Esclusa la reviviscenza dell'obbligo di mantenimento a carico del genitore dopo la cessazione del rapporto di lavoro del figlio poiché lo svolgimento di attività retribuita, seppur nell'ambito di un contratto a tempo determinato, può costituire un elemento rappresentativo della capacità del figlio di procurarsi una fonte adeguata di reddito.
Il Giudice di primo grado stabiliva a carico dell'attuale ricorrente il versamento di una somma mensile a titolo di mantenimento direttamente a beneficio dei due figli maggiorenni, ma non economicamente autosufficienti, oltre ad un'altra somma da versare alla ex moglie e titolo di assegno di divorzio.
La Corte d'Appello riformava parzialmente la decisione e revocava l'assegno di mantenimento a beneficio di uno solo dei due figli, confermando la somma da corrispondere invece all'altro. Ciò si spiegava poiché mentre il primo poteva considerarsi ormai autosufficiente dal punto di vista economico, visto in contratto a tempo determinato più o meno stabile e le prospettive lavorative sulla base del titolo di studio conseguito, lo stesso non poteva dirsi nei riguardi dell'altro figlio, che fruiva dal 2019 della NASpI. Allo stesso tempo, veniva confermato altresì l'assegno divorzile verso la ex moglie, vista la durata ultraventennale del matrimonio, la nascita di 3 figli, la sua età e il suo stato di salute che ne aveva comportato una ridotta capacità lavorativa.
Contro tale pronuncia, l'uomo propone ricorso in Cassazione, censurando tra le altre cose il fatto che i Giudici avessero ritenuto che il figlio avesse ancora diritto al mantenimento a suo carico.
Con l'ordinanza n. 8892 del 4 aprile 2024, la Cassazione dichiara fondato il motivo di ricorso, ribadendo che in materia di contributo al mantenimento del figlio maggiorenne da parte del genitore separato non convivente, lo svolgimento di attività retribuita, anche se svolta in virtù di un contratto a tempo determinato, può costituire un elemento rappresentativo della capacità del figlio di procurarsi una fonte adeguata di reddito, e quindi della sua raggiunta maturità economica. Ciò esclude dunque la reviviscenza dell'obbligo di mantenimento da parte del genitore dopo la cessazione del rapporto di lavoro, fermo restando che non ogni attività lavorativa a tempo determinato può ritenersi idonea a provare il raggiungimento dell'autosufficienza economica.
Detto ciò, gli Ermellini rilevano che nel caso di specie il figlio aveva lavorato per circa 3 anni per poi fruire del sussidio pubblico e ciò, secondo i Giudici, costituisce indice dimostrativo di una astratta idonea autosufficienza economica che esclude la reviviscenza dell'obbligo di mantenimento a carico del genitore.
Per questa ragione, la Cassazione accoglie il motivo di ricorso, a nulla rilevando la fruizione della NASpI.
Svolgimento del processo
Con sentenza del 2020 il Tribunale di Lagonegro stabiliva che A.A. versasse direttamente ai figli maggiorenni, ma non economicamente autosufficienti - D.D. e C.C. -, la somma mensile di euro 670,00, a titolo di mantenimento, e che il predetto versasse all'ex coniuge B.B. la somma mensile di Euro 250,00, a titolo di assegno divorzile, ex art. 5, c. 3, L. n. 898/70.
Con sentenza del 15.11.22, la Corte d'appello, decidendo sul gravame di A.A., ha accolto l'impugnativa e, in riforma parziale della sentenza impugnata, ha revocato l'assegno di mantenimento nei confronti del figlio D.D., confermando la somma a favore della figlia C.C..
Al riguardo, la Corte d'appello ha osservato che: in ordine al figlio D.D., poteva ritenersi che, in considerazione del contratto a tempo determinato, più o meno stabile, in essere con quest'ultimo - almeno fino al 2022 -, non essendo provato lo stato di cassa integrazione, e tenuto conto della residenza in O, il figlio avesse raggiunto una posizione di autosufficienza economica, anche in relazione alle verosimili prospettive lavorative del medesimo sulla base del titolo di studio conseguito; diversamente, doveva ritenersi che la figlia C.C. non avesse raggiunto l'autosufficienza economica, fruendo la stessa del sussidio pubblico naspi dal 2019, versando dunque la stessa in uno stato di precarietà tale da aver determinato un intervento assistenziale di matrice pubblicistica; era da confermare l'assegno divorzile a favore dell'ex moglie, considerando la durata ultraventennale del matrimonio, la nascita di tre figli (oggi maggiorenni), l'età (persona nata nel 1965), lo stato di salute e una ridotta capacità lavorativa della stessa B.B., beneficiaria del trattamento di cig in deroga; pertanto, si ravvisavano i presupposti per il riconoscimento - in funzione perequativo - compensativo - dell'assegno divorzile, anche considerando la progressione in carriera dell'ex marito.
A.A. ricorre in cassazione con due motivi. Le intimate non si sono costituite.
Motivi della decisione
Il primo motivo denunzia violazione degli artt. 147 e 337-septies, c.c., per aver la Corte d'appello respinto il gravame riguardante il mantenimento riconosciuto alla figlia maggiorenne C.C. (nata nel 1996) di cui sono contestati i presupposti.
In particolare, il ricorrente lamenta che la Corte territoriale abbia ritenuto che la figlia avesse diritto al mantenimento da parte del padre, sebbene avesse lavorato con regolare contratto dal 2017 al 2020, considerando che la stessa aveva conseguito una formazione professionale - di banconista e cameriera di bar - idonea per un'attività lavorativa a rendimenti crescenti.
Il secondo motivo denunzia violazione degli artt. 5, c. 6, L. n. 898/70, 2697 c.c., 115, 116, 132, c.p.c., per aver la Corte d'appello riconosciuto l'assegno divorzile a favore dell'ex moglie, lamentando che quest'ultima era dotata di piena capacità lavorativa, risultando allo stato dipendente di un'impresa che gestiva il bar della stazione ferroviaria di Sapri - svolgendo attività lavorativa dal 1989 - risiedendo in un immobile di cui era comproprietaria, e non avendo la stessa dimostrato di aver rinunciato al proprio lavoro.
Il ricorrente assume altresì che il quadro clinico dell'ex coniuge non integrava una ridotta capacità lavorativa, anche perché le varie patologie erano irrilevanti ai fini Inps.
Il primo motivo è fondato.
L'obbligo del genitore separato, o divorziato, di concorrere al mantenimento del figlio non cessa automaticamente con il raggiungimento della maggiore età da parte di quest'ultimo, ma perdura finché il genitore interessato non dia prova che il figlio ha raggiunto l'indipendenza economica, ovvero è stato posto nelle concrete condizioni per potere essere economicamente autosufficiente, senza averne però tratto utile profitto per sua colpa o per sua scelta (Cass. n. 1773/12; n. 1830/11; n. 6509/17).
Tale diritto trova oggi precisa espressione nell'art. 337-septies c.c., il quale - come in precedenza l'abrogato art. 155-quinquies c.c.- prevede che il giudice "valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico".
Tale principio generale è stato poi oggetto di ampia giurisprudenza che ne ha precisato il perimetro applicativo.
Invero, è stato affermato che i figli di genitori divorziati, che abbiano ampiamente superato la maggiore età, e non abbiano reperito, pur spendendo il conseguito titolo professionale sul mercato del lavoro, una occupazione lavorativa stabile o che, comunque, lo remuneri in misura tale da renderlo economicamente autosufficiente, non può soddisfare l'esigenza ad una vita dignitosa, alla cui realizzazione ogni giovane adulto deve aspirare, mediante l'attuazione dell'obbligo di mantenimento del genitore, bensì attraverso i diversi strumenti di ausilio, ormai di dimensione sociale, che sono finalizzati ad assicurare sostegno al reddito, ferma restando l'obbligazione alimentare da azionarsi nell'ambito familiare per supplire ad ogni più essenziale esigenza di vita dell'individuo bisognoso (Cass., n. 29264/22; n. 38366/21).
Va altresì osservato che i principî della funzione educativa del mantenimento e dell'autoresponsabilità circoscrivono, in capo al genitore, l'estensione dell'obbligo di contribuzione del figlio maggiorenne privo di indipendenza economica per il tempo mediamente necessario al reperimento di un'occupazione da parte di questi, tenuto conto del dovere del medesimo di ricercare un lavoro contemperando, fra di loro, le sue aspirazioni astratte con il concreto mercato del lavoro, non essendo giustificabile nel "figlio adulto" l'attesa ad ogni costo di un'occupazione necessariamente equivalente a quella desiderata (Cass., n. 26875/23).
In tema di contributo al mantenimento del figlio maggiorenne da parte del genitore separato non convivente, è stato precisato che lo svolgimento di un'attività retribuita, ancorché prestata in esecuzione di contratto di lavoro a tempo determinato, può costituire un elemento rappresentativo della capacità del figlio di procurarsi un'adeguata fonte di reddito, e quindi della raggiunta autosufficienza economica, che esclude la reviviscenza dell'obbligo di mantenimento da parte del genitore a seguito della cessazione del rapporto di lavoro, fermo restando che non ogni attività lavorativa a tempo determinato è idonea a dimostrare il raggiungimento della menzionata autosufficienza economica, che può essere esclusa dalla breve durata del rapporto o dalla ridotta misura della retribuzione (Cass., n. 40282/21).
Ora, nella specie, la figlia C.C. ha lavorato, a tempo determinato, dal 2017 al 2020, percependo la remunerazione mensile di Euro 670,00, per poi fruire del sussidio pubblico naspi. Tale attività lavorativa costituisce un elemento oggettivamente dimostrativo di una astrattamente idonea autosufficienza economica, escludente la reviviscenza dell'obbligo di mantenimento da parte del genitore a seguito della cessazione del rapporto di lavoro, per scadenza del termine, in mancanza di elementi di segno contrario.
Pertanto, è da censurare la sentenza impugnata che ha escluso apoditticamente il raggiungimento dell'autonomia economica della figlia ultramaggiorenne del ricorrente, in base al solo elemento della cessazione del rapporto di lavoro a tempo determinato, ma protrattosi per tre anni, a nulla rilevando, sotto questo profilo, secondo il giudice a quo, la fruizione del trattamento economico della naspi.
La mancata valutazione di questo compendio di elementi, che ove pienamente riscontrati risulterebbero decisivi, comporta l'accoglimento del corrispondente mezzo di cassazione, per violazione delle regulae elaborate da questa Corte in tema di assegno a favore dei figli maggiorenni, in sede di regolazione della crisi familiare.
Il secondo motivo è infondato. Invero, nella fattispecie ricorrono i presupposti dell'assegno divorzile nella veste perequativa-compensativa.
Data la durata ultraventennale del matrimonio, è ragionevolmente dimostrato (come ha reputato il giudice del gravame) che l'ex moglie si sia sempre dedicata alla famiglia e ai figli: allo stato Ella è cassintegrata e versa in uno stato di salute critico, mentre l'ex marito ha comunque beneficiato di una progressione di carriera nella polizia.
Tali valutazioni non sono né irragionevoli e né in contrasto con i principi in materia di assegno divorzile, così come da tempo affermati da questa Corte.
Per quanto esposto, in accoglimento del primo motivo, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio della causa alla Corte d'appello di Potenza, anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo e dichiara infondato il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d'appello di Potenza, in diversa composizione, anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
Dispone che ai sensi dell'art. 52 del D.Lgs. n. 196/03, in caso di diffusione della presente ordinanza si omettano le generalità e gli altri dati identificativi delle parti.