
In entrambi i casi si tratta infatti di danno emergente e pertanto rimborsabili purché provate e documentate.
A seguito di sinistro stradale, la compagnia assicuratrice risarciva Tizia per i danni subiti all'autovettura pari a 900 euro. Ritenendo la somma corrispostale non satisfattiva, Tizia introduceva giudizio ex art. 696-bis c.p.c., dal quale risultava un danno superiore a quello liquidato per un ammontare complessivo superiore a 2mila euro.
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Svolgimento del processo
1. In data 18 settembre 2014 si verificava un sinistro ad esito del quale l’autovettura Chevrolet Matiz tg. (omissis), di proprietà di M.D.P. e condotta dalla figlia, riportava dei danni, che venivano risarciti nella misura di euro 900,00 dalla V.A. s.p.a., sua compagnia assicuratrice.
2. La D.P., ritenuta la somma corrisposta dalla compagnia assicuratrice non satisfattiva, introduceva giudizio ex art. 696 bis c.p.c., dal quale risultava un danno superiore a quello liquidato (per un ammontare complessivo di euro 2.023,00, inclusi euro 923 per spese conseguenziali accessorie – soccorso, trasporto e custodia del rottame – ed i costi amministrativi – passaggio di proprietà per l’acquisto di altra auto di analoghe caratteristiche di quella andata distrutta, bollo non goduto).
3. Quindi conveniva in giudizio davanti al Giudice di Pace di Siena la compagnia assicurativa chiedendo la condanna della stessa al pagamento in suo favore della somma differenziale, nonché il rimborso delle spese relative al giudizio ex art. 696 bis c.p.c.
Si costituiva la compagnia che contestava la domanda attorea.
Il giudice di primo grado con sentenza n. 345/2019 accoglieva la domanda attorea in relazione alla somma differenziale, ma la respingeva in relazione alle spese della procedura di A.T.P.
Avverso la sentenza del giudice di primo grado proponeva impugnazione la D.P..
Si costituiva anche nel giudizio di appello la compagnia assicuratrice, che: a) in via preliminare, eccepiva la nullità della sentenza per omessa integrazione del contraddittorio nei confronti di P.D.U., da ritenersi litisconsorte necessario a seguito di Cass.
n. 21896/2017; b) nel merito, contestava l’impugnazione avversaria, in quanto eccepiva la responsabilità della D.P. ex art. 1227 nell’introduzione del giudizio ex art. 696 bis c.p.c. e comunque deduceva la mancata prova dell’avvenuto pagamento delle somme chieste a titolo di spese legali, contestandone anche il quantum; c) in via incidentale, proponeva appello nella parte in cui la sentenza del giudice di primo grado aveva conteggiato, in aggiunta al valore ante sinistro del mezzo, stimato dal ctu in euro 1.100,00, ulteriori spese accessorie per euro 923, perché non dovute e/o documentate. In particolare, quanto a queste ultime, deduceva la mancata prova dell’avvenuto pagamento delle spese di voltura (stimate in euro 390), delle spese di bollo (l’ultimo pagamento risaliva al 2005 ed il mezzo era gravato da fermo amministrativo), delle spese di sosta (rispetto alle quali comunque deduceva che eventualmente sarebbero dovute soltanto limitatamente ai giorni durante i quali la legge impone di tenere il mezzo a disposizione della compagnia assicuratrice per i necessari accertamenti), nonché delle spese di demolizione (stimate in euro 100).
Il Tribunale di Siena, quale giudice di appello, con sentenza n. 876/2020 - dopo aver respinta l’eccezione di nullità della sentenza di primo grado per omessa integrazione del contraddittorio alla luce dei principi affermati da questa Corte in tema di overruling (e, in particolare, dalle Sezioni Unite n. 4135/2019) - rigettava l’impugnazione, così confermando la sentenza del giudice di primo grado.
4. Avverso la sentenza del giudice di appello ha proposto ricorso la D.P..
Nessuna difesa è stata svolta da parte della compagnia intimata.
Motivi della decisione
1. M.D.P. articola in ricorso quattro motivi.
1.2. Con i primi due motivi – tra loro connessi - la ricorrente, in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c., denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2056, 1223 c.c., nonché dell’art.
132 comma secondo n. 4 c.p.c., nella parte in cui il Tribunale ha rigettato il suo appello sul presupposto che non era risultato provato il pagamento di euro 1.066 a titolo di spese legali per la procedura di ATP.
Osserva che: a) a seguito dell’intervento delle Sezioni Unite (n. 16990/2017), le spese legali per la fase di ATP non sono riversabili nella nota spese difensiva al termine del giudizio di merito, ma costituiscono una forma di danno emergente che deve essere riversato e fatto valere come pretesa risarcitoria in sede di giudizio di merito conseguente alla ATP; b) l’effettivo pagamento di dette spese non incide sull’esistenza dell’obbligazione, in quanto si colloca (non nella fase costitutiva del danno, ma) nella fase esecutiva dell’obbligazione;
c) in sede di giudizio di merito, successivo alla procedura di ATP, aveva chiesto l’acquisizione del fascicolo di ATP ed aveva articolato richiesta di rimborso delle spese di tale fase nell’importo risultante dalla parcella, che aveva allegato (dalla quale risultava sia il contributo unificato, che la somma corrisposta per la notificazione del ricorso introduttivo, mentre per gli onorari si era fatto riferimento a quelli indicati nelle tabelle ministeriali).
Si duole che il giudice dell’appello - dopo aver correttamente affermato che tali spese costituivano una componente del danno emergente e pertanto avevano natura extragiudiziaria (così rettificando la sentenza del giudice di primo grado) - ha ritenuto non provato l’effettivo pagamento, non giudicando all’uopo idonea la parcella del difensore. Osserva che tanto è avvenuto erroneamente in quanto lei era tenuta a provare soltanto la nascita dell’obbligazione risarcitoria ed il danno conseguente, del quale chiedeva il ristoro, le spese e gli onorari difensivi della procedura di Atp; e tanto aveva provato mediante l’acquisizione del fascicolo di Atp e della relativa consulenza tecnica, la parcella del difensore e copia delle tabelle ministeriali (recanti i compensi degli avvocati). Aggiunge che l’asserita insufficienza probatoria avrebbe potuto essere agevolmente colmata dal giudice di appello attraverso un ragionamento logico presuntivo o facendo ricorso alla normale esperienza o al fatto notorio.
Sottolinea che, alla luce del combinato disposto di cui agli artt. 2056 e 1223 c.c., il risarcimento del danno deve essere integrale, per cui il patrimonio del creditore deve essere interamente riportato nella condizione antecedente il fatto illecito (con la conseguenza che i costi difensivi relativi alla procedura di istruzione preventiva non possono che gravare sulla responsabile civile), mentre non richiedono, per l’esistenza del diritto al risarcimento del danno, l’effettività dell’esborso o la prova del suo momento solutorio (e al riguardo invoca Cass. n. 9740/2002).
1.2. Con il terzo ed il quarto motivo - - pure tra loro connessi - la ricorrente, in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c., denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2056, 1223 c.c., nonché dell’art. 132 comma secondo n. 4 c.p.c., nella parte in cui il Tribunale ha accolto l’appello incidentale della compagnia sul presupposto che lei non aveva dimostrato l’avvenuto pagamento delle spese accessorie (precisamente: della somma di euro 390, spesa per il passaggio di proprietà, occorrente per l’acquisto di una vettura similare a quella andata distrutta; della somma di euro 33, inerenti al bollo non goduto; la somma di euro 280 per spese di sosta e di custodia in garage chiuso per 8 giorni, trattandosi di auto sottoposta a fermo amministrativo; della somma di euro 100, spesa per la demolizione) di cui aveva chiesto il rimborso.
Osserva che la sua auto ha riportato nell’incidente danni di entità tale da rendere eccessivamente onerosa la riparazione in relazione al suo valore ante sinistro, per cui l’opzione del risarcimento per equivalente, deve necessariamente ricomprendere non solo il valore ante sinistro, ma anche le spese burocratiche ed accessorie conseguenti e dipendenti dal sinistro, senza le quali non potrebbe parlarsi di effettiva reintegra.
Aggiunge che, per comune esperienza, nel caso di irreparabilità dell’auto, sono conteggiati come dovuti anche i costi amministrativi conseguenti, che il danneggiato deve necessariamente affrontare per ritornare alla situazione economica “qua ante” (e cioè l’onere delle spese notarili per il passaggio di proprietà per acquistare un’auto simile a quella andata distrutta; la spesa del bollo, in quanto tassa di proprietà dipendente dalla mera intestazione del mezzo; le spese di soccorso, rimorchiatura e custodia, nonché le spese di demolizione e radiazione targa).
Si duole che il giudice di appello, anche in relazione alle spese accessorie, ha confuso l’effettiva esecuzione dell’obbligazione con l’effettiva sussistenza del danno: secondo la ricorrente, <<escludere… l’esistenza del danno risarcibile per mancanza dell’effettivo pagamento concreta una evidente distorsione dell’onere della prova>>.
Quanto poi al fatto che il giudice di appello ha rilevato che sulle spese accessorie nulla era stato dedotto, richiama la propria comparsa conclusionale ed il fatto che anche dette spese erano state provate attraverso l’acquisizione agli atti del giudizio di merito del fascicolo della ATP (e in particolare della relazione tecnica).
Sottolinea il contrasto tra motivazione e dispositivo, in quanto il giudice di appello a pag 5 della motivazione ha ritenuto critica la somma di euro 523, mentre in dispositivo ha disposto la restituzione dell’intera somma percepita (di euro 923); nonché la mancata considerazione della circostanza che la custodia del veicolo danneggiato si era protratta per 40 giorni per fatto e colpa della compagnia assicurativa, come era emerso dalla perizia estimativa allegata dalla stessa compagnia.
2. Il ricorso non è fondato.
2.1. Non fondati sono i primi due motivi.
Questa Corte proprio di recente (cfr. Cass. n. 30854/2023) ha avuto modo di affermare che: <<Le spese per la consulenza tecnica preventiva ex art. 696-bis c.p.c., rientrando nelle spese stragiudiziali sopportate dalla parte prima della lite, non hanno natura giudiziale, con la conseguenza che non danno luogo ad un'autonoma liquidazione da parte del giudice che ha disposto la consulenza, ma devono essere liquidate all'esito del giudizio di merito, come danno emergente, purché provate e documentate>>.
Dando applicazione a detto principio il giudice di appello, in difetto di prova, ha correttamente respinto la domanda.
Occorre qui ribadire che, quando la fattispecie determinativa del danno si è già verificata ed il danno si individua nella sopportazione di un esborso, non è possibile vedere riconosciuto il danno se l’esborso non sia stato provato.
Del tutto infondatamente parte ricorrente parla di esecuzione dell’obbligazione risarcitoria con riferimento al pagamento della parcella: tale pagamento - e solo esso - determina il danno e, dunque dev’essere provato.
La ragione di infondatezza del primo motivo evidenzia la palese infondatezza anche del secondo motivo, posto che la motivazione in iure resa dal tribunale è esistente prima che corretta.
2.2. Non fondati sono anche il terzo ed il quarto motivo, concernenti le spese accessorie alla demolizione del veicolo incidentato.
Come è noto, per riparazione antieconomica si intende la riparazione del mezzo quando il costo delle riparazioni supera il valore del relitto.
Di conseguenza, nel caso in cui l’importo per la riparazione superi il valore commerciale del mezzo, la compagnia assicuratrice legittimamente rimborsa solo quest’ultimo: si tratta del c.d. risarcimento per equivalente.
In caso di rottamazione del mezzo, in ogni caso, il responsabile civile è tenuto al pagamento delle seguenti voci di danno: spesa di demolizione del relitto; spesa di immatricolazione del nuovo veicolo o del passaggio di proprietà in caso di acquisto di un usato; eventuali spese per fermo tecnico e noleggio dell’auto sostitutiva; spese di soccorso, traino, recupero e custodia del mezzo incidentato.
Essendo anche questa una forma di danno emergente, ai fini della liquidazione di dette spese accessorie, è necessaria la prova dell’esborso.
In applicazione di tale principio, correttamente è stata respinta la domanda risarcitoria dell’odierna ricorrente.
In definitiva, il terzo motivo ed il quarto motivo sono infondati per le medesime ragioni di infondatezza rispettivamente del primo e del secondo.
3. Al rigetto del ricorso non consegue la condanna di parte ricorrente alla rifusione delle spese sostenute da parte resistente, non avendo parte intimata svolto difese, ma consegue la declaratoria della sussistenza dei presupposti processuali per il pagamento dell’importo, previsto per legge ed indicato in dispositivo, se dovuto (Cass. Sez. U. 20 febbraio 2020 n. 4315).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera di parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.