
Cassata con rinvio la decisione del Giudice di secondo grado che aveva rigettato l’istanza di revoca del mantenimento della figlia senza però dimostrare quali potessero essere le possibilità del padre invalido al 77% di trovare un’occupazione.
La Corte d’Appello revocava l’assegno di mantenimento posto a carico dell’odierno ricorrente in favore di uno dei figlio, poiché deceduto nel 2016, e confermava nel resto la sentenza di primo grado, ritenendo tra le altre cose infondata l’istanza di revoca del mantenimento per la figlia nonostante la sua attuale e parziale invalidità lavorativa (pari al 77%) riconducibile a un incidente. Secondo la Corte di merito, era irrilevante lo stato di disoccupazione del ricorrente in quanto, in vista della sua giovane età e del fatto che non doveva affrontare spese per la casa, egli si sarebbe dovuto attivare per trovare una nuova occupazione confacente al suo stato allo scopo di ricavarne un reddito sufficiente a soddisfare l’obbligo di mantenimento della figlia, tenuto conto che anche la ex moglie era disoccupata.
Il ricorrente porta la questione dinanzi alla Suprema Corte, che con la sentenza n. 5888 del 5 marzo 2024 accoglie le sue doglianze.
Con specifico riguardo all’obbligo di mantenimento della figlia, gli Ermellini affermano che, considerato lo stato di invalidità al 77% del ricorrente, ciò rende oggettivamente implausibile una residua ed effettiva capacità lavorativa del medesimo. Inoltre, la Corte territoriale non aveva tenuto conto delle dichiarazioni rese dalla ex coniuge secondo le quali ella svolgeva dei lavori in nero che le procuravano un guadagno che ammontava all’incirca a 700 euro al mese, elemento che doveva senza dubbio essere considerato ai fini della decisione impugnata.
Segue l’accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo
Con ricorso dell'11.11.19 A.A. proponeva appello avverso la sentenza del Tribunale di Siracusa dell'11.4.19, con la quale, fra l'altro, veniva: pronunziata la separazione personale del ricorrente con il coniuge B.B.; disposto l'affidamento condiviso dei figli minori - C.C., nata il (omissis) e D.D., nato il (omissis) - con collocamento presso la madre; e posto a carico del padre un assegno di mantenimento per i figli di euro 500,00 (250,00 per ciascuno).
Si costituiva la B.B., la quale chiedeva il rigetto dell'appello, tranne che in ordine all'erronea statuizione del primo giudice, il quale aveva erroneamente disposto il contributo per il mantenimento anche del figlio D.D., deceduto nel 2016.
Con sentenza del 10.6.22, la Corte d'appello ha revocato l'assegno di mantenimento a carico del A.A. a favore del figlio D.D., a decorrere dal 21.3.16, confermando per il resto la sentenza impugnata, osservando che: sulla base delle esaustive e convincenti prove testimoniali esperite, il Tribunale aveva rilevato che la crisi coniugale era indubbiamente preesistente alla nascita della relazione extraconiugale della B.B. con colui che sarebbe diventato l'attuale compagno; non vi erano i presupposti della declaratoria di nullità del processo per mancata audizione della minore C.C., la quale era stata ascoltata dal c.t.u. che ne aveva saputo comprendere il pensiero e la volontà, rivelatisi decisivi per le disposizioni riguardanti l'affidamento; erano pertanto da confermare l'affidamento esclusivo alla madre - per i residui sei mesi fino al raggiungimento della maggiore età di C.C. - e le modalità di esercizio del diritto di visita del padre; dalla c.t.u. si desumeva la notevole carenza delle capacità genitoriali del A.A., nonché le sue difficoltà di gestione della conflittualità coniugale; riguardo alle modalità del predetto diritto di visita, non erano opportune modifiche, posto che la lamentata distanza tra Siracusa e R. (luogo di residenza della madre) non era in alcun modo ostativa, non essendo praticabili soluzioni alternative, e dovendosi tener conto, per l'eventuale introduzione di pernottamenti nel fine settimana, della volontà della ragazza, ormai quasi maggiorenne, i cui rapporti col padre non erano buoni; era infondata l'istanza di revoca dell'assegno di mantenimento nei confronti della stessa figlia perché, nonostante l'attuale, parziale, invalidità lavorativa (pari al 77% accertata nel 2013, a causa di un incidente) l'appellante, attualmente disoccupato, ma che precedentemente lavorava come impiantista (guadagnando circa 1.700,00 euro al mese), manteneva una residua capacità lavorativa generica che, anche in considerazione della sua ancora giovane età e del fatto che non doveva affrontare spese per la casa (vivendo in quella familiare in comproprietà tra i coniugi), lo doveva spingere a trovare un lavoro confacente al suo stato attuale dal quale ricavare un reddito sufficiente a soddisfare l'obbligo di mantenimento della figlia, stabilito in una misura non eccessiva (250,00 euro), a fronte soprattutto dell'analogo stato di disoccupazione della madre.
A.A. ricorre in cassazione con sette motivi, illustrati da memoria. B.B. resiste con controricorso, illustrato da memoria.
Motivi della decisione
Il primo motivo denunzia violazione degli artt. 116, 246, 252, c.p.c., nullità del procedimento e della sentenza per motivazione apparente sulle risultanze probatorie dei testi addotti della B.B. in ordine alla preesistenza della crisi coniugale; il ricorrente contesta altresì l'incapacità e l'inattendibilità degli stessi testi escussi.
Il secondo motivo denunzia violazione dell'art. 116 c.p.c. e nullità della sentenza per motivazione apparente, per aver la Corte d'appello ritenuto generiche le dichiarazioni dei testi addotti dal ricorrente, e sentiti in ordine alla prova contraria a quella oggetto dei capitoli dedotti dalla controparte, menzionando, peraltro, un solo teste, anziché i due escussi.
Il terzo motivo denunzia violazione degli artt. 115 e 244, c.p.c., 111 Cost., nonché nullità del procedimento e della sentenza, per non aver la Corte d'appello ammesso alcune prove testimoniali, e per non aver utilizzato verbali di indagini difensive - quali prove atipiche - perché generiche.
In particolare, il ricorrente lamenta che la Corte territoriale abbia ritenuto erroneamente non specifici i capitoli di prova testimoniale formulati che, invece, vertevano proprio su fatti afferenti alle vicende di causa.
Il quarto motivo denunzia violazione degli artt. 152, c.2, 115, 116, c.p.c., 2729 c.c., per non aver la Corte d'appello ritenuto, con motivazione apodittica, che la separazione fosse addebitabile alla B.B., sebbene vi fosse la prova che, anteriormente al matrimonio, non sussisteva la crisi coniugale (testimoniale e verbali di dichiarazioni testimoniali).
Il quinto motivo denunzia violazione dell'art. 336 bis c.p.c., nullità del procedimento e della sentenza, per mancato esame della c.t.u. e per omesso ascolto della minore C.C., anche con riguardo all'affidamento esclusivo alla madre.
Al riguardo, il ricorrente lamenta che: la minore non era mai stata sentita dal Tribunale, ma solo quando aveva otto anni dai Servizi sociali, esprimendo il desiderio di stare con il papà, e che successivamente era stata sentita dal c.t.u. all'età di nove anni; il c.t.u. non aveva mai riferito che la figlia aveva espresso il suddetto desiderio di stare con il padre; l'affidamento esclusivo era dipeso anche dal mancato ascolto di C.C. dopo il compimento dei dodici anni.
Sul punto, il ricorrente rileva che, pur avendo la figlia ormai raggiunto il 18° anno, aveva interesse all'impugnazione, sia per riformare la statuizione della condanna alle spese del giudizio, sia per ottenere il risarcimento dei danni nei confronti della B.B., per la violazione del diritto di visita, non avendo potuto fruire dell'affidamento, almeno condiviso, della figlia, richiamando l'art. 709-ter c.p.c.
Il sesto motivo denunzia violazione dell'art. 316-bis, c.c., per non aver la Corte territoriale revocato l'obbligo di mantenimento, ritenendo che il ricorrente avesse una residua capacità generica di lavoro, ma senza considerare l'invalidità accertata al 77%, e senza tener conto di quanto emergeva dall'interrogatorio formale deferito alla controricorrente la quale aveva dichiarato di fare lavori "in nero" e di guadagnare non più di 700,00 euro al mese.
Il settimo motivo denunzia violazione dell'art. 133 dpr n. 115/02, per aver la Corte d'appello erroneamente condannato il ricorrente al pagamento delle spese a favore della B.B., e non dello Stato, nonostante che quest'ultima fosse stata ammessa al patrocinio a spese dello Stato (pur precisando, sul punto, che era stato promosso il procedimento di correzione di errore materiale).
I primi quattro motivi, e il sesto, esaminabili congiuntamente poiché tra loro connessi, sono fondati.
Anzitutto, va osservato che la sentenza impugnata non risulta motivata in ordine all'anteriorità della crisi del rapporto familiare rispetto alla violazione del dovere di fedeltà, contenendo un generico riferimento alle dichiarazioni di due testi, privo di particolari sulla questione della crisi coniugale e della sua collocazione temporale; sulla scorta di tal generico riferimento, la Corte d'appello ha altresì ritenuto l'"evidente superfluità di un ulteriore procedimento istruttorio", non ammettendo le prove testimoniali formulate dal ricorrente, senza alcuna argomentazione che consenta di ritenere raggiunto il minimo costituzionale.
Al riguardo, va osservato che il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del "minimo costituzionale" richiesto dall'art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni incompatibili, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass., n. 7090/22).
Nella specie, come detto, la motivazione sulla violazione del dovere di fedeltà da parte della moglie, in data anteriore all'insorgere della crisi coniugale, è da considerare sostanzialmente apparente, essendo fondata su una mera affermazione apodittica, senza dar conto della specifica e dettagliata formulazione dei capitoli di prova articolati dal ricorrente - il cui contenuto è stato trascritto nel ricorso - e dei verbali delle dichiarazioni di terzi, assunte in sede di indagini difensive (che potrebbero avere una rilevanza quali prove atipiche, o argomenti di prova).
Il sesto motivo è parimenti fondato, atteso che l'invalidità al 77% rende oggettivamente implausibile una residua ed effettiva capacità lavorativa del ricorrente. Invero, la Corte territoriale ha respinto l'istanza di revoca del mantenimento della figlia senza argomentazione sulle concrete possibilità di trovare un lavoro per il ricorrente, affetto dalla detta invalidità, omettendo altresì di tener conto delle dichiarazioni rese dalla controricorrente in sede di interrogatorio formale, circa il lavoro irregolare prestato (con un reddito non superiore alla soma di euro 700,00 mensile).
Il quinto motivo è invece inammissibile, in quanto non sussiste un concreto interesse del ricorrente alla pronuncia di questa Corte sulla violazione del diritto di visita della figlia, la quale è ormai maggiorenne; né si può argomentare di un interesse alla pronuncia della Corte per un ipotetico risarcimento che richiede, invero, un'autonoma azione.
Infine, il settimo motivo è da ritenere assorbito dall'accoglimento dei motivi precedenti.
Per quanto esposto, in accoglimento dei primi quattro motivi e del sesto, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio della causa alla Corte d'appello a quo, anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie i motivi primo, secondo, terzo, quarto e sesto, dichiara inammissibile il quinto e assorbito il settimo. Cassa la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti, e rinvia la causa alla Corte d'appello di Catania, in diversa composizione, anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
Dispone che ai sensi dell'art. 52 del D.Lgs. n. 196/03, in caso di diffusione della presente ordinanza si omettano le generalità e gli altri dati identificativi delle parti.