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19 marzo 2024
La madre può testimoniare nel giudizio per i danni da tardivo riconoscimento della paternità
La Suprema Corte, con l'ordinanza in commento, ha accolto il ricorso della ragazza, affermando che nel giudizio volto all'accertamento del pregiudizio lamentato dal figlio, oramai maggiorenne, conseguente al consapevole tardivo riconoscimento della paternità da parte del padre biologico, va esclusa l'incapacità a testimoniare dalla madre, ove oggetto del giudizio sia la violazione degli obblighi morali e materiali derivanti dalla filiazione, riferiti esclusivamente al rapporto tra padre e figlio.
di La Redazione
Caia citava in giudizio Tizio chiedendo la corresponsione di un assegno di mantenimento e il risarcimento del danno biologico ed esistenziale derivante dalla deprivazione del rapporto genitoriale
In particolare, l'attrice deduceva di aver creduto, fino alla maggiore età, di essere figlia del marito della madre per poi scoprire, nel 2005, di essere in realtà figlia di Tizio, il quale aveva intrattenuto con la madre una relazione extraconiugale clandestina.
Tale rivelazione aveva causato in Caia una situazione di disagio, di dolore, in particolare per essere cresciuta in un ambiente caratterizzato da continui litigi tra la coppia, e di risentimento nei confronti di tutti i soggetti coinvolti, aggravata dal fatto che nel 2006, in concomitanza della separazione personale dei genitori legittimi, dove Sempronio, marito della madre, aveva proposto dinanzi al Tribunale di Siena un'azione di disconoscimento della paternità, revocandole il proprio cognome, tanto che Caia aveva assunto un cognome differente.
Tizio aveva provveduto a riconoscere Caia solo nel 2012, anno in cui la ragazza aveva assunto il suo cognome.
La vertenza giunge in Cassazione mediante ricorso di Caia.
In sede di legittimità, la ricorrente deduce, tra i vari motivi di ricorso, la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 246 c.p.c., nella parte in cui la Corte d'Appello ha ritenuto la madre della ricorrente incapace a testimoniare.
Per la Corte di Cassazione tale doglianza è fondata
 

precisazione

La Corte, infatti, precisa che «l'interesse a partecipare al giudizio previsto come causa d'incapacità a testimoniare dall'art. 246 c.p.c. si identifica con l'interesse a proporre la domanda e a contraddirvi ex art. 100 dello stesso codice, sicché deve ritenersi colpito da detta incapacità chi potrebbe, o avrebbe potuto, essere chiamato dall'attore, in linea alternativa o solidale, quale soggetto passivo della stessa pretesa fatta valere contro il convenuto originario, nonché il soggetto da cui il convenuto originario potrebbe, o avrebbe potuto, pretendere di essere garantito.
In effetti, l'incapacità prevista dall'art 246 c.p.c. si verifica quando il teste è titolare di un interesse personale, attuale e concreto, che lo coinvolga nel rapporto controverso, alla stregua dell'interesse ad agire e a contraddire di cui all'art. 100 c.p.c., sì da legittimarlo a partecipare al giudizio in cui è richiesta la sua testimonianza, con riferimento alla materia che ivi è in discussione».
 
Proprio in tema di dichiarazione giudiziale della paternità naturale, e con riferimento all'ipotesi in cui l'azione sia esperita dal figlio oramai maggiorenne, questa Corte ha più volte affermato che non può configurarsi un interesse principale ad agire della madre naturale, ai sensi dell'art. 276, ultimo comma, c.c., potendo semmai essa svolgere un intervento adesivo dipendente, allorché sia ravvisabile un suo interesse di fatto tutelabile in giudizio.
Ad ogni modo, questa stessa Corte ha precisato che le dichiarazioni della madre naturale assumono un rilievo probatorio integrativo ex art. 116 c.p.c., quale elemento di fatto di cui non si può omettere l'apprezzamento ai fini della decisione, indipendentemente dalla qualità di parte o dalla formale posizione di terzietà della dichiarante, con la conseguente inapplicabilità dell'art. 246 c.p.c..
In breve, l'accertamento del rapporto di filiazione attiene solo al genitore e al figlio, senza coinvolgere neppure l'altro genitore.
Nel caso di specie, la ricorrente ha prospettato di aver subito un danno non patrimoniale in conseguenza del tardivo riconoscimento del padre, pur consapevole della paternità, chiedendo a quest'ultimo la corresponsione del mantenimento.
Caia non ha dedotto di avere subito un pregiudizio dalla violazione degli obblighi morali e materiali gravanti su entrambi i genitori, ma solo dal padre, così come pure ha dedotto che è stato solo il padre a non aver provveduto al suo mantenimento.

Per questo motivo, la Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 7171 del 18 marzo 2024 accoglie il ricorso della ragazza e afferma il seguente principio di diritto:

ildiritto

«In tema di incapacità a testimoniare nel processo civile, tale incapacità sussiste quando il teste è titolare di un interesse personale, attuale e concreto, che lo coinvolga nel rapporto controverso, alla stregua dell'interesse ad agire e a contraddire di cui all'art. 100 c.p.c., con riferimento alla domanda in concreto formulata, e non ad un ipotetica analoga domanda esperibile, sicché nel giudizio volto all'accertamento del pregiudizio lamentato dal figlio, oramai maggiorenne, conseguente al consapevole tardivo riconoscimento della paternità da parte del padre biologico, va esclusa l'incapacità a testimoniare dalla madre, ove oggetto del giudizio sia la violazione degli obblighi morali e materiali derivanti dalla filiazione, riferiti esclusivamente al rapporto tra padre e figlio».

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