Per la Cassazione, si tratta di «acquisizione unilaterale di elementi conoscitivi che determina l'impiego a fini decisori di prove diverse da quelle legittimamente acquisite in dibattimento nel contraddittorio tra le parti».
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«Non sono utilizzabili ai fini della deliberazione informazioni tratte in camera di consiglio da siti internet di meteorologia o climatologia, in quanto trattasi di acquisizione unilaterale di elementi conoscitivi che determina l'impiego a fini decisori di prove diverse da quelle legittimamente acquisite in dibattimento nel contraddittorio tra le parti». |
È questo il principio di diritto affermato dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 24117 del 18 giugno 2024 in una controversia avente ad oggetto l'assoluzione di Tizio dai reati di omicidio aggravato di Caio e di rapina aggravata ai danni dello stesso.
Tra i motivi di doglianza, il Procuratore e le parti civili denunciano la violazione della legge processuale, in riferimento all'
Si è, infatti, chiarito che «non sono utilizzabili ai fini della deliberazione informazioni tratte in camera di consiglio dal sito internet google maps, in quanto trattasi di acquisizione unilaterale di elementi conoscitivi che determina l'impiego a fini decisori di prove diverse da quelle legittimamente acquisite in dibattimento nel contraddittorio tra le parti».
Applicando quanto detto al caso di specie, si tratta di documentazione illegittimamente impiegata per la decisione cui è stata attribuita valenza decisiva per scardinare il ragionamento del primo giudice, in contrasto con quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità: «in tema di prova, le c.d. "fonti aperte", reperibili anche tramite la rete "internet", possono costituire solo un parametro con cui valutare l'impiego di massime di esperienza o profili attinenti a fatti notori non oggetto di contestazione e, comunque, non riguardanti l'imputazione».
Svolgimento del processo
1. Con il provvedimento impugnato, la Corte di Assise di appello di Palermo, in totale riforma della sentenza pronunciata dalla Corte di Assise di Agrigento in data 21 gennaio 2022, ha assolto G.S. dai reati di omicidio aggravato di G.M. (artt. 575 e 577, primo comma, 61 n. 1, cod. pen.) e di rapina aggravata ai danni dello stesso (art. 628, primo e terzo comma, n. 1, n. 3-bis e n. 3-quinquies, cod. pen.), rispettivamente per non avere commesso il fatto e perché il fatto non sussiste, revocando conseguentemente le statuizioni civili.
1.1. Il giudizio riguarda l'omicidio, determinato da plurime lesioni cranio encefaliche inferte mediante armi improprie alla vittima che si trovava all'interno del proprio laboratorio - abitazione, per impossessarsi di una imprecisata somma di denaro contante sottraendola dalle tasche dei pantaloni e dalla cassettiera dell'ufficio della vittima.
L'omicidio è stato consumato nel tardo pomeR.o del 6 dicembre 2015 da un soggetto che, introdottosi senza effrazione nei locali della vittima, la aggrediva e colpiva ripetutamente con oggetti casualmente rinvenuti sul posto, lasciando evidenti tracce della suola della scarpa indossata con la quale calpestava le macchie di sangue presenti sulla scena del delitto.
Le indagini, svolte in numerose direzioni anche mediante l'esame delle videoregistrazioni delle telecamere di sorveglianza di alcuni esercizi commerciali posti nelle vicinanze, consentivano di acquisire indizi a carico dell'imputato, amico della vittima, che nella mattinata aveva pedinato M. per poi transitare, in serata, nuovamente nei pressi dell'abitazione della vittima senza alcun motivo e, anzi, negando la circostanza.
1.2. Tali elementi indiziari sono stati posti in relazione, dal primo giudice, con l'accertata sottrazione, avvenuta nella mattinata del 6 dicembre 2015, di alcuni attrezzi da lavoro della vittima che, dopo l'addensarsi dei sospetti a carico dell'imputato, i suoi figli hanno tentato maldestramente di eliminare il 4 agosto 2016.
1.2.1. Ad avviso del giudice di secondo grado, invece, la sottrazione degli attrezzi, verosimilmente avvenuta nei termini descritti dal giudice di prima istanza, non può essere posta in relazione con l'omicidio e la rapina perché avvenuta diverse ore prima di essi.
1.3. Affianco a tali elementi indiziari il primo giudice ha evidenziato il rinvenimento in data 7 ottobre 2016 da parte del RIS della scarpa impiegata dall'assassino che si trovava abbandonata in una discarica abusiva; le dimensioni della calzatura sono state giudicate compatibili con la calzata dell'imputato che, il giorno 2 ottobre 2016 (prima del rinvenimento), si era recato, con comportamenti giudicati altamente sospetti, proprio nelle vicinanze della discarica al paventato fine di asportare le tracce in precedenza lasciate; tale imprudente comportamento dell'imputato sarebbe spiegabile, ad avviso del primo giudice, sulla base della specifica circostanza che, nei giorni precedenti, la famiglia di S. era stata ripetutamente interrogata e che, in particolare, il 20 settembre 2016, la polizia giudiziaria aveva eseguito una perquisizione dell'abitazione di S. proprio alla ricerca di scarpe, sequestrandone alcune.
1.3.1. Il giudice di appello ha, anzitutto, ritenuta giustificata (raccolta delle lumache) la presenza dell'imputato nei pressi della discarica (erano giorni piovosi, idonei alla raccolta delle lumache che l'imputato canticchiava di voler effettuare proprio mentre si recava nei pressi della discarica), ha, quindi, escluso qualunque relazione tra la presenza dell'imputato in quei luoghi e il rinvenimento della scarpa dell'assassino nella vicina discarica, e ha comunque escluso che la calzatura (lunga cm. 27, pari alla taglia 7 UK, equivalente a 40,5-41 EU-IT) potesse essere indossata dall'imputato perché di dimensione troppo grande (egli indossa scarpe taglia 38 EU-IT, avendo una lunghezza del piede di soli cm. 24).
1.4. Circa la rapina, mentre il primo giudice ha ritenuto che la vittima avesse seco la disponibilità di, pur modeste, somme di denaro, il giudice di appello ha escluso che, in ragione delle condizioni di indigenza di M., questi potesse detenere alcunché, sicché nulla poteva essere stato sottratto.
2. Ricorrono il Procuratore generale presso la Corte d'appello di Palermo e le parti civili I. M. e V.S.
3. Il Procuratore generale presso la Corte d'appello di Palermo sviluppa quattro motivi di ricorso.
3.1. Il primo e il terzo motivo possono essere illustrati unitariamente.
Il primo motivo denuncia la violazione della legge processuale, in riferimento all'art. 526 cod. proc. pen. e al principio del contraddittorio, con riguardo all'utilizzazione di informazioni tratte in camera di consiglio da un non meglio specificato sito climatologico relativo ai dati meteo storici del Comune di Cattolica Eraclea agli inizi del mese di ottobre del 2016, e il vizio della motivazione con riguardo alla affermata piovosità delle giornate del 1° e del 2 ottobre 2016, tramite i quali, senza redigere una motivazione rafforzata e travisando la prova anche per omissione, il giudice di secondo grado è immotivatamente giunto all'assoluzione dell'imputato.
Il terzo motivo denuncia il vizio della motivazione con riguardo alla affermata abitudine dell'imputato di raccogliere lumache e, in particolare, alla battuta di caccia del 2 ottobre 2016 nonché in merito al presunto malfunzionamento del veicolo dell'imputato in detta giornata, tramite i quali, senza redigere una motivazione rafforzata e travisando il dato probatorio, il giudice di secondo grado è immotivatamente giunto all'assoluzione dell'imputato.
3.1.1. Il ricorso ricorda che, nelle valutazioni del giudice di primo grado, il più rilevante elemento a carico dell'imputato è costituito dalla circostanza che S., in data 2 ottobre 2016, si è recato in auto nella contrada Giaimo di Cattolica Eraclea per tentare di recuperare da una discarica abusiva le scarpe indossate in occasione dell'omicidio, non riuscendo però nel suo intento per il sopraggiungere di un conoscente; a distanza di qualche giorno la polizia giudiziaria, all'esito di un sopralluogo nel punto esatto dove erano state registrate le anomali soste e le incomprensibili retromarce eseguite dall'imputato, rinveniva una scarpa da ginnastica che è, poi, risultata essere quella utilizzata in occasione dell'omicidio.
La Corte di Assise ha ritenuto che l'imputato, consapevole di essere intercettato (ma ignaro che l'auto sulla quale viaggiava era monitorata dalla polizia giudiziaria attraverso la trasmissione e successiva registrazione degli spostamenti rilevati tramite GPS), parlando da solo a voce alta (circostanza mai verificatasi fino ad allora nel corso delle indagini) aveva più volte fatto riferimento alla circostanza che quella domenica mattina aveva deciso di andare a raccogliere lumache, ma che doveva rinunciarvi perché il motore dell'auto dava segnali di malfunzionamento.
A giudizio del primo giudice, tuttavia, si tratta di commenti solitari molto sospetti, oltre che del tutto anomali, soprattutto in considerazione della circostanza che in quei giorni non aveva piovuto e, pertanto, era inutile andare a raccogliere lumache, perché non risultava che S. fosse ghiotto di tali frutti animali della terra e, in terzo luogo, perché l'auto non presentava affatto problemi al motore così significativi da imporre un immediato rientro in paese.
3.1.2. Nella decisione della Corte di Assise di Appello, invece, si afferma in modo perentorio, con riferimento al clima asciutto di quei giorni e ai gusti culinari di S., che entrambe le asserzioni sono completamente destituite di fondamento.
La Corte di Assise di appello documenta la circostanza climatica riportando in sentenza una "foto tratta da uno di questi portali con l'indicazione della città interessata (Cattolica Eraclea) e del periodo monitorato (ottobre 2016)".
Il ricorso eccepisce anzitutto l'inutilizzabilità di tale "prova" perché acquisita al di fuori del giudizio e senza contraddittorio, richiamando giurisprudenza ritenuta pertinente (Sez. 1, n. 36315 del 20/05/2016, Palumbo, Rv. 268262).
Nel merito della "prova" in discorso, il ricorso deduce che, non essendo nota la fonte, il dato è privo di rilievo, dovendosi fare riferimento ai dati storici ufficiali certificati dagli enti preposti (ad es. Aeronautica militare italiana) e non alle informazioni reperibili sul web, senza neppure che sia possibile accertare se si tratta dei dati storici delle condizioni climatiche o delle storicizzazioni delle previsioni meteorologiche, non necessariamente coincidenti con quanto poi verificatosi.
Il giudice di secondo grado ha anche travisato, per omissione, la prova delle condizioni climatiche che risulta non solo dalle dichiarazioni del maresciallo R., che la Corte di secondo grado ha liquidato ascrivendogli "un cattivo ricordo", ma anche d lle dichiarazioni del maresciallo C. e dalle produzioni fotografiche della zona di reperimento della scarpa dalle quali risulta, in piena evidenza, il quadro di una campagna totalmente arsa dal sole.
3.1.3. Con riguardo al terzo motivo, il ricorso ricorda che la Corte di Assise di appello ha affermato che l'asserzione del giudice di primo grado sulla mancanza di elementi per affermare la passione dell'imputato per le lumache, era anch'essa completamente destituita di fondamento.
La motivazione rende, tuttavia, evidente il travisamento di innumerevoli prove acquisite nel corso del dibattimento di primo grado.
In relazione alla pretesa abitudine di S. di andare in campagna per raccogliere lumache, il ricorso sottolinea che ciò che realmente conta non è tanto se S. e/o i suoi familiari fossero dediti alla raccolta e alla degustazione di lumache, piuttosto è decisivo stabilire se la mattina del 2 ottobre 2016 S. si recò effettivamente in auto in contrada Giaimo per raccogliere lumache, ovvero se si tratta, come ha affermato il giudice di merito, di uno stratagemma impiegato per celare agli inquirenti in ascolto le proprie vere intenzioni (tentativo di recupero delle scarpe indossate durante l'omicidio).
È un dato pacifico che, alla data del 2 ottobre 2016, già da molti mesi tutta la famiglia S. era costantemente intercettata e monitorata dalla polizia giudiziaria: nel corso di quel lungo periodo di osservazione mai, prima di quella domenica mattina, alcuno dei componenti di quel nucleo familiare aveva fatto cenno alla raccolta di lumache; la prima captazione avente ad oggetto la raccolta di lumache si riscontra soltanto in occasione della escursione del 2 ottobre 2016, quando S. canticchia a voce alta che sta andando a raccogliere lumache (il primo giudice afferma che il canto era finalizzato a trarre in inganno gli investigatori).
È, del pari, pacifico che la famiglia S. fosse consapevole di essere intercettata e che, in particolare, erano state installate delle microspie sulla vettura: dalla captazione del 20 settembre 2016 (ore 12:03:34 n. 1152) risulta che M. S., figlio dell'imputato, ha esclamato in presenza della madre che "nella macchina c'è la cimice".
Ciò rende palese il travisamento della prova compiuto dal giudice di appello secondo il quale il 22 novembre 2016 la moglie dell'imputato parlava "senza immaginare di essere intercettata a bordo della propria auto".
Affermare, come fa il giudice di appello in modo travisato, che la moglie dell'imputato, alla data del 22 novembre 2016, parlava in auto senza immaginare di essere intercettata significa disconoscere che già dal 20 settembre 2016 tutti i componenti del nucleo familiare erano in grande allarme per essere venuti a conoscenza di importanti e compromettenti attività investigative a carico del capo famiglia e, in particolare, dell'avvenuto ascolto in diretta, nell'agosto precedente, da parte della polizia giudiziaria, del tentativo di distruzione ad opera dei figli dell'imputato del martello demolitore sottratto alla vittima. Significa disconoscere, altresì, che un tale disvelamento degli elementi acquisiti da parte della polizia giudiziaria ha inevitabilmente suggerito a tutti i
componenti della famiglia di smettere di parlare liberamente della vicenda; ciò ha inevitabilmente suggerito alla famiglia di agire in modo meno impulsivo in caso di insorgenza di nuove esigenze di occultamento delle prove, per non incorrere nello stesso errore commesso quando maturò in famiglia la decisione di distruggere il martello demolitore sottratto alla vittima la mattina dell'omicidio.
E così, quando, dopo il sequestro delle calzature del 20 settembre 2016, l'imputato maturò l'esigenza di distruggere le scarpe utilizzate il giorno dell'omicidio e già abbandonate in contrada Giaimo, memore del pasticcio combinato dai figli nel tentativo di distruggere il martello demolitore, decise di non agire d'impulso, circostanza ignorata dalla Corte di Assise di appello. Si trattava, infatti, di una sortita che andava pianificata con ogni cura, soprattutto nelle motivazioni (è per questo che canticchiava che quella mattina stava andando a raccogliere le lumache), ma anche nella scelta del giorno e dell'orario, ad evitare di essere notato, trattandosi di una strada che funge da collegamento fra Cattolica Eraclea ed Agrigento e, che quindi era particolarmente trafficata anche di buon mattino; tant'è che quando S. venne avvicinato da un conoscente si comportò in modo affatto naturale e, anzi, fece immediato ritorno in paese.
Quanto, poi, al presunto malfunzionamento dell'auto in occasione dell'uscita del 2 ottobre 2016, che avrebbe indotto S. a rinunciare alla raccolta di lumache e rientrare in paese (malfunzionamento escluso dal giudice di primo grado), le considerazioni sviluppate dalla Corte di Assise di appello sono generiche e ignorano talune specifiche circostanze, valorizzate dalla Corte di Assise (pp. 90-94), con evidente violazione del principio della motivazione rafforzata.
Il ricorso si riferisce:
a) alla circostanza che l'auto in questione, monitorata da mesi e per mesi dalla polizia giudiziaria, era usata giornalmente da S. M. per recarsi al lavoro ad una distanza di sei chilometri da Cattolica Eraclea ed aveva sempre funzionato regolarmente;
b) alla circostanza che la mattina del 2 ottobre 2016 S. G., oltre a canticchiare, aveva cominciato a lamentarsi ad alta voce di non meglio specificati problemi al motore, per nulla percepibili all'ascolto degli operatori di polizia giudiziaria (per come era stato possibile riscontrare nel corso del pubblico
dibattimento di primo grado quando la registrazione in questione è stata ascoltata in aula - udienza del 21 giugno 2019 p. 66 della trascrizione);
c) alla circostanza che S. fermava l'auto all'altezza di un tornante molto accentuato a facilmente individuabile, per parcheggiare il veicolo e ritornarvi dopo qualche decina di secondi; e che tre soste e tre anomali lunghe marce indietro avevano caratterizzato l'andamento dell'auto non appena giunta nei pressi del luogo della discarica abusiva, dove poi i Carabinieri a distanza di pochi giorni hanno rinvenuto la scarpa;
d) alla circostanza che al conoscente che si era fermato, interrompendo ciò che S. stava facendo quella mattina in contrada Giaimo nei pressi della piccola discarica abusiva, l'imputato aveva detto che cercava qualcosa per "sturare il coso, perché la macchina non va bene"; frase del tutto incomprensibile, posto che non è stato mai specificato cosa esattamente cercava e cosa esattamente doveva sturare; si tratta di una frase che denota piuttosto l'imbarazzo di S., sorpreso dal conoscente a ridosso della discarica alla ricerca di qualcosa;
e) alla circostanza che solo in presenza di questo conoscente S. procedeva per la prima volta ad azionare ripetutamente l'acceleratore dell'auto, ciò con l'intento di rendersi credibile con il suo interlocutore che lo aveva sorpreso non certo a raccogliere lumache, ma fermo sul ciglio della strada a ridosso di una discarica abusiva intento alla ricerca di qualcosa;
f) alla circostanza che, a seguito di tale incontro, S., piuttosto che continuare a cercare qualcosa "per sturare il coso", faceva subito rientro in paese lamentandosi (sempre da solo e ad alta voce) di non poter continuare nella ricerca di lumache, ma senza rilevare ulteriori malfunzionamenti dell'autovettura e, soprattutto, senza ricoverare il veicolo da un meccanico; cosa cui provvedeva soltanto quasi quattro mesi più tardi e a causa di un diverso guasto avvertito dal figlio;
g) alla circostanza che la stessa sera del 2 ottobre 2016 il figlio S. M. ha utilizzato la medesima auto, senza alcun problema e senza alcuna lamentazione, per andare a lavorare a circa 6 Km dalla propria abitazione;
Sono, del pari, illogiche le ragioni sviluppate dalla Corte di Assise di appello in relazione al lungo tempo trascorso (quasi quattro mesi) fra il presunto rilevamento del guasto all'autovettura, che avrebbe indotto S. a rientrare anticipatamente a casa rinunciando alla raccolta di lumache, e l'effettivo ricovero dell'auto presso un'officina meccanica.
Non corrisponde alla verità, infatti, l'affermazione che gli S. avrebbero ritardato a fare riparare l'autovettura perché disponevano di ben tre autoveicoli: alla data del 2 ottobre 2016 la terza autovettura era stata già restituita alla concessionaria (dichiarazioni T. e G., acquisite agli atti e allegate al ricorso).
3.2. Anche il secondo e il quarto motivo possono essere illustrati unitariamente.
Il secondo motivo denuncia la violazione della legge processuale, in riferimento all'art. 526 cod. proc. pen. e al principio del contraddittorio, con riguardo all'utilizzazione di informazioni tratte in camera di consiglio da una non meglio specificata tabella di conversione delle misure europee e anglosassoni delle calzature, e il vizio della motivazione con riguardo alla misura della calzata dell'imputato e all'incompatibilità di essa con la scarpa utilizzata dall'assassino, tramite i quali, senza redigere una motivazione rafforzata e compiendo un travisamento anche per omissione, il giudice di secondo grado è immotivatamente giunto all'assoluzione dell'imputato.
Il quarto motivo denuncia il vizio della motivazione con riguardo alla decisiva circostanza che l'imputato si è recato nella discarica ove è stata successivamente rinvenuta la scarpa utilizzata dall'assassino, tramite il quale, senza redigere una motivazione rafforzata, il giudice di secondo grado è immotivatamente giunto all'assoluzione dell'imputato.
3.2.1. A pagina 44 della sentenza impugnata è riportata una tabella di conversione delle taglie EU, US Uomo e UK Uomo, tabella che non si rinviene fra gli atti processuali: si tratta di una "prova" estranea al giudizio e al contraddittorio e, dunque, inutilizzabile.
D'altra parte, sulla base del tenore delle espressioni utilizzate ("applicando le medesime tabelle di conversione") parrebbe che la Corte di secondo grado abbia fatto riferimento alla (porzione di) tabella utilizzata dal RIS dei Carabinieri (pagina 8 della annotazione del 31 gennaio 2017); tuttavia, se si confrontano i dati della tabella di conversione utilizzata in camera di consiglio dal giudice e, poi, riportata in motivazione con i dati indicati dal RIS si deve prendere atto che si tratta di dati non corrispondenti.
Secondo le indicazioni della annotazione del RIS "il rilevamento metrico della calzata eseguito nella parte interna della scarpa (rinvenuta in contrada Giaimo) ha indicato la lunghezza circa di centimetri 27"; misura questa che "in taglia UK è attribuita ad una scarpa n. 7, corrispondente al numero 40,5-41 della taglia europea".
La tabella riportata, invece, nella impugnata decisione propone dati diversi, posto che alla misura 7 UK è associata la taglia europea 40, per un piede di 25,4 cm; mentre, per un piede di 27,1 cm è associata una scarpa EU 42, ovvero 9 UK. L'illegittimo uso di prove formate al di fuori del dibattimento e il travisamento di quelle acquisite all'interno di esso hanno condotto la Corte di Assise di appello ad affermare che S. calza scarpe di taglia 38, così escludendo erroneamente che fosse compatibile la scarpa rinvenuta dai Carabinieri in contrada Giaimo il 7 ottobre 2016.
3.2.2. Peraltro, al (tranciante) rilievo di carattere formale, si accompagnano vizi motivazionali che attengono alla completezza ed alla coerenza del costrutto argomentativo.
Se pure è vero che il teste Di Marco ha riferito che il piede di S. misura 24 cm., è altrettanto vero che lo stesso teste, alla stessa udienza, ha riferito che l'imputato "usava delle calzature 41"; circostanza confermata anche dal maresciallo C. (pp. 59-60 delle trascrizioni dell'udienza del 21 giugno 2019), che ha riferito che le scarpe sequestrate a S. Gaetano erano di misura 41 e che l'imputato, al momento del rilievo antropometrico indossava un paio di scarponi di taglia 42 (''abbiamo misurato il piede del signor S. che in quel momento indossava fra l'altro un paio di scarponi ... di numero 42"), scarponi di misura più grande che lo stesso era solito portare con due paia di calzettoni.
La taglia 41 indossata dall'imputato è ben distante dalla taglia 38 che, dai calcoli effettuati in assoluta autonomia dalla Corte di Assise di appello, sarebbe quella delle scarpe calzate dall'imputato, ma assai più prossima alla taglia 41 che corrisponde alla scarpa usata per l'omicidio.
Il ragionamento della Corte di Assise di appello, sull'incompatibilità della scarpa rinvenuta dai Carabinieri in contrada Giaimo e il piede dell'imputato, è viziato dunque non soltanto dalla anonima tabella di conversione utilizzata in camera di consiglio, in spregio del principio del contraddittorio, ma anche da travisamento della prova per omissione di elementi essenziali.
4. I. M. e V.S., con il difensore di fiducia e procuratore speciale avv. A.G., sviluppano tre motivi di ricorso che, sostanzialmente coincidenti con quelli formulati dal Procuratore generale, sottolineano, in particolare, le seguenti violazioni di legge e vizi motivazionali:
4.1. - mancanza di una motivazione rafforzata e travisamento per omissione delle prove con riguardo agli accertamenti di polizia sulle video riprese e sulle captazioni telefoniche e ambientali.
In particolare, il giorno immediatamente precedente al ritrovamento della vittima il veicolo di proprietà dell'imputato è stato ripreso per ben tre ore mentre pedinava la vittima nelle vie del paese, effettuando dei veri e propri appostamenti con pedinamento; alle 12:00 della stessa giornata l'imputato si è impossessato di una valigia, che conteneva un martello demolitore di proprietà della vittima; ciò è accaduto poche ore prima dell'omicidio che risulta commesso, secondo le concordi valutazioni dei medici legali, tre alle 19:30 alle 21:30 dello stesso giorno.
Il monitoraggio della famiglia dell'imputato e dei veicoli in uso agli stessi ha consentito di accertare, tra l'altro, anche il tentativo compiuto dai figli dell'imputato di sbarazzarsi della valigia contenente il martello demolitore sottratto alla vittima poche ore prima dell'omicidio.
È ulteriormente significativo quanto accertato il 20 settembre 2016 allorquando la polizia giudiziaria, prima di assumere informazioni dalla moglie dell'imputato mostrandole le prove del coinvolgimento del coniuge e dei figli nella vicenda, effettuava delle captazioni ambientali dei colloqui tra i familiari, per poi procedere alla perquisizione dell'abitazione e alla ricerca delle scarpe dell'imputato: in detta circostanza i familiari, resi edotti degli elementi di accusa acquisiti, concordavano le versioni da rendere alla polizia.
Altro grave travisamento è quello che riguarda il sequestro delle calzature presso l'abitazione dell'imputato che il giudice di secondo grado qualifica come un'attività di polizia giudiziaria eseguita malamente mentre dalle risultanze dibattimentali, in particolare dall'esame condotto all'udienza del 21 giugno 2019, emerge chiaramente che erano state sottoposte a sequestro varie calzature, tra le quali, ben identificate, quelle dell'imputato.
La motivazione, estesa dal giudice di secondo grado per escludere la rilevanza indiziaria del comportamento tenuto dall'imputato il 2 ottobre 2016, è del tutto ipotetica nella parte in cui ritiene illogica la spiegazione fornita dal primo giudice circa la distanza temporale tra le audizioni del 20 settembre, che avevano messo in allarme l'imputato e tutta la famiglia, e quanto accertato la domenica 2 ottobre 2016: mentre il primo giudice aveva posto in collegamento i due fatti, spiegando perché l'imputato non aveva fatto accesso alla discarica durante la settimana (pericolo di essere individuato a causa dell'alta frequentazione della strada), il giudice di appello si è limitato a non condividere tale logico ragionamento, così omettendo di stendere una motivazione rafforzata idonea a superare le logiche argomentazioni sviluppate dal primo giudice, senza, peraltro, considerare le condotte di occultamento delle prove già poste in essere dall'imputato e dai suoi familiari alla luce della crescente preoccupazione degli stessi che si desume dalle intercettazioni.
Per quanto riguarda le specifiche attività poste in essere dall'imputato il 2 ottobre 2016, che gli hanno verosimilmente consentito di recuperare una delle due scarpe indossate in occasione dell'omicidio (la seconda sarà rinvenuta dai carabinieri il 7 ottobre 2016 proprio nel luogo dove si era recato l'imputato), il giudice di secondo grado omette di considerare l'intercettazione ambientale del 2 ottobre 2016, ore 07:00, progressivo n. 1772, nel corso della quale l'imputato, che stava rientrando in paese, commentava stizzito di "non avercela fatta", non certo di andare a raccogliere le lumache;
4.2. - con riguardo alla presunta esistenza di un valido alibi per il giorno dell'omicidio che il giudice di secondo grado attribuisce alla credibilità delle dichiarazioni della moglie secondo la quale il marito sarebbe rincasato nel pomeR.o senza essere mai più uscito di casa, perché non si confrontano colle risultanze dibattimentali dalle quali emerge che l'imputato e la moglie hanno varie volte mentito e si sono anche accordati sulle versioni da rendere agli investigatori.
In particolare, l'intercettazione delle conversazioni ambientali a bordo dell'autovettura BMW eseguita il 3 agosto 2016, quando erano appena terminate le escussioni presso i carabinieri, riporta la domanda fatta dalla moglie dell'imputato circa cosa avesse fatto il giorno 6 dicembre 2015 e, in particolare, se fosse uscito la mattina o il pomeR.o, così dimostrando di avere palesemente mentitoù a polizia giudiziaria quando, nel corso del verbale del 26 luglio 2016, aveva riferito che la mattina del 6 dicembre 2015 il marito non era uscito di casa ed era rimasto in pigiama, come pure che, contrariamente al vero, lo stesso non era dedito al gioco in quanto ella gli metteva a disposizione unicamente la somma di euro 20 alla settimana.
Queste captazioni dimostrano, come aveva correttamente ritenuto il primo giudice, la falsità dell'alibi offerto dal coniuge in favore dell'imputato, falsità che deve essere considerata come un indizio a carico in quanto sintomatico del tentativo dell'imputato di sottrarsi all'accertamento della verità.
Analoghe menzogne e preventivi accordi per mentire alla polizia giudiziaria sono emersi dalle captazioni del 25 luglio 2016, ore 19:00, con riguardo l'utilizzo della Fiat Punto nonché con riferimento alla valigetta degli attrezzi sottratta a M. che, di lì a poco, i figli dell'imputato avrebbero cercato di sopprimere.
È palese, infine, la falsità dell'alibi e il previo accordo tra l'imputato e i familiari circa le versioni dichiarazioni da rendere alla polizia giudiziaria sulla base della intercettazione del 20 settembre 2016, ore 13:00, dalla quale emerge chiaramente che la moglie dell'imputato non sapeva realmente se il marito si fosse allontanato il giorno dell'omicidio tant'è vero che la donna, nel domandare suggestivamente al marito "non sei più uscito quella sera ... giusto è?", ha ottenuto la risposta "No!";
4.3. - il vizio della motivazione, anche per travisamento, con riguardo al movente dell'omicidio da individuarsi, come aveva correttamente fatto il primo giudice, nella rapina consumata ai danni di M..
Lo stato di indigenza, sulla quale si fonda la decisione di appello per escludere la rapina, costituisce una pura illazione perché non tiene in considerazione le risultanze investigative sulla ricostruzione delle somme disponibili alla luce delle dichiarazioni dei testimoni e dell'esame della documentazione bancaria, sul corretto pagamento dei piccoli debiti contratti dalla vittima e sulla esistenza di palesi segni di sottrazione del denaro dal cassetto dell'ufficio, rappresentati dalla presenza di macchie di sangue della vittima proprio sul tiretto all'interno del quale M. era solito custodire le somme di denaro.
Sotto altro profilo, il giudice di secondo grado ha completamente trascurato e travisato per omissione le risultanze delle captazioni dalle quali risulta, invece, che l'imputato era vittima del gioco e sperperava ingenti quantità di denaro, sicché era nelle condizioni di doversi procurare, con urgenza, del denaro per saldare i propri debiti di gioco, ciò in contrasto con la dichiarazione, risultata palesemente falsa alla stregua dell'esame di altre captazioni, secondo la quale la moglie dell'imputato gli consegnava soltanto euro 20 alla settimana.
4.4. Il difensore di fiducia e procuratore speciale avv. A.G. ha, poi, depositato una memoria conclusionale e conclusioni scritte con la nota spese.
5. Il difensore dell'imputato ha presentato memoria con la quale ha, anzitutto, rilevato la non decisività dei motivi di ricorso sulle presunte violazioni processuali, soggiungendo che, in ogni caso, i ricorsi non sono idonei a superare le logiche conclusioni cui è giunto il giudice di secondo grado.
5.1. Il difensore dell'imputato ha poi presentato memoria di replica alle conclusioni scritte del Procuratore generale.
Motivi della decisione
1. I ricorsi sono fondati.
1.1. Il primo giudice ha basato la responsabilità dell'imputato sui seguenti elementi:
- il fatto, ritenuto certo e univoco, che S. G. la mattina del 6 dicembre 2015 ha pedinato e controllato M. G. per circa tre ore, seguendolo in ogni suo minimo spostamento: circostanza questa che denota, secondo i primo giudice, un interessamento illecito verso M. poiché se l'imputato (che ben conosceva M. e con il quale aveva un qualche rapporto di confidenza) intendeva solo chiedergli del denaro o degli strumenti in prestito non si comprende per quale motivo avrebbe dovuto seguire minuziosamente la sua vittima per circa tre ore, cercando di non farsi notare;
- il contestuale impossessamento da parte dell'imputato, intorno alle ore 12:30, di alcuni attrezzi di lavoro di M.; ciò ha indotto il primo giudice ad affermare che nelle suddette circostanze di tempo e luogo sarebbe avvenuto un incontro tra S. e M. nel corso del quale, verosimilmente, il primo avrebbe chiesto al secondo del denaro in prestito, utilizzando la richiesta degli attrezzi come pretesto (S. in quel momento era preda del vizio del gioco ma, contrariamente alle sue abitudini, non si trovava a giocare alle slot machines per mancanza di denaro: il coniuge, conscio del problema, gli concedeva solo 20 euro a settimana); alternativamente, secondo il primo giudice, deve ritenersi che S. si sia introdotto nell'ufficio della vittima in assenza del proprietario e che abbia approfittato della sua assenza per rovistare all'interno dell'ufficio di M. in cerca di soldi e poi abbia portato via solo il martello demolitore; in entrambe le ipotesi, secondo il primo giudice, appare evidente che la visita mattutina non sarebbe stata risolutiva e definitiva (nonostante S. abbia asportato gli attrezzi) ed appare propedeutica alla seconda visita serale;
- il decesso di M. tra le ore 19:30 e le ore 24:00 all'interno del proprio studio;
- la rilevata presenza, tra le ore 20:43 e le ore 20: 58 del 6 dicembre 2015, di un veicolo simile alla Fiat Punto in uso a S. proprio nella strada ove si trovava M.; il veicolo compiva movimenti di "appostamento e controllo" del territorio, per arrestarsi nei pressi dello studio di M.. In contemporanea, la moglie di S. si intratteneva al telefono lungamente con un'amica, sicché, in disparte la falsità delle dichiarazioni dalla stessa resa circa la certezza che il marito non sarebbe uscito di casa quella sera ( come emerge dalle captazioni del 20 settembre 2016), è ben possibile che di ciò non si sia accorta;
- il tentativo maldestro, compiuto diversi mesi dopo, di dispersione degli attrezzi, sottratti nella mattinata dell'omicidio, al fine di allontanare i sospetti dall'imputato;
- l'esistenza di un movente per avvicinare M., individuato dal primo giudice nella disperata ricerca di soldi, anche in quantità modesta, da dedicare al vizio del gioco;
- la ulteriore maldestra ricerca da parte dell'imputato della scarpa indossata dall'assassino di M., successivamente rivenuta dalla polizia giudiziaria proprio nei luoghi dove l'imputato aveva cercato di recarsi, venendo indotto a desistere dalle ricerche per il fortuito incontro con un conoscente. Ad avviso del primo giudice si tratta di una circostanza di fatto, quella del tentativo di recuperare la scarpa insanguinata, che costituisce un legame diretto ed univoco tra l'imputato e la suddetta scarpa che, del resto, è proprio della misura dell'imputato. Secondo il primo giudice l'indizio, che emerge dalle circostanze relative al rinvenimento della scarpa, è di particolare gravità considerato che pertiene al ritrovamento della scarpa in uso all'assassino nel momento della commissione dell'omicidio. L'indizio è considerato univoco atteso che la scarpa in questione è stata rinvenuta esclusivamente grazie al comportamento maldestro ma, al contempo, necessitato di S., il quale non aveva altro motivo per recarsi in quel luogo periferico se non per ritrovare e occultare definitivamente le scarpe indossate il giorno dell'omicidio. Diversamente ragionando, chiosa il primo giudice, dovrebbe ritenersi che, solo per mera casualità, la polizia giudiziaria avrebbe rinvenuto tale scarpa in quel posto e, per di più, proprio a pochi metri dal sito esatto ove l'imputato aveva più volte sostato.
Secondo il primo giudice, quindi, se non è dato sapere con certezza come materialmente si siano verificati i fatti, sarebbe certo però che S. era presente sul posto mentre M. è stato mortalmente aggredito, tanto che la sua scarpa si imprime del relativo sangue lasciando una traccia indelebile sul pavimento; ciò dopo che la stessa mattina S. aveva insistentemente pedinato M. e si era appropriato dei suoi attrezzi.
In ultimo, secondo il primo giudice, non può non rilevarsi come ulteriori elementi indiziari nei confronti dell'imputato possono trarsi anche dalla accertata falsità di gran parte delle circostanze riferite da S. anche ai propri familiari, ciò perché "la comprovata falsità delle difese approntate dall'imputato può essere apprezzata dal giudice ai fini della formazione del proprio convincimento, costituendo essa, al pari della inverosimiglianza delle risposte, delle reticenze, delle digressioni, delle stridenti contraddizioni e delle asserzioni fatte in modo da non consentire riscontri, valido indizio di mala fede e possibile indice di colpevolezza" (Sez. 1, n. 11159 del 23 novembre 1982).
Sul punto, il giudice di primo grado, sottolinea, tra l'altro, gli accordi di S. e della moglie sulle versioni di volta in volta da rendere agli investigatori; l'avere negato nelle intercettazioni l'evidente pedinamento di M. con scuse smentite oggettivamente dai fatti; la condotta di occultamento/distruzione degli attrezzi sottratti a M. attuata dai figli di S. il 4 agosto 2016 e quella poi tentata dallo stesso imputato il 2 ottobre 2016 per recuperare la scarpa nella discarica.
La Corte di prima istanza ha giudicato provata la responsabilità penale anche con riferimento ai fatti di rapina aggravata, ritenuta connessa e collegata all'omicidio. È stata, in particolare, ritenuta provata la circostanza oggettiva nel mancato ritrovamento addosso a M. G. e nel suo magazzino di alcuna somma di denaro, in contrasto con le abitudini consolidate della vittima, ma, soprattutto, con gli accertamenti patrimoniali effettuati che orientano univocamente per il possesso da parte della stessa di almeno qualche centinaio di euro in contanti al momento del fatto. Tale elemento, unitamente al fatto che il cassetto ove solitamente venivano custodite le somme di denaro da parte di M. è stato rinvenuto aperto e sporco di sangue, porta a confermare, secondo il primo giudice, che l'aggressione dell'imputato in danno della vittima fosse collegata proprio alle somme di denaro già nella disponibilità della vittima e, quindi, che risulti pienamente integrato anche il delitto di rapina.
1.2. La Corte di secondo grado ha invece affermato che, a partire dalla struttura dei capi d'imputazione, ove l'omicidio è legato alla consumazione di una rapina rivelatasi congetturale e dai contorni vaghissimi, l'ipotesi accusatoria formulata a carico dell'imputato è rimasta pressoché integralmente sguarnita di basi solide. In particolare, lungi dal potersi parlare di gravità, precisione e concordanza indiziarie, si è rimasti al cospetto di una buona base di partenza investigativa, mai sfociata in una confortevole piattaforma accusatoria capace di superare il vaglio dell'oltre ogni ragionevole dubbio.
Nessun elemento specifico e rilevante ha messo in relazione diretta l'azione complessiva di S. G. con l'omicidio.
L'impossessamento della valigia, sicuramente contenente il martello demolitore di proprietà della vittima, è un fatto del tutto diverso dalla rapina contestata al capo 2), e per il quale non risulta mai elevata alcuna imputazione; tale fatto, del resto, risulta accertato intorno alle 12:00-12:30 del 6 dicembre 2015, mentre è certo che fino alle 21:00 circa M. fosse ancora vivo, in giro sul suo pick-up che risulta parcheggiato nei pressi della ditta circa nove ore dopo (intorno alle ore 21:00 di quel giorno).
All'interno dei locali della piccola azienda di marmi di M. G., all'esito dei rilievi dattilo-biologici, non è stata mai trovata alcuna traccia capace di far risalire all'imputato che per di più, per la plausibile ora del delitto, aveva l'alibi offerto dal coniuge e troppo sbrigativamente superato dalla sentenza di primo grado.
Il collegamento tra l'impronta, esaltata sul sangue della vittima, di una suola della scarpa sinistra, poi rinvenuta nella discarica, e la persona di S. G., lungi dall'essere univoco, come ha sostenuto la decisione di primo grado, appare piuttosto una vera e propria forzatura, tenuto conto che le captazioni confermano il dichiarato scopo della gita del 2 ottobre 2016 che risulta pure riscontrato dalle condizioni meteorologiche, mentre le dimensioni della calzatura sono incompatibili con il piede dell'imputato.
Secondo il giudice di appello, quindi, non è possibile trarre alcun personale addebito di responsabilità a carico dell'imputato dal contesto delle captazioni cui per mesi il prevenuto e i suoi familiari sono stati assoggettati. Anzi, ad avviso della Corte di secondo grado, alcuni passaggi ritenuti essenziali da parte della sentenza di primo grado, come ad esempio quelli relativi alla captazione del 2 ottobre 2016 all'interno della vettura con la quale S. si sarebbe recato a cercare di recuperare in una discarica la scarpa sporca di sangue, piuttosto che fornire elementi di natura indiziaria, si sono rivelati elementi a discarico.
2. Prima di affrontare i motivi processuali è utile ricordare le linee guida giurisprudenziali che governano il metro di giudizio in caso di riforma in senso assolutorio della sentenza di condanna.
2.1. Nel caso che, per diversità di apprezzamenti, per l'apporto critico delle parti o per le nuove eventuali acquisizioni probatorie, il giudice di appello ritenga di pervenire a conclusioni diverse da quelle accolte dal giudice di primo grado, non può risolvere il problema della motivazione della sua decisione inserendo nella struttura argomentativa di quella di primo grado - genericamente richiamata - delle notazioni critiche di dissenso, in una sorta di ideale montaggio di valutazioni ed argomentazioni fra loro dissonanti, essendo invece necessario che egli riesamini, sia pure in sintesi, il materiale probatorio vagliato dal giudice di primo grado, consideri quello eventualmente sfuggito alla sua delibazione e quello ulteriormente acquisito, per dare, riguardo alle parti della prima sentenza non condivise, una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia ragione delle difformi conclusioni (cfr. Sez. U, n. 6682 del 04/02/1992, Rv. 191229).
Tali principi sono stati anche successivamente approfonditi, essendosi affermato che, in caso di totale riforma della decisione di primo grado, il giudice dell'appello ha l'obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato (cfr. Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231679), e dando alla decisione, pertanto, una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia ragione delle difformi conclusioni (cfr. Sez. 6 n. 1253 del 28/11/2013, dep. 14/01/2014, Rv. 258005; n. 46742 del 08/10/2013, Rv.257332; Sez. 4 n. 35922 del 11/07/2012, Rv. 254617).
Si è poi specificato che il giudice d'appello, in caso di riforma, in senso assolutorio1della sentenza di condanna di primo grado, sulla base di una diversa valutazione del medesimo compendio probatorio, pur non essendo obbligato alla rinnovazione della istruttoria dibattimentale, è tenuto a strutturare la motivazione della propria decisione in maniera rafforzata, dando puntuale ragione delle difformi conclusioni assunte (Sez. 4, n. 24439 del 16/06/2021, Rv. 281404).
2.2. Ciò premesso, deve osservarsi, ancora prima di rilevare dei gravi vizi processuali, che la Corte di Assise di appello ha riformato in senso assolutorio la sentenza di condanna di primo grado senza un adeguato percorso logico motivazionale.
Mentre la sentenza di primo grado si fondava su un esame globale di un insieme di elementi indiziari ritenuti certi e significativi, coordinati in una visione unitaria, la sentenza di appello si limita ad una valutazione atomistica e parcellizzata degli indizi, la valenza dimostrativa dei quali viene svalutata sulla base di congetture contraddette da precisi dati probatori, oltre che estranee all'ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana.
Un metodo di valutazione, questo, che si pone in netto contrasto con i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di prova indiziaria (cfr. Sez. 1, n. 8863 del 18/11/2020, dep. 04/03/2021, Rv. 280605 - 02): ma di ciò si dirà dettagliatamente in seguito.
3. Sono fondati i motivi processuali, concernenti l'utilizzo di prove non acquisite in contraddittorio, ma piuttosto basate sulla cd. "scienza" del giudice, nonché i connessi denunciati vizi motivazionali sulla diversa ricostruzione di alcuni elementi decisivi del ragionamento probatorio del primo giudice che palesano anche il denunciato travisamento, oltre all'assenza di una motivazione rafforzata.
3.1. La sentenza impugnata ha effettivamente utilizzato materiale proveniente da internet (previsioni meteorologiche) che non risulta acquisito agli atti, in violazione dei principi costantemente affermati dalla giurisprudenza di legittimità.
Si è, infatti, chiarito che «Non sono utilizzabili ai fini della deliberazione informazioni tratte in camera di consiglio dal sito internet google maps, in quanto trattasi di acquisizione unilaterale di elementi conoscitivi che determina l'impiego a fini decisori di prove diverse da quelle legittimamente acquisite in dibattimento nel contraddittorio tra le parti» (Sez. 1, n. 36315 del 20/05/2016, Palumbo, Rv. 268262).
Tale principio va convintamente riaffermato, essendo stato ribadito anche nel campo delle valutazioni scientifiche di risultante tecniche: Sez. 1, n. 19822 del 23/03/2021, Faina, Rv. 281223, ha chiarito che «Il giudice, quando sia necessario svolgere indagini od acquisire dati o valutazioni che richiedono specifiche competenze tecniche, non può prescindere dall'apporto della perizia per avvalersi direttamente di proprie, personali, competenze scientifiche e tecniche, perché l'impiego della scienza privata costituisce una violazione del principio del contraddittorio nell'iter di acquisizione della prova e del diritto delle parti di vedere applicato un metodo scientifico e di interloquire sulla validità dello stesso».
Va, quindi, affermato il seguente principio di diritto: «Non sono utilizzabili ai fini della deliberazione informazioni tratte in camera di consiglio da siti internet di meteorologia o climatologia, in quanto trattasi di acquisizione unilaterale di elementi conoscitivi che determina l'impiego a fini decisori di prove diverse da quelle legittimamente acquisite in dibattimento nel contraddittorio tra le parti».
Si tratta, quindi, di documentazione illegittimamente impiegata per la decisione cui, oltre tutto, è stata attribuita valenza decisiva per scardinare il ragionamento del primo giudice, in contrasto con quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità: «in tema di prova, le c.d. "fonti aperte", reperibili anche tramite la rete "internet", possono costituire solo un parametro con cui valutare l'impiego di massime di esperienza o profili attinenti a fatti notori non oggetto di contestazione e, comunque, non riguardanti l'imputazione» (Sez. 4, n. 21310 del 26/04/2022, Rv. 283314).
2.1.1. È, del pari, certo che il documento acquisito dalla Corte nel segreto della camera di consiglio non è dotato di alcuna attendibilità perché non è stato rilasciato dalle competenti autorità pubbliche di certificazione delle condizioni climatiche e meteorologiche.
Deve, infatti, essere rimarcato che il giudice può porre a fondamento della propria decisione unicamente materiale probatorio, acquisito in contraddittorio, del quale sia accertata la provenienza e che, quando contiene dati scientifici o elementi tecnici, promani da fonti autorevoli, certificate e comunque sottoposte al necessario vaglio di affidabilità che si ottiene mediante il metodo dialettico processuale del contraddittorio che deve trovare puntuale riscontro nei passaggi logici della motivazione del provvedimento giudiziario.
È, in effetti, indispensabile che il giudice di merito proceda alla verifica critica in ordine all'affidabilità delle informazioni utilizzate ai fini della spiegazione del fatto, pena il venire meno della correttezza metodologica dell'approccio del giudice di merito al dato tecnico o al sapere scientifico utilizzato, che sfocia nella illegittimità della decisione sindacabile in sede di legittimità (Sez. 1, n. 58465 del 10/10/2018, T., Rv. 276151).
3.1.2. Oltre al denunciato vulnus processuale, sussiste pure un vizio motivazionale, anche sotto il profilo della motivazione rafforzata, circa le effettive condizioni climatiche e meteorologiche della zona per come riferite da numerosi testimoni (vari operatori di polizia giudiziaria) e ritratte nelle fotografie acquisite agli atti.
La Corte di secondo grado, omettendo di valutare la prova già acquisita e valorizzata dal primo giudice, si è limitato a disconoscerla e a tacerne l'esistenza, così stendendo una motivazione basata sul travisamento e inidonea a superare la valutazione compiuta dal primo giudice.
3.2. Analogo vizio riguarda la tabella di conversione delle taglie delle calzature che non risulta essere quella versata dal RIS negli atti acquisiti nel contraddittorio, unico documento di tale contenuto che è stato acquisito al dibattimento.
La Corte ha, anche in questo caso, impiegato un elemento di prova, senza neppure indicarne la provenienza, che è estraneo al processo, sicché inutilizzabile alla stregua dei principi prima affermati.
Peraltro, come correttamente evidenzia il Procuratore generale ricorrente, la tabella utilizzata evidenzia palesi errori di conversione che, dunque, hanno comunque inficiato il ragionamento del giudice di secondo grado.
3.2.1. In ultimo, va sottolineato che, su tale illegittima acquisizione, la Corte di appello ha incentrato un'erronea motivazione con riferimento alle calzature dell'imputato e, in particolare, sulla circostanza che questi fosse solito calzare il n. 38, del tutto diverso rispetto a quello della scarpa rinvenuta nella discarica (taglia n. 40,5-41).
In particolare, come fondatamente denuncia il Procuratore generale ricorrente, gli elementi di prova posti a base di tale radicale asserzione del giudice di appello, risultano travisati dalla Corte di secondo grado che, facendo riferimento alla propria erronea conclusione basata sul ridetto errato documento acquisito extra processualmente, ha omesso di considerare le dichiarazioni testimoniali e le acquisizioni processuali (sequestri), che sono puntualmente indicati dal Procuratore ricorrente con specifico richiamo e allegazione delle fonti di prova, dalle quali invece emerge, come aveva concluso il giudice di primo grado, che l'imputato calza il n. 41, non risultando, per contro, che nella sua abitazione siano state rinvenute calzature di taglia n. 38 allo stesso riferibili.
Anche sotto questo profilo, dunque, la sentenza impugnata presenta vizi di violazione della legge processuale e vizi della motivazione, anche per travisamento, mancando, in ogni caso, una motivazione rafforzata a sostegno del ribaltamento del giudizio.
4. Risultano, quindi, venuti meno due fondamentali elementi probatori sui quali il giudice di appello ha fondato la decisione di riforma; ciò consentirebbe già di ritenere fallace il ragionamento del giudice di merito.
Ciò non di meno, è necessario esaminare le ulteriori censure dei ricorrenti onde vagliare la decisività dei sopra rilevati errori alla stregua del ragionevole dubbio che impronta la decisione impugnata.
4.1. Anzitutto, va ricordato che il ragionamento indiziario, sul quale si fonda la decisione del primo giudice, poggia su diversi e concorrenti elementi, nessuno di per sé idoneo ad affermare la responsabilità dell'imputato, ma tutti, nella prospettiva seguita dalla Corte d'Assise, convergenti a carico dell'imputato.
Tali elementi sono stati ricordati nel primo paragrafo di questa sentenza, sicché, anche alla luce della decisione di secondo grado, non risultano controverse le seguenti circostanze:
- il decesso di M. tra le ore 19:30 e le ore 24:00 del 6 dicembre 2015 all'interno del proprio studio;
- la conoscenza e frequentazione tra S. e M.;
- il fatto che S. G., la mattina del 6 dicembre 2015, ha pedinato e controllato M. G. per circa tre ore, seguendolo in ogni suo minimo spostamento;
- l'impossessamento da parte dell'imputato, intorno alle ore 12: 30 del 6 dicembre 2015, di alcuni attrezzi di lavoro di M.;
- la rilevata presenza, tra le ore 20:43 e le ore 20:58 del 6 dicembre 2015, di un veicolo simile alla Fiat Punto in uso a S. proprio nella strada ove si trovava M.; il veicolo compiva movimenti di "appostamento e controllo" del territorio, per arrestarsi nei pressi dello studio di M.;
- il tentativo maldestro, compiuto diversi mesi dopo, di dispersione degli attrezzi, sottratti nella mattinata dell'omicidio, compiuto al fine di allontanare i sospetti dall'imputato;
- la dedizione dell'imputato al gioco d'azzardo, con conseguenti necessità economiche, non soddisfatte dalle somme assegnategli settimanalmente dal coniuge;
- il ritrovamento di una delle scarpe, taglia 40,5-41, indossate dall'assassino nella discarica di rifiuti nei pressi della quale è transitato e si è fermato l'imputato, pochi giorni prima del rinvenimento.
4.2. Se i sopra richiamati elementi non sono controversi e, come anche riconosce il giudice di appello, alcuni sono fortemente indicativi di un sospetto a carico di S., è utile rimarcare che l'esistenza del movente, individuato dal primo giudice nella disperata ricerca di soldi, anche in quantità modesta, da dedicare al vizio del gioco, non è specificamente negata dal giudice di appello.
Il movente, del resto, pur non costituendo uno specifico elemento indiziario, funge da catalizzatore dei vari indizi raccolti (Sez. 1, n. 813 del 19/10/2016 - dep. 2017, P.G. in proc. Lin, Rv. 269287, ha chiarito che «In tema di prova, la causale in tanto può fungere da fatto catalizzatore e rafforzativo della valenza degli indizi posti a fondamento di un giudizio di responsabilità, in quanto essi, all'esito dell'apprezzamento analitico e nel quadro di una valutazione globale di insieme, si presentino, anche in virtù della chiave di lettura offerta dal movente, chiari, precisi e convergenti per la loro univoca significazione. Ne consegue che il movente non può costituire elemento che consenta di superare le discrasie di un quadro probatorio ritenuto, con motivazione immune da censure, di per sé non convincente»; in generale: Sez. U, n. 45276 del 30/10/2003, Andreotti, Rv. 226094 - 01), sicché non poteva essere del tutto trascurato dal giudice di secondo grado.
4.3. Il giudice di appello ha, invece, escluso le seguenti circostanze, ma sulla base di un ragionamento fallace e comunque inidoneo a superare le motivazioni del giudice di prima istanza:
4.3.1. - la presenza, caratterizzata da soste e brevi allontanamenti dal veicolo, di S. nei pressi della discarica ove poi venne rinvenuta la calzatura usata dall'assassino.
Secondo il primo giudice l'indizio, che emerge dalle circostanze relative al rinvenimento della scarpa, è di particolare gravità considerato che pertiene al ritrovamento della scarpa in uso all'assassino nel momento della commissione dell'omicidio. L'indizio è considerato univoco atteso che la scarpa in questione è stata rinvenuta esclusivamente grazie al comportamento maldestro ma, al contempo, necessitato di S., il quale non aveva altro motivo per recarsi in quel luogo periferico se non per ritrovare e occultare definitivamente le scarpe indossate il giorno dell'omicidio.
L'irrilevanza dell'indizio e, anzi, l'impossibilità di ricondurlo a S. risultano, secondo il giudice di appello da alcuni elementi che, tuttavia, sono travisati o erronei:
a) della corrispondenza della calzata n. 41 della scarpa rinvenuta con quella indossata dall'imputato, già si è detto al paragrafo n. 3, sicché non può che concludersi circa l'affidabilità e convergenza dell'indizio che era stata affermata dal primo giudice;
b) dell'inaffidabilità della giustificazione sbandierata dall'imputato (ricerca di lumache) nel corso delle intercettazioni già in parte si è detto con riguardo alle condizioni meteorologiche e climatiche che sono state travisate dal giudice di appello (par. n. 3); a ciò si deve aggiungere, come fondatamente denunciato dal Procuratore generale ricorrente e dalle parti civili, che il giudice di appello ha superficialmente trascurato, così non adempiendo al dovere di stendere una motivazione rafforzata, che l'impeto raccoglitore, oltre a essere inconciliabile con le condizioni meteorologiche del momento, risulta del tutto estraneo alle abitudini dell'imputato, tanto che lo stesso lo abbandona subitaneamente quando si imbatte, in modo imprevisto, in un conoscente che gli domanda cosa facesse in quei luoghi; l'imputato, lungi dal riferire la lecita causale canticchiata nelle intercettazioni, sciorina una diversa spiegazione che è volta a giustificare, questo sì elemento particolarmente significativo, il suo comportamento di ricerca, evidentemente colto dal passante, con la necessità di reperire "un coso" per aggiustare il veicolo, veicolo che, improvvisamente, cessa di non funzionare tanto da ricondurre frettolosamente S. in paese.
4.3.2. - il presunto malfunzionamento del veicolo.
È sufficiente evidenziare che tale evenienza risulta contraddetta dalle captazioni puntualmente citate dal primo giudice e dal pubblico ministero e dalla decisiva circostanza che il mezzo fu utilizzato tranquillamente tutti i giorni seguenti e per diversi mesi senza necessità di alcuna riparazione.
Sul punto, la sentenza di appello omette di valutare le prove acquisite, che travisa per omissione, e non è idonea a superare le logiche conclusioni cui era giunto il primo giudice.
4.4. Da ciò, quindi, non esce affatto indebolita la ricostruzione dell'episodio compiuta dal primo giudice, il quale ha evidenziato, sulla base dei ricordati elementi, che la escursione di S. alla discarica non risulta aderente alla giustificazione canticchiata dall'imputato, sicché essa, contrariamente a quanto ritiene la Corte di secondo grado e in difetto di una diversa causale indicata dall'imputato, non può non essere logicamente ascritta al tentativo (non si sa se in parte riuscito) di sopprimere le calzature, come già era stato fatto per gli attrezzi sottratti alla vittima la mattina dell'omicidio.
Il giudice di appello, oltre alle rilevate violazioni della legge processuale e ai vizi logici del ragionamento, non ha comunque steso una motivazione rafforzata in grado di superare le conclusioni cui era giunto il giudice di primo grado sulla connessione qualificata esistente tra la calzatura, rinvenuta nei pressi del luogo ove l'imputato si era ripetutamente recato e per ben tre volte intrattenuto senza una lecita e nota causale, e l'imputato il piede del quale ha una misura corrispondente a quella utilizzata dall'assassino.
5. Affianco a tali elementi, il primo giudice pone come ulteriori elementi indiziari quelli che possono trarsi dalla accertata falsità di gran parte delle circostanze riferite da S., anche ai suoi familiari: gli accordi intercorsi tra S. e la moglie sulle versioni di volta in volta da rendere agli investigatori, per come risultano dalle captazioni dei dialoghi; l'avere negato nelle intercettazioni l'evidente pedinamento di M. con scuse tutte smentite oggettivamente; la condotta di occultamento/distruzione del trapano attuata dai figli di S. G. il 4 agosto 2016; la fallacia o falsità dell'alibi fornito dal coniuge per la sera del delitto.
5.1. Su tale ultimo aspetto, tuttavia, è il caso di soffermarsi in quanto il giudice di merito deve chiarire se si tratta di alibi falso o fallito e il valore da attribuire alla circostanza in esame.
La motivazione del giudice di appello sembra escludere anche soltanto la fallacia dell'alibi, attribuendo al primo giudice una ricostruzione congetturale: secondo la Corte di secondo grado, il primo giudice si sarebbe limitato a ipotizzare che il coniuge avrebbe potuto non accorgersi, a causa di una lunga conversazione telefonica che la impegnava, che S. era uscito di casa proprio nel frangente nel quale un veicolo simile a quello dell'imputato circolava e stazionava nei pressi dell'abitazione della vittima.
Tuttavia, in alcuni passi della sentenza di primo grado (p. 89), che il giudice di appello omette di esaminare, si afferma che, sulla base delle captazioni in data 20 settembre 2016, il coniuge non sapesse se S. fosse stato in casa la sera dell'omicidio; in altre parti della medesima sentenza si afferma, addirittura, che il coniuge fosse certo del contrario ed abbia fin da subito mentito alla polizia giudiziaria in accordo con il marito.
Ciò, in particolare, è stato desunto dall'intercettazione delle conversazioni ambientali a bordo dell'autovettura BMW eseguita il 3 agosto 2016, quando erano appena terminate le escussioni presso i carabinieri; in detta captazione si riporta la domanda fatta dalla moglie all'imputato circa cosa avesse fatto il
giorno 6 dicembre 2015 e, in particolare, se fosse uscito la mattina o il pomeR.o, così dimostrando di avere palesemente mentito'fa polizia giudiziaria quando, nel corso del verbale del 26 luglio 2016, aveva riferito che la mattina del 6 dicembre 2015 il marito non era uscito di casa ed era rimasto in pigiama.
Analogamente, secondo il primo giudice sarebbe palese la falsità dell'alibi e il previo accordo tra l'imputato e i familiari circa le dichiarazioni da rendere alla polizia giudiziaria sulla base della intercettazione del 20 settembre 2016, ore 13:00, dalla quale emerge che la moglie dell'imputato non sapeva realmente se il marito si fosse allontanato il giorno dell'omicidio tant'è vero che la donna, nel domandare suggestivamente al marito "non sei più uscito quella sera ... giusto è?", ha ottenuto la risposta "No!".
Ebbene, la natura (falso\fallito) e la valenza dell'alibi deve essere oggetto di approfondito esame in considerazione della peculiare rilevanza che la giurisprudenza vi annette, ponendo anche in luce la provenienza della fallace o falsa dichiarazione.
6. La sentenza impugnata va, dunque, annullata con rinvio per nuovo giudizio nel quale, dopo avere sanato i vizi processuali sopra rilevati ed eventualmente espunto il materiale probatorio illegittimamente introdotto, si procederà, nella piena libertà delle valutazioni di merito, a sanare i vizi motivazionali di omissione e travisamento, nonché ad approfondire l'esistenza, valenza e significato dell'alibi offerto dal coniuge circa la sera del delitto.
6.1. Le spese del presente giudizio vanno rimesse all'esito del giudizio di merito.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata, con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte d'Assise d'appello di Palermo.