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«le buste paga ed il c.u.d. (poi C.U. – certificazione unica) integrano i requisiti di prova documentale richiesti ai fini della opponibilità della prova scritta di un credito nei confronti del fallimento, anche ai sensi dell'
essi, invece, in mancanza di un atto di quietanza del lavoratore-creditore (nella specie mancante), non costituiscono prova del pagamento del credito in essi documentato, in quanto provenienti dalla stessa parte interessata ad opporre il fatto estintivo».
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Svolgimento del processo
1. R. C. ha chiesto di essere ammessa al passivo del fallimento, in via privilegiata, per la somma complessiva di euro 39.245,52, oltre interessi, di cui euro 32.104,93 per trattamento di fine rapporto, indennità sostitutiva del preavviso e retribuzione e il residuo importo per spese di giustizia.
2. Avverso il decreto del giudice delegato, che ha ammesso solo in parte i crediti vantati dalla lavoratrice (esattamente per euro 4.996,39 a titolo di indennità sostitutiva del preavviso), quest’ultima ha proposto opposizione, che il Tribunale di Macerata ha respinto con decreto del 29 agosto 2020.
3. Il Tribunale, nella contumacia della curatela, ha dato atto del giudicato endofallimentare formatosi sull’importo ammesso al passivo per l’indennità sostitutiva del preavviso; ha ritenuto che la lavoratrice, onerata, non avesse fornito prove sufficienti a dimostrare il quantum alla stessa dovuto; che per il credito relativo alla retribuzione di settembre 2013 aveva prodotto la busta paga priva, però, di sottoscrizione, timbro o sigla del datore di lavoro; che per il trattamento di fine rapporto aveva prodotto la busta paga di novembre 2013, anch’essa priva di sottoscrizione, timbro o sigla di parte datoriale, nonché il c.u.d. (certificato unico dipendente) dell’anno 2014; che quest’ultimo documento, munito di timbro e firma della società, recava al punto 410 l’indicazione dell’importo del t.f.r. spettante alla lavoratrice, ma al punto 401 l’annotazione dell’avvenuta erogazione di tale importo nell’anno; che il contenuto contraddittorio e non scindibile del documento (c.u.d.), se pure non valeva a dimostrare l’avvenuto pagamento del t.f.r., tuttavia portava a considerare non sufficientemente dimostrata l’esistenza di un credito per t.f.r. di quella entità, in assenza di altri elementi di prova; che, nella prima fase dinanzi al giudice delegato, la curatela aveva rilevato come in base al c.u.d. l’importo preteso a titolo di t.f.r.. risultasse già corrisposto; che per le spese di giustizia, le fatture emesse dagli avvocati non contenevano l’attestazione di avvenuto pagamento e non costituivano pertanto adeguata documentazione della spesa; che quanto ai costi sostenuti per la custodia dei beni pignorati, risultanti da documenti con attestazione di avvenuto pagamento, difettava il requisito essenziale dell’essere la spesa sostenuta nell’interesse comune dei creditori poiché la lavoratrice aveva, all’epoca (legittimamente) agito in via esecutiva nel proprio esclusivo interesse, procedendo a pignoramento di alcuni beni mobili della T. s.r.l. sulla base di due decreti ingiuntivi e non aveva mai chiarito né provato quali erano stati gli esiti di tale procedura e la sorte dei beni pignorati, cioè se di essi si erano giovati altri creditori; che la stima di questi beni, fatta dall’ufficiale giudiziario all’atto del pignoramento, ammontava ad euro 50.000,00 (contro il valore di euro 90.000,00 indicato dalla lavoratrice) e che la stessa C. aveva chiesto un ampliamento dei beni sottoposti a vincolo, come da verbale della procedura esecutiva del 26.10.2015, ritenendo evidentemente di non poter soddisfare il proprio credito con quelli in origine sottoposti a vincolo.
4. Avverso tale decreto R. C. ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi. Il Fallimento T. Industrie s.r.l. non ha svolto difese. Il Collegio si è riservato di depositare l’ordinanza nei successivi sessanta giorni, ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c., come modificato dal d.lgs. n. 149 del 2022.
Motivi della decisione
5. Con il primo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione degli artt. 2709, 2733 e 2735 c.c. e del decreto-legge n. 112 del 2008 e della legge n. 4 del 1953, nonché omessa e contraddittoria motivazione.
6. La ricorrente afferma che le buste paga, quali documenti provenienti da parte datoriale, fanno piena prova contro la parte che li ha emessi, ai sensi degli artt. 2709 e 2735 c.c., ed hanno valore confessorio; che rappresentano la copia, consegnata al lavoratore, del libro unico del lavoro istituito dal decreto-legge n. 112 del 2008 in sostituzione dei precedenti libri obbligatori; che nel caso di specie, nessuna contestazione è stata fatta dalla curatela, rimasta contumace nel giudizio di opposizione; che i cedolini di settembre e novembre 2013 recano, nella parte in altro a sinistra, la sigla o il timbro della società e, in altro a destra, il timbro Inail con il numero di autorizzazione alla numerazione unitaria; che l’istanza di ammissione al passivo era corredata anche da due decreti ingiuntivi immediatamente esecutivi, ritualmente notificati e non opposti, divenuti definitivi (sebbene prodotti senza il decreto di esecutorietà), che il tribunale ha considerato irrilevanti ai fini della prova.
7. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c., dell’art. 215 c.p.c., nonché omessa e contraddittoria motivazione.
8. La ricorrente sostiene di aver adempiuto al proprio onere probatorio, attraverso la documentazione prodotta (lettere di assunzione e di cessazione del rapporto, decreti ingiuntivi non opposti, cedolini paga e c.u.d. e che tali prove non sono mai state contestate dalla curatela, sia quanto alla esistenza del rapporto di lavoro e sia riguardo agli importi risultanti dai prospetti paga, né la curatela ha fornito prove contrarie; che il tribunale è incorso nella violazione dell’art. 112 c.p.c. per essersi pronunciato sulla inadeguatezza delle prove fornite dalla lavoratrice in mancanza di una eccezione di controparte; che ha violato l’art. 115 c.p.c. per non aver considerato pacifici i dati emergenti dai documenti (buste paga e c.u.d.) in quanto non specificamente contestati dalla curatela, sia nella prima fase del giudizio e sia in sede di opposizione; che pur in mancanza della firma, il tribunale avrebbe dovuto giudicare detti documenti prova idonea dell’an e del quantum debeatur in base alle nozioni di comune esperienza, come dimostrato dalla emissione dei decreti ingiuntivi sulla base degli stessi; che il tribunale ha violato l’art. 116 c.p.c. nell’apprezzamento delle prove e non ha tenuto conto del fatto che il giudice delegato aveva ammesso al passivo il credito per l’indennità sostitutiva del preavviso sulla base unicamente della relativa busta paga, ora contraddittoriamente giudicata prova inidonea per gli altri crediti; che è stato parimenti violato l’art. 215 c.p.c. poiché il tribunale avrebbe dovuto considerare la documentazione tacitamente riconosciuta perché non contestata.
9. Con il terzo motivo è denunciata, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. e in relazione al c.u.d., violazione e falsa applicazione degli artt. 2709, 2733 e 2735 c.c., degli artt. 112 e 116 c.p.c., nonché omessa e contraddittoria motivazione.
10. La ricorrente assume che il c.u.d. 2014 rilasciato dalla società riporta informazioni integranti i requisiti di una confessione stragiudiziale limitatamente ai fatti sfavorevoli alla parte da cui promana e favorevoli all’altra parte; che nella specie doveva considerarsi dotata di rilievo probatorio solo la parte del c.u.d. relativa alla quantificazione del t.f.r. in quanto favorevole alla lavoratrice; che ha errato il tribunale nell’assegnare valore probatorio alla parte del c.u.d. favorevole al datore e concernente il presunto avvenuto versamento del t.f.r.; che tale circostanza è sempre stata contestata dalla lavoratrice, anche in sede processuale e mediante la produzione degli estratti conto mensili bancari atti a provare la mancanza di accredito di somme a titolo di t.f.r. negli anni 2013 e 2014 da parte della società; che ricorre la violazione degli artt. 112 e 116 c.p.c. per le ragioni già esposte nel precedente motivo;
11. Con il quarto motivo è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. e in riferimento alle spese di giustizia, violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 2755 c.c. nonché omessa e contraddittoria motivazione.
12. Si assume che le fatture emesse dai legali comprovano l’avvenuto esborso da parte della lavoratrice e che si tratta di documento fiscale mai contestato dalla curatela; che le spese sostenute per la custodia dei beni pignorati hanno certamente comportato un beneficio per la massa dei creditori in quanto i beni (custoditi prima del fallimento a spese della C.) sono confluiti nella massa fallimentare; la ricorrente reitera gli argomenti già svolti a sostegno della violazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c..
13. I primi due motivi di ricorso possono essere trattati congiuntamente perché connessi e, in parte, sovrapponibili. Essi sono infondati.
14. Questa Corte, con orientamento univoco, ha statuito che, in tema di accertamento del passivo fallimentare, le copie delle buste paga rilasciate al lavoratore dal datore di lavoro, ove munite, alternativamente, della firma, della sigla o del timbro di quest'ultimo, hanno piena efficacia probatoria del credito insinuato, alla stregua del loro contenuto, obbligatorio e sanzionato (un tempo penalmente e ora in via amministrativa), ferma restando la facoltà del curatore di contestarne le risultanze con altri mezzi di prova, ovvero con specifiche deduzioni e argomentazioni volte a dimostrarne l'inesattezza, la cui valutazione è rimessa al prudente apprezzamento del giudice (v. Cass. n. 1649 del 2022; n. 18169 del 2019; n. 17413 del 2015).
15 A tali principi si è attenuto il tribunale, che ha giudicato prova inidonea le buste paga prodotte dalla lavoratrice avendo accertato l’assenza, sulle stesse, della firma, della sigla o del timbro della parte datoriale. Né tali requisiti possono dirsi soddisfatti dalla mera stampigliatura, sulle buste paga, dei dati della società (v. pag. 11 del ricorso).
16. Non può venire in rilievo il principio di non contestazione, che presuppone un “comportamento concludente della parte costituita” (v. Cass. n. 461 del 2015; v. anche Cass. n. 14372 del 2023), dal momento che il Fallimento è rimasto contumace nel giudizio di opposizione, senza considerare che, in tema di verificazione del passivo, il principio di non contestazione, che pure ha rilievo quale tecnica di semplificazione della prova dei fatti dedotti, non comporta affatto l'automatica ammissione del credito allo stato passivo solo perché non sia stato contestato dal curatore, competendo al giudice delegato e al tribunale fallimentare il potere di sollevare, in via ufficiosa, ogni sorta di eccezioni in tema di verificazione dei fatti e delle prove (Cass. n. 19734 del 2017; n. 16554 del 2015; n. 24972 del 2013; n. 21482 del 2013).
17. Occorre poi considerare che il procedimento di opposizione allo stato passivo del fallimento si configura come un vero e proprio giudizio ordinario di cognizione in cui trovano applicazione le regole generali in tema di onere della prova; da ciò consegue che l'opponente è tenuto a fornire la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto di credito, mentre grava sulla curatela l'onere di dimostrare l'esistenza di fatti modificativi, impeditivi o estintivi dell'obbligazione (v. Cass. n. 5847 del 2021; Cass. S.U. n. 13533 del 2001). Nel caso in esame, il tribunale ha ritenuto non assolto l’onere di prova facente capo alla lavoratrice opponente ed è pertanto non configurabile la violazione dell’art. 112 c.p.c. formulata sul presupposto dell’essersi il tribunale pronunciato su eccezioni non proposte.
18. Neppure è fondata la denuncia di violazione dell’art. 116 c.p.c., rinvenibile nelle ipotesi in cui il giudice valuti una prova legale secondo prudente apprezzamento o un elemento di prova liberamente valutabile come prova legale (cfr. Cass., S.U. n. 20867 del 2020; Cass. n. 11892 del 2016; Cass. n. 25029 del 2015; Cass. n. 25216 del 2014), circostanze non verificatesi e neanche dedotte nel caso in esame.
19. Il terzo motivo di ricorso è, invece, fondato alla luce della costante giurisprudenza espressa da questa Corte (v. Cass. n. 2817 del 2022 in motivazione; n. 34828 del 2022 in motivazione; v. anche Cass. n. 19820 del 2023) secondo cui le buste paga ed il c.u.d. (poi C.U. – certificazione unica) integrano i requisiti di prova documentale richiesti ai fini della opponibilità della prova scritta di un credito nei confronti del fallimento, anche ai sensi dell'articolo 2704 c.c. (v. Cass. n.10123 del 2017; n. 10041 del 2017; n. 17930 del 2016); essi, invece, in mancanza di un atto di quietanza del lavoratore-creditore (nella specie mancante), non costituiscono prova del pagamento del credito in essi documentato, in quanto provenienti dalla stessa parte interessata ad opporre il fatto estintivo (Cass. n. 6220 del 2019).
20. Nel caso in esame, il tribunale, piuttosto che sul fatto costitutivo di esistenza e durata del rapporto sostanzialmente risultante dal c.u.d. 2014, ha basato il proprio accertamento sul fatto estintivo del pagamento del credito per t.f.r., nell’evidente onere probatorio della curatela fallimentare, così incorrendo in un errore di diritto, per l’attribuzione dell'onere di prova ad una parte diversa da quella onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi (Cass. 17 giugno 2013, n. 15107; Cass. 29 maggio 2018, n. 13395; Cass. 3 dicembre 2018, n. 31158). Più specificamente, esso ha riconosciuto rilevanza probatoria del pagamento del t.f.r. a documenti (in particolare il c.u.d. 2014) provenienti dalla stessa parte interessata, in violazione del consolidato principio, secondo cui il documento proveniente dalla parte che voglia giovarsene non può costituire prova in favore della stessa né determina inversione dell'onere probatorio in caso di contestazione (Cass. 23 giugno 1997, n. 5573; 24 giugno 2000, n. 9685; 27 aprile 2016, n. 8290). Neppure possono essere invocati i principi elaborati da questa Corte in ordine all’opponibilità al fallimento dei crediti provati dai modelli c.u.d., essendo evidente che in tali casi il documento fa prova contro la parte che lo ha redatto e non in suo favore; né potrebbe validamente sostenersi che la procedura fallimentare sia terza rispetto al datore di lavoro, posto che il curatore, il quale intenda giovarsi di documenti provenienti dal soggetto fallito (e non opporsi ad essi), non assume la posizione di terzo, ma quella medesima del soggetto fallito, con le relative conseguenze in ordine alla rilevanza probatoria di tali documenti (Cass. 3 dicembre 2018, n. 31173).
21. Il quarto motivo è parzialmente fondato.
22. Esso non può trovare accoglimento quanto alle spese legali risultanti dalle fatture emesse dai professionisti atteso che “la fattura è titolo idoneo per l'emissione di un decreto ingiuntivo in favore di chi l'ha emessa, ma nell'eventuale giudizio di opposizione la stessa non costituisce prova dell'esistenza del credito, che dovrà essere dimostrato con gli ordinari mezzi di prova dall'opposto” (v. Cass. n. 5915 del 2011, con principio enunciato ex art. 360bis, n. 1 c.p.c.; Cass. n. 19944 del 2023).
23. Il motivo è fondato quanto al credito per le documentate spese di custodia dei beni pignorati (credito assistito da privilegio speciale di cui agli artt. 2755 e 2770 c.c.), atteso il sostanziale parallelismo tra creditore procedente nella procedura esecutiva singolare e creditore istante nella procedura concorsuale (v. Cass. n. 29113 del 2017; n. 26949 del 2016; n. 6787 del 2000).
24. Per le ragioni esposte, accolti il terzo e, parzialmente, il quarto motivo di ricorso, respinti i residui motivi, il decreto impugnato deve essere cassato, con rinvio della causa, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, al Tribunale di Macerata in diversa composizione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo e in parte il quarto motivo di ricorso, rigetta i residui motivi, cassa il decreto impugnato in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, al Tribunale di Macerata, in diversa composizione.
Così deciso nell’adunanza camerale del 31 gennaio 2024
Il Presidente Adriano Piergiovanni Patti