Accolto il ricorso del professionista che si era visto liquidare il compenso sulla base della somma ricevuta dalla parte in sede di transazione. I parametri da rispettare sono qualità dell'opera prestata, tariffe professionali e “valore della pratica”.
Tizio, in qualità di consulente tecnico del curatore fallimentare in un giudizio promosso da quest'ultimo a norma dell'art. 67 l. fall., proponeva reclamo avverso il decreto di liquidazione del suo compenso, determina in forza dei valori medi della tariffa prevista dall'art. 2 D.M. n. 30/5/2002.
Giunti in sede di legittimità, il consulente...
Svolgimento del processo
1.1. C.S. ha proposto reclamo avverso il decreto con il quale, in data 30/3/2022, il giudice delegato al fallimento della P. s.p.a., dichiarato con sentenza del 1997, ha liquidato il compenso maturato dalla stessa quale consulente tecnico del curatore nel giudizio promosso da quest’ultimo a norma dell’art. 67 l.fall. nei confronti di una banca ed iscritto al n. RG 3781/01, determinandolo, in forza dei valori medi della tariffa prevista dall’art. 2 del d.m. 30/5/2002, nella somma complessiva di €. 6.929,91 per onorario, oltre accessori di legge e spese.
1.2. Il tribunale, con il decreto in epigrafe, ha rigettato il reclamo.
1.3. Il tribunale, in particolare, ha ritenuto, innanzitutto, l’infondatezza del motivo d’impugnazione fondato sull’esistenza di un precedente decreto di liquidazione del 3/5/2006.
1.4. Il tribunale, sul punto, ha rilevato che, in realtà, “agli atti del fallimento non è stato possibile rinvenire l’originale del provvedimento” invocato dalla reclamante, che la stessa ha, peraltro, esibito in “semplice copia”, con la conseguenza che, anche per l’impossibilità di desumere “la certezza della data ivi apposta” “dalla pagina del registro cronologico prodotto che alla data del 04.05.2006 si limita a riportare una generica <<autorizzazione GD>> senza specificare a cosa questa si riferisca”, non è possibile, “per mancanza dell’originale”, di riconoscere alla reclamante il diritto di ottenere il pagamento degli importi liquidati in tale decreto, che deve, al contrario, ritenersi tamquam non esset.
1.5. Il tribunale, inoltre, ha ritenuto l’infondatezza dell’ulteriore motivo d’impugnazione, fondato sull’erronea applicazione delle tariffe da parte del giudice delegato, sul rilievo che: - il decreto di liquidazione “risulta congruamente motivato” in ragione del richiamo per relationem del parere del curatore; - “trattandosi di mere osservazioni sull’attività e sul metodo operativo del consulente tecnico d’ufficio”, l’opera prestata dalla reclamante “non può qualificarsi quale vera e propria consulenza tecnica di parte” e non può essere, pertanto, ricondotta all’art. 31 della “tariffa professionale” vigente all’epoca della prestazione, e cioè quella prevista dal d.P.R. n. 100/1997, dovendo, piuttosto, trovare applicazione il criterio residuale di cui all’art. 16, comma 1, del d.P.R. cit. e, quindi, tenuto conto della natura dell’attività svolta dalla reclamante, l’art. 2 del d.m. 30/5/2002, che il giudice delegato ha utilizzato per la liquidazione del compenso, applicando, in ragione della qualità e della difficoltà del lavoro svolto, i valori medi ivi previsti.
1.6. Il tribunale, infine, ha ritenuto l’infondatezza del motivo con il quale la reclamante aveva invocato una liquidazione del suo compenso in misura non inferiore all’importo di €. 27.000,00, evidenziando che l’art. 2 del d.m. del 30/5/2002 prevede, quale massimo di tariffa applicabile rispetto allo scaglione massimo, l’importo di €. 10.256,34, senza che la stessa abbia addotto motivi particolari tali da giustificare ulteriori maggiorazioni.
1.7. Cesira Sica, con ricorso notificato il 29/8/2022, ha chiesto, per cinque motivi, la cassazione del decreto, comunicato in data 1/7/2022.
1.8. Il Fallimento ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione
2.1. Con il primo motivo, la ricorrente, lamentando la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c., e il vizio di motivazione, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c., ha censurato il decreto impugnato nella parte in cui il tribunale ha escluso che il compenso della reclamante potesse essere liquidato in forza del decreto del giudice delegato del 3/5/2006, omettendo in tal modo di pronunciarsi e di motivare in ordine al motivo di reclamo con il quale la stessa, denunciandone l’omissione da parte del provvedimento reclamato, aveva chiesto al tribunale proprio di accertare l’effettivo smarrimento di tale precedente decreto e di disporne, all’esito della sua ricerca in cancelleria, la sua ricostruzione, che è doverosa quanto sussistano elementi per ritenere che la mancanza dell’atto sia involontaria ovvero dipenda da smarrimento o sottrazione.
2.2. Il motivo è inammissibile. Non v’è dubbio, in effetti, che “se, al momento della decisione della causa, risulti la mancanza di taluni atti da un fascicolo di parte, il giudice è tenuto a disporne la ricerca o, eventualmente, la ricostruzione, solo se sussistano elementi per ritenere che tale mancanza sia involontaria, ovvero dipenda da smarrimento o sottrazione” e che “qualora, pur in presenza di tali elementi, il giudice ometta di disporre la ricerca o la ricostruzione degli atti mancanti, tale omissione può tradursi in un vizio della motivazione” (Cass. n. 21571 del 2020; Cass. n. 16212 del 2017).
2.3. Resta, tuttavia, a tal fine indispensabile che l’atto processuale di cui si assuma la mancanza sia effettivamente esistito come tale e che lo stesso, dopo essere venuto giuridicamente ad esistenza nelle forme che gli sono di volta in volta proprie, sia in seguito scomparso dal fascicolo processuale nel quale era stato formalmente inserito: ciò che, nel caso in esame, il tribunale, sulla base di un accertamento che la ricorrente non ha in alcun modo censurato, ha escluso, avendo, piuttosto, ritenuto che il decreto di liquidazione asseritamente pronunciato dal giudice delegato in data 3/5/2006, non risultando “dalla pagina del registro cronologico prodotto che alla data del 04.05.2006 si limita a riportare una generica <<autorizzazione GD>> senza specificare a cosa questa si riferisca”, non era, in realtà, mai giuridicamente esistito come atto del procedimento fallimentare perché mai formalmente depositato in cancelleria in “originale” e che tale decreto, con la relativa liquidazione, doveva, pertanto, considerarsi come tamquam non esset.
2.4. Con il secondo motivo, la ricorrente, lamentando la violazione dell’art. 132 n. 4 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c., ha censurato il decreto impugnato nella parte in cui il tribunale, ritenendo che il provvedimento impugnato era stato congruamente motivato per relationem, ha applicato la tariffa prevista per i consulenti tecnici d’ufficio escludendo, invece, quella professionale, senza considerare che la reclamante aveva contestato il decreto impugnato proprio per avere senza alcuna motivazione escluso l’applicazione della tariffa professionale.
2.5. Il motivo è inammissibile. La ricorrente, in effetti, lamenta, in sostanza, che il tribunale abbia applicato la tariffa prevista per i consulenti tecnici d’ufficio in luogo di quella professionale senza fornire al riguardo una motivazione, laddove, com’è noto, la mancanza di motivazione costituisce un vizio della sentenza deducibile in cassazione solo se, a norma dell’art. 360 n. 5 c.p.c., verte sul giudizio espresso dal giudice di merito in ordine ad una questione di fatto e non, come pretende la ricorrente, su quello (che può essere solo giuridicamente corretto o sbagliato) relativo ad una questione di diritto.
2.6. Con il terzo motivo, la ricorrente, lamentando la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., e l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c., ha censurato il decreto impugnato nella parte in cui il tribunale ha escluso l’applicazione della tariffa professionale sul rilievo che l’opera prestata dalla reclamante non poteva essere considerata come una consulenza tecnica di parte, trattandosi, in realtà, di mere osservazioni sull’attività e il metodo operativo del consulente tecnico d’ufficio, omettendo, tuttavia, di considerare che il curatore, per giustificare l’applicazione della tariffa dei consulenti tecnici d’ufficio, si era limitato, nell’atto di costituzione nel giudizio di reclamo, a contestare solo l’utilità ritratta dall’opera professionale svolta dalla reclamante ma senza svolgere alcuna osservazione, come invece ha preteso di fare il tribunale, sulla natura dell’attività svolta dalla stessa, ed, in ogni caso, che tale eccezione, come dedotto dalla reclamante nelle note d’udienza del 13/6/2022, non era mai stata, in realtà, trasfusa nei precedenti atti degli organi della procedura.
2.7. Il motivo è inammissibile. La qualificazione giuridica dei fatti costitutivi (del diritto al compenso) invocati dall’attore (in ragione della ritenuta natura dell’attività professionale che lo stesso avrebbe svolto) costituisce infatti (corretta o sbagliata che sia) un tipico compito del giudice che, dovendo essere esercitato in via ufficiosa (art. 113 c.p.c.) ed anche in appello (arg. ex art. 345, comma 2°, c.p.c.), prescinde del tutto dai rilievi svolti sul punto dalla parte convenuta, salvo il limite, del quale non emerge (alla luce di quanto esposto in ricorso) la sussistenza, del giudicato interno su tale qualificazione, la quale, anzi, ha costituito proprio il thema decidendum del giudizio di reclamo.
2.8. Il reclamo ex art. 26 l.fall., nella formulazione anteriore al d.lgs. n. 5/2006 (applicabile ratione temporis), apre, del resto, un procedimento di tipo inquisitorio nel quale il tribunale, investito di tutta la procedura e nell’esercizio delle proprie funzioni di controllo sull’operato del giudice delegato, con possibilità di sostituirsi a questi nell’esercizio delle sue attribuzioni, non è vincolato alle richieste delle parti per cui la conoscenza di ogni atto o documento della procedura può ben essere posta a fondamento della decisione ancorché l’atto o il documento non abbiano formato oggetto del contraddittorio (Cass. n. 10435 del 2016).
2.9. Con il quarto motivo, la ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1709 c.c., 201 c.p.c., 16 e 31 del d.P.R. n. 100/1997 nonché dell’art. 2 del d.m. 182/2002, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., e la violazione degli artt. 132 c.p.c. e 111 Cost., in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c., ha censurato il decreto impugnato nella parte in cui il tribunale ha escluso l’applicazione della tariffa professionale sul rilievo che, in realtà, l’opera prestata dalla reclamante non poteva essere considerata come una consulenza tecnica di parte, trattandosi di mere osservazioni sull’attività e il metodo operativo del consulente tecnico d’ufficio, senza, tuttavia, considerare che: - la consulenza prestata dalla reclamante “non è consistita nelle sole osservazioni, ma, altresì, in conclusioni diverse dal consulente d’ufficio, frutto di pregressi studi, ricerche, partecipazione all’udienza, ecc.”; - “l’opera prestata alla massa dei creditori” dalla stessa, al contrario di quanto ritenuto dal collegio, “non può essere qualificata diversamente dalla figura tipica del consulente tecnico di parte” e dev’essere, pertanto, remunerata, avendo riguardo alla natura privatistica e non pubblicistica dell’incarico assunto ed a prescindere dal contenuto tecnico che la relazione ha concretamente assunto, secondo la tariffa prevista per la categoria professionale di appartenenza.
2.10. Con il quinto motivo, la ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione degli artt. 23 e 26 l.fall., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., e la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c., ha censurato il decreto impugnato nella parte in cui il tribunale ha rigettato il reclamo senza pronunciarsi sui motivi con i quali la stessa, contestando la liquidazione operata dal giudice delegato, aveva invocato: - innanzitutto, la maggiorazione del compenso in ragione dell’impegno profuso e del vantaggio ottenuto dalla massa dei creditori; - in secondo luogo, l’applicazione del corretto scaglione per valore, avendo riguardo non al valore di €. 410.000,00, e cioè all’importo incassato dalla curatela in via transattiva, ma a quello di €. 7.556.053,00, quale valore emergente dalla perizia espletata.
2.11. I motivi, da esaminare congiuntamente, sono, nei limiti che seguono, fondati.
2.12. Questa Corte, invero, ha da tempo affermato il principio, che va ribadito, secondo il quale l’opera prestata dal professionista su incarico del curatore fallimentare, nella qualità di consulente tecnico di parte in un procedimento civile, esula da quella pertinente alla figura del coadiutore di cui all’art. 32, comma 2°, l.fall. e s’inquadra, piuttosto, in quella relativa alla vera e propria prestazione d’opera professionale, atteso che la curatela fallimentare si avvale del professionista non già per riceverne un contributo tecnico al perseguimento di finalità istituzionali della procedura bensì, non diversamente dall’avvocato cui sia affidata la rappresentanza e difesa giudiziale, per la difesa della massa in un procedimento extrafallimentare che vede la curatela costituita quale parte in causa (Cass. n. 2572 del 1996).
2.13. Il consulente di parte, in effetti, svolge, nell’ambito del processo, attività di natura squisitamente difensiva, ancorché di carattere tecnico, mirando a sottoporre al giudicante rilievi a sostegno della tesi difensiva della parte assistita con la conseguenza che, da un lato, il suo espletamento è riconducibile al contratto d’opera professionale e, dall’altro, il relativo compenso dev’essere determinato sulla base delle relative tariffe professionali, mentre non è possibile ricorrere ai criteri seguiti per la determinazione delle spettanze del consulente tecnico d’ufficio, la cui attività non si ricollega ad un rapporto contrattuale (Cass. n. 19399 del 2011, la quale, applicando detto principio, ha cassato il decreto del tribunale, che aveva confermato quello del giudice delegato al fallimento, con il quale, al consulente di parte nominato dalla procedura nell’ambito del giudizio di revocatoria dalla stessa promosso, era stato liquidato il compenso in base alla tariffa di cui al d.m. 30/5/2002, applicabile agli ausiliari del curatore; conf. Cass. n. 17708 del 2014).
2.14. Occorre, pertanto, ribadire che: - “la posizione del consulente del fallimento non è in alcun modo assimilabile a quella degli ausiliari del giudice, inquadrandosi l’attività da lui svolta in un vero e proprio rapporto di prestazione d’opera professionale, le cui caratteristiche non subiscono alcuna modificazione per effetto della circostanza che la parte committente sia rappresentata dalla curatela fallimentare, in quanto quest’ultima non si avvale del professionista per riceverne un contributo tecnico al perseguimento delle finalità istituzionali della procedura, bensì, analogamente a quanto accade per l’avvocato al quale siano affidate la rappresentanza e la difesa in giudizio del fallimento, per l’assistenza di quest’ultimo nell’ambito di uno specifico procedimento giurisdizionale, in cui il curatore è costituito come parte in causa”; - “il consulente di parte svolge infatti, nell’ambito del processo, un’attività di natura squisitamente difensiva, ancorché di carattere tecnico, collaborando con l’avvocato al fine di sottoporre al giudicante rilievi a sostegno della tesi difensiva della parte assistita: la prestazione da lui resa non è pertanto equiparabile in alcun modo a quella del consulente tecnico d’ufficio, il quale opera in posizione d’imparzialità, fornendo al giudicante elementi di valutazione per la risoluzione di questioni il cui esame presupponga il possesso di specifiche cognizioni tecniche (c.d. consulenza deducente), nonché, in, casi particolari, procedendo egli stesso alla rilevazione di fatti il cui accertamento richieda l’utilizzazione delle predette competenze (c.d. consulenza percipiente)”; - “nessun rilievo può assumere, in contrario, l’attribuzione al giudice delegato del potere di liquidare il compenso dovuto al consulente di parte, nonché la previsione della reclamabilità del relativo provvedimento dinanzi al tribunale fallimentare”, né “è esatta l’affermazione secondo cui la designazione del consulente di parte è effettuata dal giudice delegato, al pari di quella del c.t.u. nominato nel giudizio di opposizione, trattandosi di una competenza spettante al difensore del fallimento, nell’esercizio dei poteri di conduzione della lite conferitigli con il mandato, i quali non differiscono da quelli previsti in linea generale dall’art. 84 cod. proc. civ.”; - “il contenuto tecnico della prestazione resa dal consulente di parte e lo svolgimento della stessa in favore della procedura non risultano pertanto sufficienti a giustificarne l’assimilazione all’attività del c.t.u., la quale non è ricollegabile ad un rapporto contrattuale, ma costituisce oggetto di un munus publicum, adempiuto in posizione d’imparzialità e nell’interesse dell’amministrazione della giustizia, laddove quella del consulente di parte si configura come un incarico professionale conferito esclusivamente a vantaggio della massa dei creditori”;
- “nella liquidazione del relativo compenso, non possono dunque trovare applicazione i criteri previsti per la determinazione delle spettanze degli ausiliari del giudice, dovendosi invece fare riferimento alle tariffe vigenti per la categoria professionale di appartenenza, non diversamente da quanto accade per il difensore del fallimento”; - “i differenti risultati cui conduce l’applicazione di ciascuno degl’indicati criteri di liquidazione non consentono poi di ritenere configurabile un’ingiustificata disparità di trattamento tra l’attività del consulente di parte e quella del c.t.u., tale da legittimare la disapplicazione dell’atto normativo secondario di approvazione della tariffa professionale (nella specie, il D.P.R. n. 645 del 1994, con cui è stato approvato il regolamento recante la disciplina degli onorari, delle indennità e dei criteri per il rimborso delle spese per le prestazioni professionali dei dottori commercialisti), trattandosi di situazioni non suscettibili di comparazione, avuto riguardo alla diversa posizione dei due professionisti ed alla differente natura dei rapporti posti a fondamento delle rispettive prestazioni” (Cass. n. 17708 del 2014, in motiv.).
2.15. Il compenso spettante al consulente tecnico del curatore dev’essere, quindi, liquidato, a differenza di quanto ha ritenuto il decreto impugnato, avendo riguardo, in ragione della qualità dell’opera prestata, alle relative tariffe professionali e, nei limiti dell’importo domandato, al “valore della pratica” ivi previsto (art. 31 del d.P.R. n. 100/1997, applicabile ratione temporis) e non alla somma ricevuta dalla parte in sede di transazione.
3. Il ricorso dev’essere, quindi, accolto e il decreto impugnato, per l’effetto, cassato con rinvio per un nuovo esame al tribunale di Bari che, in differente composizione, provvederà anche sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie nei limiti esposti il quarto e il quinto motivo di ricorso, rigetta gli altri e, per l’effetto, cassa il decreto impugnato con rinvio per un nuovo esame al tribunale di Bari che, in differente composizione, provvederà anche sulle spese del presente giudizio.