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Svolgimento del processo
1. (omissis) chiese ed ottenne dal Tribunale di Lecce – Sez. dist. di Casarano un decreto ingiuntivo per l’importo di euro 6.499,78 nei confronti di (omissis), a titolo di asserito corrispettivo rimasto insoluto di una fornitura di marmo.
L’ingiunto propose opposizione instava per la revoca del decreto monitorio, eccependo l’inadempimento del (omissis) con riferimento a plurimi vizi che riguardavano il tipo di marmo fornitogli.
Lo (omissis), previa autorizzazione alla chiamata in causa di (omissis) (nella qualità di posatore dei marmi) e di (omissis) (quale levigatore dello stesso materiale), spiegò anche domanda riconvenzionale per ottenere, da ciascuno in proporzione del rispettivo grado di responsabilità, il risarcimento dei danni nella misura di euro 24.000,00.
Si costituì il (omissis), resistendo e formulando, anch’egli, domanda riconvenzionale per l’ottenimento della condanna dello (omissis) al pagamento, a titolo di corrispettivo per prestazioni lavorative non onorato, di euro 8.057,00.
Anche l’altro terzo ebbe a costituirsi in causa ed eccepì l’intervenuta decadenza dello (omissis) dal diritto di contestare i difetti e i vizi lamentati, oltre alla prescrizione del diritto di agire in via giudiziale.
Il Tribunale adito, con sentenza non definitiva n. 239/2013, così decise:
- accolse l’eccezione preliminare di prescrizione dell’azione per vizi e difetti formulata dall’opposto (omissis) e dai due terzi chiamati in causa;
- rigettò l’opposizione proposta dallo (omissis), confermando il decreto ingiuntivo emesso nei suoi riguardi;
- estromise dal giudizio il (omissis) e lo (omissis);
- condannò lo (omissis) al pagamento delle spese del giudizio in favore di questi ultimi due;
- dispose la prosecuzione del giudizio in ordine alla cognizione della domanda riconvenzionale di pagamento avanzata dal (omissis) nei confronti dello (omissis).
Tale sentenza non definitiva venne immediatamente impugnata dallo (omissis) e, nella costituzione degli appellati e della presa d’atto della sopravvenuta transazione tra lo (omissis) e il (omissis) (avuto riguardo alle pretese da quest’ultimo avanzate nei confronti del primo), la Corte di appello di Lecce, con sentenza non definitiva n. 2/2017, accolse il primo motivo di gravame e, in parziale riforma della decisione impugnata, rigettò l’eccezione di prescrizione e decadenza, dichiarò cessata la materia del contendere tra lo (omissis) e il (omissis) (in relazione al cui solo rapporto era stata disposta la prosecuzione del giudizio di primo grado, il cui relativo interesse era, perciò venuto meno) e dispose per il prosieguo della causa con l’ammissione di c.t.u.
A seguito del deposito dell’inerente relazione e della precisazione delle conclusioni, la Corte di appello salentina, con sentenza definitiva n. 323/2019, così pronunciò:
- rigettò l’appello nei confronti di (omissis);
- accolse, per quanto di ragione, l’appello dei riguardi di (omissis) (omissis) e, in riforma della sentenza impugnata, dichiarò la fondatezza della proposta opposizione a decreto ingiuntivo, con la conseguente revoca di quest’ultimo;
- accolse parzialmente la domanda riconvenzionale formulata da (omissis) e, per l’effetto, condannò il (omissis) (omissis) al pagamento, in favore del primo, della somma di euro 7.500,00, oltre interessi sino al soddisfo;
- regolò le complessive spese processuali.
A sostegno dell’adottata decisione, la Corte leccese ebbe a ravvisare la fondatezza del terzo motivo di appello formulato dallo (omissis) circa il mancato accoglimento dell’opposizione avverso il decreto ingiuntivo e il mancato riconoscimento della responsabilità del (omissis) e del conseguente risarcimento dei danno in relazione agli emersi vizi riguardanti la qualità del marmo fornito e il taglio dello stesso non avvenuto a regola d’arte, escludendo ogni responsabilità dello Stefani che si era solo limitato a levigare e lucidare il marmo.
Quanto alla graduazione della responsabilità concernente l’accertato inadempimento la Corte territoriale ritenne di individuarlo nella misura del 50% a carico del (omissis) (quale fornitore del materiale) e nella restante misura dell’altro 50% a carico dello stesso (omissis), il quale – per quanto emergente dal contratto e dalla c.t.u. – aveva consapevolmente acquistato, con la clausola “visto e piaciuto”, il materiale marmoreo di qualità dubbia perché formato da scarti provenienti da diverse partire di marmo (di colore necessariamente disomogeneo), con la relativa applicazione di un prezzo più favorevole di quello medio di mercato. Pertanto, aggiunse la Corte salentina, tale scelta aveva certamente inciso, insieme al negligente adempimento del (omissis) e del posatore sul “discutibile” risultato finale, con la conseguenza che allo (omissis) doveva riconoscersi il risarcimento nella ridotta somma di euro 7.500,00, corrispondente al 50% di quella complessiva di euro 15.000,00, come determinata dal c.t.u. all’attualità, necessaria ad “emendare il danno”.
2. Avverso la citata sentenza di appello proponeva ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, (omissis) (omissis), al quale resisteva con controricorso il solo (omissis), mentre l’altro intimato (omissis) non svolgeva attività difensiva in questa sede.
I difensori delle parti costituite hanno depositato memoria.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo, il ricorrente ha denunciato – ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c. – la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1366 e 1371 c.c., nonché la violazione ed errata applicazione degli artt. 1490, 1491 e 1496 c.c., in uno all’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sui punti decisivi della controversia, avuto riguardo: - alla non operatività della garanzia per i vizi nella fattispecie caratterizzata da un contratto contenente la clausola “visto e piaciuto”; - alla insussistenza di qualsivoglia inadempimento di esso ricorrente con riferimento al contratto oggetto di giudizio.
2. Con il secondo motivo, il ricorrente ha dedotto – con riferimento all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c. – la violazione ed errata applicazione degli artt. 1494, 1492 e 1476 c.c., nonché la violazione ed errata applicazione dell’art. 1227 c.c., oltre che l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su due punti decisivi della controversia, ovvero in ordine: - all’addebito della percentuale del 50% di responsabilità a suo carico; - all’insussistenza di colpa e di un obbligo risarcitorio in capo ad esso stesso ricorrente.
3. Con il terzo ed ultimo motivo, il ricorrente ha lamentato – sempre in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c. – la violazione ed errata applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e la violazione dell’art. 196 c.p.c., unitamente all’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa il punto decisivo della controversia in ordine alla mancata rinnovazione della c.t.u.
4. Rileva il collegio che i primi due motivi possono essere esaminati congiuntamente essendo all’evidenza connessi.
Essi sono fondati per le ragioni e nei termini che seguono.
Occorre partire dal presupposto che – con riferimento alla vicenda dedotta in giudizio - è risultato accertato in fatto che la fornitura di marmo per l’ottenimento del cui corrispettivo era stato proposto il ricorso per decreto ingiuntivo era stata accettata dallo (omissis) con contratto recante la clausola “visto e piaciuto”, il che avrebbe dovuto condurre la Corte di appello a ritenere acquisita la consapevolezza da parte di quest’ultimo, avendo valutato preventivamente lo stato reale del materiale, di acquistarlo nelle condizioni in cui si presentava, senza che al (omissis) potesse imputarsi di aver nascosto vizi occulti che inficiavano la merce, così rimanendo esclusa la garanzia per vizi prevista dall’art. 1490 c.c..
Tale conclusione è desumibile dalla avvenuta constatazione fattuale che il marmo effettivamente consegnato ed oggetto del contratto presentava vizi percepibili “ictu oculi”, trattandosi di forniture di pezzi di marmo di seconda scelta e di diverse partite già tagliate e, in quanto tali, caratterizzati da colorazioni e venature non del tutto omogenee, qualità negativa che aveva inciso anche sulla determinazione del prezzo in senso favorevole all’acquirente.
Dal percorso logico-motivazionale della sentenza impugnata si evince come fosse stato attestato (circostanza, peraltro, riferita anche dal c.t.u.) che nel contenuto contrattuale era stato specificato che “…tutti i marmi oggetto del contratto sono stati visionati e scelti…trovando l’approvazione da parte del sig. (omissis)…”, con l’aggiunta della sottolineatura, da parte del (omissis), che il marmo è un prodotto naturale e che, pertanto, non si possono pretendere uniformità e assenza di venature e che gli stessi pezzi avrebbero potuto essere rivisitati dallo (omissis) per essere sicuro della sua scelta e di quanto propostogli dal fornitore.
Pertanto, sulla scorta di tali risultanze, deve trovare applicazione il principio (al quale dovrà uniformarsi il giudice di rinvio, anche ai fini dell’esclusione di un concorso di responsabilità del fornitore-venditore) già affermato nella giurisprudenza di questa Corte, alla stregua del quale, in tema di compravendita, la clausola contrattuale "vista e piaciuta", che ha lo scopo di accertare consensualmente la presa visione, ad opera del compratore, della cosa venduta, esonera il venditore dalla garanzia per i vizi di quest'ultima con riferimento a quelli riconoscibili (come, per l’appunto, venutosi a configurare nel caso di specie) con la normale diligenza e non taciuti in mala fede (cfr., ad es., Cass. n. 3741/1979 e Cass. n. 21204/2016).
Da tanto consegue, quindi, che non avrebbe potuto configurarsi un inadempimento del (omissis) (non avendo lo stesso taciuto in malafede sulla qualità del marmo, la cui fornitura era stata così accettata dallo (omissis)), e che, perciò, non poteva concretarsi nemmeno una sua corresponsabilità (come illegittimamente e contraddittoriamente ritenuto, in modo irrisolvibile, dalla Corte di appello nella sentenza impugnata).
Il controricorrente (omissis) ha cercato di confutare tale ricostruzione, deducendo che la sua lamentela non atteneva alla circostanza di aver ricevuto marmo diverso da quello oggetto dell’accordo, ma perché non si era provveduto al taglio delle lastre di marmo a perfetta regola d’arte, onde, per completare il lavoro, sarebbe stato necessario utilizzare marmo uguale ma di altra partita, ma non con differenza cromatica troppo evidente.
Senonché, è agevole di contro rilevare che l’oggetto della pretesa creditoria azionata in via monitoria afferisse esclusivamente al mancato pagamento del corrispettivo della fornitura di marmo e non alla prestazione d’opera della esecuzione della pavimentazione (quindi, della posa in opera) secondo regola d’arte, poiché la relativa esecuzione della posatura del marmo era stata realizzata dal (omissis) (che aveva transatto la controversia con lo (omissis)), così come la levigatura dallo (omissis) (esonerato, però, da qualsiasi responsabilità rispetto a tale limitata attività).
Del resto, l’oggetto del contratto concluso tra il (omissis) e lo (omissis) ineriva esclusivamente la vendita del quantitativo di marmo e, del resto, la stessa apposizione della clausola “visto e piaciuto” era avvenuta proprio al momento della consegna della relativa fornitura, per cui la natura del contratto intercorso tra queste due parti era riconducibile ad una vendita e non ad una prestazione d’opera o appalto.
5. In definitiva, sulla scorta delle complessive argomentazioni svolte, vanno accolti i primi due motivi del ricorso, con derivante assorbimento del terzo. Da ciò conseguono la cassazione della sentenza impugnata ed il rinvio della causa alla Corte di appello di Lecce, che, oltre ad uniformarsi al principio di diritto precedentemente enunciato, provvederà a regolare anche le spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie i primi due motivi del ricorso e dichiara assorbito il terzo.
Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Lecce, in diversa composizione.