Svolgimento del processo
1. M.T. citava in giudizio la Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. al fine di conseguire la condanna della stessa al pagamento della somma di euro 217,50, a titolo di rimborso dell’imposta di registro, in relazione alla sentenza n. 13196 del 2016 del Tribunale di Roma.
2. Il giudice di pace di Roma, con la sentenza n. 27075 del 2019, depositata il 14 ottobre 2019, accoglieva la domanda, in quanto l’attore aveva dimostrato, con la produzione del modello F23, di aver provveduto al pagamento della somma di euro 217,50 versata per la registrazione della sentenza civile ed aveva diritto di ripetere tale somma dall’altra parte, che era rimasta soccombente in tale giudizio.
3. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a.
4. Restava intimato l’Avv. M.T..
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo di impugnazione il ricorrente deduce la «nullità della sentenza di primo grado per assenza o mera apparenza della sua motivazione, con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. – Art. 132, comma 2, numero 4, c.p.c.».
In particolare, la ricorrente deduce la nullità della sentenza in quanto non risultava esplicitata la ragione per cui il giudice di prime cure aveva ritenuto sussistere il diritto del T. ad ottenere un secondo titolo esecutivo relativo al recupero delle spese di registrazione della precedente sentenza.
2. Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente si duole della «violazione e/o falsa applicazione di legge relativamente all’insussistenza di interesse ad agire dell’avvocato T. M. (art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.- Art. 100 – Art. 474 c.p.c.)».
Il giudice di pace non si è avveduto del fatto che la sentenza del tribunale di Roma, sottoposta a registrazione, costituiva già titolo esecutivo per il recupero, tramite precetto, e successivo pignoramento, «delle spese necessarie alla sua stessa registrazione fiscale».
Nella pronuncia sulle spese della lite, ai sensi degli articoli 91 e seguenti c.p.c., deve essere inclusa la tassa giudiziaria per la registrazione della sentenza che è riscossa per la fruizione del servizio pubblico dell’amministrazione della giustizia e quindi trova causa immediata nella controversia.
Per tale ragione, l’attore, una volta conseguita la condanna della controparte al pagamento delle spese di giudizio, non ha interesse processuale a proporre domanda per ottenere un nuovo titolo.
3. Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente lamenta la «violazione e/o falsa applicazione di legge relativamente all’intervenuta violazione del principio del ne bis in idem (art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. – Art. 2909 c.c. – Art. 324 c.p.c.)».
Una volta pronunciata la sentenza del tribunale di Roma, il giudice di pace successivamente adito ha omesso di considerare che, avendo la sentenza sottoposta a registrazione già al suo interno la condanna implicita al pagamento delle spese conseguenti e necessarie alla realizzazione del diritto dell’attore (come quella relativa al pagamento dell’imposta di registro), non era possibile pronunciare una nuova sentenza riguardo, e quindi determinare l’insorgenza di un nuovo titolo esecutivo per il medesimo diritto, se non violando apertamente il principio del ne bis in idem.
4. Con il quarto motivo di impugnazione la ricorrente deduce «l’omesso esame dell’abusivo tentativo di riprodurre titoli esecutivi già esistenti e di parcellizzare il credito da intendersi come fatto decisivo per il giudizio (art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.)».
Non è consentito al creditore di una determinata somma di denaro, dovuta in forza di un unico rapporto obbligatorio, di frazionare il credito in plurime richieste giudiziali di adempimento, contestuali o scaglionate del tempo, in quanto la scissione del contenuto dell’obbligazione, operata dal creditore per sua esclusiva utilità, si pone in contrasto con il principio di correttezza e buona fede.
5. Con il quinto motivo di impugnazione la ricorrente si duole della «violazione o falsa applicazione di legge relativamente all’entità delle spese di lite liquidate in favore dell’avvocato T. M. (art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. – Art. 91 e 82 c.p.c.)».
Il giudice di pace, in una controversia di valore inferiore ad euro 1100,00, ha liquidato onorari (euro 265,00) superiori al valore della domanda (euro 217,50), incorrendo così nella violazione dell’art. 91, quarto comma, c.p.c..
6. Preliminarmente deve essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso per cassazione.
7. Invero, la controversia va qualificata come avente ad oggetto profili di equità necessaria ai sensi dell’art. 113, secondo comma, c.p.c., in base al quale «il giudice di pace decide secondo equità le cause il cui valore non eccede euro 1100[dal 31 ottobre 2025 euro 2500], salvo quelle derivanti da rapporti giuridici relativi a contratti conclusi secondo le modalità di cui all’art. 1342 del codice civile».
Il potere di decidere secondo equità è previsto in due casi: oltre a quello di cui al secondo comma dell’art. 113 c.p.c., esclusivamente attribuito al giudice di pace e per il quale è usuale la denominazione di «giudizio necessario di equità», in quanto imposto dal legislatore, vi è anche l’ipotesi contemplata dal successivo art. 114 c.p.c., la quale, presupponendo una concorde richiesta delle parti, dà invece luogo al giudizio di equità facoltativo (o «concordato»).
8. L’art. 339 c.p.c., nella formulazione anteriore al d.lgs. n. 40 del 2006, prevedeva l’inappellabilità delle sentenze del giudice di pace pronunciate secondo equità («sono […] inappellabili le sentenze del giudice di pace pronunziate secondo equità»).
Di conseguenza, in quanto «sentenze pronunciate in unico grado» esse erano assoggettate esclusivamente al rimedio del ricorso in cassazione (Cass., 19 gennaio 2005, n. 1080).
L’esclusione dell’appello era stata giustificata sia da esigenze di economia processuale, sia dall’inopportunità di assoggettare ad un riesame di merito decisioni rese sulla base di un giudizio connotato da «unicità» e «irripetibilità» quale quello di equità. Tuttavia, la scelta di rendere appellabili le sentenze di equità del giudice di pace (sia pur per motivi di impugnazione predeterminati), era stata dettata dalla finalità di alleggerire il carico della Corte di cassazione in ordine alla «giustizia minore», ponendo un filtro all’accesso alla Corte di legittimità, in relazione alle controversie di modesto valore economico.
9. Di qui la scelta del legislatore di cui al d.lgs. n. 40 del 2006, che ha modificato l’art. 339, terzo comma, c.p.c., prevedendo un appello a «critica vincolata» per le sentenze pronunciate dal giudice di pace secondo equità.
Pertanto, si è previsto che «le sentenze del giudice di pace pronunciate secondo equità a norma dell’art. 113, secondo comma, sono appellabili esclusivamente per violazione delle norme sul procedimento, per violazione di norme costituzionali o comunitarie ovvero dei principi regolatori della materia».
Pertanto, l’unico rimedio impugnatorio ordinario ammesso avverso le sentenze emesse dal giudice di pace nell’ambito della sua giurisdizione equitativa necessaria (art. 113, secondo comma, c.p.c.) è rappresentato dall’appello a motivi limitati, ex art. 339, terzo comma, c.p.c., nel testo novellato dal d.lgs. n. 40 del 2006, e ciò anche in relazione a motivi attinenti alla giurisdizione, alla violazione di norme sulla competenza e al difetto di motivazione, essendo le stesse ricorribile per cassazione solo in caso di accordo tra le parti per omettere l’appello, ex art. 360, secondo comma, c.p.c., ovvero di pronuncia secondo equità su concorde richiesta delle parti medesime, ex art. 114 c.p.c. (Cass., sez. 6-3, 16 novembre 2021, n. 34524; Cass., sez. 6-1, 17 novembre 2017, n. 27356; Cass., sez. 2, 15 gennaio 2024, n. 1517, in motivazione, con riferimento alle sentenze del giudice di pace pronunciate secondo equità ai sensi dell’art. 113, secondo comma c.p.c.).
La riforma dell’art. 339, terzo comma, c.p.c., ha dunque recepito i suggerimenti della Corte costituzionale, sentenza n. 206 del 2004, con la quale si è statuito che il giudice di pace, quando decide secondo equità, deve rispettare le norme processuali (ossia unicamente le regole che presidiano lo svolgimento del giudizio di cognizione davanti al giudice di pace; Cass., sez. 3, 27 ottobre 2022, n. 31830), costituzionali e comunitarie (Cass., sez. 2, 15 gennaio 2024, n. 1517, in motivazione, ove si richiama la sentenza della Corte costituzionale n. 206 del 2004).
10. Per questa Corte, dunque, il ricorso per cassazione è ammesso avverso le sentenze pronunciate in grado d’appello o in unico grado (art. 360, primo comma, c.p.c.), mentre la sentenza impugnata dal giudice di pace, emessa successivamente al d.lgs. n. 40 del 2006, è appellabile, ai sensi dell’art. 339 c.p.c..
A seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 40 del 2006, le sentenze del giudice di pace pubblicate a partire dal 3 marzo 2006 sono ricorribili per cassazione solo in due ipotesi (nessuna delle quali qui ricorrente): se le parti sono d’accordo per omettere l’appello, in base alla previsione generale di cui all’art. 360, secondo comma, c.p.c.; se il giudice di pace ha pronunciato secondo equità su concorde richiesta delle parti ex art. 114 c.p.c. (Cass., sez. 6-2, 31 luglio 2017, n. 19050; anche Cass., sez. 6-3, 18 gennaio 2018, n. 1213).
11. Poiché la sentenza del giudice di pace di Roma è stata emessa il 30 agosto 2019, trova applicazione l’art. 339, terzo comma, c.p.c., nella formulazione seguita al d.lgs. n. 40 del 2006, essendo dunque inammissibile il ricorso per cassazione, e dovendosi invece impugnare la decisione con l’appello a «critica vincolata» di cui all’art. 339 c.p.c..
12. Non si provvede sulle spese del giudizio di legittimità in assenza di attività difensiva dell’intimato.
P.Q.M.
dichiara inammissibile ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1- bis, dello stesso art. 1, se dovuto.