Nel caso in esame, C.V. e G.V. si rivolgevano allo Studio di commercialisti omissis per la vendita della quota del 25% del capitale della Emilia Holding s.p.a. proprietaria del 100% della Ondulati Maranello s.p.a.. In seguito contro questi venivano emessi dal Tribunale due decreti ingiuntivi che li condannavo al pagamento, nei confronti dei professionisti, dei compensi. I due proponevano opposizione deducendo l'inadempimento rispetto alle obbligazioni negoziali degli opposti, che li avevano costretti a stipulare una transazione con Cartiera del Polesine s.p.a.necessaria per la soluzione dei problemi che erano sorti per effetto di un contratto di mutuo, in quanto non erano state valutate in maniera adeguata dai professionisti le conseguenze del contratto preliminare di vendita stipulato con l'acquirente. Il Tribunale accoglieva l'opposizione e revocava i decreti ingiuntivi, accertando che l'operato dei professionisti era stato connotato da grave negligenza professionale e da altrettanto grave carenza di informazioni, ritenendo fondata l'eccezione di inadempimento sollevata con riferimento alla mancata valutazione dei rischi connessi alla operazione di vendita del pacchetto azionario in presenza di una clausola contenuta nel contratto di mutuo tra i soci della Emilia Holding s.p.a. e la Cartiera del Polesine s.p.a., che prevedeva «la risoluzione del contratto nel caso di atti pregiudizievoli agli interessi del mutuante», tra questi rientravano «cessioni di azioni e quote societarie». Da questa negligenza era derivato un danno patrimoniale per C.V. e G.V.
Lo studio di commercialisti ha criticato le motivazioni della Corte d'Appello, che respingeva il ricorso accertando la responsabilità dei professionisti che non avevano fornito «ai propri clienti le necessarie informazioni sui rischi connessi alla operazione di cessione del pacchetto azionario». I ricorrenti affermano che il rapporto in essere tra lo studio e i clienti non aveva carattere informativo, ma si limitava alla redazione di un contratto. La Suprema Corte ha evidenziato come i principi normativi in materia negoziale siano rinvenibili nell'obbligo di correttezza tra debitore e creditore e reciproca collaborazione tra i contraenti in ogni fase per garantire la salvaguardia degli interessi di ogni parte, nel principio della buona fede precontrattuale e nell'interpretazione e esecuzione dell'accordo finale. Non convince i giudici di legittimità nemmeno l'addotta scusante secondo cui le tempistiche brevi non avrebbero permesso ai commercialisti di rendere noto ai clienti delle conseguenze del pregiudizio che sarebbe stato arrecato. I ricorrenti avrebbero avuto solo due giorno per redigere l'atto, ma questo non giustificava sicuramente il venir meno degli obblighi in informazione che gravavano sul professionista. Sulla base di questo la Cassazione rigetta il ricorso.
Svolgimento del processo
1. C.V. e G.V. nel febbraio 2011 proponevano due distinti atti di opposizione dinanzi al Tribunale di Modena avverso due decreti ingiuntivi emessi dal medesimo Tribunale in favore dei commercialisti P.A. e A.O., in proprio e quali rappresentanti dello STUDIO omissis (in particolare: d.i. n. 16/2011 per Euro 95.960,03 impugnato da G.V. e d.i. n. 1401/2011 per Euro 81.483,04 impugnato da C.V.), ottenuti per il pagamento dei compensi professionali in relazione all’attività professionale svolta dai predetti professionisti in loro favore in occasione della vendita della quota del 25% del capitale della Emilia Holding s.p.a. proprietaria del 100% della Ondulati Maranello s.p.s.; gli opponenti deducevano l’inadempimento rispetto alle obbligazioni negoziali degli opposti, che tra l’altro, li avevano costretti a stipulare una transazione con la Cartiera del Polesine s.p.a. resasi necessaria per la soluzione dei problemi creatisi per effetto di un contratto di mutuo stipulato in data 30 giugno 2010, non avendo valutato adeguatamente i predetti commercialisti le conseguenze del contratto preliminare di vendita stipulato il 30 luglio 2010 con l’acquirente, B.Z., socio di minoranza della Emilia Holding s.p.a., con cui gli opponenti, unitamente ad altri soci della stessa società, avevano ceduto un pacchetto di azioni di loro proprietà pari all’80 % del capitale sociale della Emilia Holding s.p.a. (a sua volta, proprietaria della Ondulati Maranello s.p.a.) per 12 milioni di Euro, e chiedevano, in via riconvenzionale, il risarcimento dei danni quantificato nell’importo di Euro 16.250,00 ciascuno.
Dopo la riunione dei due distinti procedimenti, con sentenza n. 490/2017, il Tribunale di Modena accoglieva le opposizioni, revocava i decreti ingiuntivi, condannava gli opposti al pagamento in favore degli opponenti dell’importo di Euro 16.250,00 ciascuno, oltre interessi e rivalutazione dal novembre 2010 alla data della sentenza, con condanna degli opposti alle spese di lite.
Per quanto ancora di interesse, il Tribunale accertava che l’operato degli opposti professionisti era stato connotato da grave negligenza professionale e da altrettanto grave carenza di informazioni, ritenendo fondata l’eccezione di inadempimento sollevata dai V. con riferimento alla mancata valutazione dei rischi connessi alla operazione di vendita del pacchetto azionario in presenza di una clausola contenuta nell’art. 5 del contratto di mutuo tra i soci della Emilia Holding s.p.a. - mutuatari - e la Cartiera del Polesine – mutuante e creditore pignoratizio - ove era stabilito che «in assenza della preventiva autorizzazione del mutuante, la risoluzione del contratto di mutuo, nel caso di atti pregiudizievoli agli interessi del mutuante Cartiere del Polesine S.p.a.», atti quali: “cessioni di azioni e quote societarie”; negligenza dalla quale era derivato ai predetti V. un danno patrimoniale per il complessivo costo della transazione della vicenda conclusasi con la fideiussione di Euro 65.000,00, ed in particolare per le quote versate da ciascuno dei V., pari a Euro 16.250,00, ma anche in relazione alla stima di € 12.000.000,00 sulla base della quale si era proceduto alla vendita delle quote societarie in questione, con stima errata al ribasso rispetto al prezzo effettivo.
2. Avverso la sentenza del Tribunale, P.A. e A.O., in proprio e quali rappresentanti dello STUDIO omissis, proponevano appello avanti alla Corte d’Appello di Bologna; si costituivano gli appellati, chiedendo entrambi il rigetto del gravame e la conferma della sentenza impugnata.
La Corte d’Appello di Bologna con sentenza n. 2336/2021 respingeva il gravame, con condanna degli appellanti a rifondere in favore degli appellati le spese del grado.
3. Avverso la sentenza di appello, P.A. e A.O., in proprio e quali rappresentanti dello STUDIO omissis, hanno proposto ricorso per cassazione articolato in cinque motivi. C.V. e G.V. hanno resistito con controricorso.
La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380-bis 1 c.p.c.
Il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni.
Nessuna delle parti ha depositato memoria.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso i ricorrenti lamentano la “violazione e falsa applicazione degli artt. 1176, c. 2, 1175, 1375 c.c., e 2 Cost.” e censurano la sentenza impugnata nel punto in cui ha accertato la responsabilità dei professionisti per non aver fornito «ai propri clienti le necessarie informazioni sui rischi connessi alla operazione di cessione del pacchetto azionario, in presenza di una clausola contenuta nell’art. 5 del contratto di mutuo tra i soci della Emilia Holding s.p.a.- mutuatari - e la Cartiera del Polesine mutuante – creditore pignoratizio, che prevedeva in assenza della preventiva autorizzazione del mutuante, la risoluzione del contratto di mutuo, nel caso di atti pregiudizievoli agli interessi del mutuante, quale la richiamata cessione»; in particolare sostengono: a) che quello loro conferito era un mandato avente ad oggetto non obblighi informativi, in quanto incaricati non di fornire “un parere” su vantaggi e svantaggi di un contratto preliminare di vendita azionaria bensì di redigere un contratto di alienazione delle azioni di Emilia Holding S.p.A., b) che la Corte d’appello avrebbe falsamente applicato il principio di solidarietà ex art. 2 Cost. nel cui ambito si declina il principio di buona fede delle parti del contratto (artt. 1175, 1375 c.c.), c) che entrambe le parti contraenti, quindi anche, nel caso di specie, i controricorrenti V., sarebbero state tenute “a cooperare alla realizzazione dell'interesse della controparte”, in ossequio al principio dettato dalla sentenza di legittimità n.16743/2021, come richiamata in ricorso (pagg. 15 e 16). Infine, lamentano che il contratto di mutuo, recante all’art. 5 la clausola di risoluzione del contratto e escussione del pegno, era stata compresa dai contraenti e spiegata dal professionista che li aveva assistiti per la relativa stipula, contratto consegnato dai V. ai commercialisti per la successiva stesura del contratto preliminare de quo.
1.1. Il primo motivo è infondato.
Questa Corte ha già da tempo ritenuto che il principio di solidarietà sancito dall'art.2 Cost. costituisce di certo una clausola generale volta ad una corretta interpretazione dei principi normativi in materia di autonomia negoziale, i quali sono rinvenibili: a) nell’obbligo di correttezza tra debitore e creditore (art. 1175 c.c.), che si traduce nella collaborazione reciproca dei contraenti in ogni fase del rapporto per la salvaguardia degli interessi di ciascuna parte (art. 1206 c.c.); b) nel principio della buona fede precontrattuale, che regola il comportamento delle parti nelle trattative e nella formazione del contratto (art. 1337 c.c.); c) nel principio della buona fede nell’interpretazione e nell’esecuzione del contratto (artt. 1366, 1375, 1440, comma 2, c.c.). principio ritenuto strumento d'integrazione del contratto, non già sul piano dell'interpretazione, ma su quello della determinazione delle rispettive obbligazioni come indicato dall'art. 1375 cod. civ. (Cass. Sez. 3, 12/04/2006 n. 8619).
In linea con i ricordati principi, la Corte d’appello ha accertato:
- che i professionisti, odierni ricorrenti, hanno violato l’obbligo informativo sui rischi connessi all’operazione di cessione del pacchetto azionario in presenza della clausola contenuta nell’art. 5 del contratto di mutuo stipulato tra i soci mutuatari della Emilia Holding s.p.a. e la Cartiera del Polesine, che prevedeva, in assenza della preventiva autorizzazione di quest’ultima, mutuante, la risoluzione del contratto di mutuo, nel caso di atti pregiudizievoli agli interessi del mutuante, quale la richiamata cessione;
- che, con la cessione del pacchetto azionario a B. Z., non potevano più godere della garanzia rappresentata dalle azioni date in pegno e pur potendo difatti rivalersi su di lui per inadempimento, avrebbero comunque dovuto fronteggiare le richieste economiche del mutuante, Cartiere di Polesine;
- che il contratto preliminare del 30/07/2010 (redatto dal rag. A. e dalla dott.ssa O.) prevedeva che il corrispettivo di € 12.000.000,00 (dodici milioni) – come da stima redatta dai medesimi - per l’acquisizione del pacchetto azionario de quo dovesse essere corrisposto dal Z. nella seguente maniera: a) quanto ad € 6.000.000,00 (sei milioni), contestualmente alla stipula del contratto definitivo, da utilizzare per estinguere il debito nei confronti di Cartiera del Polesine (per il finanziamento ricevuto ed al fine di cancellare il pegno iscritto, a garanzia di detto finanziamento, sulle azioni promesse in vendita) ovvero – in alternativa, con discrezionale facoltà di scelta dell'acquirente Sig. Z. – mediante richiesta di accollo, solo interno, da parte di quest'ultimo del relativo debito con manleva a favore dei venditori V. (come previsto dalla clausola 9 del preliminare); b) quanto al residuo a saldo di € 6.000.000,00 (sei milioni), in quattro rate di pari importo con scadenza, rispettivamente, al 30/09/2010, 29/10/2010, 30/11/2010 e 31/12/2010;
che trattandosi di un accollo semplice e interno (ex art. 9 del contratto preliminare), il creditore mutuante poteva continuare a pretendere l’adempimento del mutuo soltanto dai debitori contraenti originari mutuatari (cfr. pag. 10 della sentenza impugnata).
Pertanto, le doglianze proposte sono destituite di fondamento.
2. Con il secondo motivo, i ricorrenti denunciano la “Violazione e falsa applicazione dell'art. 1218 c.c.” e censurano la sentenza impugnata, laddove ha ritenuto la mancata o inadeguata informazione in favore dei clienti, omettendo di valutare sul piano probatorio che i professionisti ricorrenti, avendo avuto a disposizione solo due giorni per redigere la bozza del contratto preliminare, non avrebbero potuto assolvere l'onere informativo su di loro gravante per causa a loro stessi non imputabile ex art. 1218 c.c..
2.1. Il secondo motivo è inammissibile.
In primo luogo, il motivo risulta generico, aspecifico, non rispettoso dei presupposti di cui all’art. 366 c.p.c., né i ricorrenti precisano quando avrebbero dedotto o eccepito la “causa loro non imputabile” relativa ai due giorni di tempo per redigere il contratto preliminare.
In secondo luogo, lungi dal lamentare una violazione della norma di diritto evocata, i ricorrenti tentano di richiedere a questa Corte un accertamento di fatto, inammissibile in questa sede, poiché già debitamente compiuto dai giudici del merito.
Invero, la Corte d’appello di Bologna ha valutato la responsabilità contrattuale dei professionisti alla luce dei canoni indicati dalla giurisprudenza di legittimità in proposito, affermando che lo studio omissis ha «sicuramente violato l’obbligo di fornire ai propri clienti V. le necessarie informazioni sui rischi connessi all’operazione di cessione del loro pacchetto azionario tra i soci mutuatari della Emilia Holding s.p.a. e la Cartiera del Polesine che prevedeva, in assenza della preventiva autorizzazione di quest’ultima, mutuante, la risoluzione del contratto di mutuo, nel caso di atti pregiudizievoli agli interessi del mutuante, quale la richiamata cessione; ciò tenendo conto che lo Studio appellante non ha neppure dedotto di aver correttamente illustrato ai propri clienti le ragioni che l’avevano eventualmente indotto ad escludere la sussistenza di alcun rischio per l’operazione di cessioni dal medesimo Studio predisposta nel richiamato preliminare del 30/07/2010: risoluzione immediata del mutuo e richiesta di restituzione della somma mutuata» (pag. 9 sentenza impugnata). Obbligo di informazione che, va aggiunto, non poteva certo venir meno anche in caso di tempi ristretti per l’esecuzione dell’incarico.
3. Con il terzo motivo di ricorso, i ricorrenti lamentano la “violazione e falsa applicazione degli artt. 115, c.1, ultima parte, c.p.c. e 1362, 1364, 1365 c.c.” ed in particolare denunciano che il principio di non contestazione ex art.115 c.p.c. sia stato violato e falsamente applicato dal Giudice d'Appello per non avere provocato il contraddittorio sui fatti dedotti dalla difesa dei V.; a tal proposito, osservano che la difesa di questi ultimi avrebbe introdotto in prima udienza un’irrituale “memoria” nella quale si doleva della stima della società Ondulati Maranello compiuta dalla dott.ssa O., con il solo dichiarato fine di replicare alle difese svolte dai professionisti; i ricorrenti sostengono di aver contestato il contenuto delle note a verbale e che da quel momento gli opponenti non avrebbero più fatto menzione dell’errata stima, né il giudice di primo grado si sarebbe pronunciato su tale contestazione; la sentenza di prime cure aveva concluso nel senso di qualificare detta documentazione (doc. 51 di controparte) come una perizia di stima, rilevandone l’erroneità e il fatto che ciò avrebbe determinato un prezzo di vendita azionaria troppo basso, ritenendo queste circostanze provata in base al principio di non contestazione. La Corte d’appello, secondo i ricorrenti, ha erroneamente confermato la sentenza di primo grado sul punto, poiché tale documento, lungi dal poter essere ritenuto una perizia di stima, risulta brogliaccio, informale, non firmato, consistente in un mero riepilogo di dati di una sola delle società controllate (Ondulati Maranello s.p.a.) al 31.12.2009.
3.3. Il motivo è inammissibile.
La Corte d’appello ha condiviso espressamente e richiamato quanto statuito dal giudice di prime cure, affermando che «All’udienza del 12/07/2011, deducendo che lo Studio omissis si era occupato anche della stima delle quote sociali della Emilia Holding S.p.A., oggetto della cessione, avevano rilevato, in replica alla comparsa di risposta di parte avversa, che la valutazione risultante era basata su dati erronei e incongrui sotto diversi profili; tali deduzioni a verbale risultano essere state contestate a verbale di udienza del 12/07/2011 dal difensore dello studio omissis ma, successivamente ammesse dal giudice, non risultano essere state successivamente contestate con la conseguente ammissione ex art. 115 c.p.c.» (pag. 11 della sentenza impugnata).
A quanto precede, espressamente contestato dai ricorrenti, la Corte d’appello ha però aggiunto che «quand’anche si volesse disporre l’espunzione da parte dei V., rimarrebbe ferma comunque e la negligenza professionale così come evidenziata nell’esame dei precedenti motivi di impugnazione» (pag. 12 della sentenza impugnata). Si è in presenza, sul punto, di una decisione basata su due distinte rationes decidendi, ciascuna di per sé sufficiente a sorreggere la soluzione adottata, con il conseguente onere del ricorrente di impugnarle entrambe, a pena di inammissibilità del ricorso. La seconda ratio da ultimo riportata non risulta invece essere stata contestata in alcun modo dai ricorrenti, con conseguente inammissibilità, per difetto di interesse, della censura proposta in relazione alla prima ratio, la quale, essendo divenuta definitiva l'autonoma motivazione non impugnata, in nessun caso potrebbe produrre l'annullamento della sentenza (Cass. n. 21490 del 7/11/2005; Cass. n. 10815 del 18/04/2019).
4. Con il quarto motivo di ricorso, i ricorrenti lamentano la “violazione e falsa applicazione dell'art. 1223 c.c.” ed in particolare, sostengono che la sentenza d'appello va cassata per non aver applicato l'art.1223 c.c. e cioè, sia per aver ritenuto che i professionisti siano stati inadempienti che per aver ritenuto che il pagamento dell'importo di € 65.000,00 (ricadente proporzionalmente sui due V. per 16.250,00 ciascuno) sia danno eziologicamente collegato alla prestazione professionale dei professionisti (cfr. ricorso per cassazione, pag.31). Gli stessi ricorrenti poi, affermano che l'assenza di nesso causale tra l'operato dei professionisti e il detto danno sarebbe dimostrabile sulla base di tre ragioni che vengono elencate come di seguito: “a) l'importo è stato pagato in esecuzione di una transazione liberamente e volontariamente conclusa dai V.; b) la somma non è stata pretesa dalla mutuante Cartiere del Polesine S.p.A....ma è stata ingiustamente “spillata” dall'avvocato del promittente acquirente Z.; c) la transazione in virtù della quale la famiglia V. ha pagato l'importo di € 65.000 aveva ad oggetto non solo la liberazione dei V. dal debito per il mutuo ma anche la composizione della controversia insorta a causa del mancato pagamento a Cartiere del Polesine delle forniture di carta da parte della controllata Ondulati Maranello s.p.a (v.doc.34 fasc. primo grado V.)“ (cfr. ricorso in cassazione, pagg.30 e 31).
4.4. Il motivo è inammissibile.
Attraverso la violazione dell'art.1223 c.c. (e cioè nel lamentare che sia stato individuato nel pagamento da parte di V. dell'importo di € 65.000,00 un danno eziologicamente collegato alla prestazione professionale dei professionisti), i ricorrenti pretendono una lettura alternativa a quella compiuta dai giudici di merito.
Il motivo è volto, nella sostanza, ad una rivalutazione dei fatti, risolvendosi in un’inammissibile critica alla interpretazione delle risultanze processuali esaminate e valutate dal giudice d’appello e in una altrettanto inammissibile richiesta a questa Corte di esaminarle nuovamente. Invero, gli odierni ricorrenti insistono nel contestare le valutazioni compiute complessivamente dalla Corte d’appello sul nesso causale tra il danno e le responsabilità dei professionisti nella vicenda in esame; in sostanza, parte ricorrente censura la ricostruzione dei fatti e l’apprezzamento delle prove compiute dalla Corte di appello e omette di considerare che esso apprezzamento è attività riservata al giudice del merito cui compete non solo la valutazione delle prove ma anche la scelta, insindacabile in sede di legittimità, di quelle ritenute più idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi (Cass. 4/07/2017, n. 16467; Cass. 23/05/2014, n. 11511; Cass. 13/06/2014, n. 13485; Cass. 15/07/2009, n. 16499).
5. Con il quinto motivo di ricorso, i ricorrenti lamentano la “violazione e falsa applicazione dell'art. 1460 c.c.” ed in particolare, richiamano alcuni precedenti di legittimità che non consentirebbero di sollevare l’eccezione di inadempimento quando l’incarico professionale è stato già da tempo eseguito, come avvenuto nel caso di specie.
5.1 Contrariamente a quanto ribadito dai ricorrenti in ordine alla pretesa violazione dell’art. 1460 c.c. e cioè che detta norma non troverebbe applicazione in caso di inesatto adempimento divenuto oramai definitivo (come è nella fattispecie per cui è causa) e in ordine alla doglianza che la Corte d’appello avrebbe citato precedenti non pertinenti, va osservato come la giurisprudenza di legittimità ritenga invece pacificamente applicabile l’art. 1460 c.c., con relativa perdita del compenso da parte del professionista per l’attività svolta, qualora risulti che il professionista incaricato non abbia profuso l’attenzione e la diligenza media che l’attività di consulenza avrebbe richiesto (cfr. ex multis, Cass. Sez. 2 24/09/2009, n. 20614; Cass. Sez. 2, 26/05/2003 n. 8314; Cass. Sez. 2 18/08/2020 n. 17214). Ed invero, come già pure affermato da questa Corte (Cass., ord., n. 14986 del 28/05/2021), l'eccezione di inadempimento funziona quale fatto impeditivo della altrui pretesa di pagamento avanzata, nell'ambito dei contratti a prestazioni corrispettive, in costanza di inadempimento dello stesso creditore. La parte evocata in giudizio per il pagamento di una prestazione rientrante in un contratto sinallagmatico può, pertanto, non solo formulare le domande ad essa consentite dall'ordinamento in relazione al particolare negozio stipulato, ma anche limitarsi ad eccepire - nel legittimo esercizio del potere di autotutela che l'art. 1460 c.c. espressamente attribuisce al fine di paralizzare la pretesa avversaria chiedendone il rigetto - l'inadempimento o l'imperfetto adempimento dell'obbligazione assunta da controparte e in qualunque delle configurazioni che questo può assumere. Ebbene, la Corte di merito con motivazione piana e coerente si è posta in linea di continuità con tale richiamato orientamento.
In relazione poi alla doglianza subordinata contenuta nell’ultima parte dell’illustrazione del motivo in scrutinio (v. ricorso p. 34), secondo cui sussisterebbe anche la violazione del secondo comma dell’art. 1460 c.c., in quanto il preteso inadempimento dei professionisti avrebbe provocato, secondo la controparte, un danno di soli euro 67.000 ai V. a fronte di un guadagno procurato di euro 12.000.0 (il prezzo della compravendita azionaria), sicché l’aver sollevato l’eccezione di inadempimento al fine di non eseguire del tutto la prestazione a carico dei V. integrerebbe una condotta contraria a buonafede, la stessa risulta inammissibile, presupponendo essa nuovi accertamenti ed apprezzamenti di fatto, che non possono tuttavia effettuarsi nel giudizio di cassazione
6. Ne consegue il rigetto del ricorso.
Le spese del giudizio di legittimità seguono il principio di soccombenza e si liquidano in dispositivo in favore delle parti controricorrenti.
Il rigetto del ricorso comporta la dichiarazione di sussistenza, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto (Cass. Sez. U. 20 febbraio 2020 n. 4315).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, a rifondere il pagamento delle spese processuali in favore dei controricorrenti, che liquida in complessivi Euro 4.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.