
Per l'Avvocato generale, «divulgare il nome dell'atleta, la violazione della disposizione antidoping di cui trattasi e la sospensione imposta sul sito Internet accessibile al pubblico di un'autorità nazionale antidoping risulta, nel periodo della sua sospensione, adeguato e necessario per raggiungere l'obiettivo della funzione preventiva di dissuasione e per informare i soggetti interessati».
Con le sue conclusioni nella causa C-115/22 del 14 settembre 2023, l'Avvocato generale si occupa di risolvere la questione relativa alla compatibilità o meno con il RGPD della pubblicazione su internet dei dati personali di un'atleta professionista dopato.
Nel caso di specie, l'Agenzia antidoping indipendente austriaca pubblicava sul suo sito internet il nome di un'atleta professionista riconosciuta colpevole per aver agito in violazione delle disposizioni antidoping nazionali, le condotte antigiuridiche commesse e il periodo di sospensione.
Nelle sue argomentazioni, l'Avvocato generale ritiene anzitutto che il RGPD non si applichi alla circostanza di fatto della causa per il seguente motivo: attualmente non esistono norme UE che riguardano le politiche antidoping degli Stati membri e pertanto il RGPD non può disciplinare tali attività di trattamento.
In subordine, l'Avvocato generale osserva che il RGPD autorizza il trattamento di dati personali in un contesto predeterminato senza che sia necessario effettuare una qualsivoglia valutazione individualizzata della proporzionalità.
Ciò detto, afferma che «l'ingerenza nei diritti degli atleti professionisti derivante dalla divulgazione al pubblico può essere giustificata dall'obiettivo preventivo consistente nel dissuadere i giovani atleti dal commettere infrazioni relative al doping e nell'informare i pertinenti soggetti interessati». Nella società moderne, l'unico modo per adempiere ad un obbligo di divulgazione è la pubblicazione su internet.
Dunque, «divulgare il nome dell'atleta, la violazione della disposizione antidoping di cui trattasi e la sospensione imposta sul sito Internet accessibile al pubblico di un'autorità nazionale antidoping risulta, nel periodo della sua sospensione, adeguato e necessario per raggiungere l'obiettivo della funzione preventiva di dissuasione e per informare i soggetti interessati».
«Rinvio pregiudiziale – Articolo 267 TFUE – Nozione di “giurisdizione” – Rinvio di un tribunale nazionale antidoping – Protezione dei dati personali – Regolamento (UE) 2016/679 – Articolo 5 – Articolo 6 – Liceità e necessità della pubblicazione online dei dati personali del trasgressore di disposizioni antidoping – Articolo 9 – Qualificazione o meno delle violazioni di disposizioni antidoping come “dati relativi alla salute” – Articolo 10 – Qualificazione o meno delle violazioni di disposizioni antidoping come “dati personali relativi a condanne penali” – Qualificazione o meno di un tribunale nazionale come “autorità pubblica”»
I. Introduzione
1. Citius, Altius, Fortius; più veloce, più in alto, più forte. Come pochi altri, il motto olimpico esprime il desiderio dell’uomo di avanzare verso nuovi traguardi. Tuttavia, la pressione di vincere può far nascere la tentazione di migliorare le prestazioni attraverso l’impiego di determinate sostanze proibite.
2. La presente causa sorge in un contesto del genere. La ricorrente è un’atleta professionista austriaca, dichiarata colpevole di aver agito in violazione di disposizioni antidoping. Di conseguenza, l’autorità nazionale antidoping austriaca ha pubblicato il suo nome, i dettagli della violazione in questione e il periodo di sospensione sul proprio sito Internet, accessibile al pubblico.
3. Ci si chiede se la suddetta prassi sia compatibile con il regolamento generale sulla protezione dei dati (in prosieguo: il «RGPD») (2). Questa, in sintesi, è la principale questione di merito sollevata dinanzi alla Corte. Tuttavia, poiché il rinvio pregiudiziale non proviene da un organo giurisdizionale «classico», inserito nell’organizzazione del sistema giudiziario austriaco, la presente causa solleva anche una questione di ricevibilità.
II. Fatti e questioni pregiudiziali
4. Se l’impiego di stimolanti per migliorare le prestazioni fisiche è presente nelle competizioni dell’uomo fin dagli albori della storia documentata (3), il sistema di controlli antidoping come oggi lo conosciamo risale soltanto al 1999, con la creazione della World Anti-Doping Agency (Agenzia mondiale antidoping, in prosieguo: la «WADA») e l’entrata in vigore, nel 2004, del World Anti-Doping Code (codice mondiale antidoping, in prosieguo: il «WADC» (4)). La sua ultima modifica risale al 2021.
5. Sebbene il WADC sia uno strumento giuridico di natura privata, la sua efficacia è garantita dalla Convenzione internazionale delle Nazioni Unite contro il doping nello sport, del 2005 (5). Tutti gli Stati membri sono firmatari di tale convenzione. Il suo articolo 4 stabilisce che le disposizioni del WADC non costituiscono parte integrante della convenzione e non hanno effetti diretti nel diritto nazionale. Tuttavia, mediante la stessa disposizione, gli Stati contraenti si sono impegnati a rispettare i principi sanciti dal WADC. Tale impegno, che comprende il requisito previsto dal WADC di pubblicare online le violazioni delle disposizioni antidoping, è trasposto negli ordinamenti giuridici degli Stati membri in diverse forme (6),.
6. La presente causa proviene dall’Austria, dove i controlli antidoping sono disciplinati dall’Anti-Doping-Bundesgesetz 2021 (legge federale austriaca in materia di antidoping del 2021) (in prosieguo: l’«ADBG»).
7. Tra il 1998 e il 2015, SO (in prosieguo: la « ricorrente») è stata un’atleta professionista in Austria. Ha rappresentato il suo paese in occasione di competizioni internazionali quale membro della squadra della Federazione austriaca di atletica leggera. La ricorrente ha altresì ricoperto funzioni di direzione e di rappresentanza presso varie associazioni sportive austriache.
8. Nel 2021, in base agli esiti di un’indagine condotta dal Bundeskriminalamt (Ufficio federale di polizia criminale, Austria), l’Unabhängige Dopingkontrolleinrichtung (Organismo indipendente per il controllo antidoping) (in prosieguo: la «NADA») ha presentato una richiesta di riesame dinanzi alla Österreichische Anti-Doping-Rechtskommission (commissione giuridica austriaca in materia di antidoping) (in prosieguo: la «ÖADR»).
9. Con decisione del 31 maggio 2021, l’ÖADR ha dichiarato la ricorrente colpevole di aver violato la regola 32.2, lettere b) e f), delle regole delle competizioni dell’International Association of Athletics Federations (associazione internazionale delle federazioni di atletica; in prosieguo: l’«IAAF») del 2015, nonché le regole 2.2 e 2.6 delle regole antidoping dell’IAAF del 2017. Tali norme vietano l’«uso o il tentato uso di una sostanza o di un metodo proibiti», nonché il «possesso di una sostanza o di un metodo proibiti» (7). In particolare, l’ÖADR ha dichiarato che, nel periodo compreso tra il maggio 2015 e l’aprile 2017, la ricorrente era in possesso delle sostanze eritropoietina (conosciuta anche come EPO), genotropina o somatropina e testosterone (sotto forma di Androgel) e che le aveva assunte, almeno in parte, nel 2015. Queste sostanze figuravano tutte nelle liste delle sostanze e dei metodi proibiti della WADA dal 2015 al 2017. Il loro uso da parte di atleti professionisti la cui attività è retta dalle regole delle competizioni della IAAF era quindi vietato.
10. A seguito di tale conclusione, nella decisionecontroversa, l’ÖADR ha dichiarato invalidi tutti i risultati conseguiti dalla ricorrente dal 10 maggio 2015 fino alla data di entrata in vigore di tale decisione e ha revocato tutti i diritti di partecipazione e/o i premi in denaro. Inoltre, essa ha inflitto alla ricorrente l’esclusione da qualsiasi tipo di competizione sportiva per un periodo di quattro anni, con effetto dal 31 maggio 2021.
11. Nel corso del procedimento dinanzi all’ÖADR, la ricorrente aveva chiesto che la decisione controversa non fosse divulgata al pubblico mediante una pubblicazione online liberamente accessibile. Tale richiesta è stata respinta dall’ÖADR nella decisione controversa.
12. La ricorrente ha presentato una richiesta di riesame della decisione controversa presso l’Unabhängige Schiedskommission (commissione arbitrale indipendente, Austria) (in prosieguo: l’«USK»).
13. Con decisione del 21 dicembre 2021, l’USK ha confermato le conclusioni di merito dell’ÖADR, le violazioni delle disposizioni antidoping commesse dalla ricorrente e la sanzione imposta.
14. Al contempo, l’USK si è riservata la decisione sulla richiesta della ricorrente di non pubblicare online la decisione controversa, divulgandola in tal modo al pubblico (8).
15. L’obbligo di pubblicazione di cui trattasi si fonda sugli articoli 21, paragrafo 3, e 23, paragrafo 14, dell’ADBG. Tali disposizioni stabiliscono che l’ÖADR e l’USK, rispettivamente, «informa[no] [l’organizzazione sportiva federale austriaca], le organizzazioni sportive, gli atleti, altre persone e gli organizzatori delle competizioni nonché il pubblico in generale delle proprie decisioni», indicando il nome dell’interessato, la durata dell’esclusione e i motivi della stessa, senza che sia possibile desumere i dati dell’interessato relativi alla salute.
16. La pubblicazione di tali informazioni è obbligatoria per gli atleti professionisti e, in alcuni casi, anche per gli atleti ricreazionali. In altri casi, se la violazione è stata commessa da atleti ricreazionali, minori o persone vulnerabili, la pubblicazione non è obbligatoria.
17. Anche se l’obbligo di informare il pubblico incombe agli organi decisionali, ossia all’ÖADR e all’USK, l’ADBG stabilisce che la NADA provvede a eseguire tale compito per conto dell’ÖADR e dell’USK (9). Al fine di adempiere a detto obbligo, la NADA pubblica sul proprio sito Internet una tabella accessibile al pubblico (10). Le pertinenti voci di detta tabella consistono nel nome e cognome della persona di cui trattasi; nel tipo di sport da essa praticato; nel tipo di violazione commessa; nel tipo di sospensione inflitta; nonché nelle date di inizio e fine della sospensione.
18. Prendo atto del fatto che tali informazioni sono consultabili sul sito Internet della NADA soltanto durante il periodo di vigenza della sospensione dell’atleta in questione.
19. L’USK nutre dubbi quanto alla compatibilità con il RGPD della prassi consistente nel divulgare al pubblico i dati personali della ricorrente mediante una pubblicazione online liberamente accessibile sul sito Internet della NADA. Al fine di potersi pronunciare sulla richiesta della ricorrente di non pubblicare i suoi dati personali su tale sito Internet, essa ha quindi deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se l’informazione relativa al fatto che una specifica persona abbia commesso una determinata violazione della normativa antidoping e sia stata esclusa dalla partecipazione a competizioni (nazionali e internazionali) a motivo di detta violazione costituisca un “dato relativo alla salute” ai sensi dell’articolo 9 del [regolamento generale sulla protezione dei dati].
2) Se il regolamento generale sulla protezione dei dati – con particolare riguardo al suo articolo 6, paragrafo 3, secondo comma – osti a una normativa nazionale la quale prevede la pubblicazione del nome delle persone interessate dalla decisione della [USK], della durata dell’esclusione e dei motivi della stessa, senza che sia possibile desumerne i dati dell’interessato relativi alla salute. Se sia rilevante al riguardo il fatto che, secondo la normativa nazionale, la divulgazione di tali informazioni al pubblico può essere omessa solo se l’interessato è un atleta ricreazionale, un minore o una persona che ha contribuito in modo significativo all’individuazione di potenziali violazioni della normativa antidoping, fornendo informazioni o altre indicazioni.
3) Se il regolamento generale sulla protezione dei dati – con particolare riguardo ai principi enunciati dal suo articolo 5, paragrafo 1, lettere a) e c) – postuli in ogni caso, prima della pubblicazione, un bilanciamento tra gli interessi della personalità dell’interessato compromessi da una pubblicazione, da un lato, e l’interesse del pubblico ad essere informato sulla violazione della normativa antidoping da parte di un atleta, dall’altro lato.
4) Se l’informazione concernente il fatto che una persona specifica ha commesso una determinata violazione della normativa antidoping ed è stata esclusa dalla partecipazione a competizioni (nazionali e internazionali) a motivo di detta violazione costituisca un trattamento di dati personali relativi a condanne penali e reati ai sensi dell’articolo 10 del regolamento generale sulla protezione dei dati.
5) In caso di risposta affermativa alla quarta questione: se la [USK] istituita dall’articolo 8 dell’[ADBG 2021] [legge federale in materia di antidoping del 2021] sia un’autorità pubblica ai sensi dell’articolo 10 del regolamento generale sulla protezione dei dati».
20. La ricorrente, la NADA, la WADA, i governi belga, francese, lettone, lussemburghese e polacco, nonché la Commissione europea, hanno presentato osservazioni scritte. Ad eccezione dei governi belga, francese, lussemburghese e polacco, le suddette parti hanno altresì svolto le loro difese orali nel corso dell’udienza tenutasi il 2 maggio 2023.
III. Ricevibilità
21. La funzione principale del procedimento di rinvio pregiudiziale è garantire l’applicazione uniforme del diritto dell’Unione in tutti gli Stati membri. Tuttavia, sebbene vari organi nazionali (amministrativi, di regolamentazione o di altro tipo) siano tenuti ad applicare il diritto dell’Unione e possano nutrire dubbi quanto al suo significato, l’articolo 267 TFUE consente soltanto alle «giurisdizioni» di chiedere alla Corte un’interpretazione del diritto dell’Unione. In linea di principio, quando una domanda di pronuncia pregiudiziale proviene da un organo giurisdizionale nazionale considerato parte del potere giudiziario dello Stato membro interessato, la Corte considera la domanda ricevibile. Tuttavia, qualora tale richiesta sia effettuata da un organo che non appartiene al potere giudiziario nel senso classico del termine ai sensi dell’articolo 267 TFUE, la Corte non respinge automaticamente la domanda. Essa verifica, invece, se l’organo del rinvio possa, ciò nonostante, essere considerato una «giurisdizione» ai sensi di detta disposizione.
22. La presente causa è stata sottoposta alla Corte dall’USK. Quest’ultima non è, prima facie, uno degli organi appartenenti al potere giudiziario austriaco. Pertanto, nelle sue osservazioni scritte presentate alla Corte, la Commissione ha messo in dubbio il fatto che l’USK soddisfi le condizioni richieste per essere assimilata a una «giurisdizione» ai sensi dell’articolo 267 TFUE. Di conseguenza, la prima questione che la Corte è tenuta a risolvere prima di esaminare il merito della presente causa è se essa possa «dialogare» con l’USK.
23. Sono dell’avviso che l’USK sia una «giurisdizione» ai sensi dell’articolo 267 TFUE. Al fine di chiarire la mia posizione, ricorderò brevemente, anzitutto, le norme che disciplinano l’organizzazione e le funzioni dell’USK (III.A). In tale contesto, dimostrerò che essa soddisfa le condizioni sviluppate nella giurisprudenza della Corte per essere considerata una «giurisdizione» (III.B).
A. Organizzazione e struttura dell’USK
24. L’USK è un organo permanente istituito ai sensi dell’articolo 8 dell’ADBG.
25. Nella sua decisione di rinvio, tale organo spiega che esso opera, in Austria, come tribunale arbitrale sportivo «supremo» in materia di violazioni delle disposizioni antidoping. Si tratta del tribunale superiore nel sistema a due livelli istituito dall’ADBG per sanzionare le violazioni delle disposizioni antidoping. In primo grado, l’accertamento di una violazione delle disposizioni antidoping applicabili e l’irrogazione delle sanzioni sono affidati, su iniziativa della NADA, all’ÖADR (11). Una decisione dell’ÖADR può essere oggetto di riesame dinanzi all’USK. In tal caso, le parti del procedimento sono l’atleta (o un’altra persona) cui si applica la decisione dell’ÖADR da un lato, e la NADA, dall’altro (12).
26. L’USK adotta le sue decisioni sulla base di un sistema di votazione a maggioranza (13), nell’ambito di un procedimento disciplinato dal codice di procedura civile austriaco (14) e dal proprio regolamento di procedura. Quest’ultimo è reso accessibile al pubblico (15).
27. L’articolo 8, paragrafo 1, dell’ADBG dichiara espressamente che l’USK è indipendente rispetto alle autorità pubbliche, ai privati e alla NADA. Esso stabilisce, inoltre, che i membri dell’USK non sono autorizzati a partecipare alle indagini condotte dalla NADA su asserite violazioni di disposizioni antidoping applicabili; alla decisione finale della NADA; alla decisione se presentare o meno una richiesta di esame dinanzi all’ÖADR; e neppure al procedimento di esame stesso. L’USK deve svolgere i propri compiti in modo autonomo e indipendente (16).
28. Ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 2, dell’ADBG, l’USK è composta da un presidente e da sette membri. Il presidente e il vicepresidente devono aver superato l’esame di accesso alla magistratura o all’avvocatura. Due membri del comitato devono possedere una laurea in giurisprudenza e un’esperienza nello svolgimento di procedimenti formali di indagine. Altri due membri devono essere esperti in chimica analitica o tossicologia. Infine, due membri devono essere esperti in medicina dello sport.
29. Lo stesso articolo chiarisce inoltre che, per ogni procedimento, la composizione dell’USK muta: il presidente o il vicepresidente nominano, tra i membri dell’USK, almeno un membro in possesso di una laurea in giurisprudenza e di esperienza in procedimenti formali di indagine; almeno un esperto in chimica analitica o tossicologia; e almeno un membro esperto in medicina dello sport (17).
30. Conformemente all’articolo 8, paragrafo 3, dell’ADBG, e come spiegato nella decisione di rinvio, il presidente e i membri permanenti dell’USK sono nominati dal Ministro federale per le arti, la cultura, la funzione pubblica e lo sport (in prosieguo: il «Ministro dello sport») per un mandato di quattro anni, rinnovabile (18). Il Ministro dello sport può revocare il mandato di un membro dell’USK prima della scadenza soltanto in presenza di «gravi motivi» (19).
31. In caso di controversie relative a manifestazioni sportive austriache o atleti austriaci, il procedimento deve essere instaurato dinanzi all’USK (20). In altri termini, un ricorso contro una decisione dell’ÖADR può, in tali casi, essere proposto soltanto dinanzi all’USK (21).
32. L’articolo 23, paragrafo 3, dell’ADBG esige che l’USK, in sede di controllo della legittimità di una decisione dell’ÖADR, applichi le disposizioni antidoping applicabili dell’associazione sportiva internazionale competente. Qualora constati l’illegittimità di una decisione, essa può annullarla, modificarla o sostituirla con la propria decisione (22).
33. Come è stato spiegato in udienza, i ricorsi avverso le decisioni dell’USK possono essere proposti dinanzi agli organi giurisdizionali civili austriaci competenti allorché concernano questioni di diritto civile. In tali casi, l’USK non è parte del procedimento dinanzi all’organo giurisdizionale civile competente. Di converso, le parti continuano ad essere la NADA e l’atleta (o altra persona).
34. Tuttavia, come è stato altresì spiegato in udienza, e come tutte le parti hanno tacitamente ammesso, la legittimità della pubblicazione, sul sito Internet della NADA, della decisione dell’USK contenente i dati personali della ricorrente non sembra rientrare nella competenza degli organi giurisdizionali civili austriaci. Al contempo, è stato anche spiegato che l’impugnazione delle decisioni dell’USK non rientra nella competenza degli organi giurisdizionali amministrativi austriaci. Di conseguenza, risulta che, quando decide sulla legittimità di una decisione di pubblicare i dati personali di un atleta, l’USK sia, in Austria, il giudice di ultimo grado.
35. Un atleta può percorrere un’altra via, che non coinvolge l’USK, presentando un reclamo presso la Datenschutzbehörde (Autorità per la protezione dei dati austriaca). Le decisioni di quest’ultima possono essere impugnate dinanzi agli organi giurisdizionali amministrativi austriaci.
36. Infine, e benché non emerga in modo chiaro dalle informazioni contenute nel fascicolo della Corte, sembra che un atleta possa decidere di impugnare la decisione dell’USK dinanzi al TAS, qualora il reclamo verta su questioni relative alla corretta applicazione delle regole antidoping dell’associazione sportiva internazionale competente e/o della WADC (23).
37. Alla luce di quanto precede, esaminerò ora se l’USK sia una «giurisdizione» ai sensi dell’articolo 267 TFUE.
B. Se l’USK sia una «giurisdizione»
38. Già da un certo tempo, a partire dalla sentenza Vaassen-Göbbels, la Corte ha statuito che il significato di «giurisdizione» di cui all’(attuale) articolo 267 TFUE deve essere determinato esclusivamente alla luce del diritto dell’Unione (24). Tale approccio consente alla Corte di esaminare domande di pronuncia pregiudiziale provenienti da organi che, come l’USK, non sono considerati organi giurisdizionali nel quadro della ripartizione costituzionale «classica» dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario in uno Stato membro, ma ai quali è attribuita, ciò nonostante, la competenza a dirimere controversie mediante l’applicazione del diritto dell’Unione. Consentire a una gamma più ampia di organi, anziché ai soli organi giurisdizionali nel senso «ordinario» dei termini, di effettuare a siffatti rinvii rafforza l’obiettivo primario del procedimento di rinvio pregiudiziale di garantire l’applicazione uniforme del diritto dell’Unione. Così, fin dall’inizio, la Corte ha accettato anche rinvii provenienti da organi che non sareberro descritti come «giurisdizioni» in senso classico. Tuttavia, il meccanismo non è stato reso disponibile a tutti gli organi tenuti ad applicare il diritto dell’Unione, bensì soltanto a quelli suscettibili di essere considerati «giurisdizioni».
39. La Corte non ha mai fornito una definizione della nozione di «giurisdizione» di cui all’articolo 267 TFUE (25). Tuttavia, nel corso degli anni, essa ha sviluppato una serie di criteri che prende in considerazione per stabilire se possa considerare ricevibile o meno un rinvio. Tra questi criteri figurano: l’origine legale dell’organo di rinvio; il suo carattere permanente; l’obbligatorietà della sua giurisdizione; la natura contraddittoria del procedimento; il fatto che esso applichi norme giuridiche e che sia indipendente (sul piano interno ed esterno) (26). Sebbene tali criteri siano stati applicati con gradi di rigore diversi nel corso degli anni, recentemente, presumibilmente sotto l’influenza delle sentenze in materia di Stato di diritto (27), si è verificato un inasprimento del requisito dell’indipendenza. Nella sentenza Banco de Santander (28), ad esempio, la Corte ha ritenuto necessario modificare la sua posizione per quanto concerne la ricevibilità dei rinvii pregiudiziali del Tribunal Económico-Administrativo Central (Tribunale economico-amministrativo centrale, Spagna; in prosieguo: il «TEAC»), ritenendo, a differenza di molti anni prima (29), che tale organo non soddisfi il requisito dell’indipendenza.
40. In relazione all’USK, è proprio il requisito dell’indipendenza ad essere controverso. Prima di spiegare il motivo per cui ritengo che l’organo del rinvio nella presente causa soddisfi tale criterio, mostrerò anzitutto che esso soddisfa altri criteri utilizzati dalla Corte nella sua giurisprudenza sulla nozione di «giurisdizione» ai sensi dell’articolo 267 TFUE.
1. «Origine legale» e «carattere permanente»
41. Il requisito secondo cui l’organo di rinvio deve avere origine legale implica che la sua base giuridica debba essere contenuta nella normativa nazionale, a livello primario o derivato (30). Il criterio della permanenza esige che, in quanto istituzione, l’organo abbia carattere permanente, indipendentemente dal fatto che sia prevista una nuova formazione per ciascun procedimento o che le formazioni mutino (31).
42. Nella presente causa, tali criteri sono manifestamente soddisfatti: come ho spiegato, l’USK è istituita dall’ADBG, la legislazione federale austriaca. I suoi membri permanenti sono nominati per un mandato di quattro anni rinnovabile e, sebbene la composizione della commissione competente ad adottare le decisioni muti, essa è composta conformemente alle norme previste dalla legge e sulla base dell’elenco dei membri effettivi dell’USK (v. paragrafi 28 e 29 delle presenti conclusioni).
2. «Obbligatorietà della giurisdizione»
43. Il requisito dell’obbligatorietà della giurisdizione dell’organo di rinvio è stato applicato nella giurisprudenza in due modi. La Corte esige che le parti del procedimento dinanzi ad esso non possano scegliere se la causa sarà decisa o meno da tale organo (32) oppure essa ha richiesto che le decisioni dell’organo in questione siano vincolanti per le parti (33). Il criterio dell’obbligatorietà della giurisdizione è stato considerato soddisfatto anche nei casi in cui il diritto nazionale concedeva alle parti la scelta se proporre ricorso dinanzi all’organo in questione o ai giudici «ordinari» dell’ordinamento interessato (34). Ciò che rileva è che la competenza dell’organo di rinvio non dipenda dall’accordo delle parti contrapposte sulla questione se esso sia competente, in quanto la competenza è stabilita automaticamente al momento della presentazione del ricorso ad opera di una di esse.
44. L’USK soddisfa il criterio dell’obbligatorietà della giurisdizione in entrambe le sue due applicazioni. È opportuno in questa sede spiegare che, nonostante la sua denominazione, tale organo non è un «tribunale arbitrale» nel senso che la sua competenza deriva da un accordo tra le parti. Di converso, come ho spiegato ai paragrafi 24 e 31 delle presenti conclusioni, e come precisato sia nella decisione di rinvio, sia dalle parti, in Austria all’USK è attribuita, mediante una legge federale, giurisdizione obbligatoria sulle richieste di riesame delle decisioni dell’ÖADR.
45. Le decisioni dell’USK sono vincolanti per le parti della controversia. Proprio per questo motivo, presumibilmente, la legislazione austriaca prevede la possibilità di impugnare le sue decisioni su questioni di diritto civile dinanzi agli organi giurisdizionali civili austriaci, da un lato, e le sue decisioni su questioni in materia di disposizioni antidoping internazionali dinanzi ai giudici civili austriaci o al TAS, dall’altro. Sembra tuttavia che, nel diritto austriaco, non vi sia un giudice di secondo grado dinanzi al quale possa essere impugnata una decisione dell’USK sulla compatibilità con il RGPD di una decisione di pubblicare i dati personali di un atleta. Sembra quindi opportuno considerare tale organo come una «giurisdizione» che, ai sensi dell’articolo 267, paragrafo 3, TFUE, ha l’obbligo di proporre una domanda di pronuncia pregiudiziale qualora nutra dubbi sull’applicazione del RGPD alle circostanze della controversia di cui è investita.
3. «Procedimento in contraddittorio»
46. Il requisito del procedimento in contraddittorio non è un criterio assoluto (35). Tuttavia, le parti devono avere la possibilità di essere sentite (36), senza che sia necessario un dibattito in contraddittorio (37).
47. Ai fini della presente causa, anche tale criterio è soddisfatto: dal fascicolo risulta che nel procedimento dinanzi all’USK si sono svolti estesi scambi di osservazioni scritte tra le parti e che si sono tenute due udienze dinanzi all’ÖADR nei mesi di marzo e maggio 2021.
4. «Decisioni basate su norme giuridiche»
48. Un organo di rinvio può essere qualificato come «giurisdizione» qualora sia tenuto a pronunciare la sua decisione in applicazione di norme giuridiche. Tale requisito riguarda sia norme sostanziali (38), sia norme che disciplinano la procedura dinanzi all’organo di cui trattasi (39).
49. Nella presente causa, la procedura decisionale dell’USK è disciplinata da norme sostanziali e procedurali predeterminate. In sede di riesame delle decisioni dell’ÖADR, l’USK è tenuto ad applicare le disposizioni antidoping pertinenti dell’ADBG, nonché quelle adottate dall’associazione sportiva internazionale competente (nel caso di specie, quelle della IAAF e della WADC) (40). In quanto istituzione di uno Stato membro, l’USK è tenuto inoltre ad applicare le pertinenti norme dell’Unione. Proprio in ragione di tale obbligo, l’USK ha deciso di proporre il rinvio in esame alla Corte, chiedendo l’interpretazione del RGPD.
50. Per quanto riguarda le norme di procedura applicabili, come osservato al paragrafo 26 delle presenti conclusioni, il procedimento dinanzi all’USK è disciplinato dalle norme di procedura civile austriache, nonché dal suo regolamento di procedura. Essa è tenuta a rispettare i diritti della difesa delle parti (41).La sua decisione deve essere pronunciata entro un termine prestabilito (42). Di conseguenza, le competenze del’USK sono disciplinate da un insieme di norme procedurali e sostanziali predeterminate, cui essa è tenuta a conformarsi.
5. «Indipendenza»
51. Nello stabilire se la Corte debba dichiarare ricevibile il rinvio dell’USK, l’unico criterio che potrebbe non essere soddisfatto è il requisito dell’indipendenza.
52. Sebbene la nozione di indipendenza sia un elemento inerente alla missione di giudicare (43), soltanto nel 1987 la Corte, nella sua sentenza X (anche nota come sentenza «Pretore di Salò (44)», ha dichiarato che l’organo di rinvio operi in modo indipendente al fine di potersi avvalersi della possibilità di avviare un dialogo con la Corte nell’ambito di un procedimento pregiudiziale.
53. Sebbene l’indipendenza sia una caratteristica necessaria affinché un organo sia qualificato come «giurisdizione» ai sensi dell’articolo 267 TFUE, quando una domanda di pronuncia pregiudiziale proveniva da un organo giurisdizionale inquadrato nell’organizzazione del sistema giudiziario degli Stati membri, la Corte non metteva in discussione la sua indipendenza. Quest’ultima era automaticamente presupposta. Pertanto, la questione dell’indipendenza era valutata soltanto quando il rinvio proveniva da organi non appartenenti al potere giudiziario del governo di uno Stato membro. In tali circostanze, non era necessario approfondire il contenuto esatto del requisito dell’indipendenza quale imposto dal diritto dell’Unione (45).
54. Tale impostazione è rimasta valida fino a un tempo relativamente recente, quando, a causa del tentativo di introdurre modifiche legislative o dell’introduzione delle stesse, l’indipendenza del potere giudiziario in alcuni Stati membri è stata messa in discussione. La «regressione dello Stato di diritto», come spesso denominata (46), ha imposto alla Corte di precisare in modo molto più dettagliato in che cosa consista il requisito dell’«indipendenza» dei giudici. Le sentenze pertinenti, derivanti da procedimenti per inadempimento o da domande di pronuncia pregiudiziale (47), si sono occupate della questione se la normativa degli Stati membri, sulla carta e come attuata nella pratica, offrisse garanzie sufficienti per consentire ai giudici di pronunciarsi in modo autonomo e indipendente. Nel decidere su tale questione, la Corte è stata chiamata a sviluppare ulteriormente la nozione di indipendenza.
55. Questo filone giurisprudenziale ha aperto un dibattito (48) sulla questione se il criterio di indipendenza sia (e debbano restare) lo stesso (i) quando la Corte decide se un organo è una «giurisdizione» ai sensi dell’articolo 267 TFUE; o (ii) quando la Corte decide in merito all’indipendenza in contesti differenti, quali presunte violazioni dell’articolo 19 TUE da parte di uno Stato membro oppure in un caso attinente al requisito dell’indipendenza imposto da particolari strumenti normativi del diritto dell’Unione (49). Nella sentenza Associação Sindical dos Juízes Portugueses (50), la Corte ha espressamente collegato il criterio dell’«indipendenza» di cui all’articolo 19 TUE all’articolo 47 della Carta e all’articolo 267 TFUE. La sentenza Banco de Santander può probabilmente essere interpretata come un’applicazione dei criteri sviluppati nel contesto dell’articolo 19 TUE al fine di determinare la nozione di «indipendenza» nell’ambito dell’articolo 267 TFUE (51).
56. Alcuni autori hanno espresso il timore che collegare la giurisprudenza relativa all’articolo 19 TUE a quella concernente la nozione di «giurisdizione» di cui all’articolo 267 TFUE potrebbe eliminare l’opzione di un successivo dialogo allorché i rinvii siano proposti da organi giurisdizionali di Stati membri nei quali è stata accertata l’esistenza di carenze sistemiche nelle garanzie di indipendenza del potere giudiziario (52). Al contempo, alcuni avvocati generali hanno sottolineato che, per quanto riguarda la valutazione dell’indipendenza, il contesto è rilevante (53).
57. È certamente vero che il contesto o, in altri termini, il motivo per cui la Corte valuta le norme applicabili a un’istituzione è rilevante. Tuttavia, non vedo in che modo ciò comporti automaticamente una differenza nel criterio sostanziale di indipendenza in ciascuna delle diverse ipotesi menzionate. Se è vero che l’interpretazione della nozione di indipendenza nel diritto dell’Unione si è evoluta, ciò non significa necessariamente che esistano differenti nozioni di indipendenza. A mio avviso, il requisito dell’indipendenza è lo stesso per qualsiasi organo che miri a essere qualificato come «giurisdizione», tanto al fine di soddisfare i requisiti di cui all’articolo 19 TUE quanto al fine di soddisfare quelli di cui all’articolo 267 TFUE.
58. Applicare gli stessi requisiti sviluppati nelle cause relative all’articolo 19 TUE alla valutazione del carattere di «giurisdizione» di un organo ai sensi dell’articolo 267 TFUE non costituirebbe, a mio avviso, una minaccia per il dialogo giudiziario di cui all’articolo 267 TFUE. Di converso, come spiegherò nelle circostanze della presente causa, un approccio del genere è necessario al fine di assicurare che, istituendo organi specializzati incaricati di dirimere determinate categorie limitate di controversie, gli Stati membri non eludano l’importante requisito di indipendenza che l’ordinamento giuridico dell’Unione impone ai sistemi giudiziari nazionali. L’indipendenza garantisce l’equidistanza dalle parti di una controversia, tanto nel suo aspetto interno, quanto in quello esterno (54). Si tratta, quindi, di una caratteristica necessaria della tutela giurisdizionale effettiva, intesa come diritto fondamentale di ogni persona in qualsiasi tipo di controversia che possa essere risolta in via giudiziaria. Ciò non significa che il metodo utilizzato dalla Corte, in sede di esame della ricevibilità dei rinvii pregiudiziali, debba cambiare. Quando il rinvio proveniene da un organo giudiziario «classico», permane la presunzione che tale organo sia un organo giurisdizionale, non essendo necessaria alcuna analisi aggiuntiva. Soltanto qualora una parte del procedimento sollevi dubbi circa l’indipendenza dei membri di tale organo, o essi siano altrimenti portati all’attenzione della Corte, occorre verificare l’indipendenza dell’organo di rinvio. Di converso, l’indipendenza degli altri organi di rinvio deve essere dimostrata prima di dichiarare ricevibile il rinvio.
59. Allo stato attuale della giurisprudenza, l’indipendenza è costituita sia da un aspetto «esterno», sia da un aspetto «interno» (55). Il primo esige che un giudice possa decidere in autonomia (56), senza ricevere istruzioni esterne. Affinché ciò possa avvenire, il diritto dell’Unione impone determinati criteri in materia di nomina e revoca dei membri delle «giurisdizioni». Anche qualora i membri dell’organo in questione incaricati di pronunciarsi siano nominati da una persona o da un organo esterno, ivi compreso un ministro del governo, dopo la loro nomina essi devono essere al riparo dall’influenza di detta persona od organo. A tal riguardo, la Corte esige, soprattutto, che le norme che impediscono la revoca si fondino su garanzie legislative che vanno al di là di mere normative amministrative o del lavoro (57). In altri termini, è necessario impedire che le persone o gli organi incaricati della nomina dei membri della «giurisdizione» di cui trattasi possano sostituire tali membro per il solo motivo che non condividono il loro punto di vista.
60. Ciò non significa che la revoca debba essere del tutto impossibile o che le persone o gli organi che hanno nominato tali membri non possano disporre anche del potere di revocarne il mandato. Piuttosto, i motivi della revoca di un membro prima della scadenza del suo mandato devono fondarsi su «motivi legittimi e imperativi, nel rispetto del principio di proporzionalità» (58). Inoltre, devono essere espressamente previsti motivi e procedure appropriate per tale revoca.
61. I membri dell’USK sono nominati dal Ministro dello sport per un mandato rinnovabile di quattro anni (59). La nomina da parte di un ministro non dovrebbe, di per sé, rappresentare un problema, a condizione che, dopo tale nomina, i membri non abbiano un dovere di lealtà nei confronti di detto ministro. Non sembra che in questo caso sia così. Per effetto dell’ADBG, i membri dell’USK non possono accettare istruzioni né dal governo, né da organi amministrativi antidoping (quali la NADA), e neppure dai partecipanti ad attività sportive. Inoltre, finora la Corte non ha ritenuto che la mera rinnovabilità di un mandato sia incompatibile con l’indipendenza dei giudici.
62. Nel caso di specie, il Ministro dello sport potrebbe avere un’influenza indiretta sulle procedure decisionali dell’USK nel caso in cui potesse revocare anzitempo il mandato dei membri interessati. Tuttavia, come ho spiegato, il mandato dei membri dell’USK non può essere revocato prima della scadenza semplicemnte perché il Ministro dello sport non li gradisce o è in disaccordo con le loro opinioni. Ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 3, dell’ADBG, una siffatta revoca può intervenire soltanto per «gravi motivi». Dal fascicolo non risulta quali siano i motivi classificabili come «gravi». Tuttavia, nell’esaminare la portata dei poteri di revoca del Ministro dello sport ai sensi dell’ADBG, la NADA ha spiegato che, nel diritto austriaco, pochi motivi possono essere qualificati come tali. La ricorrente ha suggerito, inoltre, che soltanto reati dolosi o punibili con una pena detentiva pari ad almeno un anno possono essere classificati come «gravi». Di conseguenza, le parti sembrano concordare sul fatto che il mandato dei membri dell’USK non possa essere revocato a piacimento o arbitrariamente dal Ministro dello sport o da qualsiasi altro organo.
63. Questo tipo di protezione contro la revoca arbitraria del mandato dei membri dell’USK deve essere distinto dalla situazione dei membri del TEAC, oggetto della sentenza nella causa Banco de Santander. La revoca del loro mandato era possibile a causa della mancanza di una normativa particolare dettata a tale proposito (60). L’assenza di detta normativa si era manifestata, come rilevato dall’avvocato generale Hogan in tale causa, nel fatto che il mandato dei membri del TEAC era stato revocato «per motivi che sono parsi opportuni al governo in carica» (61).
64. Infine, occorre esaminare anche la questione di quali siano le informazioni sulle quali la Corte dovrebbe basarsi in sede di valutazione dell’indipendenza dell’organo di rinvio. A mio avviso, la Corte può basarsi esclusivamente sulla normativa che disciplina tale organo. Tuttavia, qualora, nell’ambito del procedimento dinanzi ad essa, siano sollevate preoccupazioni quanto alla prassi applicativa di siffatta normativa, la Corte dovrà procedere a una valutazione più approfondita delle circostanze pertinenti. Ciò premesso, nel caso di specie, non è stata sollevata nessuna preoccupazione di tal genere. Al contrario, è stato confermato che, ad oggi, non è mai stato fatto ricorso al potere di revoca teorico di cui all’articolo 8, paragrafo 3, dell’ADBG (62).
65. Nel caso di specie, quindi, ritengo che il criterio dell’indipendenza «esterna» sia soddisfatto.
66. Ciò mi conduce al secondo aspetto del criterio dell’indipendenza, quello «interno». Tale requisito si ricollega all’imparzialità dell’organo di rinvio (63). Esso esige che detto organo agisca in qualità di terzo indipendente rispetto al procedimento di cui è investito (64).
67. In sintesi, i membri giudicanti non devono avere alcun interesse nell’esito della controversia. Ciò significa, in primo luogo, che persone legate alle parti della controversia non possono rivestire la funzione di membri dell’organo giudicante. Per valutare tale aspetto dell’indipendenza è importante esaminare le norme applicabili all’organizzazione della «giurisdizione» al fine di verificare se esista un nesso funzionale tra l’organo di risoluzione della controversia e l’amministrazione di cui esso controlla le decisioni (65). In altri termini, la Corte deve valutare se i ruoli dell’organo di cui trattasi e quelli dell’amministrazione siano chiaramente distinti o se si confondano. In quest’ultimo caso, l’organo in questione non è considerato sufficientemente «indipendente» dall’amministrazione (66).
68. A tal riguardo, la Commissione sottolinea il fatto che l’USK fa parte della stessa struttura istituzionale della NADA e dell’ÖADR. Più precisamente, essa spiega che l’articolo 8, paragrafo 1, dell’ADBG stabilisce che l’USK è «istituita presso» la NADA. Pertanto, l’argomento è che l’USK giudica la stessa istituzione alla quale appartiene sul piano organizzativo.
69. Alla luce degli elementi contenuti nel fascicolo, ritengo che tali obiezioni non siano giustificate. Dalla giurisprudenza della Corte emerge che semplici vincoli istituzionali sono insufficienti, in assenza di ulteriori elementi, a pregiudicare l’indipendenza dell’organo che propone il rinvio pregiudiziale. Così, ad esempio, nella sentenza MT Højgaard e Züblin (67), la Corte ha respinto l’argomento secondo cui la Klagenævnet for Udbud (commissione di ricorso in materia di appalti pubblici danese) non era indipendente per il mero fatto di condividere il segretariato con il Ministero delle imprese e dello sviluppo danese. Analogamente, nella sentenza Dorsch Consult, nonostante le obiezioni della Commissione secondo cui era stato riconosciuto che la commissione di sorveglianza in questione fosse «legata alla struttura organizzativa del Bundeskartellamt [Ufficio federale delle intese, Germania] (68)», la Corte ha precisato che «la commissione federale di sorveglianza assolve il suo compito in modo indipendente e responsabile» (69).
70. Nella presente causa, non ritengo che dal fascicolo o dalle osservazioni delle parti emerga alcun indizio di un’interconnessione funzionale tra l’USK e la NADA, l’ÖADR, il governo austriaco o una qualsivoglia federazione sportiva.
71. Infatti, come ho spiegato al paragrafo 27 delle presenti conclusioni, l’USK opera indipendentemente rispetto alla NADA e all’ÖADR. Come confermato dalla NADA in udienza, l’USK non è competente a riesaminare d’ufficio le decisioni dell’ÖADR. A differenza della sentenza Banco de Santander, inoltre, non vi è alcuna prova che i membri della NADA o di qualsivoglia organizzazione sportiva siedano in qualità di giudici nell’ambito di un procedimento del quale sono parti (70). Non è stato neppure sostenuto che tali organi possano influenzare altrimenti lo svolgimento dei procedimenti dinanzi all’USK.
72. Ritengo quindi che, nel caso di specie, anche il criterio dell’indipendenza «interna» sia stato soddisfatto.
73. Infine, è necessario rispondere a un’ultima preoccupazione sollevata dalla Commissione, concernente la composizione dell’USK, che, oltre a professionisti del diritto, include anche esperti in altri settori connessi (chimica, tossicologia e medicina dello sport). La Corte ha già dichiarato ricevibili rinvii provenienti da organi parzialmente composti da esperti nel settore interessato (71), a patto che essi esercitassero le loro funzioni in modo autonomo (72). Nessuno dei partecipanti al presente procedimento ha sostenuto, dinanzi alla Corte, che i membri non giuristi dell’USK potrebbero essere soggetti a istruzioni esterne o essere parziali nell’adozione delle loro decisioni. Non ritengo quindi che la composizione mista dell’USK possa dare adito, di per sé, a dubbi quanto all’indipendenza di tale organo (73).
6. USK come «giurisdizione» di ultimo grado
74. Prima di concludere l’analisi della questione della ricevibilità del rinvio pregiudiziale in esame, desidero affermare che l’USK, nelle circostanze del caso di specie, non soltanto è una «giurisdizione», ma è altresì una «giurisdizione» avverso le cui decisioni non può proporsi un ricorso giurisdizionale, e che, pertanto, conformemente all’articolo 267, terzo comma, TFUE, non ha semplicemente facoltà, ma è anche tenuta a proporre un rinvio alla Corte.
75. Come ho spiegato ai paragrafi 33 e 34 delle presenti conclusioni, talune questioni decise dall’USK possono essere oggetto di ricorso dinanzi ai giudici civili austriaci. Tuttavia, risulta che gli organi giurisdizionali civili austriaci non siano effettivamente competenti a conoscere di questioni di diritto relative alla violazione di norme sulla protezione dei dati, tra cui il RGPD e la legge austriaca sulla protezione dei dati. Presumo che si tratti di ciò che intendeva la ricorrente allorché ha affermato che la pubblicazione dei suoi dati non è sottoposta a controllo da parte degli organi giurisdizionali civili competenti.
76. D’altro canto, la decisione dell’USK non può nemmeno essere impugnata dinanzi a un organo giurisdizionale amministrativo. In udienza la NADA ha spiegato che, di regola, il Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale, Austria) è normalmente competente a conoscere dei ricorsi proposti nei confronti di autorità pubbliche in materia di protezione dei dati. Risulta tuttavia che l’ADBG non prevede la possibilità di proporre ricorso dinanzi a tale giudice avverso la decisione dell’USK.
77. Se questo è effettivamente lo stato del diritto austriaco, l’USK sarebbe l’unico e ultimo organo di giudizio dinanzi alla quale può essere sollevata la questione della compatibilità con il RGPD della pubblicazione delle decisioni dell’ÖADR o dell’USK sul sito Internet della NADA. Ciò significherebbe che il rinvio pregiudiziale in esame, proveniente dall’USK, costituisce l’unica possibilità di salvaguardare l’interpretazione uniforme del RGPD nel contesto di procedimenti antidoping in Austria. Di conseguenza, per quanto riguarda la suddetta questione giuridica, l’USK assumerebbe le funzioni di una «giurisdizione nazionale, avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno», ai sensi dell’articolo 267, terzo comma, TFUE.
78. Il ricorso parallelo promosso dalla ricorrente (ma anche da una serie di altri ex atleti) prima dinanzi all’autorità austriaca per la protezione dei dati e ora dinanzi al Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale) non può negare l’utilità dell’indicazione che la Corte può fornire nel caso di specie (74). Tale ricorso parallelo si basa sull’impugnazione presentata contro la decisione di rigetto di un reclamo proposto all’autorità nazionale di controllo competente, ai sensi degli articoli 77 e 78 del RGPD. Tuttavia, ciò che la ricorrente mira a ottenere mediante il rinvio pregiudiziale in esame è un «ricorso giurisdizionale (...) nei confronti del titolare del trattamento o del responsabile del trattamento», ai sensi dell’articolo 79 del RGPD. Come la Corte ha recentemente precisato nella sua sentenza Nemzeti Adatvédelmi és Információszabadság Hatóság, i mezzi di ricorso previsti dagli articoli 77, 78 e 79 del RGPD devono poter essere «eserci[tati in modo] concorrente e indipendente», spettando agli ordinamenti nazionali degli Stati membri garantire che dalla loro applicazione concorrente non staturiscano incoerenze (75). Proprio perché tale possibilità di un dualismo di procedimenti è prevista dallo stesso RGPD, e risulta essere stata attuata come tale nel diritto austriaco (76), la presente causa differisce da quelle in cui la Corte ha ritenuto che potesse essere prevista un’unica via per la tutela giurisdizionale dei diritti dell’Unione (77). In altri termini, un reclamo all’autorità austriaca per la protezione dei dati non può sostituirsi all’attuazione diretta dei diritti della ricorrente discendenti dal RGPD dinanzi ai giudici nazionali competenti.
79. Il legislatore austriaco sembra aver scelto di istituire l’USK quale unica «giurisdizione» competente a conoscere delle domande proposte nell’ambito di controversie antidoping relative ad asserite violazioni dei diritti di cui al RGPD. Nessun altro organo sembra disporre di siffatta competenza. A causa dell’autonomia procedurale finalizzata all’organizzazione del proprio sistema giudiziario, il legislatore nazionale può certamente procedere in tal senso. Pertanto, per ritornare sul mio argomento secondo cui i requisiti di indipendenza dovrebbero essere gli stessi nel contesto dell’articolo 267 TFUE e dell’articolo 19 TUE, consentire all’USK di soddisfare un criterio di indipendenza più modesto ai fini della decisione sulla questione della ricevibilità nella presente causa non sarebbe in linea con la scelta del legislatore austriaco di inserire tale organo nella sua struttura giudiziaria.
7. Conclusione provvisoria
80. Per i motivi che precedono, ritengo che l’USK soddisfi i requisiti per essere considerata una «giurisdizione» ai sensi dell’articolo 267 TFUE. La domanda di pronuncia pregiudiziale dovrebbe pertanto essere considerata ricevibile.
IV. Nel merito
81. Nella presente causa, la ricorrente contesta, sulla base del RGPD, un’operazione di trattamento mediante la quale il suo nome, unitamente, in particolare, al suo comportamento in violazione della disposizione antidoping e alla conseguente sospensione, è stato collocato nella sezione pubblicamente accessibile del sito Internet della NADA, sotto forma di iscrizione in una tabella di persone che hanno violato le disposizioni antidoping (in prosieguo: l’«operazione di trattamento in questione»).
82. Come chiarito in udienza, il suo caso non riguarda le due operazioni di trattamento accessorie e connesse concernenti (i) la divulgazione degli stessi dati personali sul sito Internet della NADA, liberamente accessibile, sotto forma di comunicato stampa, e (ii) l’invio di detto comunicato stampa mediante messaggio di posta elettronica a una lista di distribuzione riservata ma, a quanto risulta, liberamente accessibile.
A. Applicabilità del RGPD alle circostanze della presente causa
83. Le attività contestate dalla ricorrente corrispondono alla descrizione delle attività alle quali si applica il RGPD: trattasi (i) del trattamento di (ii) dati personali che (iii) è interamente o parzialmente automatizzato (78). In primo luogo, la divulgazione online di dati personali costituisce un «trattamento» (79). In secondo luogo, l’operazione di trattamento in questione utilizza «dati personali»: infatti, è il nome della ricorrente ad essere oggetto della divulgazione al pubblico effettuata dalla NADA, unitamente alla sanzione imposta nei suoi confronti e alle azioni in violazione delle disposizioni antidoping di cui si tratta (80). In terzo luogo, una volta caricati sul sito Internet della NADA, i dati personali della ricorrente passano attraverso un server. Tale passaggio costituisce un trattamento «con mezzi automatizzati» (81).
84. Ci si chiede, tuttavia, se il RGPD si applichi a tali operazioni di trattamento nelle circostanze della presente causa.
85. Il RGPD è stato adottato sulla base dell’articolo 16, paragrafo 2, TFUE, la base giuridica che attribuisce al legislatore dell’Unione la competenza a disciplinare il trattamento dei dati di carattere personale da parte degli Stati membri «nell’esercizio di attività che rientrano nel campo di applicazione del diritto dell’Unione». Lo stesso limite alla competenza dell’Unione è espresso nell’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), del RGPD, che esclude dall’applicazione del RGPD i trattamenti di dati personali effettuati per attività che non rientrano nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione.
86. L’avvocato generale Szpunar ha suggerito che il «campo di applicazione del diritto dell’Unione» menzionato all’articolo 16, paragrafo 2, TFUE, debba andare oltre le ipotesi di «attuazione del diritto dell’Unione», ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 1, della Carta (82). Concordo. Proprio perché la Carta non è destinata ad ampliare la portata delle competenze dell’Unione, nel testo del Trattato è stata inclusa una competenza espressa a disciplinare la riservatezza e la protezione dei dati. Tuttavia, tale inclusione non ha conferito all’Unione una competenza generale al fine di disciplinare il trattamento dei dati negli Stati membri. Ad essa è stata attribuita la competenza a disciplinare le attività degli Stati membri soltanto nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione. Al suddetto limite alle competenze dell’Unione, espresso nel Trattato e nello stesso RGPD, deve essere attribuito un significato. A mio avviso, se un’attività di trattamento di dati in uno Stato membro non può essere collegata (anche remotamente) a un settore disciplinato dal diritto dell’Unione, il RGPD non trova applicazione.
87. Il trattamento di dati personali ai fini dell’attuazione della normativa antidoping di uno Stato membro non costituisce, a mio avviso, un’attività che, allo stato attuale del diritto dell’Unione, rientra nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione.
88. L’Unione europea non dispone di competenza a disciplinare lo sport. La situazione non è cambiata con l’introduzione della competenza di sostegno nel settore dello sport ad opera dell’articolo 165 TFUE (83). Tuttavia, la Corte ha ritenuto che il diritto dell’Unione si applichi allo sport quando esso è inteso come un’attività economica (84). In tutte le cause pertinenti, il diritto primario dell’Unione è stato applicato alle restrizioni di polizia ai movimenti transfrontalieri o alla concorrenza nel mercato interno (85). È vero che le regole nazionali antidoping possono essere interpretate come un ostacolo alla libera circolazione. Tuttavia, la presente causa non riguarda una situazione di tal genere.
89. Le disposizioni antidoping disciplinano principalmente lo sport in quanto sport. Esse riguardano le funzioni sociali ed educative dello sport, piuttosto che i suoi aspetti economici, anche se le prime possono influenzare i secondi. Ciò nonostante, sebbene l’Unione europea non disponga di una competenza normativa nel settore dello sport, essa potrebbe teoricamente armonizzare le disposizioni nazionali antidoping, qualora ciò sia giustificato in quanto necessario al fine di eliminare ostacoli ai movimenti transfrontalieri. Tuttavia, allo stato attuale del diritto, non vi sono norme dell’Unione che siano anche solo indirettamente collegate alle politiche antidoping degli Stati membri.
90. In una situazione del genere, mi sembra difficile stabilire il collegamento con il diritto dell’Unione necessario per considerare le circostanze della presente causa come un’attività di uno Stato membro rientrante nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione. Ritengo quindi che, nella presente causa, il RGPD non trovi applicazione.
91. Nel caso in cui la Corte ritenga, ciò nonostante, che il RGPD trovi applicazione, mi occuperò ora dell’interpretazione delle disposizioni richiesta dall’USK.
92. In sostanza, l’organo del rinvio nutre dubbi sulle seguenti questioni: in primo luogo, se il diritto austriaco (l’ADBG) ai sensi del quale le decisioni che accertano una violazione di disposizioni antidoping devono essere rese disponibili al pubblico, senza un controllo di proporzionalità individualizzato per quanto concerne gli atleti professionisti, sia conforme al RGPD; e, in secondo luogo, se la scelta della NADA di attuare tale obbligo di pubblicazione mediante l’inserimento di dati nelle sezioni del suo sito Internet pubblicamente accessibili sia necessaria.
93. Per questo motivo l’organo del rinvio solleva diverse questioni relative all’interpretazione del RGPD. Ritengo che la seconda e la terza questione, che dovrebbero essere trattate congiuntamente, siano le più importanti e le più complesse. Mi occuperò quindi, anzitutto, delle altre questioni, prima di passare a quelle concernenti la liceità e la proporzionalità proposte dall’USK.
B. Prima questione
94. Con la sua prima questione, l’USK chiede, in sostanza, se la pubblicazione dell’informazione relativa al fatto che una determinata persona ha commesso una specifica violazione della normativa antidoping costituisca un «dato relativo alla salute», ai sensi dell’articolo 9 del RGPD.
95. A mio avviso la risposta a tale questione può essere dedotta sia dalla definizione della nozione di «dati relativi alla salute», sia dalla giurisprudenza della Corte.
96. Ai sensi dell’articolo 4, punto 15, del RGPD, per «dati relativi alla salute» s’intendono i «dati personali attinenti alla salute fisica o mentale di una persona fisica, compresa la prestazione di servizi di assistenza sanitaria, che rivelano informazioni relative al suo stato di salute».
97. Tutte le parti, ad eccezione della ricorrente, rilevano, correttamente, che la suddetta definizione si compone di due elementi. Il primo è il requisito ai sensi del quale i dati personali in questione devono essere attinenti alla salute fisica o mentale di una persona fisica. Il secondo consiste nel fatto che tali dati debbano rivelare informazioni relative allo stato di salute di detta persona. In altri termini, i dati personali di cui trattasi devono non soltanto essere connessi, in un modo o nell’altro, alla salute dell’interessato (presupponendo, quindi, una connessione tenue), ma anche consentire di trarre da tale informazione conclusioni relative allo stato di salute dell’interessato (presupponendo, dunque, un aspetto personalizzato dell’informazione di cui trattasi).
98. Nella presente causa, non sono convinto che quest’ultimo criterio, che agisce quale elemento operativo concernente lo stato di salute soggettivo dell’interessato, sia soddisfatto.
99. Infatti, la constatazione che la ricorrente ha fatto uso o era in possesso di talune sostanze proibite nulla rivela circa il suo stato di salute fisica o mentale. Così come il consumo di alcol nulla rivela circa il fatto che una persona soffra o meno di una dipendenza dall’alcol, nel caso di specie l’uso o il possesso delle sostanze di cui trattasi da parte della ricorrente non rivela alcuna connessione logica o chiara con la sua salute fisica o mentale.
100. Non ritengo neppure che si possa giungere a una conclusione differente sulla base del considerando 35 del RGPD (86). La sua prima frase precisa, in sostanza, che la nozione di «dati relativi alla salute» non ha una «data di scadenza». La sua seconda frase elenca poi le informazioni suscettibili di rientrare in tale nozione, senza tuttavia suggerire che l’ambito di applicazione dell’articolo 4, punto 10, del RGPD possa essere interpretato in modo diverso.
101. Se è certamente vero che la Corte ha dichiarato, nella sentenza Lindqvuist, che alla nozione di «dati relativi alla salute» occorre dare un’interpretazione ampia (87), detta conclusione è stata raggiunta nel contesto della direttiva sulla protezione dei dati (88), che ha preceduto il RGPD e che non conteneva una definizione ad hoc della nozione di «dati relativi alla salute». Inoltre, l’interpretazione della Corte non prevedeva il requisito di un collegamento da dimostrare tra i dati in questione e lo stato di salute dell’interessato. Stando così le cose, sebbene la sentenza Lindqvist possa fornire alcune indicazioni sull’interpretazione dell’espressione, essa non può certamente prevalere sullo specifico intervento normativo del legislatore dell’Unione inteso a collegare i dati relativi alla salute dell’interessato al suo stato di salute (89).
102. In conclusione, in risposta alla prima questione, suggerisco alla Corte di statuire che l’informazione relativa al fatto che un atleta professionista abbia commesso una violazione di una disposizione antidoping legata all’uso o al tentativo di uso di una sostanza o di un metodo proibiti o al loro possesso non costituisce, di per sé, un «dato relativo alla salute» ai sensi dell’articolo 9 del RGPD.
C. Quarta questione
103. Con la sua quarta questione, l’USK chiede, in sostanza, se la divulgazione al pubblico del nome della ricorrente, della violazione delle disposizioni antidoping di cui trattasi e della sanzione impostale costituisca un trattamento di «dati personali relativi a condanne penali e reati» ai sensi dell’articolo 10 del RGPD.
104. La NADA, la WADA e i governi belga, francese e polacco si contestano la qualificazione delle sanzioni inflitte alla ricorrente come «penale». Su tale base, essi concludono che l’articolo 10 del RGPD non sia applicabile alle circostanze della presente causa.
105. La ricorrente, il governo lettone e la Commissione sostengono, tuttavia, il contrario. La loro posizione si fonda, in sostanza, sull’argomento secondo cui la sospensione per doping imposta alla ricorrente ha un notevole impatto personale. A loro avviso, la sanzione comporta non soltanto un divieto professionale, ma anche conseguenze indirette, derivanti dalla gogna e dalla stigmatizzazione intrinseche nella pubblicazione (incondizionata) del nome della ricorrente, unitamente alle azioni commesse in violazione delle disposizioni antidoping e alla sanzione imposta. Tale combinazione sarebbe tale da conferire alla sanzione di cui trattasi nel caso di specie natura «penale». Su tale base, la ricorrente sostiene anche che l’ÖADR è un’«autorità pubblica» ai sensi dell’articolo 10 del RGPD.
106. Concordo con la ricorrente, il governo lettone e la Commissione sul fatto che, nel caso di specie, la sanzione inflitta per la violazione delle disposizioni antidoping di cui trattasi abbia natura penale ai sensi dell’articolo 10 del RGPD.
107. È chiaro che l’interpretazione dell’una o dell’altra delle due nozioni «penali» di cui all’articolo 10 del RGPD («condanne penali» e «reati») deve avvenire in modo autonomo (90). Inoltre, dato che entrambe le nozioni condividono la stessa base etimologica (individuabile nel termine del tardo latino «criminalis») e che il legislatore dell’Unione ha inteso riservare la maggiore protezione prevista all’articolo 10 del RGPD al solo ambito penale (91), l’applicabilità di tale disposizione dipende, fondamentalmente, dalla questione se la sanzione imposta sia di natura penale (92).
108. Per stabilire se una sanzione abbia natura penale, la Corte prende in considerazione tre criteri: in primo luogo, la qualificazione giuridica dell’illecito nel diritto nazionale; in secondo luogo, la natura dell’illecito; e, in terzo luogo, il grado di severità della sanzione in cui l’interessato rischia di incorrere (93). Questi ultimi due criteri hanno probabilmente un peso maggiore (94).
109. Nella presente causa, dal fascicolo risulta che la pubblicazione delle informazioni relative alla sospensione della ricorrente per doping riguarda il possesso e l’uso parziale di sostanze proibite. Come spiegato dalla Commissione, e con riserva di conferma, il possesso e/o l’uso di siffatte sostanze costituisce un reato ai sensi dell’articolo 28, paragrafi 1 e 2, dell’ADBG. Secondo la domanda di pronuncia pregiudiziale, le conseguenze di tale illecito implicano la revoca dei titoli e la perdita dei premi in denaro, nonché una sospensione di quattro anni da tutte le competizioni (nazionali e internazionali). Risulta inoltre che l’articolo 24, paragrafo 4, dell’ADBG vieta alle organizzazioni sportive di avvalersi dell’attività lavorativa retribuita della ricorrente durante il periodo di sospensione.
110. Come riconosciuto da tutte le parti del presente procedimento, tali sanzioni hanno chiaramente lo scopo di punire la ricorrente per le sue azioni, nonché di agire come deterrente nei suoi confronti (e di altri atleti) dissuadendoli dall’adottare lo stesso comportamento.
111. La combinazione non soltanto della revoca dei titoli e della perdita dei premi in denaro (a titolo di rettifica dei guadagni indebitamente percepiti in passato), ma anche di un divieto di impiego per un periodo di tempo limitato, aggiunge un elemento penalizzante che aumenta drasticamente la gravità delle conseguenze complessive delle azioni della ricorrente.
112. In altri termini, la sanzione di cui trattasi nel caso di specie va al di là del mero risarcimento del danno causato, e ha lo scopo specifico di punire la ricorrente per le sue azioni (95). Essa ha inoltre una funzione di prevenzione, intesa a dissuadere altri atleti dal commettere infrazioni antidoping.
113. È questa combinazione di fattori a rivelare la presenza di un illecito penale, che si spinge oltre la soglia di ciò che, altrimenti, sarebbe considerato un illecito disciplinare sportivo (96).
114. Ciò, beninteso, come giustamente rilevato dal governo lettone, fatta salva la qualificazione nazionale degli illeciti di cui trattasi. Inoltre, tale conclusione non significa che, in un diverso insieme di circostanze, la soglia per l’accertamento di una sanzione individuale di natura «penale» sia necessariamente raggiunta (97). Tuttavia, come ho spiegato nel paragrafo precedente, ritengo che la specifica sanzione imposta alla ricorrente sia di natura tale da raggiungere la soglia di ciò che è considerato una condanna penale o un reato ai fini dell’articolo 10 del RGPD.
115. A differenza di quanto affermato dalla WADA, non ritengo utile considerare, in generale, violazioni di disposizioni antidoping come quelle di cui trattasi nella presente causa come mere violazioni di regole (di carattere privato) di singole associazioni od organizzazioni sportive. Nel caso della ricorrente, il possesso o l’uso di sostanze va ben oltre la potenziale violazione, ad esempio, dello statuto dell’associazione di scacchi di Knin (Croazia) (98).
116. Si tratta di comportamenti proibiti dal diritto nazionale, l’ADBG, e non (soltanto) dalle regole private di un’associazione od organizzazione sportiva. Inoltre, gli effetti indiretti sulla situazione personale e professionale della ricorrente, derivanti dalla disapprovazione sociale e dalla stigmatizzazione legata all’accertamento della violazione di una disposizione antidoping, vanno ben al di là del mondo dello sport (99). Infine, il fatto che la violazione di tale normativa possa costituire anche un illecito disciplinare ai sensi delle regole di un’associazione o di un’organizzazione sportiva privata intese a disciplinare la condotta dei suoi membri (nel caso di specie le regole antidoping e le regole delle competizioni della IAAF) non osta a che la stessa violazione e le relative sanzioni discendano anche dal diritto pubblico di uno Stato membro.
117. Per le ragioni che precedono, ritengo che l’operazione di trattamento in questione riguardi «dati personali relativi a condanne penali e reati» ai sensi dell’articolo 10 del RGPD.
118. Quali sono le conseguenze di tale conclusione?
119. Come ho spiegato in precedenza, la constatazione che un’operazione di trattamento rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo 10 del RGPD impone che sia attribuito un peso maggiore all’interesse dell’interessato nell’operazione di bilanciamento concernente la divulgazione (100). In forza della formulazione di tale disposizione, detto trattamento può avvenire sotto il controllo di un’«autorità pubblica» oppure in base al diritto dell’Unione o nazionale, che preveda garanzie appropriate per i diritti e le libertà dell’interessato.
120. Ne consegue che, in risposta alla quarta questione, suggerisco alla Corte di dichiarare che l’articolo 10 del RGPD deve essere interpretato nel senso che esso si applica al trattamento di dati personali relativi al possesso e all’uso parziale, da parte di un atleta professionista nell’ambito di un’attività sportiva, di sostanze figuranti nelle liste delle sostanze proibite della WADA.
D. Quinta questione
121. Con la sua quinta questione, che è proposta soltanto in caso di risposta affermativa alla quarta questione, l’USK chiede, in sostanza, se il trattamento dei dati personali della ricorrente relativi alle azioni da essa commesse in violazione di una disposizione antidoping rendano l’USK un’«autorità pubblica» ai sensi dell’articolo 10 del RGPD.
122. Come ho spiegato, nelle circostanze della presente causa l’USK tratta «dati personali relativi a condanne penali e reati» ai sensi dell’articolo 10 del RGPD. Tuttavia, nell’esercizio di tale attività, l’USK non agisce in qualità di «autorità pubblica» che controlla il trattamento di tali dati.
123. Piuttosto, dall’articolo 5, paragrafo 6, e dall’articolo 6, paragrafi da 1 a 5, dell’ADBG sembra emergere che il legislatore austriaco abbia attribuito alla NADA la competenza ad assumere il ruolo di «autorità pubblica» al fine, in particolare, di esercitare un controllo sulle attività di trattamento svolte dall’USK in relazione al tipo di dati personali che rientrano nell’ambito di applicazione dell’articolo 10 del RGPD.
124. La responsabilità materiale del corretto trattamento dei dati personali nei contesto delle funzioni dell’USK, compresa la pubblicazione dei risultati delle sue decisioni, sembra pertanto spettare alla NADA.
125. Di conseguenza, il mero fatto che l’USK tratti dati personali rientranti nell’ambito di applicazione nell’articolo 10 del RGPD non rende automaticamente tale organo un’«autorità pubblica» ai sensi di tale disposizione.
126. Pertanto, propongo alla Corte di dichiarare, in risposta alla quinta questione, che il fatto di incaricare un organo del riesame di una decisione che accerta la violazione di una disposizione antidoping non rende automaticamente tale organo un’«autorità pubblica» ai sensi dell’articolo 10 del RGPD, qualora il diritto nazionale attribuisca a un’altra istituzione la responsabilità di controllare tale trattamento dei dati.
E. Seconda e terza questione
127. Con la seconda e la terza questione, che propongo di trattare congiuntamente, l’USK chiede, in sostanza, se la divulgazione al pubblico, mediante pubblicazione su un sito Internet pubblicamente accessibile, di dati personali di un atleta professionista, unitamente alle azioni da questo commesse in violazione delle pertinenti disposizioni antidoping e della sospensione inflitta, sia compatibile con le condizioni di liceità e di minimizzazione dei dati previste all’articolo 5, paragrafo 1, lettere a) e c), e all’articolo 6, paragrafo 3, del RGPD.
128. Conformemente all’ADBG, l’ÖADR (101) o, se è richiesto il riesame della sua decisione, l’USK (102) deve mettere a disposizione del pubblico la sua decisione definitiva su determinate violazioni delle disposizioni antidoping. Tali informazioni devono includere il nome dell’atleta, lo sport praticato, la violazione della disposizione antidoping pertinente e le sanzioni che ne risultano. Ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 6, punto 4, dell’ADBG, la pubblicazione è affidata alla NADA, che è designata come titolare del trattamento dei dati a tal fine. L’ADBG rende detta divulgazione automatica nel caso di atleti professionisti e, in generale, facoltativa nel caso di atleti ricreazionali. L’ADBG non disciplina direttamente le modalità di divulgazione. Pertanto, la scelta della pubblicazione su Internet è stata unicamente una decisione della NADA.
129. Le questioni proposte dall’USK sollevano, a mio avviso, diversi problemi. In primo luogo, ci si chiede se il RGPD richieda un controllo di proporzionalità da parte del titolare del trattamento in ogni singolo caso, prima della divulgazione di dati personali al pubblico, o se la proporzionalità di detta pubblicazione possa essere decisa in anticipo mediante una norma generale. Nel primo caso, ossia ove sia necessaria una valutazione individualizzata della proporzionalità, sembrerebbe che l’ADBG violi il RGPD, in quanto l’ADBG non pare consentire un siffatto livello individualizzato di controllo. In secondo luogo, se, in linea di principio, un controllo di proporzionalità può essere effettuato in abstracto dal diritto nazionale imponendo un obbligo automatico al titolare del trattamento, la seconda questione sottoposta alla Corte è se l’ADBG soddisfi il requisito di proporzionalità imposto dall’articolo 6, paragrafo 3, del RGPD. In terzo luogo, qualora la divulgazione automatica al pubblico di informazioni relative a una decisione su un’infrazione antidoping sia proporzionata all’obiettivo o agli obiettivi legittimi perseguiti dalla normativa, ci si chiede se sia necessario pubblicare tali informazioni sul sito Internet accessibile al pubblico di un’organizzazione antidoping. Tratterò ciascuna di tali questioni in sequenza.
1. Se il RGPD richieda un controllo di proporzionalità da parte del titolare del trattamento in ogni singolo caso
130. In applicazione del RGPD, occorre anzitutto determinare il soggetto titolare del trattamento in relazione a una particolare operazione di trattamento. L’articolo 5, paragrafo 2, del RGPD stabilisce che il titolare del trattamento è competente per il rispetto dei principi applicabili al trattamento di dati personali di cui all’articolo 5, paragrafo 1, del RGPD, e in grado di comprovarlo.
131. Ai sensi dell’articolo 4, punto 7, del RGPD, il titolare del trattamento è il soggetto che determina le finalità e i mezzi del trattamento di dati personali. Nella seconda parte della stessa disposizione si precisa che «quando le finalità e i mezzi di tale trattamento sono determinati dal diritto dell’Unione o degli Stati membri, il titolare del trattamento o i criteri specifici applicabili alla sua designazione possono essere stabiliti dal diritto dell’Unione o degli Stati membri». Nella presente causa, le finalità, ma non necessariamente i mezzi dell’operazione di trattamento in questione, sono stabilite (perlomeno implicitamente) nell’ADBG, che, al contempo, ha designato la NADA come titolare del trattamento.
132. Di conseguenza, la NADA è titolare del trattamento ai fini del trattamento dei dati personali della ricorrente nel momento in cui li colloca sul suo sito Internet. A mio avviso, ciò non impedisce che anche l’USK sia qualificata come titolare del trattamento per quanto riguarda la stessa operazione di trattamento (103). Infatti, ai sensi dell’ADBG, la NADA si limita ad attuare l’obbligo di divulgazione incombente all’USK e discendente dall’ADBG. Ciò può essere importante qualora la Corte statuisca (a differenza di quanto da me suggerito) che il titolare del trattamento deve effettuare un controllo di proporzionalità in ogni singolo caso. Si porrebbe quindi la questione se detto controllo debba essere effettuato dalla NADA o dall’USK.
133. Per essere considerato lecito, qualsiasi trattamento di dati personali deve, ai sensi del RGPD, essere effettuato sulla base di uno dei motivi previsti dal suo articolo 6. Senza entrare qui nel merito della differenza tra l’articolo 6, paragrafo 1, lettere c) ed e), nel caso di specie è pacifico che la NADA agisce in forza di una di tali disposizioni, o persino di entrambe, allorché colloca i dati personali della ricorrente sul suo sito Internet (104).
134. Quando la base giuridica del trattamento si fonda su una delle due disposizioni che ho menzionato al paragrafo precedente, l’articolo 6, paragrafo 3, del RGPD stabilisce che la normativa che richiede il trattamento di dati personali, in questo caso l’ADBG, persegue un obiettivo di interesse pubblico ed è proporzionata all’obiettivo legittimo perseguito.
135. Qualora il legislatore abbia effettivamente bilanciato i differenti interessi in gioco nel realizzare un determinato interesse pubblico e abbia deciso che un determinato trattamento è giustificato, il titolare del trattamento è comunque tenuto a effettuare un controllo di proporzionalità distinto in ogni singolo caso? Oppure l’obbligo di cui all’articolo 5, paragrafo 2 del RGPD di dimostrare il rispetto del principio di proporzionalità come espresso nel principio della minimizzazione dei dati dev’essere soddisfatto con riferimento all’obbligo imposto al legislatore?
136. A mio avviso, il RGPD non richiede che sia effettuato un controllo di proporzionalità in ogni singolo caso di trattamento dei dati da parte di un titolare del trattamento. Piuttosto, il titolare può basarsi – mi azzardo addirittura a sostenere che debba basarsi – sul controllo di proporzionalità effettuato dal legislatore. Un esame della proporzionalità da parte del legislatore non può essere individualizzato. Tuttavia, tale esame può, in astratto, tener conto degli interessi alla protezione dei dati di un determinato gruppo di persone e bilanciarli con altri interessi sociali in gioco.
137. La normativa che autorizza (o impone) il trattamento dei dati può adottare un approccio diverso. Essa può consentire che taluni trattamenti di dati siano effettuati qualora il titolare del trattamento lo ritenga necessario in un contesto predeterminato. In tal caso, il controllo di proporzionalità dovrà essere effettuato dal titolare del trattamento in ciascun caso specifico. Tuttavia, la normativa può anche, come nel caso di specie, imporre un determinato tipo di trattamento di dati al fine di conseguire un determinato obiettivo. In una situazione del genere, non rinvengo nel RGPD alcuna disposizione che imponga, o addirittura consenta, al responsabile del trattamento dei dati in questione di mettere in discussione il controllo di proporzionalità effettuato dal legislatore. In un caso del genere, il RGPD non richiede un ulteriore controllo di proporzionalità in ogni singolo caso. Certamente, di per sé, l’esame della proporzionalità operato dal legislatore può essere contestato in sede giurisdizionale sia dagli interessati, sia, di fatto, dai titolari del trattamento. Tuttavia, salvo che contesti con successo il controllo di proporzionalità operato dal legislatore, in una situazione come quella del caso di specie, il titolare del trattamento ha l’obbligo di procedere al trattamento dei dati.
138. Questo tipo di interpretazione del RGPD è in linea con il principio di democrazia e non si pone in contrasto con il testo di tale regolamento.
139. In una società democratica, il compito del legislatore è proprio quello di trovare un giusto equilibrio tra diritti e interessi confliggenti. Incaricare di questa operazione un’istituzione indipendente, ma non tenuta a rendere conto sul piano politico, pur essendo talora necessario, costituisce una soluzione meno democratica.
140. Inoltre, e come correttamente sottolineato dalla WADA, assoggettare la pubblicazione delle violazioni di disposizioni antidoping alla decisione discrezionale degli organi nazionali antidoping in ogni singolo caso potrebbe dare adito ad abusi e corruzione, tenuto conto, in particolare, del forte interesse degli atleti, delle associazioni o persino dei governi a evitare siffatta pubblicazione. Ciò potrebbe dar luogo anche a una disparità di trattamento fra gli atleti che, per quanto concerne la commissione di infrazioni antidoping si trovano, di fatto, in una situazione analoga.
141. Inoltre, il testo stesso del RGPD permette, e addirittura esige, che il controllo di proporzionalità sia effettuato dal legislatore. L’articolo 4, punto 7, del RGPD prevede la possibilità che le finalità e i mezzi del trattamento di dati personali siano determinati dal diritto dell’Unione o degli Stati membri, e non dal titolare del trattamento. L’articolo 6, paragrafo 3, del RGPD esige che la normativa che consente il trattamento dei dati sia soggetta a un controllo di proporzionalità.
142. Ritengo quindi che il RGPD non esiga che la NADA (o l’USK) approvi la pubblicazione concernente una violazione di una disposizione antidoping commessa da un atleta professionista in ogni singolo caso.
143. Ciò mi conduce al secondo problema sollevato dalla seconda e dalla terza questione, ossia se il legislatore austriaco abbia individuato un equilibrio accettabile tra i diversi interessi in gioco allorché ha richiesto che i dati personali della ricorrente, unitamente alla violazione delle disposizioni antidoping commessa e alla sospensione impostale, siano divulgati al pubblico.
2. Se la divulgazione al pubblico imposta dall’ADBG sia giustificata
144. Ricapitolando, l’ADBG stabilisce che l’USK (o l’ÖADR) deve informare il pubblico delle sue decisioni, indicando il nome dell’interessato nonché la durata della sospensione e i motivi della stessa. Tale obbligo riguarda fondamentalmente gli atleti professionisti e, in determinati casi, gli atleti ricreazionali. Inoltre, l’ADBG permette un controllo di proporzionalità aggiuntivo sulle decisioni riguardanti la pubblicazione di violazioni delle disposizioni antidoping da parte di atleti ricreazionali e persone vulnerabili.
145. La ricorrente contesta il fatto che, nel suo caso specifico, informare il pubblico sia giustificato. La NADA, la WADA, la Commissione europea nonché gli Stati membri partecipanti al presente procedimento non ritengono problematica detta divulgazione.
146. Pur potendosi immaginare motivi aggiuntivi, la maggior parte delle discussioni (nelle fasi scritta e orale del procedimento) si è concentrata su due possibili giustificazioni dell’informazione al pubblico: i) dissuadere chiunque pratichi attività sportive dal commettere una violazione di disposizioni antidoping; e ii) evitare l’elusione della sospensione, informando tutti coloro che potrebbero sponsorizzare o ingaggiare l’atleta in questione della suddetta sospensione.
147. Deve essere effettuata una valutazione della proporzionalità (105) in relazione a ciascuna delle giustificazioni proposte. Analizzerò quindi, in sequenza, la questione se la divulgazione al pubblico possa essere giustificata da una delle finalità dichiarate o da entrambe. Il controllo di proporzionalità alla luce di ciascuna giustificazione comprende diverse tappe. La Corte dovrà valutare se la divulgazione al pubblico sia idonea a conseguire l’obiettivo dichiarato. In caso affermativo, la Corte dovrà inoltre accertare se tale misura sia necessaria, il che, a sua volta, esige di valutare se sia già disponibile un’altra misura idonea a raggiungere lo stesso obiettivo ma meno invasiva per il diritto fondamentale dell’interessato alla protezione dei dati. Infine, la Corte potrebbe ritenere che l’ingerenza nella vita privata dell’interessato sia di proporzioni tali da non poter essere giustificata dal beneficio che l’obiettivo dichiarato mira a raggiungere.
a) Prima giustificazione: prevenzione mediante dissuasione
148. A mio avviso, la divulgazione al pubblico di informazioni personali concernenti la violazione di una disposizione antidoping e le sue conseguenze potrebbe dissuadere sia gli atleti professionisti, sia gli atleti ricreazionali dal commettere infrazioni analoghe. La misura è inoltre idonea dal punto di vista della prevenzione, poiché sensibilizza i giovani appena entrati nel mondo dello sport e interessati a diventare, in futuro, atleti professionisti, sulle conseguenze della loro decisione di ricorrere, ad esempio, a sostanze proibite per conseguire risultati migliori. Non nutro quindi dubbi in merito all’idoneità della misura in questione rispetto all’obiettivo dichiarato.
149. Più delicata è la questione se informare il pubblico del nome del singolo atleta sia necessario per dissuadere altri atleti dal commettere essi stessi violazioni analoghe di disposizioni antidoping. A tal riguardo, è utile tener conto del parere del Gruppo di lavoro «Articolo 29» sulla protezione dei dati (in prosieguo: il «Gruppo di lavoro Articolo 29»), predecessore dell’attuale Comitato europeo per la protezione dei dati, in cui esso ha esaminato la proporzionalità di norme analoghe della WADC (106). Il Gruppo di lavoro Articolo 29, infatti, ha ritenuto che, al fine di dissuadere altri atleti, pubblicare informazioni anonime sulle violazioni e sulle sanzioni sia ugualmente propedeutico (107).
150. Non sono d’accordo. È vero che un effetto dissuasivo esiste già per effetto della gravità delle sanzioni di cui trattasi. Tuttavia, la consapevolezza della possibilità che il nome di una persona sia pubblicato in riferimento alla violazione di una disposizione antidoping produce un effetto dissuasivo aggiuntivo e più forte. Qualora la sanzione prevista sia una sospensione di pochi mesi o anche di pochi anni, un giovane atleta impegnato nel fare carriera potrebbe ponderare se valga la pena correre il rischio, ma nel caso in cui si renda conto che il pubblico verrebbe a conoscenza della sua infrazione, lo stesso atleta potrebbe pensarci due volte. Una pubblicazione anonima non può quindi essere considerata una misura che realizza lo stesso obiettivo in modo altrettanto efficace (108).
151. Il Gruppo di lavoro Articolo 29 ha inoltre considerato che potrebbe essere una misura sufficiente, e meno restrittiva, una pubblicazione unica immediatamente successiva alla decisione che conferma la violazione di una disposizione antidoping. Non concordo neppure su questo punto. La disponibilità delle informazioni nel corso dell’intera durata della sospensione ha maggiori possibilità di raggiungere il pubblico destinatario. Inoltre, non vedo in che modo, ad esempio, la pubblicazione su Internet di un singolo comunicato stampa sarebbe meno invasiva della pubblicazione di una tabella contenente le stesse informazioni. Un siffatto comunicato stampa, infatti, potrebbe restare disponibile molto più a lungo della tabella che indica gli atleti sospesi, poiché quest’ultima sarebbe rimossa una volta scaduto il termine della sospensione. È vero che, come sottolineato dalla ricorrente, se la sospensione è a vita, la pertinente voce della tabella rimarrà online a vita. Tuttavia, nella misura in cui la tabella contiene informazioni accurate, questo tipo di ingerenza nel diritto dell’interessato alla protezione dei dati non è eccessivamente severa (anche se ci si potrebbe chiedere se una sospensione a vita non sia eccessiva, ma si tratta di una questione diversa), mentre il vantaggio di dissuadere i giovani atleti, rendendoli consapevoli di siffatta possibilità, non può essere sottovalutato. Comunque, nel caso di specie, la sospensione ha una durata di quattro anni, decorsi i quali i dati personali della ricorrente contenuti nella tabella in questione saranno rimossi.
152. Infine, ci si potrebbe porre le domande seguenti: se sia necessario pubblicare ogni infrazione antidoping; se soltanto le violazioni più gravi debbano essere portate a conoscenza del pubblico; se sia necessario indicare soltanto il nome dei trasgressori recidivi; e se si debba prendere in considerazione il livello al quale l’atleta gareggia o altri fattori aggiuntivi.
153. A mio avviso, è necessario lasciare al legislatore un certo margine di discrezionalità nella valutazione di tali fattori. Ad esempio, la pubblicazione di soltanto alcune violazioni potrebbe agevolare la decisione di commettere altre violazioni. La pubblicazione delle sole violazioni recidive potrebbe essere un elemento ponderato dai giovani atleti, che potrebbero accettare il rischio almeno una volta, dato che i loro nomi non sarebbero divulgati pubblicamente in caso di violazione isolata (109). Vi sono molteplici preoccupazioni e argomenti che possono essere dedotti.
154. Sembra che il legislatore austriaco abbia preso in considerazione diverse questioni problematiche al fine di conseguire l’obiettivo preventivo della dissuasione di possibili violazioni di disposizioni antidoping. Il suo bilanciamento degli interessi in gioco è sfociato in talune eccezioni e limiti alla norma, che, evidentemente, è stata ritenuta inidonea a pregiudicare l’obiettivo perseguito. Esso ha escluso i minori, le persone vulnerabili e, nella maggior parte dei casi, gli atleti ricreazionali. Non è stato presentato alla Corte alcun argomento persuasivo che le consenta di sindacare la valutazione del legislatore secondo cui la norma in questione era necessaria a fini di prevenzione nel caso di atleti professionisti.
155. Sono quindi dell’avviso che la misura che impone la divulgazione al pubblico di informazioni personali concernenti infrazioni antidoping commesse da atleti professionisti sia idonea e necessaria a dissuadere atleti in attività e futuri atleti dal commettere siffatte infrazioni.
156. Infine, l’ingerenza nei diritti degli atleti professionisti non è così significativa da non poter essere giustificata dall’obiettivo di prevenzione perseguito dalla misura di cui trattasi. Ciò che viene pubblicato è il nome dell’atleta, lo sport praticato, la violazione delle disposizioni antidoping commessa e la conseguente durata della sospensione. Tali informazioni non rivelano alcun elemento che vada al di là della vita professionale dell’atleta in questione e indicano soltanto le conseguenze del comportamento illecito che erano già note all’atleta allorché ha deciso di commettere l’infrazione di cui trattasi.
b) Seconda giustificazione: evitare l’elusione di una sospensione
157. L’altra giustificazione proposta nel corso del presente procedimento è la necessità di informare i soggetti interessati che l’atleta in questione non può assumere alcun tipo di impegno legato allo sport nel corso del periodo di vigenza della sospensione. In tal modo, l’efficacia della sanzione e la prevenzione della sua elusione sono garantite.
158. Una pubblicazione accessibile al pubblico è certamente idonea ad informare le persone che intendano sponsorizzare un atleta, invitarlo a gareggiare in una competizione organizzata o ingaggiarlo per lo svolgimento di qualsivoglia funzione legata allo sport. Per tale ragione, tali soggetti interessati devono essere informati della sospensione dell’atleta. Pertanto, la misura prevista dall’ADBG è idonea all’obiettivo dichiarato.
159. Anche in questo caso, più delicata è la questione se siffatta misura sia necessaria.
160. Qualsiasi argomento concernente l’anonimizzazione non può essere collocato nel contesto di tale obiettivo pubblico. Al fine di informare i destinatari interessati, è necessario indicare il nome dell’atleta sospeso.
161. Invocando il parere del Gruppo di lavoro Articolo 29, tuttavia, la ricorrente ritiene che, ai fini dell’obiettivo dichiarato, non sia necessario informare il pubblico. Sarebbe sufficiente informare le organizzazioni sportive e i potenziali o attuali sponsor. In risposta, la WADA e la NADA hanno ribattuto che sarebbe impossibile conoscere in anticipo i soggetti da informare. Inoltre, in qualsiasi momento, un nuovo soggetto interessato potrebbe divenire destinatario di tali informazioni, ad esempio il proprietario di una palestra di recente apertura.
162. Il Gruppo di lavoro Articolo 29 ha proposto una misura di portata potenzialmente più circoscritta in grado di impedire l’elusione di una sospensione, basata sull’introduzione di un certificato di buona condotta (110). Intendo tale proposta come riferita a un procedimento nell’ambito del quale, prima di invitare una persona a partecipare a competizioni, di offrire a qualcuno un impiego nel settore sportivo o di decidere se sponsorizzare o meno un atleta, gli organizzatori di competizioni e i potenziali datori di lavoro e sponsor dovrebbero richiedere all’atleta in questione la presentazione di siffatto certificato. Per svolgere la sua funzione, detto certificato dovrebbe essere in uso a livello mondiale, internazionale, e, pertanto, implicherebbe differenti questioni di trattamento dei dati, come il loro trasferimento a un’organizzazione internazionale. In ogni caso, attualmente, un sistema del genere non esiste. Il suggerimento del Gruppo di lavoro Articolo 29, in quanto invito rivolto alla WADA a valutare l’introduzione di siffatto sistema, potrebbe avere un certo peso. Tuttavia, sino a quando tale sistema non sarà attuato, il legislatore austriaco non potrà servirsene come misura meno restrittiva per informare i soggetti interessati.
163. Data l’inefficienza di un’informazione mirata, in considerazione del fatto che potrebbero non essere noti i soggetti che necessitano di tale informazione, e dato che, attualmente, non esiste un sistema adeguato di certificati di buona condotta, sono dell’avviso che la misura in questione sia al contempo idonea e necessaria per conseguire l’obiettivo di evitare l’elusione della sospensione.
164. A ciò si potrebbe aggiungere un ulteriore argomento, dedotto dalla NADA in udienza, secondo cui ingaggiare l’atleta sospeso costituisce, di per sé, una violazione delle disposizioni antidoping (111). Di conseguenza, la consapevolezza della situazione relativa agli atleti sospesi sembra necessaria anche al fine di evitare eventuali violazioni indirette delle disposizioni antidoping.
165. Infine, la tabella contenente i nomi, le azioni in violazione delle disposizioni antidoping e le sospensioni degli atleti, pubblicata sul sito Internet della NADA, è aggiornata periodicamente. Le informazioni sono cancellate alla scadenza della sospensione di cui trattasi. Ciò significa che i dati personali della ricorrente non rimarrebbero su tale sito Internet per un periodo più lungo rispetto a quanto necessario per evitare l’elusione della sua sospensione.
3. Se sia determinante la pubblicazione su Internet
166. L’ADBG esige che le informazioni richieste siano divulgate al pubblico, ma non precisa il metodo attraverso il quale cui ciò debba avvenire. La scelta di collocare le informazioni in questione sul sito Internet della NADA risulta da una decisione della NADA stessa.
167. La ricorrente ha contestato tale decisione, ritenendo che la pubblicazione online su Internet sia troppo invasiva e che una pubblicazione offline o, quanto meno, l’introduzione di un sistema di login e password per accedere alle informazioni pubblicate rappresenterebbero misure meno invasive per i diritti fondamentali degli atleti.
168. L’idea che la pubblicazione su Internet sia troppo invasiva è stata espressa da altri, ad esempio, dal Gruppo di lavoro Articolo 29 (112) o dalla minoranza dissenziente nella sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo nella causa L.B. c. Ungheria (113).
169. Posso essere molto breve a tal riguardo. Se l’obbligo di divulgare al pubblico informazioni che includono dati personali è considerato giustificato, l’unico modo in cui tale obbligo può essere soddisfatto nella società moderna è mediante pubblicazione su Internet. Così come nessuno, dopo l’invenzione della macchina da stampa ad opera di Gutenberg, avrebbe chiesto a una persona di andare ad annunciare le notizie porta a porta, con l’avvento di Internet la pubblicazione a mezzo stampa (quale, ad esempio, un bollettino informativo) non è più un mezzo idoneo a divulgare informazioni al pubblico. Chiedere una pubblicazione offline equivale a chiedere il permesso di eludere l’obbligo di informare il pubblico.
170. Nel suo parere 4/2009, il Gruppo di lavoro Articolo 29 ha dichiarato che la pubblicazione su Internet è considerata più invasiva rispetto alla pubblicazione in altri tipi di media (114). Il suo argomento principale consisteva nel fatto che la prima implica che chiunque possa consultare i dati. Ciò è vero, ma si tratta appunto dell’idea alla base del requisito ai sensi del quale l’informazione deve essere divulgata al pubblico. Il secondo argomento avanzato dal Gruppo di lavoro Articolo 29 verteva sul fatto che le informazioni su Internet possono essere usate per altri scopi ed essere oggetto di ulteriori trattamenti. È vero che è più facile trattare informazioni già disponibili su Internet. In ultima analisi, tuttavia, non vi è alcuna differenza tra la possibilità di trattare per altri fini informazioni presenti su Internet o quella di trattare per altri fini informazioni stampate in un bollettino informativo. Le informazioni sulle infrazioni antidoping pubblicate in un bollettino informativo sono altrettanto suscettibili di essere utilizzate, per esempio, da giornalisti, e di essere inserite in un portale di notizie online.
4. Conclusione provvisoria
171. Sono quindi dell’avviso che la pubblicazione obbligatoria, sul sito Internet accessibile al pubblico di un’autorità antidoping, delle violazioni di disposizioni antidoping applicabili commesse da un atleta professionista sia al contempo idonea e necessaria a realizzare la funzione di prevenzione consistente nel dissuadere atleti in attività e futuri atleti dal commettere violazioni analoghe di tali disposizioni, nonché ad evitare l’elusione della sospensione da parte degli atleti.
172. Sulla base di quanto precede, suggerisco alla Corte di rispondere alla seconda e terza questione nel senso che l’articolo 5, paragrafo 1, lettera c), e l’articolo 6, paragrafo 3, del RGPD non ostano alla prassi di un’autorità nazionale incaricata di promuovere, coordinare e monitorare un programma nazionale di controllo del doping, di divulgare, sul suo sito Internet, in forma pubblicamente accessibile, dati personali di un atleta professionista in riferimento a una violazione di una disposizione antidoping.
V. Conclusione
173. Alla luce delle considerazioni che precedono, suggerisco alla Corte di rispondere alle questioni pregiudiziali proposte dall’Unabhängige Schiedskommission (commissione arbitrale indipendente, Austria) nei seguenti termini:
1) L’informazione relativa al fatto che un atleta professionista abbia commesso una violazione di una disposizione antidoping legata all’uso o al tentativo di uso una sostanza o di un metodo proibiti o al loro possesso non costituisce, di per sé, un «dato relativo alla salute» ai sensi dell’articolo 9 del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati).
2) L’articolo 5, paragrafo 1, lettera c), e l’articolo 6, paragrafo 3, del regolamento 2016/679
devono essere interpretati nel senso che non ostano alla prassi di un’autorità nazionale incaricata di promuovere, coordinare e monitorare un programma nazionale di controllo del doping, di divulgare, sul suo sito Internet, in forma pubblicamente accessibile, dati personali di un atleta professionista in riferimento a una violazione di una disposizione antidoping.
3) L’articolo 10 del regolamento 2016/679
dev’essere interpretato nel senso che si applica al trattamento di dati personali relativi al possesso e all’uso parziale, da parte di un atleta professionista nell’ambito di un’attività sportiva, di sostanze figuranti nelle liste delle sostanze proibite dell’Agenzia mondiale antidoping.
4) Attribuire a un organo il compito di riesaminare una decisione che accerta la violazione di una disposizione antidoping non rende automaticamente tale organo un’«autorità pubblica» ai sensi dell’articolo 10 del regolamento 2016/679.
Tuttavia, ciò vale soltanto nella misura in cui un controllo da parte di un organo designato come tale sia comunque assicurato ai sensi del diritto nazionale.