Le violenze costituiscono violazioni talmente gravi dei doveri nascenti dal matrimonio da fondare la dichiarazione di addebito all'autore di esse. Anche in presenza di un singolo episodio di percosse, il giudice è esonerato dal dovere di procedere alla comparazione col comportamento del coniuge che sia vittima delle violenze.
In un giudizio avente ad oggetto la separazione dei coniugi e l'affido condiviso del minore con collocamento presso il padre, la moglie ricorre per cassazione censurando la sentenza impugnata per aver la Corte d'Appello addebitatole la separazione senza verificare l'assolvimento del duplice onere probatorio, sul rilievo che «la...
Svolgimento del processo
Con sentenza n. 1240/2020, il Tribunale di Pescara, dopo aver pronunciato sentenza di separazione personale dei coniugi M.R. e S.Y, con addebito alla moglie, ha respinto la richiesta di addebito al marito, formulata da quest’ultima e, di conseguenza, la domanda della moglie volta a ottenere un contributo al proprio mantenimento. Lo stesso Tribunale disponeva, poi, l’affido condiviso del figlio minore delle parti, con collocamento presso il padre, e disciplinava le modalità di visita e di frequentazione della madre, ponendo a carico di quest’ultima, con decorrenza dal novembre 2020, l’obbligo di versare entro il giorno 5 di ogni mese la somma di € 150,00, a titolo di contributo al mantenimento del figlio, oltre al 50% delle spese straordinarie, come disciplinate dal Protocollo Famiglia del Tribunale di Pescara. Avverso tale pronuncia proponeva appello S.Y, censurando la decisione nella parte in cui Le aveva addebitato la separazione e anche in quella parte in cui aveva disposto il collocamento del figlio minore presso il padre (ed escluso che la madre potesse recarsi all’estero con il bambino per le vacanze). L’appellato, nel costituirsi, chiedeva il rigetto dell’impugnazione e la Corte d’appello di L’Aquila, con la sentenza n. 477/2022, pubblicata in data 31/03/2022, respingeva il gravame.
S.Y ha, quindi, proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi di impugnazione.
L’intimato si è difeso con controricorso.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 143 e 151 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per avere la Corte d’appello addebitato la separazione alla moglie, senza verificare l’assolvimento del duplice onere probatorio, poiché la dimostrazione della violazione degli obblighi derivanti dal matrimonio deve essere accompagnata dall’accertamento del nesso di causalità tra la violazione dei doveri della ricorrente e la fine dell’unione familiare.
Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la violazione o falsa applicazione dell’art. 315 bis e 337 ter c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per avere la Corte d’appello vietato l’espatrio del minore senza alcuna valida ragione, mentre invece avrebbe dovuto tenere conto dell’interesse primario del minore ed anche degli ascendenti materni, residenti in Ucraina, di conoscersi e intessere relazioni.
2. Il primo motivo di ricorso è infondato.
2.1. Com’è noto ai sensi dell’art. 151 c.c. «La separazione può essere chiesta quando si verificano, anche indipendentemente dalla volontà di uno o di entrambi i coniugi, fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza o da recare grave pregiudizio alla educazione della prole. Il giudice, pronunziando la separazione, dichiara, ove ne ricorrano le circostanze e ne sia richiesto, a quale dei coniugi sia addebitabile la separazione, in considerazione del suo comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio.»
La dichiarazione di addebito implica l’esistenza di comportamenti "oggettivamente" contrari ai valori sui quali la Costituzione italiana fonda il matrimonio, benché nella "soggettiva" opinione del coniuge agente siano conformi alla "propria" personale etica o visione sociale o religiosa od ai propri costumi o siano espressivi di una spontanea reattività a stili di vita non condivisi (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 19450 del 20/09/2007).
Ovviamente, l’indagine sull'intollerabilità della convivenza deve essere svolta sulla base della valutazione globale e sulla comparazione dei comportamenti di entrambi i coniugi, non potendo la condotta dell'uno essere giudicata senza un raffronto con quella dell'altro, consentendo solo tale comparazione di riscontrare se e quale incidenza esse abbiano riservato, nel loro reciproco interferire, nel verificarsi della crisi matrimoniale (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 14162 del 14/11/2001).
La pronuncia di addebito della separazione non può fondarsi, infatti, sulla sola violazione dei doveri posti dall'art. 143 c.c. a carico dei coniugi, essendo, invece, necessario accertare che tale violazione, lungi dall'essere intervenuta quando era già maturata una situazione in cui la convivenza non era più tollerabile, abbia assunto efficacia causale nel determinare tale situazione (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 18074 del 20/08/2014).
L'apprezzamento circa la responsabilità di uno o di entrambi i coniugi nel determinarsi della intollerabilità della convivenza è un accertamento in fatto riservato al giudice di merito e non può essere censurato in sede di legittimità in presenza di una motivazione che non sia viziata (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 18074 del 20/08/2014).
Con riguardo all’onere della prova, in base alle regole generali, deve ritenersi gravante sulla parte che richiede l'addebito della separazione l'onere di provare sia la contrarietà del comportamento del coniuge ai doveri che derivano dal matrimonio, sia l'efficacia causale di questi comportamenti nel rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 16691 del 05/08/2020). È, invece, onere di chi eccepisce l'inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda nella determinazione dell'intollerabilità della convivenza, provare le circostanze su cui l'eccezione si fonda, vale a dire l'anteriorità della crisi matrimoniale alla violazione dell’obbligo derivante dal matrimonio (v. Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 3923 del 19/02/2018, con riferimento alla violazione dell’obbligo di fedeltà).
L'anteriorità della crisi della coppia rispetto alla violazione di tali obblighi, quale causa di esclusione del nesso causale tra quest'ultima condotta violativa degli obblighi derivanti dal matrimonio e l'intollerabilità della prosecuzione della convivenza, integrando un'eccezione in senso lato, è rilevabile d'ufficio, purché sia allegata dalla parte a ciò interessata e risulti dal materiale probatorio acquisito al processo (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 20866 del 21/07/2021).
2.2. Con specifico riferimento alle violenze inflitte da un coniuge all'altro, questa Corte ha, tuttavia, precisato che costituiscono violazioni talmente gravi dei doveri nascenti dal matrimonio da fondare, non solo la pronuncia di separazione personale, in quanto cause determinanti la intollerabilità della convivenza, ma anche la dichiarazione di addebito all'autore di esse. Il loro accertamento esonera, infatti, il giudice del merito dal dovere di procedere alla comparazione, ai fini dell'adozione delle relative pronunce, col comportamento del coniuge che sia vittima delle violenze, trattandosi di atti che, in ragione della loro estrema gravità, sono comparabili solo con comportamenti omogenei (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 31351 del 24/10/2022; Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 3925 del 19/02/2018; v. già Cass., Sez. 1, Sentenza n. 7321 del 07/04/2005 e Cass., Sez. 1, Sentenza n. 11844 del 19/05/2006).
Con particolare riguardo, poi, alle violenze fisiche, questa Corte ha ritenuto che esse costituiscono violazioni talmente gravi ed inaccettabili dei doveri nascenti dal matrimonio da fondare, di per sé sole – quand’anche concretantisi in un unico episodio di percosse – la pronuncia di separazione personale con addebito all’autore, esonerando il giudice del merito dal dovere di comparare con esse, ai fini dell’adozione delle relative pronunce, il comportamento del coniuge che sia vittima delle violenze, restando altresì irrilevante la posteriorità temporale delle violenze rispetto al manifestarsi di una situazione di crisi della coppia (Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 7388 del 22/03/2017; Cass., Sez. 6-1, Sentenza n. 433 del 14/01/2016).
I comportamenti fisicamente e moralmente lesivi, inflitti da un coniuge all’altro, rappresentano, infatti, una delle violazioni più gravi dei doveri nascenti dal matrimonio, tali da fondare l’addebito della separazione all’autore degli stessi, ed è sufficiente un singolo episodio di percosse o comunque di violenza fisica a danno del coniuge, per devastare in maniera definitiva l’equilibrio della coppia e giustificare la richiesta di addebito della separazione, poiché lesivo della pari dignità di ogni persona (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 817 del 14/01/2011; Cass., Sez. 1, Sentenza n. 8548 del 14/04/2011).
2.3. Nel caso di specie, la Corte d’appello si è conformata ai principi appena enunciati, statuendo come segue: «… la diversa ricostruzione della vicenda coniugale proposta dall’appellante, fondata sulla rilevanza della prevaricazione psicologica del marito in danno della moglie non trova adeguato riscontro nelle mere dichiarazioni delle testi addotte dalla difesa di quest’ultima (rispettivamente madre e nonna della stessa) che in ogni caso non minano l’esatta ricostruzione dei presupposti per l’addebito a suo carico fondati sugli indiscussi episodi di aggressione fisica compiuti dalla moglie nei confronti del marito. Tanto può evincersi, come ineccepibilmente rilevato dal Tribunale, non solo da quanto riferito –de relato - dai testi indicati dal M., ma anche dai certificati del pronto soccorso che attestano le lesioni, dalle foto in atti e dalla circostanza che episodi diversi di violenza ed irascibilità della S. sono stati riferiti anche da testi indifferenti alle parti (R.L.) ed anche detto elemento corrobora una condizione di estrema ed ingiustificata irascibilità della stessa, seppur riferita ad un dato momento storico della sua vita, del tutto compatibile con quanto assunto dal marito nella richiesta di addebito. Non da ultimo peraltro va preso atto che ella stessa non nega di essersi rivolta nei confronti del marito con atteggiamenti fisicamente aggressivi, evidenziando tuttavia gli stessi erano la conseguenza della pressione psicologica che il M. esercitava su di lei senza considerare che per giurisprudenza di legittimità ormai consolidata e del tutto condivisibile, “ i comportamenti reattivi del coniuge che sfociano in azioni violente e lesive dell’incolumità fisica dell’altro coniuge, rappresentano, in un giudizio di comparazione al fine di determinare l’addebito della separazione, causa determinante dell’intollerabilità della convivenza, nonostante la conflittualità fosse risalente nel tempo ed il fatto che l’altro coniuge contribuisse ad esasperare la relazione”. (Cassazione civile sez. VI, 21/03/2018, n.6997). E’ dunque ampiamente giustificata la pronuncia di addebito della separazione.» (p. 5 e s. della sentenza impugnata).
La ritenuta prova di reiterate aggressioni fisiche è stata correttamente posta a fondamento della pronuncia di addebito, e non bilanciabile con altre condotte, in considerazione della estrema gravità in sé delle condotte lesive dell’integrità fisica del coniuge.
3. Il secondo motivo è inammissibile.
Sul punto la Corte di appello ha statuito come segue:
«Quanto all’ultimo motivo di censura ritiene la Corte di condividere alla luce della non risolta conflittualità tutt’ora in essere tra i coniugi, la decisione di non autorizzare la madre a recarsi all’estero per periodi di vacanza con il figlio. Tale statuizione lungi dall’esprimere qualsivoglia intento punitivo o discriminatorio delle rispettive culture di provenienza del bambino, venendo in discussione esperienze che anzi in condizioni di normalità sicuramente arricchirebbero le conoscenze culturali ed affettive del figlio, di cui comunque questi non è privato vista la costante frequentazione della nonna e della bisnonna materna che spesso sono presenti in Italia, è fondata, a prescindere dai dubbi espressi dall’appellato, proprio sul pericolo che la forte ostilità tra i coniugi possa portare la attuale appellante (ad oggi ancora priva di attività lavorativa e sostentata economicamente dai familiari e pertanto non stabilmente ancorata al territorio italiano) ad assumere senza il consenso del padre la decisione di ritrasferirsi con il bimbo nel suo paese d’origine (magari non nell’immediato vista l’attuale emergenza bellica) vanificando la acquisizione di una globale serenità conquistata da M. proprio mediante l’apporto, la cura e l’affetto di tutti i membri delle rispettive famiglie delle parti, mentre la possibilità di prevedere periodi di vacanza della madre unitamente al figlio nel suo Paese natio presuppone l’instaurazione di un minimo grado di complicità e fiducia nel rapporto tra i genitori per il benessere del figlio, allo stato non raggiunto. Ovviamente tale decisione, come quella sulla collocazione prevalente del minore, è rivedibile e modificabile nel corso del tempo, al variare delle attuali condizioni.»
A tale statuizione la ricorrente ha opposto l’assenza di ragioni per l’adozione di tale misura e l’esigenza di tutelare l’interesse primario del figlio a conoscere le sue origini e a coltivare rapporti con i suoi ascendenti, unitamente allo specolare diritto di questi ultimi di intessere relazioni con il nipote, ma a tali esigenze la Corte di appello ha ampiamente risposto, come sopra evidenziato, risolvendosi la censura in una richiesta di revisione delle valutazioni in fatto operate dal giudice di merito, peraltro in virtù di argomentazioni in astratto valide ma del tutto sganciate dalla statuizione adottata e dalle ragioni in essa esposte.
4. In conclusione, il ricorso deve essere respinto.
5. Le spese di lite seguono la soccombenza.
6. In applicazione dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto per l’impugnazione proposta, se dovuto.
7. In caso di diffusione, devono essere omesse le generalità delle parti e dei soggetti menzionati nella decisione, a norma dell’art. 52 d.lgs. n. 196 del 2003.
P.Q.M.
La Corte
rigetta il ricorso;
condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite sostenute dal controricorrente, che liquida in € 5.000,00 per compenso, oltre € 200,00 per esborsi ed accessori di legge;
dà atto, in applicazione dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto per l’impugnazione proposta, se dovuto;
dispone che, in caso di diffusione della presente ordinanza, siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti menzionati, a norma dell’art. 52 d.lgs. n. 196 del 2003.