Svolgimento del processo
1. La Corte di appello di Torino ha accolto il reclamo ex art. 1831. fall. proposto dall'Agenzia delle Entrate contro il decreto 24 maggio 2018 del Tribunale di Vercelli - che aveva omologato il concordato preventivo in continuità diretta proposto da Srl - e, per l'effetto, ha revocato il provvedimento impugnato, respingendo pertanto la domanda di omologazione avanzata dalla società.
La Corte territoriale ha ritenuto che il concordato proposto da violasse l'ordine delle cause di prelazione, in quanto, nonostante l'insufficienza dell'attivo a soddisfare i creditori muniti di privilegio generale, prevedeva un certo soddisfacimento dei creditori chirografari mediante i flussi generati dalla continuità aziendale, che però, contrariamente a quanto ritenuto dal tribunale, non potevano essere equiparati a "finanza esterna" e dunque considerati un quid distinto dal patrimonio sociale esistente alla data di presentazione della domanda, liberamente distribuibile dal debitore.
2. Il decreto, pubblicato il 31.8.2018, è stato impugnato da S.R.L in Concordato Preventivo con ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, cui la AGENZIA DELLE ENTRATE - DIREZIONE MILANO 1 ha resistito con controricorso.
Con ordinanza interlocutoria nr. 8491/2024, la Prima Sezione di questa Corte ha disposto la trattazione della causa in pubblica udienza.
La società ricorrente ha depositato memoria in data 1.12.2023 e in data 21.06.2024.
Il P.G. ha richiesto il rigetto del ricorso.
Motivi della decisione
1. Con il primo ed unico motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 2740 e 2741 c.c., nonché degli artt. 160, comma 2, e 186 bis I. fall.; violazione e/o omessa applicazione dei principi generali in materia di concordato in continuità e sotto questo ulteriore profilo degli artt. 160, comma 2, 186 bis e 184 I. fall., nonché dell'art. 2265 c.c.
La ricorrente lamenta, cioè, l'erroneità della decisione impugnata, evidenziando che, come si evince chiaramente dal disposto dell'art. 186 bis I. fall., il concordato con continuità aziendale, introdotto con la riforma del 2012, costituisce uno strumento di soddisfazione dei creditori che si attua in modo diverso (e con presupposti e finalità affatto diverse) rispetto alla liquidazione generale del patrimonio del debitore e, proprio per tale sua peculiarità, consente una diversa delimitazione dei confini (oggettivi e cronologici) di detto patrimonio ai fini della valutazione della responsabilità del proponente ex art. 2740 c.c.
In sintesi, la società ricorrente deduce che, in presenza di una domanda di concordato in continuità, l'art. 186 I. fall., laddove prevede la possibilità di non integrale soddisfacimento dei creditori privilegiati nei limiti del valore realizzabile sul ricavato dei beni su cui sussiste il diritto di prelazione in caso di liquidazione, andrebbe interpretato nel senso che il patrimonio da prendere in considerazione per valutare la capienza dei beni, in rapporto all'ipotetica alternativa liquidatoria, sarebbe soltanto quello sussistente al momento della domanda di concordato; analogamente, il momento in cui effettuare la verifica del rispetto dell'ordine delle cause di prelazione sarebbe sempre quello della domanda di concordato e l'oggetto di tale verifica sarebbe sempre e soltanto il patrimonio esistente a tale data (sempre in rapporto all'astratta alternativa liquidatoria), con conseguente possibilità di distribuire liberamente tra i creditori le maggiori liquidità che l'attuazione del piano concordatario apporta rispetto alla prospettiva liquidatoria.
2. Il ricorso è infondato.
2.1 Va evidenziato, in primo luogo, che non risulta essere stata censurata l'affermazione con la quale la Corte di merito ha escluso l'applicabilità, alla procedura concordataria in oggetto, della disciplina innovativa di cui alle modifiche introdotte all'art. 182-ter l.f. dall'art. 1, comma 81, della L. 11 dicembre 2016, n. 232, in vigore per le procedure di concordato preventivo pendenti a far data dal 1° gennaio 2017.
Sul punto si è dunque formato il giudicato interno.
2.2 Nel resto le doglianze proposte dalla società ricorrente non meritano condivisione, con necessità, pertanto, di conferma del "nucleo centrale" dei principi già affermati da questa Corte nel precedente arresto rappresentato da cass. n. 9373/2012, con le precisazioni che, di qui a breve, saranno tuttavia rappresentate.
Va ricordato, in premessa, che, nella causa oggi in esame, la Corte d'Appello di Torino, nell'ambito procedimentale di un reclamo ex art. 183 I. fall., aveva, invero, revocato il decreto con cui il Tribunale di Vercelli aveva omologato il concordato preventivo in continuità diretta proposto da s.r.l., essendo stato l'accoglimento del reclamo fondato sul rilievo per cui il concordato proposto, nonostante l'insufficienza dell'attivo a soddisfare i creditori privilegiati, prevedesse un certo grado di soddisfazione dei creditori chirografari mediante i flussi generati dalla continuità aziendale, con l'affermata violazione del principio dell'ordine delle cause legittime di prelazione ex art. 160, co. 2, I. fall.
La quaestio iuris consiste nello stabilire se il surplus derivante dalla continuazione dell'attività d'impresa sia liberamente destinabile dal debitore senza vincoli di distribuzione (i.e., senza rispettare l'ordine di graduazione delle cause legittime di prelazione) ovvero se anche tale valore economico debba sottostare all’ordine delle cause legittime di prelazione ai sensi dell'art. 160, co. 2, I. fall., nel rispetto del principio generale della responsabilità patrimoniale sancito dell'art. 2740 cod. civ.
Ritiene la Corte corretta la seconda delle due soluzioni sopra prospettate.
2.3 Invero, l'art. 160, co. 2, I. fall., nel prescrivere che "il trattamento stabilito per ciascun classe non può avere l'effetto di alterare l'ordine delle cause legittime di prelazione", può in astratto essere inteso in due modi diversi: (i) come trasposizione della cd. absolute priority rule, nel senso che una classe di grado inferiore non può ricevere alcun soddisfacimento se quella di grado poziore non sia stata integralmente soddisfatta (v. in tal senso, Cass. n. 17155/2022); (ii) come espressione della cd. relative priority rule, nel senso che una classe di grado inferiore può ricevere una qualche soddisfazione anche laddove la classe di grado poziore non sia stata integralmente soddisfatta, purché quest'ultima venga soddisfatm in misura maggiore della prima.
Una necessaria preliminare impostazione definitoria dei presupposti del problema, sopra solo tratteggiato e al fine di evitare fraintendimenti, impone di chiarire cosa si intenda per "surplus concordatario".
In realtà, con tale termine può ragionevolmente intendersi, ai fini di causa, non già ogni utilità frutto della prosecuzione dell'attività, come pur suggestivamente ipotizzato, bensì soltanto quella parte di essa che ecceda la somma destinata al pagamento dei creditori, secondo il piano concordatario. Preme infatti al Collegio precisare, in termini più generali, che il surplus finanziario, cui si faceva riferimento nel piano concordatario in esame e al quale si richiamano le parti nell'odierno dibattito processuale, altro non è che incremento del valore dell'azienda realizzato tramite la continuità aziendale (programmata tramite il piano concordatario di cui all'art. 186bis I. fall.), incremento che, pertanto, deve ritenersi pacificamente rientrante nel paradigma di "bene futuro" che, secondo i principi generali della responsabilità patrimoniale fissati dall'art. 2740 cod. civ., non può essere sottratto al soddisfacimento dei creditori, secondo l'ordine di graduazione fissato dal successivo art. 2741 cod. civ. e al rispetto, nell'ambito concordatario (che qui ci riguarda), dell'ordine delle cause legittime di prelazione ex art. 160, co. 2, I. fall.
2.4 Il filo conduttore sotteso alla opzione ermeneutica qui accolta potrebbe essere sintetizzato, per vero, nei seguenti termini: posto che (a) l'art. 160, co. 2, I. fall. vieta l'alterazione delle cause di prelazione; e che (b) consentire al debitore di distribuire liberamente le risorse provenienti dalla continuazione dell'attività d'impresa potrebbe determinare l'alterazione delle cause di prelazione; allora (e) il debitore non è libero di distribuire il surplus derivante dalla continuazione dell'attività d'impresa, perché quest'ultimo costituisce un "bene futuro" rientrante nella più generale garanzia patrimoniale del debitore e dunque nel rispetto del divieto dell'alterazione delle cause legittime di prelazione.
Ciò implicherebbe, sul piano concreto, che laddove fossero presenti creditori muniti di privilegio generale - rispetto ai quali il piano non avesse previsto integrale soddisfazione - l'eventuale utilità prodotta dalla continuità aziendale, prima di poter essere destinata ai creditori chirografari, dovrebbe essere ai primi attribuita.
Come già sopra precisato, i redditi prodotti dalla prosecuzione dell'attività d'impresa ed i relativi flussi finanziari costituiscono, sul piano giuridico, "beni futuri", ricompresi ai sensi dell'art. 2740 c.c. nella garanzia patrimoniale generica del creditore e, pertanto, vincolati - ex artt. 2741 c.c. e 160, co. 2, I. fall. - al soddisfacimento dei crediti secondo l'ordine delle cause legittime di prelazione.
In realtà, va osservato che la scelta del debitore di destinare soltanto una parte del proprio patrimonio attuale e futuro al rispetto dell'ordine delle cause di prelazione non sarebbe di per sé inammissibile, ma richiederebbe il consenso individuale dei singoli creditori, non potendosi ammettere che una decisione maggioritaria disponga di una norma imperativa, quale l'art. 2740 cod. civ., sacrificando in tal modo il diritto individuale del singolo creditore senza il suo consenso (cfr., in tale senso: anche cass. n. 5906/2018, secondo cui, verbatim, "prima ancora che il testo letterale della norma, i principi generali in materia concorsuale non consentono di ritenere che la maggioranza dei creditori, con la mera manifestazione del voto in adunanza, possa sopprimere o ridurre i diritti di prelazione spettanti ex lege a taluni di essi”).
Ne consegue che una deroga assunta a maggioranza ai principi dettati dall'art. 160, co. 2, I. fall. sarebbe ammissibile, a rigore, unicamente laddove fosse la legge stessa a prevederlo.
Occorre inoltre precisare che la continuità aziendale costituisce un mero strumento funzionale al "miglior soddisfacimento dei creditori", in quanto le regole distributive del valore liquidabile in favore dei creditori prevedono, anche in sede concorsuale, il rispetto delle cause di prelazione, con la conseguenza che una destinazione diversa da questa - sia che si realizzi mediante la conservazione dell'utilità per il debitore, sia che si realizzi attraverso la distribuzione del surplus a categorie di creditori subordinate, senza l'integrale soddisfazione dei crediti poziori - costituirebbe il ''tradimento" proprio del criterio che dovrebbe governare tali procedure, ossia il migliore soddisfacimento del ceto creditorio.
2.5 Proprio nel solco di tale orientamento si colloca il precedente di questa corte già sopra citato (cass. n. 9373/2012), secondo il quale "l'apporto del terzo si sottrae al divieto di alterazione della graduazione dei crediti privilegiati solo allorché risulti neutrale rispetto allo stato patrimoniale della società, non comportando né un incremento dell'attivo patrimoniale della società debitrice, sul quale i crediti privilegiati dovrebbero in ogni caso essere collocati secondo il loro grado, né un aggravio del passivo della medesima, con il riconoscimento di ragioni di credito a favore del terzo, indipendentemente dalla circostanza che tale credito sia stato postergato o no".
Sul punto, il Collegio ha la necessità di precisare che, pur essendo condivisibile il richiamo al principio della inderogabilità del "divieto di alterazione della graduazione dei crediti privilegiati", in caso di apporto di finanza esterna, contenuto nell'arresto da ultimo citato, occorre comunque evidenziare che il cd. surplus finanziario, determinato dalla continuità aziendale ex art. 186bis I. fall., non può essere ricondotto, in alcun modo, nella categoria concettuale della finanza esterna apportata dal terzo finanziatore del piano concordatario, posto che, nell'un caso, il flusso finanziario "eccedentario", rispetto al programmato pagamento dei creditori previsto nel piano stesso, risulta pur sempre collegato (e dunque funzionalmente riconducibile) ai fattori produttivi aziendali e, dunque, in ultima istanza, al patrimonio del debitore (e dunque alla garanzia patrimoniale insita nello stesso, ai sensi dei sopra richiamati artt. 2740 e 2741 cod. civ.), mentre, nell'altro caso, la finanza esterna è rappresentata da un apporto finanziario di un soggetto terzo rispetto al patrimonio del debitore, apporto che, se assistito dal sopra ricordato requisito di "neutralità", sfugge alle stringenti regole della responsabilità patrimoniale e risulta, secondo i principi già affermati da questa Corte, liberamente distribuibile dal debitore. Detto altrimenti, risulta evidente che - sulla base dei principi già affermati nell'arresto più volte menzionato (Cass. n. 9373/2012, cit supra) - la volontà del legislatore va nella direzione che la formazione delle classi non possa alterare, in alcun modo, l'ordine di graduazione dei crediti muniti di cause di prelazione, che riceve il suo fondamento giuridico nella legge e che, per quanto già sopra detto, non risulta disponibile dalle parti.
In realtà, l'argomento logico sistematico - secondo il quale l'intangibilità dell'ordine delle cause di prelazione trova il suo limite nel patrimonio del debitore, e non vieta al terzo di condizionare il suo apporto finanziario alla soddisfazione preferenziale di crediti posposti (nel caso sopra esaminato della cd. finanza esterna) - s'infrange, comunque, contro la constatazione che la liquidità offerta, qualora transiti nel patrimonio del debitore, pone le premesse della soddisfazione dei crediti secondo l'ordine delle prelazioni, essendo a questi effetti irrilevante quale sia l'origine e la provenienza dei mezzi finanziari con i quali il debitore paga i suoi creditori.
Ciò detto, occorre pertanto ribadire (per riprendere ab ovo la soluzione della quaestio iuris qui in discussione) che i flussi finanziari, generati dalla continuità aziendale (secondo il programma di esdebitamento previsto nel piano concordatario) non sono assimilabili a nuova finanza, non potendosi fenomenicamente prescindere, nella loro ontologica descrizione, già dalla loro fonte, che non è un terzo, bensì, per quanto sopra detto, lo stesso patrimonio del debitore, con la conseguenza che nemmeno risulta necessario richiamare, nel caso in esame, il requisito della "neutralità" patrimoniale, per ritenere superabili i sopra descritti limiti della responsabilità patrimoniale e del rispetto delle cause legittime di prelazione, dettati dagli artt. 2740 e 2741 cod. civ. (per come ripresi nell'ambito concorsuale dall'art. 160, secondo comma, I. fall.).
2.6 Risulta anche dubitabile, a livello definitorio, che possa parlarsi, in realtà, di ''surplus" concordatario, rappresentando lo stesso l'ordinaria affluenza di cassa ovvero di ritorno commerciale di risorse (liquide o meno), revenienti dall'utile dell'attività d'impresa. Piuttosto, l'esasperazione classificatoria di tale nozione, per lo meno nell'accezione qui non condivisa, rischia di circoscrivere il corrispettivo satisfattivo del concordato preventivo in continuità alla mera continuità in sé, svuotando l'impegno satisfattivo che comunque, anche in tale concordato, il piano deve prevedere, per poter essere dichiarato ammissibile e negoziabile con i creditori.
2.7 Sarebbe, pertanto, improprio parlare, nel caso in esame, di "neutralità" dei flussi generati dalla continuità aziendale, nell'accezione recepita da Cass. 9373/2012, in quanto è proprio attraverso essi che il patrimonio del debitore si incrementa e si realizza, al contempo, un corretto contesto satisfattivo, all'interno del quale è il debitore che "paga" i "crediti". In realtà, nel concordato con continuità aziendale, attraverso l'omologazione del piano e della proposta concordataria, il piano di esdebitazione del debitore si fonda anche sugli incrementi determinati dall'esercizio dell’mpresa, che risultano, pertanto, destinati al pagamento dei creditori per i quali il concordato preventivo diviene obbligatorio, ai sensi dell'art. 1841. fall., non verificandosi alcuna "affrancazione” del debitore.
2.8 Osserva ancora il Collegio come la regola del divieto di alterazione dell'ordine delle cause legittime di prelazione scatta "pubblicisticamente" proprio al momento satisfattivo ed è posto a presidio delle deroghe di fonte legale alla par condicio creditorum e comunque dell'ordine delle cause legittime di prelazione: la portata del comando è tanto più cogente laddove l'art,160, comma 2, I. fall. sanziona l'effetto in sé dell'alterazione, e, dunque, a prescindere da come essa si realizza.
A ciò va aggiunto che l'omologazione del concordato non instaura alcuna ''separazione" patrimoniale rispetto ai beni e agli incrementi che nascono, quali generati dalla continuità aziendale: manca, invero, in tale prospettiva, solo suggestiva da un punto di vista descrittivo, qualunque supporto pubblicistico-iscrizionale, e cioè un elemento costitutivo e comunque rivolto ai terzi ovvero riconoscibile per i beni, mobili, crediti ecc., non soggetti a requisiti di registro degli atti che li risguardano.
E' dunque la stessa garanzia patrimoniale - che si proietta al futuro, come semplicemente declinata nell'art. 2740 cod. civ., e che non perimetra al passato la responsabilità del debitore, limitandola, cioè, ai beni che gli erano propri all'insorgenza del credito - a costituire il fondamento giuridico, di matrice normativa, legittimante la responsabilità del debitore in concordato con continuità, nei confronti dei propri creditori, anche con i beni futuri, generati dalla prosecuzione dell'attività aziendale secondo le scansioni temporali previste nel piano e nel rispetto, anche qui (come nel concordato liquidatorio), delle cause legittime di prelazione legislativamente previste.
Del resto, se un bene 'appartiene' al patrimonio del debitore, lo stesso non può che servire, poi, al soddisfacimento dei suoi creditori concordatari (cass. Sez. 1, Ordinanza n. 13391del 17/05/2019; cass. n. 10884/2020), secondo le modalità normativamente previste (art. 160, 2 comma, I. fall.).
2.9 Le regole normative di distribuzione del patrimonio del debitore tra creditori privilegiati e creditori chirografari si rinvengono, infatti, proprio nell'art. 160, comma 2, I. fall. che, da un lato, consente la possibilità di un pagamento non integrale dei creditori privilegiati, ma a condizione che il piano ne preveda la soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione dei beni oggetto della garanzia e, dall'altro lato, precisa, come sopra già ricordato, che "il trattamento stabilito per ciascuna classe non può avere l'effetto di alterare l'ordine delle cause legittime di prelazione".
Così deve ritenersi che, a norma dell'art. 160, comma 2, l.fall., il soddisfacimento parziale dei creditori muniti di privilegio generale può trovare un fondamento giustificativo solo nell'incapienza del patrimonio mobiliare del debitore, sicché il soddisfacimento dei creditori chirografari non può che dipendere, in tal caso, dalla presenza di beni immobili (ovviamente per la parte che non è deputata a garantire i creditori che vantino un titolo di prelazione su di essi) o da liquidità estranee al patrimonio del debitore stesso (cass. 10884/2020; per medesime considerazioni cass. 34539/2019 che ha dichiarato 11nammissibilità di una proposta di concordato preventivo che prevedeva un soddisfacimento in percentuale dei creditori postergati in concomitanza con i creditori chirografari, e non residuale e posposto all'integrale soddisfacimento di questi ultimi).
Va infatti ricordato che, già prima dell'entrata in vigore del CCII, la giurisprudenza di questa Corte di legittimità ricordava che "l'art. 160, comma 2, l.fall.", laddove impone che "il trattamento stabilito per ciascuna classe non può avere l'effetto di alterare l'ordine delle cause legittime di prelazione", viene tradizionalmente interpretato come norma traspositiva, già in fase di ammissione del concordato preventivo, del criterio di matrice nordamericana della cd. absolute priority role, per cui una classe di grado inferiore non può ricevere alcun soddisfacimento se quella di grado poziore non sia stata integralmente soddisfatta (così, cass. 17155/2022).
2.10 In ordine alle sopra sintetizzate doglianze articolate dalla società ricorrente, occorre ricordare che la menzionata regola dell'absolute priority role non esclude tout court la coesistenza di un soddisfacimento parziale dei crediti chirografari e di quelli muniti di privilegio generale, sottolineando la giurisprudenza di questa Corte che una simile evenienza è possibile proprio a fronte dell'apporto di cd. finanza esterna, sia pure - per quanto già sopra detto - in condizione di "neutralità" (v. cass. 9373/2012, 12864/2019, 13391/2019).
Più in generale, va sottolineato che in tutte le ipotesi di continuità, i creditori sono normalmente esposti, in misura e per tempi dipendenti dalla struttura del piano di concordato, a un duplice rischio, come ricordato dal Procuratore generale: la riduzione dei valori e il maturare della prededuzione. Ne consegue che in assenza di un esplicito consenso non è concepibile l'idea di addossare ai creditori (specie se privilegiati) il rischio della continuità, senza contestualmente beneficiari attraverso l‘attribuzione delle potenzialità reddituali da essa scaturenti.
2.11 Né tracce per una diversa ricostruzione sistematica si rinvengono nell'art. 182 quinquies, quinto comma, l.fall., il quale consente di autorizzare il debitore a pagare i creditori anteriori (anche chirografari) se un professionista attesta che le loro prestazioni siano essenziali per la prosecuzione dell'attività e funzionali al miglior soddisfacimento dei creditori, o anche senza attestazione, laddove i pagamenti siano eseguiti mediante nuovi fondi apportati al debitore senza obbligo di restituzione o con obbligazione di rimborso postergata alla soddisfazione dei creditori.
Come correttamente osservato ancora dalla Procura Generale, da tale norma non può trarsi un principio generale di libera allocabilità dei flussi generati dalla prosecuzione dell'attività imprenditoriale nel concordato in continuità. Trattasi, infatti, di una norma eccezionale che consente il pagamento di alcuni specifici creditori antecedenti, dei fornitori di beni e servizi indispensabili per il mantenimento in vita dell1mpresa, di fornitori strategici e non sostituibili con altri operatori presenti sul mercato. Ma la stessa rappresenta, comunque, una "deroga" al concorso sottoposta alla duplice condizione dell"'attestazione" specifica di un professionista da cui risulti che si tratta di crediti relativi a prestazioni "essenziali per la prosecuzione dell'attività" e ''funzionali ad assicurare la migliore soddisfazione dei creditori" e della successiva autorizzazione del tribunale.
Va dunque osservato che, a fronte dell'evidente specificità ed eccezionalità di tale previsione, sia con riferimento ai profili sostanziali (beneficiari dei pagamenti sono soltanto alcuni specifici creditori) che procedurali (necessità di una specifica attestazione di un professionista sul duplice profilo dell'essenzialità delle prestazioni e della loro funzionalità alla miglior soddisfazione dei creditori e successiva autorizzazione del tribunale) non può dirsi che tale norma ponga sullo stesso piano la finanza esterna e l'incremento patrimoniale generato dalla prosecuzione dell'attività. Deve pertanto ritenersi che la stessa rappresenti una norma eccezionale che, come tale, non è suscettibile di applicazione al di fuori delle ipotesi tassativamente previste.
2.12 Né, peraltro, una diversa ricostruzione può essere tratta dalle norme del CCII ed in particolare dall'art. 84 comma 6, in forza del quale "Nel concordato in continuità aziendale il valore di liquidazione è distribuito nel rispetto della graduazione delle cause legittime di prelazione; per il valore eccedente quello di liquidazione è sufficiente che i crediti inseriti in una classe ricevano complessivamente un trattamento almeno pari a quello delle classi dello stesso grado e più favorevole rispetto a quello delle classi di grado inferiore."
In primo luogo, già risulta evidente come l'art. 84 comma 6 CCII detti una regola diversa rispetto a quella propugnata dalla ricorrente per la destinazione del cd. plusvalore da concordato.
A ciò va comunque e in via assorbente aggiunto come la norma di cui all'art. 84 comma 6 CCII costituisca una rilevante novità rispetto alla pregressa disciplina, come essa è stata costantemente interpretata dalla Corte, non potendosi dunque ritenere che ricorra un ambito di continuità tra il regime fallimentare e quello successivo e che la nuova norma sia pertanto idonea a rappresentare un utile criterio interpretativo degli istituti della legge fallimentare, secondo le chiare indicazioni offerte dalla giurisprudenza, formatasi dinanzi alle Sezioni Unite, in merito al limite e alle condizioni di rilevanza di una simile metodologia ermeneutica (Cass. Sez. Un. 12476-20, cass. Sez. U n. 2061-21, Cass. Sez. n. 8504-21, cass. Sez. U n. 42093-21, e infine anche cass. Sez. U n. 8557-23 e cass. Sez. U. 7337-24). Il sopra riferito richiamo non rappresenta, pertanto, un elemento di raffronto utile sul versante esegetico perché l'effetto che si pretende finisce con l'interferire sul terreno della vigenza della legge, connesso alla sua entrata in vigore e al correlato ambito di applicazione temporale, in quanto l'art. 84,comma 6 CCII, non ha disposto una semplice "revisione" della disciplina anteriormente rinvenibile negli artt. 160 e 161 I. fall., ma ha invero introdotto un precetto nuovo all'interno dell'ordinamento positivo, così astringendo i poteri interpretativi del giudice e così influendo sulla funzione dichiarativa della giurisprudenza - anche di legittimità - da contenere all'interno del confine proprio della norma da interpretare (v. già cass. Sez. U n. 21095-04, cass. Sez. U n. 413519, Cass. Sez. Un. 2061-21). Come correttamente osservato anche dalla Procura generale, "L'attività di interpretazione per quanto la si voglia dilatare in funzione "evolutiva" (e in molti casi è opportuno dilatarla in tale chiave onde superare altrimenti inaccettabili lacune dell'ordinamento)J non può mai spingersi fino a superare il limite di tolleranza e di elasticità di un enunciato ossia - come efficacemente è stato detto - del significante testuale della disposizione che il legislatore ha posto giacché da quel significante previamente individuato non può che muovere la dinamica di inveramento della norma nella concretezza del suo operare" (cfr. ultima fol. requisitoria scritta Procura generale).
Ne deriva l'infondatezza del ricorso. Occorre pertanto affermare il seguente principio di diritto: "In caso di concordato con continuità aziendale ex alt, 186bis I, fail., l'eventuale surplus finanziario determinato dalla prosecuzione utile dell'attività d'impresa è da intendersi quale mero incremento di valore dei fattori produttivi aziendali, rientrando nell'oggetto della garanzia generica del credito prevista dall'art, 2740 cod. civ,; ne consegue che esso non è perciò liberamente distribuibile dal debitore, ma soggiace al divieto di alterazione delle cause legittime di prelazione".
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo. Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13 (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 10.000 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'art. 1, comma 17 della I. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.