È stata questa la decisione alla quale è giunta la Corte d'Appello dell'Aquila con la sentenza del 5 giugno 2024 confermando la sentenza di primo grado del Tribunale del 2022.
La sentenza ha avuto un'eco mediatico per la rilevanza del tema e, oltre per aver negato il risarcimento del danno, per aver condannato gli attori – eredi degli studenti che persero la vita – alla refusione delle spese legali e al pagamento del contributo unificato.Oggetto del processo la domanda di risarcimento del danno proposta nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri sul presupposto di una sua responsabilità per colpa, sia sotto il profilo commissivo che omissivo, in relazione alla condotta posta in essere dalla Commissione Nazionale per la Prevenzione e la Previsione dei Grandi Rischi nel corso ed a seguito della riunione tenutasi il giorno 31.03.2009 presso la città de L'Aquila.
Più in particolare, la tesi era che c'era stata una informazione ingannevole per rassicurare sulla non pericolosità dello sciame sismico in atto che aveva indotto gli studenti a rimanere all'interno degli edifici nei quali alloggiavano e dove trovarono la morte come conseguenza delle scosse 6 aprile 2009.
La complessità degli accertamenti in fatto e delle questioni giuridiche coinvolte (anche alla luce delle risultanze del processo penale) rendono necessaria una lettura approfondita e meditata della sentenza: ci limiteremo, dunque, in questa sede a mettere semplicemente in evidenza quali sono stati, a prima lettura, i due passaggi argomentativi che sembrano fondare la decisione dei giudici di appello di confermare il rigetto della domanda a cui già era pervenuto il giudice di primo grado.Il primo passaggio è stato quello di mettere in evidenza, anche alla luce del giudicato penale, come non sia risultato provato che i componenti della Commissione avessero, a priori, l'obiettivo di tranquillizzare la popolazione e, quindi, di contraddire o minimizzare quanto desumibile dai dati oggetto della loro valutazione scientifica.
L'unica comunicazione pubblica dei partecipanti alla riunione tenutasi a L'Aquila il 31 marzo 2009, reputabile ingannevolmenterassicurante, oltre che scientificamente infondata, fu l'intervista resa alla rete televisiva locale TV1 prima della riunione stessa dal Vice Capo del Dipartimento della Protezione Civile nella quale quest'ultimo, tra le altre cose, lasciò chiaramente intendere che la sequenza
Sul punto la Corte d'Appello ha condiviso la motivazione del giudice di primo grado secondo cui è necessario verificare (a) che la vittima avesse recepito, quale messaggio rassicurante, proprio quello proveniente dalle parole del Vice Capo e non da altre precedenti o successive fonti rassicuranti, (b) che la decisione di non abbandonare l'abitazione fosse conseguita dalla percezione ed elaborazione di tale messaggio, di talché, senza la sua specifica percezione, la decisione non sarebbe stata presa.
Peraltro, il nesso di causa andrebbe escluso qualora risulti l'esistenza di uno o più diversi fattori condizionalistico alternativo oppure se, anteriormente al predetto messaggio, la vittima non adottasse già forme di autotutela comportanti l'uscita dalla propria abitazione.All'esito della valutazione dell'istruzione probatoria la Corte d'Appello ha ritenuto che gli attori non avessero fornito adeguata prova che gli studenti avessero fatto affidamento proprio sul comunicato e avessero, quindi, abbandonato le proprie abitudini precauzionali in precedenza adottate e finalizzate alla tutela della propria incolumità.
In altri termini, la Corte d'Appello ha escluso la responsabilità della Presidenza del Consiglio per l'assenza del nesso di causa (seppure secondo il noto criterio del più probabile che non) tra condotta addebitata e l'evento.
Svolgimento del processo / Motivi della decisione
1. Con la sopraindicata sentenza il Tribunale di L’Aquila rigettava le domande proposte da:
- B.S., F.M. e B.A. in proprio e nella qualità rispettivamente di padre, madre e sorella di B.N. e quali eredi dello stesso;
- P.M.R. e L.I. in proprio e nella qualità rispettivamente di madre e sorella di L.I. e quali eredi della stessa;
- I.V., D.C.L., I.N., rispettivamente padre, madre e fratello di I.C., in proprio e quali eredi della stessa;
- P.E. e D.F.M. in proprio e nella qualità di padre e madre di P.S. e quali eredi della stessa;
- D.B.C., F.F., D.B.L., rispettivamente padre, madre e fratello di D.B.M., in proprio e quali eredi della stessa;
- T.A., P.M. e T.M. in proprio e nella qualità di padre, madre e sorella di T.E. e quali eredi della stessa;
- S.A., P.A. e S.D. in proprio e nella qualità rispettivamente di padre, madre e sorella di S.M. e quali eredi dello stesso;
- A.A., B.A., B.A. e S.M. in proprio e nella qualità di madre, sorelle e cognato (marito di A.B.) di B.D. e quali eredi della stessa;
- Z.R., S.F., Z.F., rispettivamente padre, madre e sorella di Z.R., in proprio e quali eredi della stessa;
- C.P., B.A., C.A. e C.F. in proprio e nella qualità rispettivamente di padre, madre, fratello e sorella di C. Tonino e quali eredi dello stesso; i quali, deducendo la responsabilità della Presidenza del Consiglio dei Ministri per le condotte colpose poste in essere in relazione alla riunione della CGR tenutasi il 31.3.2009 a L’Aquila, le quali avevano ingannevolmente rassicurato circa la non pericolosità dello sciame sismico in atto e avevano così indotto i loro congiunti, tutti studenti in varie facoltà dell’Università di L’Aquila, deceduti a seguito del noto sisma del 6.04.2009 a causa del crollo degli edifici nei quali alloggiavano, a far rientro a L’Aquila e/o a dormire al chiuso, abbandonando le proprie abitudini precauzionali in precedenza adottate e finalizzate alla tutela della propria incolumità, chiedevano la condanna della Presidenza del Consiglio dei Ministri al risarcimento dei danni, patrimoniali e non, quantificabili per ciascuno in importi compresi tra i 500.000 ed i 600.000 euro o nelle diverse somme ritenute di giustizia.
1.1. Le ragioni della decisione desumibili dalla motivazione, sono consistite, in estrema sintesi, nell’affermazione che, in conformità a quanto condivisibilmente ritenuto, in sede penale, dalla Corte di Appello, l’unica comunicazione pubblica dei partecipanti alla riunione (da qualificarsi non riunione della CGR, ma convocata dal Capo della Protezione Civile riunione ex art. 3, comma 10, del d.p.c.m. 23582/2006), tenutasi a L’Aquila il 31.03.2009, reputabile ingannevolmente rassicurante, oltre che scientificamente infondata, fu l’intervista resa alla rete televisiva locale TV1 prima della riunione stessa da Bernardo D.B. (Vice Capo del Dipartimento della Protezione Civile) nella quale quest’ultimo, tra le altre cose, lasciò chiaramente intendere che la sequenza sismica in atto avesse una valenza positiva di scarico di energia che sostanzialmente previene eventi di magnitudo più intensa, e che, tuttavia, tale comunicazione pubblica non indusse a cambiare abitudini alle giovani vittime i cui eredi hanno agito in giudizio con la conseguenza che non sussiste il nesso causale tra le predette dichiarazioni ed il decesso di quest’ultime.
2. Avverso tale decisione hanno proposto appello:
- B.S., F.M. E B.A. in proprio e nella qualità rispettivamente di padre, madre e sorella di B.N. e quali eredi dello stesso;
- P.M.R. e L.I. in proprio e nella qualità rispettivamente di madre e sorella di L.I. e quali eredi della stessa;
- T.A., P.M. e T.M. in proprio e nella qualità di padre, madre e sorella di T.E. e quali eredi della stessa;
- S.A., P.A. e S.D. in proprio e nella qualità rispettivamente di padre, madre e sorella di S.M. e quali eredi dello stesso;
- A.A., B.A., B.A. e S.M. in proprio e nella qualità di madre, sorelle e cognato (marito di A.B.) di B.D. e quali eredi della stessa;
- P.E. E D.F.M. in proprio e nella qualità di padre e madre di P.S. e quali eredi della stessa;
- C.P., B.A.R., C.A. e C.F. in proprio e nella qualità rispettivamente di padre, madre, fratello e sorella di C. Tonino e quali eredi dello stesso.
Si fa notare che, invece, non hanno proposto appello gli eredi di D.B.M. e di Z.R.; è stato, inoltre, dedotto il decesso di L.A., padre di I.L..
Si riassumono di seguito i motivi posti a fondamento del gravame.
2.1. Il giudice di primo grado ha erroneamente applicato le norme sul funzionamento e i compiti istituzionali della Protezione Civile e della CGR; la prima, in particolare, è protagonista di un’attività di prevenzione e protezione di cui fa parte la trasparenza, la correttezza e la verità delle informazioni diffuse, leva dei comportamenti collettivi attraverso la comunicazione sociale del rischio, ed assume una funzione di guida rispetto al crinale delicatissimo che tiene insieme il controllo del panico e dell’ansia con i tradizionali meccanismi dell’autoprotezione individuale; era, dunque, prevedibile non solo la elevata pericolosità dell’elemento sismico in un contesto territoriale caratterizzato da elevato rischio, ma anche “il significato condizionante i comportamenti individuali delle informazioni pubblicamente trasmesse sui termini, l’entità e la natura del rischio incombente” (così a pag. 54, la sentenza della Cassazione penale, n. 12478/2016, che ha confermato la sentenza n. 2583/2013 della Corte di Appello di L’Aquila).
Alla luce di tali principi si sarebbe dovuta, allora, valutare la condotta dei funzionari della Protezione Civile che è risultata improntata ad un unico intento: quello di rappresentare il fenomeno sismico in corso come privo di gravi rischi. In tal senso deponevano le dichiarazioni di D.S., assessore pro tempore alla sicurezza e alla protezione civile della Regione Abruzzo. Anche la Suprema Corte ha evidenziato che l’imputato D.B. pronunciò le parole in questione perché era necessario farlo per rassicurare la popolazione, nella piena consapevolezza dell’incidenza che le proprie parole avrebbero avuto sui comportamenti di coloro che lo ascoltavano e che le pronunciò in ragione del ruolo di assoluta responsabilità ricoperto dal medesimo il quale si era presentato in città come massima autorità (in quel momento) della Protezione civile, e dunque come “organo al quale lo Stato aveva affidato il compito latu sensu della protezione dei cittadini in occasione del verificarsi di grandi rischi” (ibidem, p. 56).
2.2. Il giudice di primo grado ha erroneamente ancorato la valutazione circa la sussistenza del nesso di causalità rispetto al decesso dei giovani unicamente alla conoscenza da parte delle vittime di uno o più comunicati, ignorando la dimostrata strumentalità della convocazione della CGR e la più complessa disinformazione mediatica attuata dalla Protezione Civile. Invero, il comunicato del D.B. ha rappresentato solo il punto di non ritorno di un più ampio circuito informativo di eguale tenore finendo per attribuire alle altre, rilasciate nel medesimo arco temporale, un prestigio scientifico che in origine non avevano.
All’interno di tale flusso informativo, si inseriscono in primis il comunicato stampa della Protezione Civile Regionale del 30 marzo 2009: «Non sono previste altre scosse nell’aquilano. Lo rende noto la sala operativa unificata permanente della Protezione Civile evidenziando che tutte le informazioni diffuse di altro contenuto sono da ritenersi false e prive di fondamento»; tale comunicato fu poi pubblicato integralmente dall’edizione del Messaggero d’Abruzzo del 31 marzo 2009 che non fu mai rettificato, come assume infondatamente la sentenza impugnata. A tale comunicato fece riscontro anche quello del Sindaco di L’Aquila M.C., anch’egli istituzionalmente preposto alla Protezione Civile, riportato nella sentenza impugnata, ma senza trarne le dovute conseguenze (“si tratta di uno sciame sismico caratterizzato per avere un’alta frequenza… però il danno sulle strutture diciamo così è minore, proprio perché c’è ampiezza ridotta, per cui i danni lì dove si sono verificati, si possono verificare su strutture molto rigide, questo è quello che è accaduto alla D.A., oppure avvenire su sovrastrutture tipo non so, controsoffittature e cornicioni ma non c’è non ci dovrebbero essere assolutamente rischi sulle strutture, eh chiaramente è emerso ancora una volta l’importanza di costruire bene …”). Al contrario di quanto affermato nella sentenza gravata, non può reputarsi che l’intervista si riferisse ai fenomeni sismici già conclusi atteso che il Sindaco si sbilanciava in una vera e propria proiezione sui danni futuri, sminuendone nettamente la gravità.
Quanto all’intervista del D.B., il Tribunale ne ha dato una lettura frammentata – che non permette di coglierne la gravità insito nel riferimento preciso e diretto alla mancanza di pericolo nella situazione concreta – e slegata dall’ampio riflesso mediatico – visto che nei telegiornali venne sottolineato il messaggio rassicuratorio degli esperti della Protezione Civile –.
Alla luce di quanto esposto, il ragionamento svolto dal giudice di prime cure in tema di causalità è viziato perché è stato stravolto il primo termine della relazione eziologica che non è rappresentato dalle dichiarazioni del D.B. ma dal contesto comunicativo globalmente rassicurante frutto della condotta della Protezione Civile; in altri termini, il fattore causale è il recepimento di un pervasivo clima tranquillizzante in merito alla tenuità del pericolo in atto, diffuso dalle stesse autorità preposte alla sua verifica concreta. La corretta verifica giudiziale deve incentrarsi sulla verifica se la strategia comunicativa tranquillizzante messa in campo dalla Protezione Civile in quelle ore decisive sia risultata (nell’ambito di un giudizio probabilistico da condurre secondo i canoni imposti al giudice civile) così pervasiva da incidere in concreto sulla decisione razionale delle vittime di rientrare in casa una volta esaurita la scossa. Ebbene, l’istruttoria condotta ha dimostrato la chiara percezione da parte delle vittime di una consolidata rassicurazione calata dalla Protezione Civile sulla popolazione aquilana attraverso un utilizzo strumentale e distorsivo dei canali mediatici, così totalizzante e assertivo nei contenuti da incidere in modo preponderante sulle scelte precauzionali individuali.
Peraltro, la Protezione Civile era a conoscenza della inadeguatezza costruttiva, sotto il profilo sismico, degli edifici cittadini.
2.3. Sulla base delle precedenti considerazioni, la valutazione dell’efficacia condizionante della condotta della Protezione Civile rispetto alle condotte delle singole vittime è censurabile.
2.3.1. Quanto a D.B., il ragionamento del Tribunale (<<premessa l’incertezza sull’effettiva conoscenza della citata intervista del D.B. e la mancanza di prova circa la pregressa adozione di misure cautelari, appare decisiva la circostanza che l’interessata, la notte del sisma, uscì di casa al verificarsi delle scosse delle ore 23:00 e delle ore 01:00 circa, come emerge dalle SS.II.TT. rese il 23.08.11 da A.M., compagno di Università della stessa che si trovava occasionalmente nell’edificio di Via (omissis) dove la B. alloggiava, e da quelle rese dall’odierna attrice e sorella della defunta A.B., la quale riporta come la sorella fosse uscita di casa alla scossa delle ore 23:30. Tale condotta obiettivamente attesta come la defunta non avesse affatto maturato la convinzione circa la non pericolosità del terremoto e la superfluità di misure di autotutela, posto che agì in netto contrasto con detta convinzione>>) appare illogico e contraddittorio.
Invero, sulla base dell’istruttoria svolta, la ragazza, la quale viveva con i propri genitori a Torre dei Passeri (PE), aveva appreso dal personale della Protezione Civile, in (omissis) dove si era recata, insieme a M.A., dopo la scossa del 30.3.2009, che non c’era nulla di cui preoccuparsi trattandosi di normali scosse di assestamento; nei giorni successivi, lo stesso A. la informava degli esiti rassicuranti della riunione della CGR. Se ella non fosse stata persuasa dalle informazioni tranquillizzanti della Protezione Civile, ella il 5.9.2009, dopo essere stata dai genitori, non sarebbe tornata a L’Aquila e la sera, tra il 5 e il 6, dopo essere uscita a seguito della scossa delle ore 23.30 non avrebbe fatto rientro a casa.
2.3.2. Quanto a N.B., il Tribunale, pur avendo riconosciuto che aveva appreso della predetta riunione e che ne aveva tratto motivo di rassicurazione, ha, tuttavia, escluso la conoscenza da parte della vittima della specifica intervista rilasciata dal D.B., mentre egli, il quale, al contrario della fidanzata L.D.S. (la quale tornò dai suoi genitori a Teramo), aveva deciso di restare a L’Aquila in attesa dell’esito della riunione della CGR, riferiva alla stessa di avere di avere appreso dal telegiornale delle comunicazioni rassicuranti della Commissione, “sicché non c’era nulla da temere”.
E’, poi, paradossale che il Tribunale abbia ascritto, ex art. 1227, comma 1, c.p.c, allo stesso comportamento della vittima la causa del decesso sull’assunto che il B., pur sapendo che la Protezione Civile aveva disposto dei controlli sullo stabile di Via (omissis) ove dimorava per possibili pericoli di crollo legati allo sciame sismico in corso, aveva deciso di rimanere ad alloggiarvi. Circostanza che, seppur riferita dalle testimonianze L.D.S. e M.D.S. le quali l’aveva appresa direttamente dalla vittima, non aveva trovato alcun riscontro. Se si fosse trattato di un pericolo concreto, l’edificio sarebbe stato sgomberato dalla stessa Protezione Civile la quale, in realtà, lo aveva rassicurato inducendolo a restare a L’Aquila, nonostante il luogo di origine fosse a circa due ore di distanza di auto.
2.3.3. Analoghe considerazioni valgono per I.L., rispetto alla quale assumono valenza decisiva le dichiarazioni di P.D.L. (suo fidanzato) secondo cui, dopo il suo ritorno da Atessa (CH), suo luogo di origine, a L’Aquila l’1.4.2009 , era stata informata delle rassicurazioni degli esperti all’esito della riunione della CGR del giorno precedente sicché, una volta riscontrata l’informazione tramite ricerche sul web, decideva di restare a L’Aquila per quel fine settimana per meglio preparare un esame e la sera del 5 aprile, dopo la scossa delle ore 23.00, sentito al telefono il D.L. il quale continuava a tranquillizzarla secondo quanto appreso nei giorni precedenti, restava in casa convinta che si trattasse di una normale scossa e che <<aveva scaricato per quella notte>>.
2.3.4. Quanto a M.S., non è vero che, come affermato nella sentenza gravata, egli non avesse recepito il clima di rassicurazione diffuso dalla Protezione Civile che, pertanto, non lo indusse a rimanere a casa la notte della tragedia, decisione legata, invece, alla circostanza che il giorno seguente doveva sostenere un esame universitario.
Il giudice di prime cure ha, infatti, trascurato la testimonianza di R.V. e di C.D.N. i quali hanno riferito dell’effetto tranquillizzante delle informazioni rese dopo la predetta riunione della CGR che lo avevano indotto a restare a L’Aquila e non rientrare nell’abitazione di famiglia.
2.3.5. Quanto a E.T., risultava che, dopo avere visto in televisione i servizi sull’esito della riunione della CGR, le sue paure erano venute meno e non usciva più di casa quando si verificavano piccole scosse. Ella aveva rassicurato la sorella M. dicendole che gli esperti della CGR avevano spiegato che le scosse erano uno sciame sismico con il quale si dovevano scaricare le energie accumulate e che nulla faceva presagire il verificarsi di una forte scossa.
Né vale minimamente a inficiare tale conclusione l’assunto dal quale muove il Tribunale, ossia l’impossibilità di attribuire uno specifico e netto contenuto rassicurante alla conferenza tenuta dagli esperti dopo la riunione della Commissione visto che, come si è detto, l’effetto fu conseguenza del modo con cui le informazioni furono date dalla Protezione Civile attraverso i suoi esponenti.
Infine, alcuna informazione la ragazza aveva ricevuto dalla Protezione civile circa la tenuta antisismica dell’edificio nel quale abitava.
2.3.6. Quanto a S.P., vanno disattese le motivazioni della decisione del Tribunale in quanto distoniche rispetto alle risultanze istruttorie.
Come dalla stessa raccontato al padre, la giovane era molto spaventata dalle prime scosse (restando finanche paralizzata); ciò allora prova il rilievo che ebbe la distorta informazione nella decisione di tornare a L’Aquila da Atri (TE) proprio il giorno della scossa. Del resto, ella, in occasione della scossa del 30 marzo, si era precipitata all’aperto, circostanza non valutata dal giudice di prime cure. Era, altresì, emerso che la ragazza quel giorno aveva letto sulle pagine del giornale “Il Centro” gli esiti rassicuranti della riunione e si sentiva più tranquilla e rassicurata. La notte tra il 5 ed il 6 aprile, a seguito della scossa delle ore 23, S. contattava telefonicamente il suo collega D.R.: la ragazza era assolutamente rasserenata dalle dichiarazioni e dalle rassicurazioni rese dalla Protezione Civile al punto tale da scherzare insieme sulla scossa in atto.
Del tutto inconferente è poi rilievo che S. “secondo quanto riportato dal padre…aveva fatto rientro nel proprio appartamento pur dubitando della solidità dell’edificio”. Si tratta, invero, di un richiamo all’episodio del 30 marzo 2009, quando la studentessa, dopo essere uscita di casa spaventata dalla scossa, vi aveva fatto rientro dopo le rassicurazioni dei proprietari circa la solidità dell’edificio, ma avesse poi dubitato della circostanza avendoli visti uscire dallo stabile in occasione della scossa serale. E’, però, un episodio precedente alle rassicurazioni provenienti dalle comunicazioni della Protezione Civile che, quindi, non ha alcuna rilevanza in punto di nesso eziologico. Esso, anzi, vale, al contrario, a illuminare la carenza della condotta della Protezione Civile che non aveva dato alcun avviso sulla condizione di precarietà antisismica degli edifici.
Inoltre, illogica è l'interpretazione fornita dal Tribunale al contenuto dell’SMS ricordato dal padre stando al quale <<la ‘tranquillità’ e la scelta di restare in casa appare agganciata a considerazioni personali (la presenza di una persona amica)>>. Ben può essere accaduto, infatti, che la ragazza sia stata determinata a tornare a L’Aquila dalla consapevolezza dell’assenza di pericoli per la propria vita, come da informazioni apprese indirettamente dalla Protezione Civile, e, al contempo, abbia trovato conforto nella presenza in loco di una persona amica, dato il disagio psicologico normalmente accusato da chiunque si trovi coinvolto in scosse sismiche che si ripetono, e ciò anche laddove non si pensi , né si possa pensare a pericoli concreti per la propria vita. Una circostanza, pertanto, che lascia del tutto impregiudicato il collegamento causale tra la condotta della Protezione Civile e la morte della ragazza. Né rileva in senso contrario il fatto, riferito da D.R., che l’Università fosse rimasta aperta e che il giorno dopo entrambi avessero un esame. La decisione del Rettore di lasciare aperta l’Università fu influenzata proprio dalle raccomandazioni tranquillizzanti promananti delle Autorità, con un riflesso diretto sulla mancata percezione che gli studenti ebbero del pericolo. A nulla vale, dunque, il tentativo del Tribunale di ricondurre a un generico “fatalismo” nonché a “motivazioni personali” la decisione della vittima di rimanere a L’Aquila la notte tra il 5 e il 6 aprile 2009 non potendosi porre sullo stesso piano l’esigenza di sostenere un esame all’Università (per il quale avrebbe potuto raggiungere la città di L’Aquila il giorno successivo) e la tutela della propria incolumità). L’assunto, analogo a quello prospettato per M.S., è illogico.
2.3.7. Infine, quanto a T.C., sono censurabili le valutazioni del Tribunale – le quali disvelano un ragionamento illogico – di seguito trascritte:
<< … con riguardo T.C., si osserva come appaia decisiva la circostanza, riportata dall’odierno attore, fratello e coinquilino del defunto, A.C., nelle SS.II.TT. rese in data 3.02.2010 prodotte da parte attrice: ne emerge la molteplicità delle fonti consultate dai due per informarsi del terremoto, da cui essi trassero la convinzione che fosse “fenomeno normale”, senza che si faccia alcun esplicito richiamo alla riunione del 31.03.09; inoltre, A.C. riferisce che il fratello, in occasione della scossa del 30 marzo, sebbene esortato ad uscire di casa, decise di non muoversi; quando A. tornò, riferendo che personale della Protezione Civile da lui incontrato in (omissis) aveva esortato alla calma e a rientrare in casa, T.C. gli rispose “Visto! Che ti avevo detto Non c’è pericolo!”; ne emerge che il C. era comunque convinto dell’insussistenza di pericolo e/o della non necessità di misure di precauzione già anteriormente ed a prescindere dagli esiti della riunione indetta dalla Protezione Civile per il giorno seguente, tanto da non essere uscito di casa, seppure esortato a farlo, neppure in occasione di quella che era stata la scossa più forte sino a quel momento dall’inizio dello sciame sismico. Non appaiono dirimenti le ulteriori considerazioni fatte dal Dichiarante nello stesso verbale, secondo cui i due individuarono come via di fuga il balcone dell’abitazione o le ulteriori SSIIT e dichiarazioni ex artt.391 bis c.p.p. (dello stesso A. C. e) di A.T., sentito anche quale teste in questo procedimento: in particolare, la testimonianza del Tomasi circa la grave preoccupazione del C. a seguito della scossa del 30 marzo appare evidentemente frutto di un errore di memoria, posto che contrasta nettamente con quanto riferito sul punto dall’odierno attore A. C., che certo non aveva ragioni per mentire sul punto alla Polizia Giudiziaria e che rese tali dichiarazioni in un tempo assai più prossimo ai fatti. Conclusivamente, non può affermarsi che la scelta del C. di rimanere in casa la notte del sisma debba imputarsi a condotte della parte convenuta, essendo assai più probabile che essa sia frutto delle convinzioni personali e dell’atteggiamento dallo stesso tenuto rispetto al sisma già prima e prescindere dalla riunione indetta per il giorno 31.03.09».
Invero, come dichiarato da vari testimoni nel procedimento penale – ossia A.T. e A. C., fratello della vittima - la scelta del giovane di tornare nel proprio appartamento dalla casa dei genitori domenica 5 aprile 2009, derivò dalla rassicurazione avuta dalle comunicazioni tranquillizzanti della Protezione Civile e dalla mancata informazione sulla vulnerabilità dell’edificio in cui abitava. Il convincimento che il terremoto fosse un evento normale e, pur essendo un fenomeno non prevedibile, le scosse potevano dirsi di assestamento e di scarico di energia veniva tratto dalla consultazione di internet le cui informazioni, ivi rinvenibili, risentivano del modo sciagurato con cui furono esternati gli esiti della nota riunione della CGR da parte degli esponenti della Protezione Civile. T.C. guardava ogni giorno il telegiornale regionale e, il giorno successivo alla riunione, si parlava della tesi del rilascio graduale di energia e, pertanto, egli si sentì rassicurato perché non c’era nulla di cui preoccuparsi. A tal fine, non conta la specifica circostanza dell’ascolto della intervista del D.B., visto che la font della rassicurazione fu la complessiva politica comunicativa della Protezione Civile. Inoltre, al contrario di quanto opinato dal Tribunale, il fatto che il giovane, la sera del 30 marzo, riferì al fratello che non c’era alcun pericolo dimostra che la sua decisione di non uscire di casa quella sera fosse motivata dalle predette rassicurazioni.
2.3.8. Il quadro fattuale complessivo innanzi esaminato deve tenere conto della circostanza che i messaggi tranquillizzanti della Protezione Civile condizionarono anche la decisione del Rettore di lasciare aperta l’Università, pur in un contesto in cui, in occasione della scossa del 30 marzo è provato che gli studenti erano precipitosamente fuoriusciti dalle aule. Un provvedimento, quest’ultimo, decisivo ai fini di spiegare il permanere a L’Aquila di N.B., I.L., E.T., M.S. e B.D., S.P. e T.C., ed emesso successivamente alla comunicazione pubblica sull’esito della sopraindicata riunione.
Il fatto che l’Università rimanesse aperta dovette svolgere un ulteriore ruolo rassicurante per i predetti; per tutti gli studenti di facoltà scientifiche, era del tutto naturale affidarsi al giudizio di organi istituzionali, corroborati da pareri scientifici, rispetto ai quali avevano la legittima aspettativa di una protezione. Ciò li indusse a mutare le abitudini e condotto precauzionali, quali, ad esempio, uscire dalle loro abitazioni aquilane e/o pernottare in luoghi più sicuri, tenendo che molte delle vittime erano, in quel contesto, studenti universitari fuori sede e dunque avevano un’abitazione familiare nella quale potersi rifugiare.
2.4. Si è insistito nella richiesta formulata dagli attori, odierni appellanti, di risarcimento dei danni, patrimoniali e non, subiti a causa della morte dei propri familiari.
2.5. La sentenza va riformata anche in punto di regolazione delle spese del giudizio che, per entrambi i gradi del giudizio, dovranno essere poste a carico della convenuta.
3. Mediante deposito di comparsa di costituzione e risposta, si è costituita la Presidenza del Consiglio dei Ministri (di seguito, per brevità, Presidenza) la quale ha resistito agli avversi assunti.
4. Sulle conclusioni innanzi trascritte, all’udienza del 14.2.2024, sostituita ex art. 127 ter c.p.c. dal deposito di note di trattazione scritta, il procedimento è stato rimesso in decisione con concessione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c. (giorni sessanta più giorni venti).
5. E’ un dato acquisito che, in relazione alle dichiarazioni rese dai componenti dalla CGR in occasione della riunione tenutasi il 31.3.2009 e alla scossa di terremoto del 6.4.2009 delle ore 3,32, la Corte di Appello di L’Aquila con sentenza irrevocabile n. 3317 del 10.11.2014, in parziale riforma della sentenza di primo grado del Tribunale di L’Aquila n. 380 del 22.10.2012, ha assolto dal reato p. e p. dagli artt. 113, 589, commi 1 e 3, e 590 c.p. tutti gli imputati con l’eccezione di B. D.B..
E’, altresì, indiscusso che le prove formate nel processo penale, al quale non hanno partecipato le parti attrici, odierne appellanti, in quanto sottoposte al contraddittorio e ad autonoma valutazione giudiziale, possono essere utilizzate in questa sede.
6. Tanto premesso, il primo motivo di appello risulta inammissibile e, comunque, infondato.
Invero, gli appellanti svolgono considerazioni generali sul ruolo istituzionale dell’informazione svolta dal Dipartimento Nazionale della Protezione Civile (d'ora in poi, per brevità, DPC) in maniera del tutto astratta non rapportandole in concreto ad alcun passaggio della motivazione della sentenza appellata e, quindi, senza prospettare alcuna doglianza specifica.
Inoltre, il riferimento alla parte della motivazione della sentenza della Cassazione n. 12478 del 19.11.2015 (di conferma della predetta sentenza della Corte di Appello n. 3317/2014) ove è delineato l’”agente modello” del dirigente del DPC e, segnatamente, dell’organo incaricato dell’informazione alla opinione pubblica (v. pp. 51 e ss. della sentenza della Suprema Corte), è fuorviante in quanto, nonostante che il passaggio motivazionale preliminare attenga alla posizione del D.B., esso è stato richiamato nell’ambito del suddetto generico contesto, del tutto avulso da quello originario, e non dando atto che il tema degli obblighi informativi del DPC e dell’asserita esistenza di una errata dimensione comunicativa unica da parte degli esperti del DPC, è stato trattato, con esiti difformi da quelli perorati dagli appellanti, in altra parte della pronuncia avuto riguardo alla posizione degli altri imputati (v., in particolare, pp. 137 e ss.).
7. Il secondo motivo è, del pari, infondato.
7.1. Le critiche degli appellanti – che, nei termini innanzi riassunti (v. paragr. 2.2.), in buona sostanza, s’imperniano sul fatto che la decisione di primo grado è ingiustamente focalizzata sulle sole dichiarazioni del D.B. – muovono dal non condivisibile assunto secondo cui la Presidenza debba essere chiamata a rispondere di un presunto messaggio comunicativo “globalmente rassicurante” dato dal DPC.
7.2. Come è stato rimarcato dall’appellata, gli appellanti non contestano l’affermazione che la riunione del 31 marzo non fosse una riunione della CGR bensì di alcuni suoi componenti, indetta dal Capo del DPC ai sensi dell’art. 3, comma 10, DPCM 23582/06.
7.3. Tanto premesso, non è ravvisabile, come ritenuto in via irrevocabile nel giudizio penale, il sopraindicato rassicurante messaggio (la Suprema Corte ha rimarcato come la Corte di Appello avesse completamente destrutturato, in modo incensurabile, il suo postulato).
7.3. In linea generale, il compendio probatorio acquisito (convocazione della riunione, verbali della stessa, deposizioni testimoniali) – al di là del convincimento del Capo del DPC emerso nel corso della conversazione causalmente intercettata tra lo stesso (B.) e l’assessore regionale (S.) – ha smentito o, comunque, non ha dato conferma della tesi che gli esperti partecipanti alla riunione del 31 marzo – ad esclusione del D.B., vice di B., il quale, peraltro, alla stessa non diede alcun contributo scientifico – avessero, a priori, l’obiettivo di tranquillizzare la popolazione e, quindi, di contraddire o minimizzare quanto desumibile dai dati oggetto della loro valutazione scientifica. Tesi che le parti appellanti ripropongono in termini meramente assertivi senza misurarsi con le risultanze istruttorie.
Quanto ai profili comunicativi, l’esito della riunione fu oggetto solo delle interviste rilasciate dal prof. B. e dal vice capo del DPC D.B.; la valutazione delle dichiarazioni rese nel corso della prima, come si dirà, non è oggetto di doglianza da parte degli appellanti; le dichiarazioni rese nella seconda intervista sono pacificamente di scarsa rilevanza e, comunque, coerenti con le valutazioni scientifiche, obiettivamente non rassicuranti, svolte nel corso della riunione.
7.4. Gli appellanti ripropongono, poi, una lettura in linea con il loro assunto delle dichiarazioni rese nel corso di una intervista da M.C. (all’epoca, Sindaco di L’Aquila) subito dopo la riunione del 31 marzo, lamentando che, al contrario di quanto opinato dal Tribunale, egli avrebbe fatto riferimento a possibili futuri terremoti sbilanciandosi in una vera e propria proiezione sui danni futuri, sminuendone nettamente la gravità.
Tale lettura, tuttavia, non merita adesione in quanto disancorata dal suo contenuto. Invero, nell’intervista in parola, il C., come evidenziato nella sentenza gravata (che è conforme alla sentenza penale della Corte di Appello), al giornalista che gli chiedeva dell’esito della stessa, disse che aveva avuto conferma del fatto che i terremoti non si possono prevedere e che è impossibile pronosticare la loro evoluzione successiva aggiungendo che i danni alle strutture erano stati “minori” considerata la bassa magnitudo dello sciame sismico; proprio per tale motivo, i danni potevano verificarsi su “strutture rigide” oppure su “sovrastrutture tipo controsoffittature e cornicioni, ma che avrebbero dovuto esserci rischi in generale sulle strutture, ma ciò chiaramente, tenuto conto dell’incipit del ragionamento, in relazione alle conseguenze dello sciame sismico verificatosi e non a ipotetiche future scosse di terremoto, a cui non è fatto alcun cenno. Il fatto che si parlasse dei danni verificatisi comprova, appunto, che il C. si riferisse ai fenomeni tellurici registratisi e non a quelli futuri, del resto coerentemente con la circostanza che, nel corso della riunione, stando ai verbali della stessa e alle successive affermazioni dei suoi partecipanti, si presero in considerazione le misure preventive da adottare e non già l’evoluzione della magnitudo delle scosse, esplicitamente rappresentata come imprevedibile, né tanto meno fu affrontata la tesi dello “scarico di energia” e la sua interpretazione come un fenomeno indice di un andamento favorevole del fenomeno tellurico.
7.5. Quanto al comunicato stampa della Protezione Civile Regionale del 30 marzo 2009 (<<Non sono previste altre scosse nell’aquilano. Lo rende noto la sala operativa unificata permanente della Protezione Civile evidenziando che tutte le informazioni diffuse di altro contenuto sono da ritenersi false e prive di fondamento>>), come correttamente rimarcato dal giudice di prime cure, esso, pur essendo menzionato nella ricostruzione storica della vicenda, non è un fatto posto a fondamento della domanda degli attori nei confronti della Presidenza, domanda che è, infatti, basata esclusivamente sulla “condotta commissiva e omissiva della CGR” e, in particolare, delle informazioni rese a margine della (asserita) riunione della stessa del 31 marzo. In ogni caso, si osserva che il comunicato è in linea con il dato obiettivo della imprevedibilità dei fenomeni sismici ed era teso a smentire la prevedibilità di una imminente più grave scossa.
7.6. Gli appellanti, invece, non contestano la valutazione del giudice di primo grado in ordine a quelle di F.B. i (prof. Presidente Vicario della CGR) e di D.S. (assessore regionale con delega in materia di protezione civile) il cui esame è, dunque, precluso.
7.5. Ancora, gli appellanti fanno frequente cenno alle propalazioni degli organi informativi, ma la responsabilità della Presidenza appellata deve essere valutata esclusivamente in base alla condotta dei funzionari del DPC e, quindi, nel caso di specie, alla stregua delle loro dichiarazioni, essendo irrilevante come le stesse siano state, poi, riportate dagli organi di informazione.
7.6. Infine, quanto all’omessa informazione del rischio di vulnerabilità sismica degli edifici, la Corte, la valutazione del giudice di prime cure, tacciata di illogicità dagli appellanti, è condivisa dalla Corte.
Infatti, va ribadito, innanzitutto, che il cd. Rapporto B. riguardasse soltanto tutti gli edifici pubblici (sebbene fosse stata fatta una verifica “a campione” anche su quelli privati) sicché, sulla base di esso, alcuna seria informazione poteva essere data e alcuna razionale iniziativa poteva essere assunta con riferimento alle abitazioni private. Poi, non è dimostrata l’asserita sicura inidoneità sismica degli edifici cemento armato costruiti anteriormente alla legge 64/1974 e, quale elemento di segno contrario, è logico evidenziare che soltanto l’1% circa degli edifici aquilani in cemento armato subiva crolli a seguito del sisma così come il fatto che i crolli più tragici (come ad esempio quello della “Casa dello Studente”) sono risultati conseguenza non dell’inidoneità delle normative e delle tecniche esistenti all’epoca dell’edificazione, ma dei vizi progettuali e/o esecutivi, ossia del mancato rispetto delle stesse ovvero della l’inadeguata esecuzione degli interventi successivi. Tutto ciò, a tacere della considerazione più generale che, come rimarcato nella sentenza penale irrevocabile della Corte di Appello, la valutazione scientifica richiesta agli esperti per la riunione del 31 marzo non riguardava i temi della vulnerabilità sismica degli edifici ed era, pertanto, irrilevante in quella sede, dovendosi pure aggiungere, sotto l’aspetto dell’asserito – ma inesistente – carattere rassicurante dell’esito della riunione, che il profilo in esame non avrebbe potuto aggiungere alcunché.
7.7. Dunque, una volta puntualizzate e ricondotte alla loro effettiva valenza le comunicazioni e le informazioni pubbliche dedotte dagli appellanti e ascrivibili al DPC, di disvela l’inconsistenza della suggestiva tesi dell’esistenza di una precisa “strategia” di rassicurazione della pubblica opinione.
7.8. In definitiva, le sole dichiarazioni che rilevano per la responsabilità ex art. 28 Costituzione della Presidenza appellata sono quelle rese, prima della riunione del 31 marzo, dal Vice Capo del DPC D.B., così come ritenuto, in sintonia con la sentenza penale di condanna irrevocabile a carico dello stesso, dal giudice di prime cure con statuizione incontestata.
8. Occorre, ora, passare all’esame del terzo motivo di appello con il quale è stata censurata la valutazione negativa del giudice di prime cure sull’efficacia condizionante delle dichiarazioni appena citate rispetto alle condotte delle singole vittime.
Alla luce delle doglianze articolate nel gravame, si dovrà, pertanto, verificare la sussistenza del nesso di causalità tra le dichiarazioni rassicuranti rese da B. D.B., quale Vice Capo del Dipartimento Nazionale della Protezione Civile, nel corso di un’intervista resa il 31.3.2009 prima della riunione della CGR – le quali, come acclarato, accreditavano la tesi, scientificamente infondata, dello “scarico di energia” e della conseguente assenza di una situazione di pericolo attuale, tesi poi non oggetto della riunione degli esperti del DPC e alla quale non faceva più riferimento il medesimo D.B. nella intervista concessa dopo la riunione – e la scelta di ciascuna delle vittime, la notte del 5-6 aprile, di non abbandonare l’alloggio aquilano e/o, una volta uscite all’esterno, di farvi rientro prima della scossa fatale delle ore 3.32 del 6 aprile.
Nello specifico, come puntualmente indicato nella sentenza gravata, dovrà, dunque, verificarsi
(a) che la vittima avesse recepito, quale messaggio rassicurante, proprio quello proveniente dalle parole del D.B. e non da altre precedenti o successive fonti rassicuranti, (b) che la decisione di non abbandonare l’abitazione fosse conseguita dalla percezione ed elaborazione di tale messaggio, di talché, senza la sua specifica percezione, la decisione non sarebbe stata presa (ciò va escluso qualora risulti l’esistenza di uno o più diversi fattori condizionalistico alternativo oppure se, anteriormente al predetto messaggio, la vittima non adottasse già forme di autotutela comportanti l’uscita dalla propria abitazione).
Le critiche generali mosse dagli appellanti alla decisione del Tribunale sono state già innanzi confutate, sicché ora si tratta di riscontrare, nella predetta prospettiva eziologica, le ulteriori e più particolari critiche concernenti lo scrutinio delle risultanze istruttorie.
Va soltanto, preliminarmente, osservato, quanto alla circostanza che il Rettore decise di lasciare aperta l’Università in seguito della scossa del 30 marzo – decisione che, secondo gli appellanti, sarebbe legata all’esito della riunione del giorno successivo degli esperti del DPC e che avrebbe indotto le vittime, studenti universitari, ad abbandonare le precedenti cautele –, come il collegamento prospettato dagli appellanti non sussiste: innanzitutto, per la ragione che – si ribadisce – nessun messaggio rassicurante scaturì da quella riunione; in secondo luogo, per il motivo che, neppure gli appellanti, hanno dedotto che, stando alle dichiarazioni del Rettore rese nel procedimento penale, questi avrebbe sospeso l’attività didattica se non vi fosse stata la riunione del 31.3.2009. E’, inoltre, evidente che, se il Rettore fosse stato indotto a decidere nel senso anzidetto per il fatto che gli esperti affermarono essere imprevedibile l’andamento delle scosse e non affermabile un aumento del rischio sismico, data l’assoluta correttezza scientifica di tale informazione, alcuna responsabilità potrebbe derivarne per la Presidenza appellata.
8.1. Seguendo l’ordine delle posizioni indicato nell’atto di appello, quanto a D.B., la Corte ritiene che la decisione impugnata resista alle critiche degli appellanti essendo effettivamente carente la prova del sopraindicato nesso di causalità.
Infatti:
a) gli appellanti non indicano le prove che, al contrario di quanto ritenuto dal giudice di primo grado, dimostrerebbero che la ragazza venne a conoscenza della predetta intervista del D.B. e che, conseguentemente, mutò il proprio comportamento rispetto agli eventi sismici modificando le cautele prima adottate; in particolare le testimoni S.D.R: e M.D.R. (esaminate alla udienza del 17.4.2019) non hanno riferito nulla di rilevante, mentre non si rinvengono agli atti di causa i verbali delle dichiarazioni di M.A., A.B., sorella D.D., e M.S., cognato di D., (verbali che, stando alla memoria ex art. 183, comma 6, n. 2 c.p.c. del 24.12.2014, nel fascicolo di parte degli appellanti, sono stati prodotti unitamente alla stessa, ma non riversati agli atti nel presente grado né altrimenti rinvenibili nel fascicolo telematico di primo grado che, appunto, presenta il file, non nativo digitale, della predetta memoria ma non i documenti ad essa allegati) alle quali, senza alcun preciso riferimento, hanno accennato gli appellanti e che, comunque, stando a quanto genericamente dedotto, non proverebbero alcunché;
b) la circostanza oggettiva che, a seguito sia della scossa delle ore 22.48 del 5 aprile sia di quella delle ore 00.39 del 6 aprile, la ragazza uscì di casa – sebbene non si rinvenga agli atti il verbale di sit del 23.8.2011 di M.A., che quella sera si trovava con lei, il fatto risulta incontroverso – dimostra che ella non avesse maturato la convinzione della non pericolosità delle scosse e della superfluità di adottare misure di autotutela; pertanto, è smentito l’assunto da cui muovono gli appellanti cioè che la giovane, a seguito delle informativa della riunione del 31 marzo, fosse ormai convinta che “non c’era nulla di cui preoccuparsi trattandosi di normali scosse di assestamento”; la decisione di tornare a dormire nell’abitazione anziché restare fuori – peraltro, come si è detto, non è provato che, prima dell’asserita informativa, la ragazza fosse adusa a ciò –, piuttosto che da tale indimostrata convinzione, può essere scaturita da stanchezza e/o da sopravvenuta forza dell’abitudine a dover convivere con scosse di terremoto che ormai si susseguivano da mesi, ovvero da altro.
8.2. Ad analoga conclusione deve pervenirsi quanto a N.B. in quanto, al di là del fatto che non v’è prova della fonte della conoscenza della riunione del 31 marzo e della motivazione della rassicurazione tratta – sicché non v’è alcun elemento che la colleghi proprio alle dichiarazioni del D.B. –, gli stessi appellanti non contestano che, stando alle sit dei genitori (che, parimenti, secondo quanto sopra evidenziato, non si rinvengono agli atti), il ragazzo decise di restare a L’Aquila poiché aveva un esame il giorno 8 aprile e la notte del sisma, dopo la scossa delle ore 22.48, uscì in strada, circostanze che contrastano con la tesi che egli avesse così agito sentendosi tranquillizzato sulla base delle dichiarazioni del D.B. e ormai non ritenendo più pericolose le scosse.
8.3. Simili considerazioni valgono anche per I.L..
Gli appellanti, in definitiva, non contestano che non risulta quali fossero le informazioni apprese dalla ragazza e dal suo fidanzato P.D.L. – il cui verbale di sit del 3.8.2011, pur menzionato nella predetta memoria ex art. 183, comma 6, n. 2 del 24.12.2014, non è stato (ri) prodotto e non si rinviene, comunque, nel fascicolo telematico di primo grado – e che avrebbero rassicurato i due ragazzi; non vi è alcun cenno all’intervista del D.B. (l’unica, tra le possibili informazioni reperite – a detta del D.L. – sul web dalla quale potrebbe scaturire la responsabilità dell’appellata) ed, anzi, vi è riferimento “al fatto che la faglia era piccola” certamente non presente nella intervista. Inoltre, dallo stesso tenore della conversazione telefonica che il D.L. – secondo le dichiarazioni dello stesso – ebbe quella notte con la ragazza, emerge un atteggiamento interlocutorio dei due giovani – se non ci fosse stata una scossa più forte sarebbero rimasti in casa il che equivale a dire che essi non erano certo stati tranquillizzati in ordine all’assenza di una possibile più grave evento sismico
– e non certo una convinzione di assenza di attuale pericolo, fermo restando che non vi è alcuna dimostrazione che la ragazza, in precedenza, avesse tenuto una condotta cautelare diversa né, tanto meno, che, mentre prima fosse solita trattenersi per precauzione nel luogo di origine successivamente, per la presunta rassicurazione ricevuta, avesse deciso di tornare a L’Aquila.
8.5. Quanto a M.S., manca, del pari, la prova della fonte della conoscenza della riunione del 31 marzo e, più in particolare, dell’intervista del D.B..
8.5.1. Invero, non è contestato che, secondo le sit dei coinquilini D.N. e V. (verbali anch’essi non presenti nei fascicoli delle parti e per i quali vale la stessa sopraindicata annotazione), i ragazzi appresero di tale riunione da tg locali, siti internet e passaparola tra studenti, di talché, non essendo neppure chiaro cosa esattamente appresero e da chi provenisse l’informazione, la prova è del tutto generica ed insufficiente. Neppure è contestato che, secondo i predetti coinquilini, i tre ragazzi, dopo la scossa delle ore 22.48, si consultarono sul da farsi – segno che alcuna convinzione avessero maturato nel senso anzidetto – e che la preoccupazione dello S. fosse che l’indomani avrebbe dovuto sostenere un esame sicché l’esigenza di riposare il più possibile è all’origine della scelta di non uscire fuori ed, eventualmente, trattenervisi, ammesso che, in passato, egli fosse solito farlo.
8.5.2. Al contrario di quanto sostenuto dagli appellanti, elementi di segno contrario non si possono, poi, trarre dalle dichiarazioni dei testimoni R.V. e C.D.N. (ascoltati all’udienza dell’8.5.2019), effettivamente trascurate dal giudice di prime cure.
8.5.3. La prima ha riferito di aver parlato a cena, la sera del 31 marzo, con lo S. con cui abitava e di aver condiviso la circostanza di sentirsi tranquillizzati (<< … abbiamo parlato del terremoto e, dunque, del fatto che in seguito alla riunione della Commissione Grandi Rischi ci eravamo tranquillizzati, in quanto dopo la scossa del 30 marzo 2009 ci eravamo spaventati>>), ma non è chiaro se in conseguenza delle improvvide dichiarazioni del D.B. ovvero dell’esito della riunione comunicato di seguito alla stessa, cioè l’imprevedibilità dell’evoluzione del sisma e la non prevedibilità di una o più scosse di maggiore, informazione scientificamente corretta; la teste ha, altresì, riferito che, dopo la seconda scossa, delle ore 00.39, mentre non incontrava lo S. che era rimasto nella sua camera, incontrava C.D.N. che era irrequieto e volle andare a dormire in macchina; la teste non confermava, pertanto, che i tre ragazzi, quella notte, fossero convinti dell’assenza di pericolo e della superfluità di assumere comportamenti di autotutela; infine, ella dava atto che lo S. l’indomani doveva sostenere un esame e, perciò, non era tornato a casa dai suoi genitori.
8.5.4. Il secondo teste, nel corso della sua deposizione, ha esposto che, a cena, la sera del 31 marzo si era parlato della riunione degli esperti e che tutti i coinquilini si erano sentiti rassicurati poiché <<si era detto che si trattava di un lento rilascio di energia sismica>>; egli ha aggiunto che, dopo la scossa delle ore 22.48, si era incontrato con R.V. e con M.S. si erano domandati cosa fare ed avevano deciso di ritornare nelle stanze sentendosi tranquilli << … perché si parlava di un lento rilascio di energia … >>, e che <<Tuttavia intorno all’una di notte è arrivata un’altra scossa che mi ha svegliato e sono uscito dalla mia stanza. Sul corridoio ho incontrato soltanto R.V. ed ho deciso di uscire insieme lei e dormire in macchina, portando con noi soltanto una coperta ed un cuscino”. “Non abbiamo svegliato M. in quanto non c’era un clima di pericolo, come ci era stato detto dalla Commissione Grandi Rischi ed anche perché lui il giorno dopo aveva un esame>>.
Tali dichiarazioni non sono attendibili.
In primo luogo, si fa notare l’intrinseca grave contraddizione tra l’affermazione di sentirsi del tutto tranquillizzato a seguito della riunione del 31 marzo “perché era in corso uno scarico di energia” e la decisione, che prevalse anche sulla diversa volontà della V., di andare a dormire in auto per precauzione a seguito della scossa delle ore 00.39 che si inseriva, pur sempre, nello sciame sismico sino allora registratosi.
In secondo luogo, il riferimento alla teoria dello “scarico di energia” – cioè, in altri termini, alla intervista del D.B. prima e non dopo la riunione del 31 marzo – non compare nel racconto della V. – sicché sul punto le deposizioni non coincidono – e, soprattutto, è nuovo rispetto alle sommarie informazioni testimoniali rese dal D.N. nel procedimento penale malgrado queste siano ben più vicine agli accadimenti in esame. Dunque, tale obiettiva anomalia unitamente alla circostanza che la testimonianza in esame risale a circa 10 anni dai fatti quando, visto il clamore della vicenda processuale penale, era ormai notorio che la responsabilità del D.B. e della Presidenza appellata sarebbe potuta derivare soltanto dal riscontro della conoscenza dell’intervista di costui e dal riscontro di un conseguente mutamento di abitudini precauzionali da parte delle vittime, rende le dichiarazioni, a giudizio del Collegio, non credibili. A conferma di ciò, si sottolinea nuovamente la contraddizione innanzi accennata circa il comportamento del D.N. e della V. – i quali, a ben vedere, non si erano, quindi, affatto convinti dell’assenza di pericolo – e l’inverosimiglianza della tesi che, dopo la scossa delle ore 00.39 e prima della terza fatale, essi si erano a quel punto nuovamente persuasi dell’opportunità di uscire di casa a titolo precauzionale.
E’, dunque, molto più logico ritenere, in conformità alle sit sopra richiamate e alla deposizione della teste V., che i tre ragazzi non avessero maturato alcuna convinzione e che si regolassero, al momento, volta per volta, pur se rinfrancati dal fatto che era emersa la non prevedibilità – rispetto ad alcune voci allarmistiche diffusesi – di un futuro aggravamento del rischio sismico. Pertanto, alla prima scossa di quella sera decisero di restare in casa, mentre alla seconda scossa, i fidanzati D.N. e V. preferirono andare a dormire in macchina, lasciando, peraltro, dormire lo S. il quale era rimasto in camera e non era uscito in corridoio e, l’indomani, avrebbe dovuto sostenere un esame universitario e, di conseguenza, aveva necessità di riposare.
8.5. Quanto a E.T., gli appellanti rivolgono alla decisione del Tribunale una critica non accompagnata dalla confutazione dei relativi passaggi motivazionali concernenti anche il puntuale scrutinio delle risultanze istruttorie.
E’, comunque, escluso che possano rilevare, in loro favore, le dichiarazioni del padre e della sorella della ragazza, parti attrici e odierne parti appellante. Peraltro, le prime, come ben osservato dal giudice di prime cure, riferiscono, in modo assai generico e impreciso, la fonte della informazione asseritamente rassicurante appresa dalla giovane (“da un uomo nell’auto della protezione civile”); le seconde non sono menzionate nella sentenza gravata e ad esse è fatto vago riferimento nel gravame, non rinvenendosi neppure agli atti (non sono presenti nel fascicolo delle parti).
Quanto alle dichiarazioni di S.S., una conoscente della vittima – alle cui sit del 2011 (anche queste non allegate agli atti) fa riferimento il Tribunale e che è stata anche ascoltata nel corso dell’udienza del 3.3.2016 –, la valutazione del giudice di prime cure – che ne ha giustamente sancito la genericità ed inconcludenza – non è stata specificamente contestata dagli appellanti.
8.6. Quanto a S.P., vanno, del pari, disattese le censure degli appellanti.
8.6.1. Nel gravame, a dimostrazione del comportamento dalla stessa avuto fino al 30 marzo e, in particolare, del fatto che la ragazza si spaventasse molto e che, in occasione della scossa di tale giorno, essa si era precipitata all’aperto nel cortile di casa, si richiamano le dichiarazioni del padre, parte attrice e odierno appellante, menzionate pure nella sentenza gravata. Ebbene, è evidente che tali dichiarazioni (peraltro, citate come contenute nel verbale di sit del 3.2.2010, ma non allegate in questo grado del giudizio e non rinvenibili nel fascicolo telematico di primo grado) non possono costituire la prova a favore della tesi degli appellanti.
Ebbene, non vi sono altri elementi di prova che attestino le sue condotte di autotutela assunte prima della riunione del 31 marzo.
Anzi, secondo le dichiarazioni rese dal padre, riportate nella sentenza gravata ed incontestate, la ragazza, la sera del terremoto, intorno alle ore 23.00, incoraggiata da alcune amiche via sms a portarsi fuori di casa, rispose di essere tranquilla perché con lei c’era anche L.D. L., pure presente nell’appartamento insieme ad un altro ragazzo ed anch’essi deceduti nel tragico crollo. Dunque, secondo il padre, la scelta di quella sera di non uscire e restare all’aperto non fu legata al contenuto rassicurante dell’intervista del D.B., bensì al predetto motivo.
8.6.2. Come esposto dagli appellanti e ritenuto anche dal Tribunale, dalle dichiarazioni rese del testimone D.R. (ascoltato all’udienza del 3.4.2019), compagno di studi della P., si evince che quest’ultima apprese dal quotidiano Il Centro della riunione degli esperti del DPC i quali, secondo quanto ivi riportato, avevano confermato che si poteva stare tranquilli perché era un normale sciame sismico, anzi lo scarico di energie era positivo (v. risposta al cap. 136); la sera del 5 aprile, verso mezzanotte, egli telefonò a S. <<per controllare come stesse e per rassicurarla>> (v risposta capitolo 138) e che era tranquilla a casa perché l’Università era stata aperta, non era stata data qualche indicazione nel non dormire al chiuso e <<anche perché il giorno dopo avevamo un esame>> (v. risposta capitolo 139). Si noti incidentalmente che, benché nella sentenza si faccia riferimento alle dichiarazioni, peraltro apparentemente analoghe, rese dal R. nelle sit datate 6.11.2010 in sede di indagini difensive, il relativo verbale, in questo grado del giudizio, non è stato allegato e non si rinviene nei fascicoli di parte.
8.6.3. Ciò posto, osserva, tuttavia, la Corte che, da un lato, non risulta, almeno con la dovuta precisione, quale fosse la condotta cautelare della ragazza rispetto alle scosse prima della riunione del 31 marzo, e dall’altro lato, non è chiaramente emerso che la stessa, la notte tra il 5 e il 6 aprile, non uscì all’esterno e non vi rimase proprio perché era stata rassicurata dalla teoria dello “scarico di energia” che aveva letto sul giornale – che aveva riportato alcune affermazioni contenute nella nota intervista del D.B. facendole apparire come se questi avesse parlato all’esito della stessa – e, non invece, perché si sentiva tranquilla in presenza dell’amico L.D.L. e/o l’Università era rimasta aperta e/o non c’era stata data alcuna indicazione di non dormire al chiuso e/o doveva sostenere il giorno dopo un esame e, quindi, non poteva non riposare.
Pertanto, in definitiva, non essendo risultato provato, con il dovuto rigore, seppure secondo il noto criterio del più probabile che non, il nesso eziologico di cui si è detto, la valutazione del giudice di prime cure risulta condivisibile.
8.7. Infine, ad analoga conclusione deve pervenirsi quanto a T.C. per ragioni non dissimili da quelle già esposte con riferimento a D.B..
Invero, gli stessi appellanti danno per presupposto che non è dimostrato che il giovane, insieme al fratello coinquilino A., avesse tratto la convinzione che lo sciame sismico fosse tutto sommato un “fenomeno normale” non fonte di pericolo e che non necessitava di particolari forme di autotutela dall’esito della riunione del 31 marzo e, per quel che qui rileva, dalla precedente intervista del D.B.. E la dimostrazione che egli se ne fosse persuaso, attingendo da varie fonti informative, già prima della predetta riunione si ricava – non illogicamente come sostenuto dagli appellanti – dal fatto che, quando il fratello dopo la scossa del 30 marzo tornò a casa, riferendo che personale della Protezione Civile da lui incontrato in Piazza Duomo aveva esortato alla calma e a rientrare in casa, egli rispose: <<Visto! Che ti avevo detto Non c’è pericolo!” (ciò stando alle incontestate dichiarazioni rese da A. C. nelle sit del 3.2.2010, comunque anch’esse non allegate nel presente grado del giudizio). D’altra parte, si evince anche che, alcun mutamento di abitudini, poteva determinare la intervista del D.B., poiché la vittima era già adusa a non uscire di casa in caso di scossa. Infine, nessuna critica è rivolta alla valutazione del giudice di prime cure in ordine alle dichiarazioni di A.T. (peraltro, anch’esse non presenti agli atti).
9. In conclusione, l’appello è infondato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano, sulla base della documentazione versata in atti, come in dispositivo in conformità alle tabelle di cui al D.M. 55/2022 come aggiornate con D.M. 147/2022, scaglione conforme alla domanda, secondo i valori medi per la fase di costituzione e minimi per quella conclusionale (tenuto conto che non è stata depositata la comparsa conclusionale), esclusi gli onorari relativi alla fase istruttoria / trattazione (non risultando in concreto svolta alcuna delle attività tipiche previste dall’art. 350 c.p.c., essendo stata la causa semplicemente rinviata all’udienza di precisazione delle conclusioni; cfr. Cass. ord. 10206/2021).
Il rigetto dell’appello comporta l’applicazione della sanzione di cui all’art. 13, comma 1 quater del d.p.r. 115/2002 (comma introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228/2012 ), posto che detta sanzione (costituita dal versamento di un ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione) si applica (comma 18 dello stesso art. 1. della Legge citata) “ ai procedimenti iniziati dal trentesimo giorno successivo alla data (1/1/2013 n.d.r. ) di entrata in vigore della presente legge”, locuzione che va interpretata (v. Cass. 26566/2013) come riferita anche alle impugnazioni, come quella in esame, proposte in epoca successiva al 31.1.2013.
P.Q.M.
la Corte di Appello di L’Aquila, pronunciando definitivamente, così decide:
1) rigetta l’appello;
2) condanna gli appellanti, in solido tra loro, al rimborso in favore dell’appellata Presidenza del Consiglio dei Ministri delle spese del presente grado di giudizio, liquidate in complessivi € 13.768,00, oltre rimborso forfettario del 15% ed accessori di legge;
3) ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater dpr 115/2002, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte degli appellanti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello già dovuto.