
A determinate eccezionali condizioni, e solo laddove sia del tutto impedita l'attività difensiva, il disordine del fascicolo può integrare il caso dell'omesso deposito.
In un giudizio avente ad oggetto l'applicazione dei domiciliari per il reato
Svolgimento del processo
1.Con ordinanza in data 3 aprile 2023 il Tribunale del riesame di Napoli ha confermato l'ordinanza in data 23 febbraio 2023 del GIP del Tribunale di Napoli Nord che aveva applicato a M.B. la misura degli arresti domiciliari per il reato dell'art. 440 cod. pen., di cui al capo 10), perché, come amministratore di fatto della società L.D: S.r.l., in concorso con altri, deteneva per il commercio e metteva in vendita alcol denaturato, risultato, in seguito alle analisi di laboratorio, non idoneo al consumo umano e pericoloso per la salute pubblica.
2. L'indagato ricorre per cassazione sulla base di quattro motivi.
Con il primo deduce la violazione di norme processuali in relazione all'art. 309 cod. proc. pen., 24 e 111 Cost., 6 CEDU, perché il fascicolo informatico era costituito da una mole di atti, confusa e moltiplicata nella sua dimensione, tale da rendere difficoltosa la difesa. Inoltre, prima dell'udienza, uno dei pacchetti informatici era scomparso mentre erano • stati ulteriormente depositati otto supporti informatici e due pen drive, per cui le originali 60.000 pagine erano diventate 150.000, senza ragione né utilità processuale, ma con aggravio di studio.
Con il secondo eccepisce la violazione di norme processuali, perché il GIP aveva emesso la misura cautelare, copiando la richiesta del PM, senza autonoma e critica valutazione del compendio indiziario.
Con il terzo lamenta la violazione di norme processuali e il vizio di motivazione in merito all'accertamento del ruolo di amministratore di fatto. Contesta l'interpretazione delle intercettazioni delle conversazioni tra terzi, la valorizzazione dell'occasionale consiglio in merito a un acquisto di prodotto per cortesia familiare, la presenza notturna in azienda.
Con il quarto denuncia la violazione di norme processuali per indebita sovrapposizione del pericolo di reiterazione di reati della stessa indole con il pericolo per la salute pubblica.
Nella memoria difensiva, in replica alla requisitoria del PG, insiste nelle sue ragioni.
Motivi della decisione
3. Il ricorso è manifestamente infondato.
4. La prima censura attiene alla lesione del diritto di difesa, a causa della trasmissione di un fascicolo informatico, pieno di atti confusi, senza indice e soprattutto ripetuti. L'eccezione si compone di tre parti, una relativa alla trasmissione di atti indicizzati in maniera imprecisa e inefficace dal PM, l'altra relativa alla moltiplicazione dei pacchetti informatici, contenenti gli atti del GIP successivi alla richiesta e una parte degli atti del fascicolo del PM, l'altra ancora relativa alla sparizione di un pacchetto informatico e al deposito fisico di hard disk e pen drive. La difesa lamenta che il Tribunale del riesame non ha accolto la richiesta di "trasmissione di copia degli atti in maniera ordinata, non confusa e non moltiplicata nella dimensione" e ha ricordato che la Corte costituzionale attribuisce al giudice il potere di sollecitare il PM a sistemare il fascicolo nel rispetto dell'art. 3 D.M. n. 334 del 1989.
La censura, per come formulata, è generica.
Dalla complessiva esposizione dei fatti pare possibile desumere che la moltiplicazione dei pacchetti informatici (e la sparizione di uno di questi prima dell'udienza), che non è chiaro se sia dipesa da un errore dell'operatore nell'inserimento dei dati o da un difetto di funzionamento del TIAP (Trattamento informatico di atti processuali), non abbia arrecato alcun pregiudizio alla difesa, ma solo il disagio di aprire questi pacchetti (forse a campione), per verificare la medesimezza del contenuto. Per la stessa ragione, nessun pregiudizio si è verificato per la sparizione di uno di questi pacchetti o per il deposito di supporti informatici contenenti sempre lo stesso materiale. Situazioni che hanno, al limite, determinato una perdita di tempo.
Diversa è la questione della trasmissione ordinata degli atti del fascicolo del
Pubblico ministero. La Corte costituzionale con la sentenza n. 142 del 2009 ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 416 cod. proc. pen., sollevata, con riferimento agli art. 24, secondo comma, e 111, terzo comma, della Costituzione, perché le disposizioni legislative e regolamentari, che disciplinano le modalità di formazione dei fascicoli, pur se dettate da esigenze di organizzazione razionale del lavoro in funzione dell'agevolazione dell'esercizio dei diritti spettanti alle parti, non contemplano sanzioni in caso di loro inosservanza. Pertanto, il giudice può solo sollecitare il pubblico ministero "ad effettuare la corretta sistemazione del fascicolo, nel rispetto delle prescrizioni contenute nell'art. 3 del decreto ministeriale n. 334 del 1989" nonché rinviare la causa assegnando un termine a difesa alla parte interessata, per garantire la parità delle armi. L'invito a riordinare il fascicolo trova il suo fondamento nell'art. 124 cod. proc. pen., che fa obbligo ai magistrati, ai cancellieri e agli ·altri ausiliari del giudice di osservare le norme processuali, la cui violazione è causa di responsabilità disciplinare, ma non determina una nullità degli atti o della fase di giudizio. La Corte costituzionale ha ulteriormente precisato che il disordine del fascicolo, a determinate eccezionali condizioni, può integrare il caso dell'omesso deposito, solo laddove sia del tutto impedita l'attività difensiva e in ossequio a tali principi, questa Corte, con la sentenza Sez. 6, n. 46139 del 29/10/2019, Fatih, Rv. 277388 - 01, in un caso di trasmissione di documenti tramite il TIAP, ha ritenuto abnorme il provvedimento con cui il giudice dell'udienza preliminare aveva disposto la restituzione al pubblico ministero della richiesta di rinvio a giudizio e del fascicolo processuale allegato, privi della numerazione delle pagine, per ottenere l'ordinata fascicolazione degli atti, perché avulso dal sistema processuale.
Del pari, nel processo civile e tributario, la irregolare tenuta del fascicolo di parte non comporta sanzioni processuali, ma produce conseguenze in merito all'assolvimento degli oneri probatori (Cass. civ., Sez. 3, n. 11617 del 2011, Rv. 618216; Sez. 6-5, n. 12670 del 2015, Rv. 635745-01, Sez. 3, n. 24461 del 2020, Rv. 659757 - 01, Sez. 6-1, n. 12751 del 2021, Rv. 661444-01), con la precisazione però, per il processo telematico, che la formazione o la trasmissione del documento in violazione delle regole tecniche è irregolare o nulla, stante l'espressa disposizione normativa (Cass. civ., Sez. 1, n. 28721 del 2020, Rv. 660049-01 e n. 15771 del 2020, Rv. 658469-01).
Nel caso in esame, il Tribunale del riesame ha escluso, o comunque ha ritenuto irrilevante, il "disordine" del fascicolo del PM, lamentato dall'indagato, perché ha osservato che gli atti erano stati tempestivamente inseriti nel TIAP, consultabili dalle parti e consultati dal collegio ai fini della decisione. E il ricorrente non ha confutato tale affermazione né ha offerto elementi di giudizio sufficienti a equiparare, nel limitato ambito tracciato dalla Corte costituzionale, questa situazione a quella dell'omesso deposito del fascicolo, ma anzi ha dimostrato, nonostante le ben rappresentate difficoltà, di essere in grado di espletare con pienezza le proprie difese.
Il Tribunale del riesame ha affermato di non disporre di poteri per tutelare l'interessato dal "disordine" del fascicolo del PM, dichiarazione mal intesa dal ricorrente, che ha invocato l'applicazione dei principi di diritto costituzionali e convenzionali. In realtà, il Tribunale si riferiva all'assenza di poteri coercitivi i@Trzio11e i1J rispetto alla richiesta di regolarizzazione degli atti. Ciò che è corretto, allo stato della legislazione vigente, siccome la tutela del diritto di difesa può consistere, come detto, nel rinvio dell'udienza, nell'assegnazione del termine a difesa, e solo in casi estremi nella dichiarazione di inesistenza degli atti, che ridonda in definitiva sulla valutazione della prova.
Sotto questo profilo, l'invocazione da parte del difensore della violazione dell'art. 6 CEDU pare inappropriata, perché il disagio nella gestione informatica degli atti non è trasmodato nell'impossibilità o nella maggiore difficoltà di approntare un'adeguata difesa per il proprio assistito.
5. Il secondo motivo attiene alla motivazione dell'ordinanza del GIP che, secondo la difesa, avrebbe recepito acriticamente la richiesta del PM. Il Collegio ha argomentato invece che l'ordinanza è assistita da adeguato vaglio critico delle argomentazioni del PM. Perciò, la doglianza si appalesa generica perché il ricorrente non ha confutato l'affermazione del Tribunale del riesame e non ha indicato le parti della motivazione redatte con l'asserita tecnica del copia-incolla (tra le più recenti, Sez. 5, n. 1861 del 28/10/2021, Raggi, Rv. 282539-01), per cui la questione devoluta inerisce piuttosto all'adeguatezza e tenuta logica della motivazione nel merito.
6. Il ricorrente contesta con il terzo motivo l'accertamento dei gravi indizi di colpevolezza in merito al ruolo di amministratore di fatto, ma focalizza la sua attenzione solo su profili la cui cognizione esula dai poteri del giudice di legittimità.
Per le intercettazioni, a differenza di quanto argomentato dalla difesa, è consolidato nella giurisprudenza di legittimità l'orientamento secondo cui il contenuto di intercettazioni telefoniche captate fra terzi, dalle quali emergano elementi di accusa nei confronti dell'indagato, può costituire fonte diretta di prova della sua colpevolezza senza necessità di riscontro, fatto salvo l'obbligo del giudice di valutare il significato delle conversazioni intercettate secondo criteri di linearità logica (Sez. 5, n. 48286 del 12/07/2016, Cigliola, Rv. 268414 - 01; ma si vedano anche Sez. 1, n. 27370 del 16/02/2021, Pezzella, che ha affermato il medesimo principio per le conversazioni tra soggetti non indagati, per cui ha richiesto il rigoroso apprezzamento, non solo della credibilità soggettiva dei dialoganti e dell'attendibilità intrinseca e convergenza in senso accusatorio di quanto da essi affermato, ma anche dell'autonomia e della solidità delle fonti di conoscenza di ciascun soggetto intercettato, e Sez. 2, n. 32569 del 16/06/2023, Aguì, Rv. 284980 - 03 che richiede i riscontri per fugare eventuali dubbi). Nel caso in esame, risultano plurime conversazioni, tra cui le più significative quelle della sorella co indagata, G. B., in merito all'acquisto dell'alcol e alla sua qualità, da cui è emerso che i fratelli B., G. e M., soci al 50% ciascuno della società "L.D. S.r.l.", avevano acquistato alcol denaturato, documentalmente catalogato come igienizzante anti Covid 19 per produrre e mettere in commercio bevande alcoliche contenenti sostanze nocive per la salute e comunque non destinate al consumo umano, in tal modo creando un grave pericolo per la salute pubblica. L'interpretazione del contenuto, poi, è questione di fatto che esula dalla cognizione del giudice di legittimità (Sez. 3, n. 44938 del 0S/10/2021, Gregoli, Rv. 2·82337-01).
La presenza dell'indagato in orario notturno nella società, sebbene videoripresa dalle telecamere di sorveglianza in data successiva ai fatti contestati, è stata non illogicamente ritenuta dai Giudici della cautela indicativa della gestione di fatto della società. Peraltro, secondo l'ordinanza, si tratta di una circostanza recessiva rispetto al risultato delle conversazioni intercettate, da cui è emersa con nettezza l'attività gestoria dell'indagato, ciò che, del resto, è coerente con il dato societario, perché il ricorrente era socio alla pari con la sorella, in una società a responsabilità limitata a conduzione familiare, e quindi si occupava degli affari
come amministratore di fatto e non a titolo di cortesia familiare. Il Tribunale del riesame, che ha valorizzato l'esercizio da parte del B., in modo continuativo e significativo, e non meramente episodico od occasionale, di tutti i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione di amministratore, o anche soltanto di alcuni di essi, come richiesto dalla giurisprudenza di legittimità (si veda tra le più recenti, Sez. 2, n. 36556 del 24/05/2022, Desiata, Rv. 283850-01), ha reso dunque una motivazione che resiste alle censure sollevate.
7. Del pari generico è il quarto motivo. A differenza di quanto prospettato, all'analisi della pericolosità per la salute pubblica della condotta è seguita la puntuale analisi della pericolosità del ricorrente, ritenuto, non illogicamente, uno spregiudicato, e quindi capace di reiterare comportamenti molto gravi. La valutazione prognostica sulla capacità di delinquere è in linea con i principi di diritto tracciati dalla giurisprudenza di legittimità che richiede un'analisi accurata della fattispecie concreta, che tenga conto delle modalità realizzative della condotta, della personalità del soggetto e del contesto socio-ambientale (tra le più recenti, Sez. 3, n. 9041 del 15/02/2022, Gizzi, Rv. 282891-01 e Sez. 2, n. 38299 del 13/06/2023, Mati, Rv. 285217-01).
Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende