L'attrice chiede l'attribuzione dell'immobile che era di proprietà dell'INPDAP acquistato esercitando l'opzione di cui all'art. 3 D.L. n. 351/2001, previa contrazione di mutuo intestato ad entrambi i coniugi ma le cui rate erano state pagate prevalentemente da lei.
Il fatto
Oggetto di contesa è un immobile sito in Messina. L'attrice rappresentava che esso era di proprietà dell'INPDAP ed era stato assegnato in locazione all'allora marito, al quale era stata poi offerta la vendita nell'ambito di un programma di dimissione del patrimonio dell'Ente. Ora, poiché l'ex marito non era residente a Messina, egli non avrebbe potuto esercitare l'opzione che competeva al conduttore e ai suoi familiari conviventi ai sensi dell'
Cosa chiede l'attrice in giudizio?
L'attribuzione dell'immobile, previo scioglimento della comunione legale.
Cosa replica il convenuto?
L'ex marito, costituitosi nel giudizio di primo grado, oltre alla divisione dei beni facenti parte della comunione legale, chiedeva il riconoscimento del 50% dei frutti dell'immobile perché goduto in via esclusiva dalla ex moglie.
Primo e secondo grado di giudizio
Con sentenza definitiva, il Tribunale di Messina determinava il conguaglio dovuto al convenuto in euro 71mila circa.
A seguito di gravame, la Corte d'Appello confermava l'importo, tenuto conto che la comunione legale non viene meno con la separazione di fatto dei coniugi, ma solo attraverso il passaggio in giudicato della pronuncia di separazione o con l'omologazione della separazione consensuale. Inoltre, anche gli acquisti conclusi separatamente dai coniugi in regime di comunione legale ricadono nella medesima, non essendovi nel caso concreto alcuna dichiarazione di esclusività dell'acquisto da parte dell'attrice nell'atto notarile.
La Cassazione respinge il ricorso
In terzo grado di giudizio, le sorti del ricorso dell'attrice non cambiano.
Come rammentano i Giudici di legittimità, ciò che conta per stabilire se l'immobile ricade o meno nella comunione legale è se l'acquisto della proprietà sia stato effettuato da uno o da entrambi i coniugi durante la vigenza del regime patrimoniale della comunione legale tra coniugi e se ricorra o no una delle eccezioni previste dall'
La normativa speciale sull'opzione relativa agli immobili di proprietà dell'INPDAP, seppur introdotta in seguito alla riforma del diritto di famiglia, è infatti compatibile con gli
Inevitabile, allora, l'infondatezza del motivo di ricorso.
Svolgimento del processo
1) Con atto di citazione notificato il 23.1.2019 A.A. conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Messina il marito separato, B.B., per ottenere, per quanto ancora rileva, la divisione giudiziale dei beni della comunione legale, ed in particolare dell'appartamento di Messina, via (omissis) n. (omissis) (foglio (omissis), particella (omissis), sub. (omissis)) con annesso posto auto (sub. omissis), residuati dopo la separazione consensuale omologata il 16.3.2004.
Relativamente a tale immobile, l'attrice rappresentava che esso, già di proprietà dell'Inpdap ed assegnato in locazione al B.B., era stato a lui offerto in vendita nell'ambito del programma di dismissione del patrimonio dell'ente. Questi, poiché non era residente a M e non avrebbe potuto esercitare l'opzione che competeva al conduttore ed ai suoi familiari conviventi ai sensi dell'art. 3 del D.L. 25.9.2001 n. 351, convertito nella L. 23.11.2001 n.410, aveva rinunciato il 6.11.2002 all'acquisto dell'immobile (rectius all'opzione) a favore della moglie, che esercitando poi l'opzione aveva acquistato l'immobile con l'atto del notaio C.C. del 12.2.2003, previa contrazione di un mutuo intestato ad entrambi i coniugi, le cui rate erano state pagate prevalentemente dalla A.A.
L'attrice chiedeva quindi l'attribuzione a lei di tale appartamento, previo scioglimento della comunione legale dei beni, e la considerazione ai fini del conguaglio in denaro spettante al B.B., di vari crediti da lei vantati verso di lui (per il pagamento delle spese notarili dell'atto di acquisto, per rate di mutuo, per oneri condominiali ed anche per la quota del TFR che il marito avrebbe percepito dopo la separazione).
2) Si costituiva nel giudizio di primo grado il B.B., che aderiva alla domanda di divisione, e per quanto ancora rileva, contestava i pretesi crediti vantati dalla A.A., dichiarando di avere concorso all'acquisto dell'immobile, alle spese notarili ed al pagamento di parte delle rate del mutuo cointestato, essendo l'unico ad avere un reddito da lavoro e poi da pensione, e sostenendo che egli aveva percepito il TFR in costanza di matrimonio e che lo stesso era stato utilizzato per alimentare i conti comuni dei coniugi, mentre la A.A., benché i figli fossero ormai maggiorenni ed economicamente autonomi, e lei avesse ottenuto in sede di separazione consensuale un cospicuo assegno di mantenimento, continuava a godere in via esclusiva dell'immobile in comproprietà di via (omissis).
Il B.B. chiedeva, pertanto, per quanto ancora rileva, oltre alla divisione dei beni della comunione legale, ed in particolare dell'immobile ricompresovi, anche il 50% dei frutti dello stesso perché goduto in via esclusiva dalla A.A.
Nella memoria ex art. 183 c.p.c. la A.A. modificava le proprie domande, chiedendo per la prima volta che fosse accertata la sua proprietà esclusiva sull'immobile per averlo acquistato, a seguito di rinuncia all'acquisto del B.B., utilizzando denaro personale, ed in subordine chiedeva che nell'effettuare il conguaglio in denaro, si tenesse conto delle spese da lei sola sostenute per l'acquisto del bene in comproprietà.
3) Il Tribunale di Messina, con la sentenza non definitiva n. 734/2013 del 5.4.2013, pronunciando sulla domanda di divisione dei beni residuati nella comunione legale derivante dal matrimonio al suo scioglimento, attribuiva la proprietà esclusiva dell'immobile a A.A., dichiarava che B.B. aveva diritto a percepire un conguaglio commisurato al 50% del valore dell'immobile, ed un'indennità commisurata al 50% del valore locativo dello stesso per il periodo di godimento esclusivo dello stesso da parte della A.A., ricompreso tra il 19.2.2004 e la pubblicazione della sentenza, dichiarava che la A.A. aveva diritto di compensare coi superiori crediti del B.B. i suoi controcrediti derivanti dal pagamento per intero anziché per il 50% delle rate di mutuo per l'acquisto dell'immobile, degli oneri condominiali dell'immobile e dell'ICI, rigettava le altre domande di divisione, e rimetteva la causa sul ruolo per la determinazione dei suddetti importi previa CTU, e la A.A. formulava riserva di appello.
4) Con la sentenza definitiva n. 878/2016 del 24/25.9.2016, il Tribunale di Messina, dopo l'espletamento della CTU contabile, determinava il conguaglio dovuto dalla A.A. al B.B. per l'attribuzione alla stessa dell'intera proprietà dell'immobile in Euro 71.293,37, l'indennità per il godimento esclusivo dell'immobile tra il 19.2.2004 e la pubblicazione della sentenza in Euro 20.634,22, determinava in Euro 20.898,79 i controcrediti vantati dalla A.A. verso il B.B. per il pagamento per intero anziché per la metà delle rate di mutuo, degli oneri condominiali e dell'ICI relativi all'immobile, e pertanto condannava la A.A. al pagamento in favore del B.B. della differenza di Euro 71.028,80 oltre accessori, compensava le spese di lite e poneva a carico di entrambe le parti per metà ciascuna le spese di CTU.
5) Con un unico motivo proponeva appello, formalmente contro la sola sentenza definitiva n. 878/2016 del Tribunale di Messina, ma in realtà anche contro la sentenza non definitiva n. 734/2013, la A.A., che lamentava che l'immobile di M, via (omissis) n. (omissis), fosse stato considerato come un bene della comunione legale tra coniugi, anziché come un bene personale della A.A. ex art. 179 cod. civ., dato che esso era stato da lei sola acquistato quando i coniugi erano già di fatto separati esercitando l'opzione spettante agli assegnatari e familiari conviventi di immobili di proprietà dell'Inpdap in virtù della rinuncia all'acquisto formalizzata dal B.B., che non aveva i requisiti necessari per esercitare l'opzione perché non residente a M, il tutto senza che il B.B. avesse minimamente contribuito all'acquisto, e sosteneva di avere provveduto in via esclusiva al pagamento delle spese notarili per l'acquisto dell'immobile ed al pagamento delle rate del mutuo contratto per l'acquisto dello stesso, per cui era errata e contra ius la sua condanna al pagamento in favore del B.B. del conguaglio di Euro 71.028,00.
Sulla base di queste argomentazioni, la A.A. chiedeva la riforma delle decisioni di primo grado, col riconoscimento della sua proprietà esclusiva sull'immobile di M, via (omissis) n. (omissis), e del fatto che non fosse da lei dovuta alcuna somma in denaro al B.B.
6) Si costituiva in secondo grado il B.B., che eccepiva l'inammissibilità dell'appello avversario ex art. 342 c.p.c., ed in subordine ne chiedeva il rigetto per infondatezza.
7) La Corte d'Appello di Messina, con la sentenza n. 34/2018 del 16/23.1.2018, rigettava l'appello e condannava la A.A. al pagamento delle spese processuali del giudizio di secondo grado.
In particolare, la Corte d'Appello, dopo avere disatteso l'eccezione d'inammissibilità dell'appello, ritenendolo rivolto, in virtù delle argomentazioni spese e della riserva di appello espressa a suo tempo contro la sentenza non definitiva di primo grado, contro entrambe le sentenze del Tribunale di Messina (richiamando Cass. 2.3.2012 n. 3257), lo considerava comunque infondato, in quanto l'immobile era stato acquistato dalla A.A. con l'atto del notaio C.C. del 12.2.2003 in costanza di matrimonio ed in regime di comunione legale ai sensi dell'art. 177 lettera a) cod. civ., tenuto conto che la comunione legale tra coniugi veniva meno non con la separazione di fatto, ma solo col passaggio in giudicato della sentenza di separazione, o con l'omologazione della separazione consensuale (in tal senso Cass. 12.1.2012 n. 324), e che secondo l'art. 177 lettera a) cod. civ. anche gli acquisti conclusi separatamente dai coniugi in regime di comunione legale ricadevano nella stessa, mancando nella specie qualsiasi dichiarazione di esclusività dell'acquisto della A.A. nell'atto del 12.2.2003, nel quale anzi era indicato che il regime patrimoniale dei coniugi era quello della comunione legale ed il B.B. aveva assunto l'impegno di trasferire la sua residenza nell'appartamento di M entro 18 mesi, per poter fruire delle agevolazioni fiscali previste per l'acquisto della prima casa.
Aggiungeva l'impugnata sentenza, che il mutuo ipotecario contratto per l'acquisto dell'immobile, era stato stipulato da entrambi i coniugi, che come confermato dalle ricevute, avevano provveduto a pagare congiuntamente alcune rate, che nessuna prova era stata data dalla A.A. del pagamento da parte sua delle spese notarili sostenute per l'atto di acquisto, e che la stessa A.A. aveva inizialmente chiesto di accertare che l'immobile faceva parte della comunione legale, e solo in un secondo momento ne aveva reclamata la proprietà esclusiva.
Quanto alla cosiddetta "rinuncia all'acquisto" dell'appartamento dell'ente pubblico fatta dal B.B., la dichiarazione resa aveva avuto solo lo scopo di consentire alla moglie di esercitare l'opzione, in quanto a differenza del B.B., residente in M, ma tale esercizio non aveva inficiato l'operatività del principio dettato dall'art. 177 lettera a) cod. civ., che faceva ricadere in comunione legale anche gli acquisti separatamente compiuti dai coniugi.
8) Avverso tale sentenza, non notificata, ha proposto ricorso alla Suprema Corte A.A., ammessa al patrocinio a spese dello Stato, affidandosi a cinque motivi, e resiste con controricorso B.B.
Le parti non hanno depositato memorie ex art. 380-bis 1 c.p.c.
Motivi della decisione
9) Col primo motivo la ricorrente lamenta, in relazione all'art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell'art. 177 lettera a), 179 e 1331 cod. civ. e del D.Lgs. 16.2.1996 n. 104, integrato col D.L. 25.9.2001 n.351, convertito nella L. 23.11.2001 n. 410, nonché l'omessa ed insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, rappresentato dalla proprietà esclusiva di A.A. sull'immobile di M, via (omissis) n.(omissis).
Sostiene la ricorrente che le impugnate sentenze non abbiano considerato che la normativa speciale del D.Lgs. 16.2.1996 n. 104, integrato col D.L. 25.9.2001 n.351, convertito nella L. 23.11.2001 n. 410, derogava a quella generale degli articoli 177 lettera a), 179 e 1331 cod. civ., rendendola non applicabile, posto che solo la A.A. era in possesso dei requisiti previsti dalla normativa speciale della residenza nell'immobile di M, via (omissis) n. (omissis), e del regolare pagamento dei canoni di locazione, e poteva quindi esercitare l'opzione ivi prevista, normativa che peraltro prevedeva l'intrasferibilità dell'immobile per cinque anni dopo l'acquisto, e dato che la rinuncia all'acquisto del B.B. era stata trasmessa sia alla A.A., che all'Inpdap.
Il primo motivo è infondato, in quanto non è configurabile alcun rapporto di specialità tra il D.Lgs. 16.2.1996 n. 104, integrato col D.L. 25.9.2001 n. 351, convertito nella L. 23.11.2001 n. 41, che regola i requisiti richiesti per l'attribuzione agli assegnatari di immobili di proprietà dell'Inpdap e loro familiari conviventi di un diritto di opzione per l'acquisto dell'immobile assegnato, che é un diritto personale, e la procedura da seguire per addivenire alla successiva vendita dell'immobile in caso di dismissione del patrimonio dell'ente mutualistico a favore dell'assegnatario, o familiare convivente che eserciti l'opzione, e gli articoli 177 lettera a) e 179 del codice civile, che in caso di comunione legale tra coniugi, regime patrimoniale introdotto dalla L. n. 151/1975, stabiliscono rispettivamente quali beni acquistati in regime di comunione legale tra coniugi rientrino nella stessa, e quali invece, benché acquistati dopo il matrimonio e l'insorgenza del suddetto regime patrimoniale e prima della sua cessazione, che si verifica col passaggio in giudicato della sentenza di separazione giudiziale, o con l'omologazione della separazione consensuale (vedi in tal senso Cass. 29.1.1990 n. 560), restino nella categoria dei beni personali dei coniugi.
Ciò che conta per stabilire se l'immobile ricada o meno nella comunione legale non è se esso sia stato acquistato esercitando un diritto personale di opzione, originariamente attribuito all'assegnatario dell'immobile di proprietà dell'Inpdap (ed a seguito di rinuncia dello stesso, non all'acquisto non ancora avvenuto, ma all'opzione, trasferita al familiare convivente in possesso di tutti i requisiti richiesti dalla normativa speciale, compresa nella specie la residenza nell'immobile), ma se l'acquisto della proprietà sia stato effettuato da uno, o da entrambi i coniugi (la comunione legale secondo l'art. 177 lettera a) vale infatti anche per gli acquisti separatamente compiuti dai coniugi) durante la vigenza del regime patrimoniale della comunione legale tra coniugi, e se ricorra o meno una delle eccezioni tassative alla comunione legale previste dall'art. 179 del codice civile, tra le quali non è compreso l'esercizio da parte di uno dei coniugi di un diritto di opzione, o di un precedente diritto di prelazione (vedi sull'acquisto in comunione legale tra coniugi di beni immobili in costanza di matrimonio quando si tratti di riscatto di fondi agricoli ex L. 379/1967 Cass. 27.8.2012 n. 14543; Cass. n. 26490/2008; vedi sull'acquisto in comunione legale tra coniugi di beni immobili in costanza di matrimonio quando si tratti di opzione esercitata da assegnatari di alloggi di edilizia residenziale pubblica Cass. 16.12.1993 n. 12439).
La normativa speciale sull'opzione relativa agli immobili di proprietà dell'Inpdap, anche se introdotta dopo la riforma del diritto di famiglia della L. n. 151 del 19.5.1975, e chiaramente compatibile col regime previsto dagli articoli 177 lettera a) e 179 del codice civile da quella legge introdotti, in quanto consente l'esercizio dell'opzione della quale non si sia avvalso l'assegnatario dell'immobile anche da parte dei familiari conviventi dello stesso, e quindi anche del coniuge che sia in possesso di tutti i requisiti.
A nulla rileva il divieto di trasferimento quinquennale a terzi dopo l'acquisto, dato che l'immobile ricade in comunione legale tra i coniugi al momento stesso dell'acquisto, a meno che il coniuge che acquista separatamente rispetto all'altro non dichiari nell'atto di acquisto di comprare utilizzando denaro personale, o derivante dallo scambio di beni personali ai sensi dell'art. 179 lettera f) cod. civ. Ipotesi, quest'ultima, che e stata esclusa dalla sentenza impugnata, che ha correttamente evidenziato come l'acquisto dell'immobile sia avvenuto in costanza di matrimonio, prima dell'omologazione della separazione consensuale del 16.3.2004 determinante la cessazione del regime patrimoniale della comunione dei beni, e senza che il coniuge stipulante, A.A., effettuasse nell'atto di acquisto del 12.2.2003 la dichiarazione prevista dall'art. 179 lettera f) cod. civ.
La sentenza impugnata ha, poi, esaustivamente motivato, anche sulla mancata prova dell'integrale provenienza dal patrimonio personale della A.A. del denaro impiegato per l'acquisto immobiliare, e sul fatto che l'intervenuto acquisto dell'immobile in questione in comunione legale, non solo era stato inizialmente allegato dalla stessa A.A. nella citazione di primo grado, ma aveva trovato conferma nel fatto che entrambi i coniugi avevano sottoscritto il contratto di mutuo necessario all'acquisto, in parte condividendo il pagamento delle relative rate, e nel fatto che nello stesso atto di acquisto del 12.2.2003, in cui era riportato quale regime patrimoniale tra i coniugi quello della comunione legale, la stessa A.A., stipulante, aveva dichiarato che il marito, B.B., avrebbe riportato la sua residenza a M entro 18 mesi per poter fruire a sua volta delle agevolazioni fiscali previste per l'acquisto della prima casa.
10) Col secondo motivo la ricorrente lamenta, in relazione all'articolo 360 comma primo n. 3) e 5) c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell'art. 196 c.p.c., per omesso esame di un fatto decisivo della controversia.
Sostiene la A.A. che l'impugnata sentenza abbia omesso di pronunciarsi sulla sua istanza di riaprire l'istruzione probatoria rinnovando la CTU di stima dell'immobile, che sarebbe stata formulata nell'atto di appello e che sarebbe stata ribadita nella comparsa conclusionale dell'1.12.2017, ancorché il debito da conguaglio sia un debito di valore, che nasce solo al momento della pronuncia definitiva sulla divisione, e benché la sentenza definitiva della Corte d'Appello fosse stata pronunciata il 16.1.2018 sulla base di una stima dell'immobile che sarebbe stata effettuata dal CTU nel 2013, per cui sarebbe stato necessario disporre anche d'ufficio la rinnovazione della CTU ex art. 196 c.p.c., per la notoria variazione al ribasso del mercato immobiliare tra il 2013 ed il 2018.
Il secondo motivo è inammissibile, in quanto la ricorrente non ha minimamente riportato il passo dell'atto di appello nel quale avrebbe formulato la richiesta di rinnovazione della CTU relativa alla stima dell'immobile oggetto di causa, per la semplice ragione che quella richiesta non era stata affatto formulata nell'atto di appello della A.A., che l'ha avanzata per la prima volta nella comparsa conclusionale del giudizio di secondo grado dell'1.12.2017, e quindi tardivamente, e questo spiega come mai sul punto l'impugnata sentenza non si sia pronunciata.
Peraltro la stima dell'immobile non era avvenuta molto tempo prima della pronuncia della sentenza definitiva del Tribunale di Messina n. 878/2016 del 24/25.9.2016, dal momento che la causa era stata in precedenza rimessa in istruttoria dalla sentenza non definitiva n. 734/2013 del 5.4.2013 proprio per avere una stima dell'immobile più attuale rispetto a quella compiuta dalla CTU del 2009.
Ne deriva che la Corte d'Appello di Messina non era tenuta neppure a disporre d'ufficio la rinnovazione della CTU per la stima dell'immobile oggetto di causa e la rideterminazione del conguaglio in denaro, anche tenendo conto dell'orientamento consolidato della Suprema Corte (Cass. 6.2.2009 n. 3029; Cass. 12.1.2024 n.1268), secondo il quale nei giudizi di divisione di beni immobili occorre che la stima dei beni sia effettuata in epoca non troppo lontana dalla decisione, per evitare che la stasi del mercato ed il conseguente deprezzamento dei beni alterino le valutazioni del compendio, ma la parte che sollecita una rivalutazione degli immobili per effetto del tempo trascorso dall'epoca della stima deve allegare ragioni di significativo mutamento del valore dei beni intervenute medio tempore e non limitarsi al riferimento al lasso temporale intercorso.
Nella fattispecie, invece, la A.A. si era limitata a sollevare doglianze tardive e generiche.
11) Col terzo motivo la ricorrente lamenta, in relazione all'art. 360 comma primo n. 4) c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli articoli 713 e seguenti e 726 cod. civ., per omessa pronuncia sul motivo di appello relativo alla condanna della A.A. al pagamento del conguaglio di Euro 71.028,80 a favore del B.B. In prosieguo la A.A. prospetta un riconteggio dei suoi pretesi crediti verso il B.B.
Il terzo motivo è inammissibile, anzitutto perché non riporta testualmente il motivo di appello col quale la A.A. si sarebbe lamentata della condanna pronunciata a suo carico in primo grado al pagamento del conguaglio di Euro 71.028,80, e ciò in quanto in realtà nell'unico confuso motivo di appello proposto, prevalentemente attinente alla contestazione della riconosciuta comproprietà dell'immobile oggetto di causa, la A.A. si era solo genericamente lamentata della sua condanna al pagamento di quella somma, sostenendo che non si sarebbe tenuto conto delle spese notarili e delle rate di mutuo da lei sola pagate per l'acquisto dell'immobile.
La Corte d'Appello di Messina, a fronte di tale generica doglianza, ha accertato che la A.A. non aveva provato di avere pagato in via esclusiva le spese notarili occorse per l'atto di acquisto dell'immobile (vedi capoverso di pagina 8) e che le parti, che avevano entrambe sottoscritto il contratto di mutuo, avevano provveduto a pagare congiuntamente alcune rate come da ricevute prodotte (vedi pagina 7 secondo capoverso), implicitamente condividendo i conteggi sul punto effettuati dal CTU contabile che era stato incaricato in primo grado e la cui relazione non era stata contestata specificamente dalla A.A.
È poi di tutta evidenza che non può essere richiesta alla Suprema Corte, giudice di legittimità, una rivalutazione delle risultanze istruttorie per addivenire ad una rideterminazione in punto di fatto dei pretesi crediti della A.A. verso il B.B., in contrasto con le valutazioni compiute dal Tribunale di Messina, che non sono state tempestivamente e specificamente contestate con l'atto di appello della A.A.
12) Col quarto motivo la ricorrente lamenta, in relazione all'art. 360 comma primo n. 3) e 5) c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli articoli 1223, 1224, 1282 e 1284 cod. civ., per il mancato riconoscimento degli interessi legali e della rivalutazione monetaria sulle somme corrisposte dalla A.A. per il pagamento delle rate di mutuo ma dovute dal comproprietario B.B.
Premesso che il richiamo al vizio dell'art. 360 comma primo n. 5) c.p.c. è del tutto incomprensibile, in quanto non é stato indicato il fatto storico decisivo oggetto di discussione tra le parti del quale sarebbe stata omessa la considerazione, il motivo è inammissibile, in quanto la A.A. non ha minimamente indicato dove, come e per quali importi avrebbe richiesto la rivalutazione monetaria e gli interessi legali sulle somme da lei corrisposte per il pagamento delle rate di mutuo per la quota di competenza del B.B., ai quali non vi é alcun cenno nell'appello a suo tempo proposto.
Senza contare poi che, trattandosi di un debito di valuta e non di valore, non competeva alcuna rivalutazione monetaria in via automatica e sarebbero state necessarie una costituzione in mora ed una richiesta di maggior danno, che non risultano neppure menzionate nel motivo di ricorso.
13) Col quinto motivo di ricorso, erroneamente indicato col numero 4), la A.A. lamenta, in relazione all'articolo 360 comma primo n. 3) e 5) c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli articoli 2043 e 2059 cod. civ. e dell'art. 570 cod. pen. per il mancato riconoscimento del risarcimento dei danni da lei subiti per il mancato concorso del B.B. al pagamento del mutuo per l'acquisto della casa di M, via (omissis) n. (omissis), con violazione degli obblighi di assistenza familiare a suo carico, costringendola ad una vita di stenti e di sacrifici per evitare il pignoramento dell'immobile.
Tale motivo e inammissibile, in quanto da un lato non indica dove e quando tali domande sarebbero state avanzate dalla A.A., e dall'altro non si confronta con la motivazione sul punto addotta dalla Corte d'Appello di Messina, che alla pagina 8 secondo capoverso della sentenza ha evidenziato l'inammissibilità di tale domanda risarcitoria, perché avanzata per la prima volta nella comparsa conclusionale del giudizio di secondo grado, e quindi tardivamente.
Da ultimo, la A.A., nelle conclusioni del ricorso, ha inammissibilmente richiesto la condanna del B.B. al pagamento delle spese processuali anche dei giudizi di primo e di secondo grado, senza avere sul punto formulato alcun motivo specifico d'impugnazione.
In base al principio della soccombenza, la A.A. va condannata al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità liquidate in dispositivo, da distrarre in favore del legale antistatario del B.B., avv. P. L'A..
Sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto l'art. 13, comma 1-quater del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 - della sussistenza dei presupposti processuali dell'obbligo di versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato se dovuto (vedi sull'applicabilità del doppio contributo nei casi di soccombenza della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato Cass. sez. un. 20.2.2020 n. 4315).
P.Q.M.
La Corte di Cassazione respinge il ricorso e condanna A.A. al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità, liquidate in Euro200,00 per spese ed Euro 5.800,00 per compensi, oltre IVA, CA e rimborso spese generali del 15%, da distrarre in favore del legale antistatario del controricorrente, avv. P. L'A..
Visto l'art. 13, comma 1-quater del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali dell'obbligo di versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto.