
Nel caso di specie, l'appellante dichiarava di essere attualmente disoccupato, nonostante svolgesse l'attività di DJ da parecchio tempo (presumibilmente a nero).
Il Tribunale di Bari omologava la separazione personale dei coniugi, prevedendo l'affido condiviso dei figli minori, collocati presso la casa coniugale insieme alla madre, e il versamento di un assegno di mantenimento a carico del padre per ciascun figlio, oltre alle spese straordinarie al 50%, senza alcun mantenimento tra coniugi.
In via interinale ed urgente, il padre chiedeva la sospensione dell'efficacia e esecutività delle condizioni di separazione consensuale, in vista del suo licenziamento ed attuale stato di disoccupazione. Egli chiedeva, nello specifico, tempistiche paritarie di permanenza dei minori presso ciascun genitore, i quali avrebbero provveduto personalmente e direttamente al loro mantenimento, senza la necessità di versare un assegno perequativo, almeno fin quando lo stesso non avrebbe trovato una nuova occupazione.
Dal canto suo, la moglie chiedeva invece conferma delle condizioni separative di cui sopra, evidenziando che l'uomo non aveva mai voluto tenere i figli durante la notte e non aveva nemmeno mai condiviso con essi le vacanze, non curandosi della loro vita ordinaria. Ella chiedeva dunque l'ascolto dei minori, evidenziando che il padre aveva già smesso di versare il mantenimento ai figli, nonostante avesse capacità lavorativa e lavorasse come DJ.
Con sentenza non definitiva veniva pronunciata la cessazione degli effetti civili del matrimonio, mentre la causa proseguiva per le altre questioni.
Nel frattempo, il padre rinunciava alla domanda relativa al mutamento di collocamento dei minori, proponendo comunque una diminuzione dell'assegno.
Il Tribunale di Bari rigettava le sue pretese confermando gli obblighi di mantenimento a suo carico, essendo emerso che egli svolgeva (presumibilmente in nero) l'attività di DJ in maniera stabile. In ogni caso, comunque, il Tribunale rammenta che resta a carico del genitore l'obbligo di mantenimento, anche qualora egli sia disoccupato, considerando peraltro che i figli erano accuditi pressocché integralmente dalla madre.
Il padre propone appello.
Con la sentenza n. 1083 del 30 giugno 2023, la Corte d'Appello di Bari osserva come vero è che la forma ordinaria di mantenimento ordinaria sia quella diretta, ma è vero anche che esso deve essere effettivo, cioè che entrambi i coniugi devono adempiervi concretamente, anche in considerazione dei tempi di permanenza dei minori presso ciascuno di essi. In tal senso, il mantenimento costituisce una forma perequativa.
Nel caso di specie, invece, l'appellante chiedeva di esserne completamente esonerato nonostante, a prescindere dal fatto che non avesse un'occupazione fissa, egli avesse capacità lavorativa, elemento che non è stato negato dallo stesso, il quale ha dichiarato di svolgere da sempre l'attività di DJ. Ciò conduce a ritenere che il modesto contributo economico posto a suo carico per mantenere i figli (pari a 200 euro per ciascuno) di certo è sostenibile, viste le sue capacità lavorative e la possibilità di trovare un'occupazione, anche saltuaria.
Così facendo, i Giudici confermano l'irrilevanza della condizione, seppur temporanea, di disoccupazione dell'obbligato, considerando che l'obbligo di mantenere ed educare i figli non viene eliso neppure dall'eventuale stato di disoccupazione, posto che il genitore potrebbe in ogni caso godere di altri redditi, anche non dichiarati, e comunque percepirli.
In sostanza, se non è dimostrata l'assoluta incapienza e incapacità attuale a produrre reddito, l'obbligo di contribuzione persiste.
Totalmente infondato si rivela pertanto l'appello.
Svolgimento del processo / Motivi della decisione
Il 13.09.2003 S.F. (nato a B. l'(...)) e T.C. (nata a B. il (...)) contraevano matrimonio concordatario, trascritto nei registri dello Stato Civile del Comune di Bari (n. 936, Parte 2 serie A - anno 2003), e dalla loro unione nascevano due figli: F. (il (...) a B.) e S. (il (...) a B.).
Il Tribunale di Bari omologava la separazione personale dei coniugi con decreto cron. (...) (rg (...)), che prevedeva tra l'altro l'affido condiviso dei minori, collocati presso la madre nell'abitazione coniugale, alla stessa assegnata, nonché l'assegno di mantenimento ordinario in favore dei figli per Euro 200,00 mensili per ciascun figlio (oltre spese straordinarie al 50%) a carico del padre, con calendario delle visite, senza alcun mantenimento tra coniugi dichiarandosi entrambi titolari di reddito.
S.F., con ricorso depositato il 6.12.2018, essendo trascorsi i termini di legge senza alcuna riconciliazione, evidenziati il suo licenziamento dal 12.01.2015 (precedentemente era dipendente a tempo pieno ed indeterminato presso la ditta "E. di G.F." con mansioni di operaio elettromeccanico specializzato) ed il suo attuale stato di disoccupazione (condividendo una casa in locazione e vivendo grazie agli aiuti dell'anziana madre), nonché la disponibilità di tempo e spazio per accogliere i minori, chiedeva al Tribunale di Bari (rg .../18): "1) in via interinale ed urgente disporre, all'esito dell'udienza presidenziale, la sospensione dell'efficacia ed esecutività delle pattuizioni contenute ai numeri 4), 6) e 9) delle condizioni di separazione consensuale (doc.4), sostituendole con tempistiche paritarie di permanenza dei minori presso ciascuno dei genitori, i quali dovranno provvedere personalmente e direttamente al loro mantenimento senza necessità di assegno perequativo, perlomeno sinché lo S. non riuscirà a reperire nuova occupazione analoga a quella del tempo della separazione; per poi 2) pronunciare la cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario contratto in data 13.09.2003 dal ricorrente con la Sig.ra T.C., nata a B. il (...) (C.F. (...) ) e residente in B. alla Via P. R. n.206, alle condizioni sancite in sede di separazione consensuale (doc.4) con le opportune e necessarie modifiche di cui al precedente punto sub.(...)); 3) spese e competenze processuali come per legge;"
Si costituiva T.C. che non si opponeva alla dichiarazione di cessazione degli effetti civili del matrimonio, ma chiedeva la conferma delle condizioni separative, in quanto la richiesta di affido paritario si manifestava come semplicemente strumentale alla riduzione dell'assegno di mantenimento, considerato che il padre aveva una frequentazione con i minori sostanzialmente legata a qualche ora del sabato (dalle 12 alle 19), ed al pranzo di Natale (dalle 13 alle 17,30), non avendo mai voluto tenere i figli durante la notte (ed in particolare da quando aveva avviato una nuova convivenza in una casa piccola) né avendo condiviso con loro giorni di vacanza. Inoltre lo S. non si curava quasi nulla della vita ordinaria dei figli - neppure scolastica o relativa ai loro interessi
- mentre questi avevano trovato un loro sereno equilibrio nella nuova famiglia creata dalla T. con il compagno ed il loro figlio con cui F. e S. avevano un legame molto forte. Chiedeva quindi l'ascolto dei minori anche prima dei provvedimenti interinali. Sotto il profilo economico e reddituale la T. evidenziava che lo S. aveva smesso di pagare sia il mantenimento dei minori (il cui arretrato ammontava per il solo mantenimento ordinario ad Euro 12.600,00) che le rate di mutuo della casa coniugale, dalla cui vendita erano peraltro residuati a favore dei coniugi comproprietari solo Euro 5.000,00 ciascuno, e che lo stesso aveva capacità lavorativa e comunque lavorava come DJ.
All'udienza presidenziale del 7.03.2019 il ricorrente dichiarava di essere disoccupato e di ricevere aiuto dalla madre e dalla compagna, affermando di vedere saltuariamente i figli e di non provvedere ai disposti versamenti alla madre per il loro mantenimento; mentre la resistente confermava di non ricevere da due anni alcuna contribuzione dallo S., che non aveva mai rispettato il calendario delle visite. Entrambi dichiaravano di avere nuovi compagni e di non avere proprietà immobiliari.
Il Tribunale, in via provvisoria, confermava le condizioni della separazione.
Con sentenza non definitiva n. 1200 del 17.04.2020 veniva pronunciata la cessazione degli effetti civili del matrimonio tra S.F. e T.C., mentre la causa proseguiva - previa istruttoria - per le altre questioni.
Acquisita la produzione documentale e fotografica, espletato l'interrogatorio formale dello S. all'udienza del 24.11.2021, il Giudice, rilevato che il ricorrente aveva rinunciato alla domanda relativa al mutamento di collocamento dei minori, proponendo comunque una diminuzione dell'assegno e pertanto residuando solo questioni economiche, non disponeva l'ascolto dei minori e la causa veniva quindi decisa, dopo lo scambio di memorie e repliche, con la sentenza del Tribunale di Bari che così disponeva: "1) Rigetta la domanda formulata dal ricorrente e, per l'effetto, conferma l'obbligo di S.F. di corrispondere a titolo di contributo al mantenimento dei figli F. e S. la somma complessiva di Euro. 400,00 mensili (Euro. 200,00 per ciascun figlio), oltre il 50% delle spese straordinarie relative ai figli e all'assegno unico universale, ove previsto, che spetterà al collocatario salvo diverso accordo tra le parti; 2) Conferma, per il resto, le condizioni della separazione; 3) Rigetta la domanda formula da parte resistente di condanna del ricorrente S. al pagamento del risarcimento dei danni per responsabilità aggravata ai sensi dell'art. 96 c.p.c.; 4) Pone le spese processuali a carico del ricorrente S.F. che liquida in Euro. 5077,00 per compensi, oltre RFS del 15% ed accessori come per legge."
Riteneva il Tribunale che, dalla valutazione del materiale istruttorio, si rilevava documentalmente che lo S. era stato licenziato nel 2015, era iscritto alle liste di collocamento, aveva avuto accesso al reddito di cittadinanza, ma dal 2018 al 2020 vi era assoluta inesistenza di reddito (solo nel 2017 avrebbe percepito Euro 3.000), ma che lo stesso svolgeva (presumibilmente a nero) l'attività di DJ in maniera stabile (così dai documenti prodotti dalla T.), traendo da questa il suo sostentamento, benchè nell'interrogatorio S. lo avesse negato, pur asserendo di pagare il canone di locazione (di cui non vi era documentazione) stante l'impossidenza immobiliare (avendo anche venduto la casa coniugale). In ogni caso, motivava il Tribunale, anche il genitore disoccupato era tenuto a mantenere i figli e comunque l'attività di DJ svolta dallo S., sebbene potrebbe non essere pari economicamente a quella precedente, comunque non consentiva una riduzione del contributo per le aumentate necessità dei figli oramai cresciuti, contributo che doveva essere versato al genitore convivente, verificato altresì che - come confermato dallo stesso S. - i figli passavano poco tempo con il padre ed erano accuditi in maniera pressoché totale dalla madre.
Con ricorso depositato il 21.11.2022 S.F. proponeva appello instando per la riforma della sentenza del Tribunale di Bari n /22 per i seguenti motivi:
1) Il Tribunale avrebbe errato nella ricostruzione del fatto e violato l'art. 337 ter c.c., perché l'assegno di mantenimento dei minori è un versamento ulteriore, rispetto al quello del mantenimento diretto, che ha lo scopo si perequare la sproporzione tra i redditi dei genitori, che nel caso di specie non esisteva. L'attività di DJ, infatti, era anche svolta precedentemente alla separazione dallo S. al pari dei lavori saltuari della T., la quale successivamente aveva visto però migliorata la sua situazione perché percepiva anche i sussidi per l'ultimo figlio avuto dal suo compagno, nonché supporto assistenziale ed economico da parte di quest'ultimo, non potendo rilevare esclusivamente i tempi di permanenza dei figli presso ciascun genitore. Il Tribunale non avrebbe altresì considerato l'età di F., prossima alla maggiore età, con plausibile indipendenza economica.
2) Il Tribunale avrebbe violato le norme sostanziali e processuali in tema di onere della prova (artt. 2721 e 2729 c.c. nonché (...) e ( ) c.p.c.), avendo ritenuto in base a delle presunzioni e senza indagini - pur possibili anche d'ufficio - l'esistenza di redditi occulti desumendoli dalla circostanza che lo S. pagasse un canone di locazione pur non essendoci alcuna prova del contratto, nonché dagli estratti da Facebook depositati dalla T., pure a fronte della documentazione ufficiale fiscale ed amministrativa che invece indicava chiaramente l'assenza di redditi dello S..
Chiedeva pertanto alla Corte d'Appello "in riforma dell'impugnata sentenza ed in modifica degli accordi di separazione, Voler sopprimere -o in subordine dimezzare- l'assegno perequativo per mantenimento prole a carico dell'appellante, salva ogni ulteriore, connessa e/o conseguenziale pronuncia di ragione e di legge. Spese e competenze processuali del doppio grado di giudizio come per legge."
Si costituiva in data 17.01.23 T.C., che preliminarmente sollevava eccezione di inammissibilità del ricorso ex art. 342 c.p.c., e nel merito chiedeva la conferma della sentenza impugnata, avendo il Giudice rispettato nella quantificazione dell'assegno i parametri di cui all'art. 337 ter c.c., tenendo conto delle attuali esigenze dei minori, dei tempi di permanenza presso la madre e della valenza economica dei compiti domestici e di cura svolti dalla stessa, nonché delle risorse economiche di entrambi i genitori. In particolare rivendicava la legittimità delle riproduzioni tratte da Facebook che mostravano la sistematicità del lavoro svolto dallo S. come DJ ogni fine settimana e nelle festività presso Villa Rotondo durante tutto il corso dell'anno, attività che quindi doveva presumersi effettuata dietro retribuzione.
Con nota del 2.12.2022, il Sostituto Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Bari esprimeva parere di rigetto del ricorso.
Alla prima udienza del 26.01.2023, sostituita con note ex art. 127 ter c.p.c., la causa - viste le note depositate dalle parti - veniva trattenuta in decisione, concedendo termine di giorni 60 per il deposito di note e successivi 20 giorni per il deposito di repliche.
L'appellante con le note di trattazione scritta dichiarava di non accettare il contraddittorio sull'avversa comparsa perché tardivamente depositata (9 giorni prima dell'udienza, anzichè nel termine di 10 giorni prima dell'udienza del 26.01.23 assegnato dalla Corte con il medesimo provvedimento di fissazione di tale udienza) né sulle note di trattazione scritta della T. perché depositate in data 17.01.23 come allegato generico in pdf e non come atto successivo firmato digitalmente.
Nel termine concesso l'appellante depositava repliche, mentre l'appellata depositava note. Tanto premesso brevemente sullo svolgimento del processo, questa Corte ritiene che l'appello proposto da S.F. sia ammissibile ma totalmente infondato e debba essere respinto.
L'eccezione ex art. 342 c.p.c. sollevata dalla T. non può trovare accoglimento, benchè l'appello si presenti oggettivamente ai limiti dell'ammissibilità, dovendosi comunque ritenersi individuati le questioni e i punti contestati della sentenza impugnata, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuta e contrasta le ragioni addotte dal primo giudice, non occorrendo l'utilizzo di particolari forme sacramentali, tenuto conto della natura di "revisio prioris instantiae" del giudizio di appello (così Cassazione a Sezioni Unite n. 27199/2017).
Deve anche essere respinta l'eccezione di tardività sollevata dall'appellante in relazione alla costituzione della T., essendo il termine indicato nel provvedimento di fissazione dell'udienza meramente ordinatorio, né ha fondamento la formalistica eccezione inerente il deposito delle note di trattazione scritta dell'appellata in quanto risultando firmata digitalmente la nota di deposito dell'allegato, tale modalità appare una mera irregolarità peraltro processualmente non rilevante.
Nel merito le determinazioni del Tribunale sono corrette e scevre dalle censure sollevate dall'appellante.
La ricostruzione operata dall'appellante sui principi regolanti l'assegno di mantenimento dei minori non corrisponde alle determinazioni di legge ed alla loro ratio in relazione al caso concreto, con le quali l'argomentazione dello S. non si confronta, restando fermo a mere contestazioni teoriche, peraltro errate anche perché eccentriche rispetto alle reali motivazioni del Tribunale che invece ha opportunamente valutato i fatti emersi in giudizio ed applicato correttamente le norme, così come interpretate dalla giurisprudenza.
Il Tribunale ha infatti valutato che i minori passano pochissimo tempo con il padre (lo afferma lo stesso S. in sede di udienza presidenziale) e sono quindi accuditi e curati in maniera pressocchè totale dalla madre, che il padre è in buona salute e, benchè formalmente privo di redditi (anche se dichiara di pagare un canone di locazione), svolge l'attività di DJ sistematicamente. A fronte di tale oggettiva situazione, non contestata dallo S. neppure in sede di appello, non può trovare alcun collegamento con tali emergenze processuali la richiamata prevalenza del mantenimento diretto dei minori rispetto al disposto assegno, né la circostanza che lo S. non goda ufficialmente dello stesso reddito che aveva in sede separativa (peraltro ha anche dichiarato di non contribuire attualmente al mantenimento dei minori), né che la madre abbia sostentamento dal compagno o provvidenze per il terzo figlio (tenuto conto che la stessa non ha presentato alcuna dichiarazione dei redditi per gli anni dal 2015 al 2017, come da depositata certificazione dell'Agenzia delle Entrate), oppure la maggiore età della figlia (oggi appena diciottenne). Se è vero infatti che la forma ordinaria - e preferibile - di mantenimento dei minori è quella diretta, appare ovvio che tale forma di mantenimento debba risultare effettiva, ossia entrambi i coniugi vi devono concretamente adempiere anche in considerazione dei tempi di permanenza dei minori presso ciascun genitore e per le incombenze di assistenza e cura che ogni genitore realmente si assume, consentendo ai minori di soddisfare presso entrambi i genitori le proprie necessità secondo un tenore di vita analogo a quello che avevano in costanza di convivenza matrimoniale, ed in tal senso - e solo in tal senso - esso rappresenta una forma perequativa, tenendo conto principalmente della diversità di redditi tra i coniugi (inesistenti, a dire dell'appellante). In altre parole, anche in ipotesi di collocamento effettivamente paritario dei figli presso ciascuno dei genitori - e non è questo il caso - tale circostanza non può, per sé solo, giustificare che costoro provvedano direttamente al relativo mantenimento, nei periodi di permanenza dei medesimi presso le rispettive abitazioni, con esclusione di qualsiasi ulteriore prestazione, occorrendo comunque valutare comparativamente le risorse economiche a disposizione delle parti, per consentire un riequilibrio tra le possibilità dei figli presso entrambi i genitori, fissando eventualmente un assegno - perequativo appunto - a favore del genitore più debole. La peculiarità dell'obbligazione gravante in capo ai genitori relativa al mantenimento dei figli - per il solo fatto di averli concepiti - impone il riconoscimento dell'obbligo di mantenimento a carico del genitore, mentre lo S. vorrebbe esserne completamente esentato (o gravato in maniera figurativa), a prescindere dal fatto che questi non abbia un'occupazione fissa, in quanto ciò che rileva è esclusivamente la capacità lavorativa dello stesso che non solo è stata provata dalla documentazione in atti, ma non è negata dall'appellante che anche in sede di appello conferma di essere un DJ e di svolgere tale attività da sempre (si tratta di "passione adolescenziale"), e quindi di avere una capacità lavorativa specifica, né indica ragioni che gli impedirebbero di ritrarne delle entrate, sicchè il modesto contributo economico posto a carico dello S. per il mantenimento dei figli (Euro 200,00 per ciascuno) è di certo sostenibile tenuto conto delle sue concrete capacità lavorative e della possibilità di reperire un'occupazione anche saltuaria (cfr Cassazione civile sez. VI, 29/10/2013, n. 24424).
E’ pacifico che l'obbligo del padre di contribuire al mantenimento del figlio sia un dovere ineludibile (art. 315 bis ss c.c.), giustificato dalla situazione legittimante di dipendenza economica dei figli (artt. 147 e 148 c.c.), essendo irrilevante la condizione, anche temporanea, di disoccupazione del soggetto obbligato (cfr Cass. Pen, 39411/17), dovendo comunque persistere, sia pur in termini modesti o ridotti (come quelli fissati dalla sentenza di primo grado), quale espressione della responsabilità genitoriale anche in fase divorzile secondo il principio di proporzionalità ex art. 337 ter c.c. L'obbligo dei genitori di educare e mantenere i figli non viene quindi eliso neppure da un eventuale stato di disoccupazione del genitore - tanto più di una persona ancora giovane ed abile al lavoro - stato che non può esonerare tale genitore dall'obbligo di mantenimento dei figli, posto che l'obbligato potrebbe in ogni caso godere di altri redditi - anche non dichiarati - e comunque percepibili, dovendosi ritenere che se non è provata l'assoluta incapienza ed incapacità attuale a produrre reddito, circostanza non ricorrente nel caso de quo, l'obbligo di contribuzione non solo sussiste ma, altresì, persiste. Nell'ambito dei giudizi di separazione e divorzio, peraltro, le condizioni economiche dei genitori cui deve guardarsi per la determinazione del quantum dell'assegno di mantenimento per i figli, non devono essere necessariamente accertate mediante una rigorosa comparazione dei redditi nel loro esatto ammontare, essendo sufficiente un'attendibile ricostruzione delle complessive situazioni patrimoniali e reddituali dei coniugi (Cass. sez. VI-I 28.03.2019 n. 8744, Cass. Sez. VI- I 15.11.2016 n. 23263, Cass. Sez. I 6.6.2013 n. 14336, Cass. Sez. I 28.1.2011 n. 2098), valutata congiuntamente agli altri criteri indicati dall'art. 337 ter c.c. Ed è ciò che ha effettivamente fatto il Tribunale di Bari, valutando tutti gli elementi in giudizio senza quindi alcuna violazione delle norme citate (e neppure degli art. 2721, comma 1 e 2729, comma 2, c.c. nonchè (...) e (...) c.p.c.), non potendo dare prevalenza alla documentazione reddituale ed amministrativa prodotta dal ricorrente che mal si concilia con la sua età, il suo stato di salute, la sua capacità lavorativa specifica e l'attività da questi effettivamente svolta (con eventuale occultamento di redditi), fissando a carico del genitore che non contribuisce ad alcun significativo mantenimento diretto dei figli, ossia lo S., un minimo assegno a titolo di contributo al mantenimento dei figli (che altrimenti rimarrebbero totalmente a carico della madre) nell'adempimento del persistente obbligo in capo a tutti i genitori previsto dall'art. 316 bis c.c., e tenuto conto di tutti i parametri di cui all'art. art. 337 ter c.c. . Il Tribunale ha infatti valutato per la definizione dell'assegno, fermandolo all'importo minimo di Euro 200,00 mensili per ciascun figlio (oltre al 50% delle spese straordinarie), le attuali ed aumentate esigenze dei figli oramai cresciuti ed in fase adolescenziale (cfr. tra le altre Cass. 1.3.2018 n. 4811; Cass. 18.9.2013, n. 21273; Cass. n. 23630/2009; Cass. n. 23411/2009; Cass. 3.8.2007 n. 17055; Cass. n. 10119/2006), il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori (cfr. Cass. n. 785 del 2012), i tempi di permanenza presso ciascun genitore (e quindi la scarsa permanenza presso il padre) e la valenza dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore (cfr. Cass.; ordinanza 1.3.2018 n. 4811; Cass. 10 luglio 2013, n. 17089), ossia in maniera pressocchè totale dalla T., nonchè le risorse economiche di entrambi effettive o potenziali, rilevando principalmente la capacità lavorativa espressa dallo S. secondo quanto emerso in giudizio. Né l'appena raggiunta maggiore età della figlia F. (18 anni al 25.3.2023) può esimere allo stato la contribuzione paterna, dovendosi ritenere presumibile la sua non autosufficienza economica (risultando iscritta nel 2019 alla scuola secondaria di secondo grado), per la necessità di studiare o di intraprendere percorsi professionalizzanti, o comunque per l'impossibilità oggettiva nel breve termine di trovare un'autonoma fonte di reddito, giustificandosi alla luce di tali presunzioni, rebus sic stantibus, la permanenza del diritto al suo mantenimento, potendo tale statuizione essere modificata in qualunque momento ricorrendone i presupposti di legge.
L'appello merita dunque il rigetto perché totalmente infondato con conferma integrale della sentenza di primo grado, anche nella condanna alle spese conseguenziale all'esito del processo di primo grado.
La totale infondatezza dell'appello, ai limiti dell'inammissibilità, comporta la revoca dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato di cui alla Delib. del COA di Bari n. 4510 del 15 novembre 2022.
Le spese di secondo grado seguono la soccombenza e devono essere poste a carico dell'appellante e liquidate come in dispositivo secondo il D.M. n. 55 del 2014, ai valori minimi stante la bassa complessità e tenuto conto del valore della causa (valore indeterminato - scaglione da Euro 26.001,00 ad Euro 52.000,00) e dei parametri di cui all'art. 4, per le tre fasi svolte e, considerato altresì che l'appellata è stata ammessa al patrocinio a spese dello Stato con Delib. del COA di Bari n. 139 del 14 febbraio 2023, deve disporsi che il relativo pagamento sia eseguito ai sensi dell'art. 133 T.U.S.G. in favore dell'E..
Si applica alla presente impugnazione, proposta dopo il 30.1.2013, il comma 1-quater dell'art. 13 D.P.R. n. 115 del 2002 (introdotto dalla legge di stabilità 228/12), che obbliga la parte, che proponga un'impugnazione anche incidentale inammissibile, improcedibile o totalmente infondata, a pagare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte di Appello di Bari, definitivamente pronunciando sull'appello proposto da S.F., avverso la sentenza n. .../2022 del Tribunale di Bari pubblicata il 20.10.2022 (nel giudizio .../2018 RG), iscritto innanzi a questa Corte al n /2022 R.G, così provvede:
- Rigetta l'appello e per l'effetto conferma integralmente la sentenza n /2022 del Tribunale di Bari
- Condanna S.F. al pagamento delle spese legali di questo grado che liquida in complessivi Euro 3.473,00 (fase di studio Euro 1.029,00, fase introduttiva Euro 709,00 e decisionale Euro 1.735,00) oltre spese generali 15%, cap ed iva come per legge e dispone il relativo pagamento in favore dell'E.
Dà atto della sussistenza dei presupposti per il pagamento dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'appello, a carico dell'appellante, in osservanza dell'art. 13 co. 1-quater D.P.R. n. 115 del 2002, nel testo inserito dall'art. 1 co. 17 L. n. 228 del 2012. L'obbligo di pagamento sorge al momento del deposito del presente provvedimento.