto piena conoscenza.
2.2- L’atto impugnato è stato redatto in lingua italiana e privo di traduzione in lingua comprensibile all’interessato o in una delle lingue veicolari per cui lo stesso abbia espresso la preferenza, violando così il diritto del destinatario alla conoscenza o conoscibilità del provvedimento amministrativo a lui indirizzato.
Secondo la documentazione trasmessa, risulta che la notifica è stata effettuata su modulo standardizzato, tradotto nelle tre lingue veicoli (francese, inglese e spagnolo) senza acquisizione di preferenza per l’una o l’altra lingua da parte dell’interessato.
Non viene fornita prova rigorosa che questi fosse in grado di comprendere il contenuto del provvedimento di revoca e le sue conseguenze e l’onere relativo alla conoscenza piena dell’atto, anche con riguardo alla mancata espressione di preferenza dell’interessato per una lingua veicolare, come richiede l’art. 2, comma 6, del d.lgs. n. 286 del 2 luglio 1998, grava sull’Amministrazione che eccepisce la tardività dell’impugnazione (da ultimo, Consiglio di Stato sez. II, 19/01/2024, n.617).
3.- Giova richiamare le disposizioni di cui all’articolo 2 del d.lgs. 286 2 luglio 1998 applicabili al caso in esame:
“1. Allo straniero comunque presente alla frontiera o nel territorio dello Stato sono riconosciuti i diritti fondamentali della persona umana previsti dalle norme di diritto interno, dalle convenzioni internazionali in vigore e dai principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti.
(omissis)
5. Allo straniero è riconosciuta parità di trattamento con il cittadino relativamente alla tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi, nei rapporti con la pubblica amministrazione e nell'accesso ai pubblici servizi, nei limiti e nei modi previsti dalla legge.
6. Ai fini della comunicazione allo straniero dei provvedimenti concernenti l'ingresso, il soggiorno e l'espulsione, gli atti sono tradotti, anche sinteticamente, in una lingua comprensibile al destinatario, ovvero, quando ciò non sia possibile, nelle lingue francese, inglese o spagnola, con preferenza per quella indicata dall'interessato.”.
3.1- L’insegnamento risalente della giurisprudenza costituzionale indica la chiara conoscibilità dell’atto lesivo quale elemento connaturato al diritto di difesa, che come indicato dalla norma richiamata e coerentemente applicata dalla consolidata giurisprudenza della Corte Costituzionale e del giudice amministrativo, comporta il diritto degli stranieri di ricevere gli atti amministrativi, in particolare quelli che restringono la libertà e incidono sul diritto al soggiorno nel nostro Stato, in una lingua comprensibile per il destinatario del provvedimento.
Ha affermato la Corte costituzionale: “Lo straniero (anche irregolarmente soggiornante) gode di tutti i diritti fondamentali della persona umana, fra i quali quello di difesa, il cui esercizio effettivo implica che il destinatario di un provvedimento, variamente restrittivo della libertà di autodeterminazione, sia messo in grado di comprenderne il contenuto e il significato.” (Corte costituzionale n. 198 del 16 giugno 2000).
La Corte costituzionale ha così precisato la correlazione dell’obbligo della P.A. di tradurre gli atti concernenti l’espulsione con il diritto di difesa costituzionalmente garantito agli extracomunitari: “ Il diritto di azione in giudizio contro atti della pubblica amministrazione presuppone ovviamente la conoscibilità del loro contenuto e, di tale conoscibilità, l'uso di una lingua comprensibile all'interessato è evidentemente condizione necessaria” (Corte cost. n. 198 del 2000 cit.).
3.2- Il sistema legislativo è costruito sulla garanzia della piena conoscibilità del contenuto del provvedimento, garanzia necessaria all'effettività del diritto di difesa in giudizio, secondo l'art. 24 della Costituzione, nonché secondo varie disposizioni di accordi internazionali in materia ai quali l'Italia ha aderito (v. art. 1 del protocollo n. 7 alla convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, protocollo adottato a Strasburgo il 22 novembre 1984, ratificato e reso esecutivo con la legge 9 aprile 1990, n. 98; art. 13 del patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, fatto a New York il 19 dicembre 1966, ratificato e reso esecutivo con la legge 25 ottobre 1977, n. 881 - cfr. Corte costituzionale sentenza n. 198 del 2000 cit.).
Ha poi puntualizzato la Corte nella stessa sentenza che, ove tale conoscibilità non vi sia, occorrerà che il giudice, facendo uso dei suoi poteri interpretativi dei principi dell'ordinamento, ne tragga una regola congruente con l'esigenza di non vanificare il diritto di azione in giudizio, cosicché “nell’ipotesi di ignoranza senza colpa del provvedimento di espulsione – in particolare per l’inosservanza dell’obbligo di traduzione dell’atto – debba ritenersi non decorso il termine (per l’ impugnazione)”.
Così del resto risulta dalla giurisprudenza dei giudici di merito i quali - per l'ipotesi in esame e sempre che la comunicazione dell'atto non abbia comunque raggiunto lo scopo - hanno ritenuto l'inefficacia della notifica o comunicazione del provvedimento non tradotto in lingua comprensibile e la sua inidoneità a far decorrere il termine per il ricorso (cfr., Cons. Stato, Sez. VI, 16 dicembre 2010, n. 9071; sez. III, 16 novembre 2016, n. 4736; da ultimo, TAR Campania, Napoli, sez. VI, 23 gennaio 2023, n. 489).
3.3- Seguendo tale insegnamento, la norma sui termini di impugnazione deve essere interpretata nel senso che, in assenza di traduzione in lingua conosciuta, i termini di decadenza dall’impugnazione non decorrono, a meno che l’Amministrazione non fornisca prova contraria circa l’avvenuta conoscenza o conoscibilità dell’atto.
3.4.- Non può accogliersi la tesi della Prefettura secondo cui troverebbe applicazione la norma speciale dell’art. 5 del d.lgs. n. 142 del 2015, secondo cui i provvedimenti sarebbero stati correttamente notificati presso la struttura e solo ad abundantiam notificati personalmente tramite la locale Questura.
La norma dispone che in materia di accoglienza la notifica dei provvedimenti va effettuata presso il CAS, domicilio ex lege dei richiedenti asilo.
Ad avviso del collegio, la norma (comma 2 dell’art. 5 cit.) che riguarda la notifica presso il CAS di ogni atto relativo alle “procedure di trattenimento e di accoglienza” previste dal decreto va interpretata in senso costituzionalmente orientato, trattandosi di possibile soluzione interpretativa conforme a Costituzione e coerente con il sistema di garanzie che l’ordinamento appresta a favore degli extracomunitari (Corte costituzionale, 24 febbraio 2017, n.42).
Pertanto, alla luce del percorso argomentativo sin qui svolto, delle norme richiamate del T.U.I. e della giurisprudenza della Corte Costituzionale e dei giudici amministrativi, deve ritenersi che la chiara conoscenza da parte del destinatario del provvedimento di revoca delle misure di accoglienza, per la gravità delle sue implicazioni nell’ambito dei diritti fondamentali e della dignità della persona, rappresenti esigenza imprescindibile di tutela del diritto di difesa, a maggior ragione nei confronti di soggetti vulnerabili quali i richiedenti asilo.
Nel caso di specie, dunque, considerate nel loro insieme le circostanze della vicenda sopra esposte, la proposizione del ricorso oltre il termine di 120 giorni deve ritenersi conforme alla disciplina costituzionale del diritto di difesa che esige la conoscibilità, anche linguistica, degli atti a carico dei ricorrenti in quanto ne costituisce la premessa della comprensione.
Pertanto, ritiene il Collegio che il ricorso debba ritenersi ricevibile.
4.- Lamenta il ricorrente la carenza dei presupposti di fatto per l’emanazione del provvedimento impugnato.
La censura è fondata.
4.1- Il motivo, con il quale il ricorrente ha eccepito la violazione dell’articolo 23, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142, per difetto del presupposto fattuale sul quale si basa il provvedimento impugnato, è fondato.
Il provvedimento impugnato si fonda sulla rinuncia all’accoglienza presso altro CAS designato, scritta in lingua italiana e sottoscritta di proprio pugno dal ricorrente in data 6 novembre 2022, motivata con l’avvenuta integrazione nella struttura “-OMISSIS-” di cui la Prefettura aveva disposto la chiusura.
L’atto di rinuncia è stato trasmesso alla Prefettura dall’Associazione con nota prot. 69275 del 7 dicembre 2022 (pag. 4 della relazione, cfr. all. 3 e 4).
4.2.- Viceversa, tale presupposto non appare conforme al vero.
4.3.- Dalla richiesta di incidente probatorio ex 393 c.p.p. della Procura presso il Tribunale di -OMISSIS- del 14 novembre 2022, nell’ambito del procedimento penale n. 1811/2022 R.G. nei confronti dei titolari dell’Associazione “-OMISSIS-” per i reati di cui agli artt. 605, 628, 572, 582, 585, 612 e 483 c.cp., in concorso e con il vincolo della continuazione, risulta l’allontanamento arbitrario dalla struttura di accoglienza da parte degli stessi responsabili del CAS di altri ragazzi ospiti che sarebbe stata determinata da ritorsione, a seguito della denuncia di scomparsa di altro extracomunitario inserito nella stessa struttura effettuata dai predetti ospiti alla Questura di -OMISSIS- il 9 luglio 2022.
Come accertato dall’autorità giurisdizionale, l’allontanamento dalla struttura di accoglienza di alcuni ospiti non sarebbe stato volontario, ma disposto dalla Squadra mobile della locale Questura per ragioni di sicurezza, in ragione degli atti di violenza denunciati, come risulta dal verbale di indagini (TAR Abruzzo, sez. I, 26 giugno 2023 n. 355 e n. 360).
4.4.- La revoca del beneficio nei confronti del ricorrente e di altri ospiti “è dipesa dagli atti di rinuncia al beneficio sottoscritti dai richiedenti asilo i quali hanno redatto brevi testi in lingua italiana e dal comportamento degli stessi che non si sono mai recati presso le strutture di accoglienza” (relazione del Ministero del 27 giugno 2023, pag. 2, all. 4).
Tuttavia, appare poco credibile che i giovani extracomunitari, appena giunti in Italia, fossero in grado di redigere testi in italiano e di comprenderne il significato, tanto più che le dichiarazioni di rinuncia al trasferimento presso altro CAS designato dalla Prefettura esprimono contestualmente il gradimento per l’accoglienza riservata da “-OMISSIS-”, in procinto di essere chiusa su diposizione della Prefettura.
Tenuto conto del clima di tensione venutosi a creare, risultante da una pluralità di indizi gravi e concordanti, il tenore di tali rinunce appare del tutto inverosimile.
Tanto più che le rinunce sono state acquisite a seguito di espressa richiesta della Prefettura ai titolari della struttura, in vista della imminente chiusura: il loro tenore, tuttavia, era tale da comportare un rifiuto di usufruire dell’accoglienza presso altro CAS, ad esclusivo beneficio dei titolari stessi dell’Associazione che procedevano alla raccolta delle dichiarazioni e non certo a beneficio degli ospiti, che verosimilmente non erano consapevoli delle gravi conseguenze di siffatte dichiarazioni.
5. Il presupposto dell’ingiustificato allontanamento volontario del richiedente asilo dal centro di accoglienza, tipizzato dall’articolo 23, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142, deve essere interpretato in conformità all’articolo 20, comma 1, lettera a), della direttiva 2013/33/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013, per cui le condizioni materiali di accoglienza possono essere revocate solo ove il richiedente la protezione internazionale lasci il luogo di residenza determinato dall’autorità competente o non si presenti presso il centro designato senza prima informarne la stessa o senza ottenerne il permesso.” (cfr. TAR Abruzzo, sez. I, nn. 355 e 360 del 2023 cit.).
Deve trattarsi di allontanamento o mancata presentazione volontarie, non determinate da forza maggiore, caso fortuito o da motivi personali.
Il comma 3 dell’art. 23 cit., difatti, dispone che in tali casi il Prefetto deve ripristinare le misure di accoglienza.
5.1.- Nel caso in esame, è mancata la volontarietà (spontaneità) della dichiarazione e del comportamento del ricorrente, presumibilmente non libero di esprimere la propria reale volontà e non consapevole, per quanto sopra detto, della pregiudizievole conseguenza di perdita dell’accoglienza tout court a causa della dichiarazione resa.
Sono intuibili le “ragioni personali” e di “forza maggiore” sottese al comportamento del ricorrente, riconducibili piuttosto alle modalità di gestione degli ospiti da parte dei titolari del CAS “-OMISSIS-”, che fanno ritenere non sussistente il presupposto del provvedimento impugnato.
6. - Pertanto, non si può ragionevolmente imputare al ricorrente neppure la violazione di alcun onere informativo nei confronti del CAS o della Prefettura.
7.- Alla mancata realizzazione dell’unico presupposto sul quale si fonda il provvedimento impugnato, consegue l’accoglimento del primo motivo del ricorso, che assorbe l’esame delle ulteriori censure mosse dal ricorrente.
P.Q.M.
esprime il parere che il ricorso debba essere accolto.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità dell'interessato, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le parti ed i terzi.