Ripercorrendo la giurisprudenza sul tema, la Cassazione conferma la condanna dell'imputato ex artt. 600-ter e 600-quarter per aver ripreso di nascosto la figlia della propria compagna mentre si faceva la doccia, formando dei video.
La controversia ha ad oggetto la condanna di un uomo per i reati ex artt. 600-ter e 600-quarter per aver ripreso di nascosto la figlia della propria compagna mentre si faceva la doccia, formando dei video.
Tra i motivi di ricorso, l'uomo contesta la configurabilità del reato di produzione di materiale pedopornografico ex...
Svolgimento del processo
1. Con sentenza emessa in data 25 settembre 2023, la Corte d'appello di Brescia ha confermato la sentenza pronunciata dal Tribunale di Brescia che aveva dichiarato la penale responsabilità di A.B. per i reati di detenzione di materiale pedopornografico ex art. 600-quater, cod. pen., di cui ai capi A e A1 di pornografia minorile ex art. 600-ter, primo comma, cod. pen., di cui ai capi Be B1, e di tentata pornografia minorile ex artt. 56 e 600-ter, terzo comma, cod. pen. di cui al capo D, e ritenuta la continuazione, e più grave il reato di cui al capo B1, lo aveva condannato alla pena di cinque anni di reclusione e 26.000 euro di multa, applicate le circostanze attenuanti generiche e la diminuente per il rito.
Precisamente, secondo i Giudici di merito, A.B. avrebbe: a) detenuto file pedopornografici per una ingente quantità sia in data precedente e prossima al 19 gennaio 2021 (capo A), sia in data antecedente e prossima al 12 novembre 2021 (capo Al); b) prodotto materiale pedopornografico, con le aggravanti di aver commesso il fatto in danno di persona infraquattordicenne e nella qualità di convivente della di lei madre sia in data antecedente e prossima al 19 gennaio 2021 (capo B), sia il 20 settembre 2021 (capo B1); c) tentato di diffondere materiale pedopornografico mediante la condivisione di n. 6 link sull'account MEGA in data antecedente e prossima al 12 novembre 2021 (capo D).
2. Ha presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello indicata in epigrafe A.B., con atto sottoscritto dagli Avv.ti A.M. e e G.P., articolando sei motivi, preceduti da una premessa sul complessivo svolgimento del procedimento.
2.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all'art. 600-ter, primo comma, cod. pen., a norma dell'art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., avuto riguardo alla configurabilità del reato di produzione di materiale pedopornografico.
Si premette che i giudici di merito hanno ritenuto integrato il reato idi produzione di materiale pedopornografico perché l'imputato, in due diverse occasioni, ha ripreso di nascosto col cellulare la figlia della compagna intenta a farsi la doccia, formando dei video. Si precisa che il primo video è stato rinvenuto nella cartella dei file eliminati del telefono il 18 gennaio 2021, ossia il giorno dopo la sua formazione, mentre il secondo video è rimasto nella galleria "foto" senza però essere diffuso.
Si deduce che la sentenza impugnata ha erroneamente fondato la propria decisione sul principio di diritto espresso dalle Sezioni Unite secondo il quale, per ritenere integrato il reato di produzione di materiale pedopornografico, non è necessario l'accertamento del pericolo concreto di diffusione di detto materiale, essendo tale pericolo immanente per effetto della disponibilità, in capo ad ognuno, di potenti mezzi di diffusione digitale (Sez. U, n. 51815 del 31/05/2018). Si osserva, infatti, che, nonostante non sia più richiesta ai fini della configurabilità del reato in questione la verifica positiva dell'esistenza del pericolo di diffusione del materiale prodotto, ciò non esime l'interprete dal verificare i casi in cui detto pericolo sia del tutto inesistente. Si rappresenta, poi, che, nei casi In questione, o perché il video è stato eliminato o perché ne è stata pacificamente esclusa la diffusione, il pericolo non si è mai realizzato. Si aggiunge che nemmeno può ritenersi avvenuto un utilizzo della minore per il soddisfacimento dell'agente, non essendo ravvisabile alcuna lesione del bene giuridico della dignità e della libertà personale nella mera registrazione dell'immagine della stessa.
Si segnala, per confermare la conclusione della non configurabilità del reato di cui all'art. 600-ter, primo comma, cod. pen. in caso di assenza del pericolo di diffusione del materiale pedopornografico, che un ulteriore elemento significativo discende dal dato testuale. Si evidenzia che l'impiego, nella medesima disposizione, di due distinti verbi, "realizzare" e "produrre", implica l'assegnazione agli stessi di significati diversi, non spiegandosi altrimenti il perché dell'utilizzo di locuzioni diverse da parte del legislatore. Si rileva, quindi, che la condotta di "produrre", non potendo identificarsi in quella di "realizzare", implica un quid pluris, e, perciò, il pericolo di diffusione.
Si aggiunge, inoltre, un argomento di tipo sistematico. Si premette che il legislatore, nel sanzionare le condotte di cessione e di diffusione di materiale pedopornografico, esclude la punibilità di tali condotte quando hanno ad oggetto materiale realizzato o prodotto dall'agente. Si osserva, pertanto, che, a ritenere la produzione del materiale pedopornografico configurabile anche in caso di mera realizzazione dello stesso, si finirebbe per punire allo stesso modo chi produce materiale pedopornografico per fini propri e chi invece lo cede o lo diffonde a terzi.
2.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 56, quarto comma, e 600-ter, primo comma, cod. proc. pen., a norma dell'art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., avuto riguardo al mancato riconoscimento dell'attenuante del recesso attivo.
Si deduce che, siccome il reato di pornografia minorile è reato d'evento e di danno, nella specie, la mera formazione del video del 18 settembre 2021, non seguita da diffusione e da strumentalizzazione del minore per il soddisfacimento di interessi e desideri altrui, integra, al più, un reato tentato, con conseguente applicabilità degli istituti della desistenza volontaria e del recesso attivo, così come prevista dall'art. 56 cod. pen.
2.3. Con il terzo motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., avuto riguardo alla esatta ricostruzione della fattispecie di cui al capo B, e si solleva, altresì, una questione di legittimità costituzionale, con riferimento all'art. 600-ter, primo comma, cod. pen., in relazione agli artt. 3 e 27, comma 1 e 3, Cast., avuto riguardo alla mancata previsione dell'attenuante di minore gravità.
Si deduce che la sentenza impugnata non ha ricostruito in modo corretto i fatti ascritti all'attuale ricorrente a norma dell'art. 600-ter, primo comma, cod. pen., e, conseguentemente, non ha correttamente fissato la pena.
Si osserva, precisamente, che la sentenza impugnata ha ritenuto provata la visione, da parte dell'imputato, del video girato il 18 gennaio 2021 sulla base di un ragionamento illogico, e cioè ritenendo che il predetto, per accorgersi di aver tenuto un comportamento inadeguato, e conseguentemente eliminare la registrazione effettuata, avrebbe dovuto necessariamente prendere visione del video. Si evidenzia che tale inferenza risulta smentita dal fatto che l'imputato era perfettamente a conoscenza di aver posizionato la fotocamera in modo da riprendere la minore mentre si faceva la doccia, per cui non gli era necessario visionare effettivamente la registrazione per accorgersi della riprovevolezza del proprio comportamento. Si aggiunge che manifestamente illogica è anche la motivazione in ordine all'assenza di un'effettiva volontà dell'imputato di eliminare permanentemente il video, sebbene lo stesso fosse nel "cestino" della memoria.
Si deduce, poi, questione di legittimità costituzionale con riferimento alla severità della cornice edittale dell'art. 600-ter, primo comma, n. 1), cod. pen. Si deduce che la mancata previsione dell'attenuante del caso di minore gravità si pone in contrasto con gli artt. 3 e 27, commi 1 e 3, della Costituzione, non permettendo di commisurare correttamente la risposta sanzionatoria in tutti quei casi, come quello di specie, che, per i mezzi impiegati e per le modalità esecutive, non risultano meritevoli di una reazione repressiva così severa.
2.4. Con il quarto motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., avuto riguardo alla ritenuta sussistenza del delitto di tentata diffusione di materiale pedopornografico.
Si deduce che, nella specie, non sono rilevabili atti univoci, e che, anzi, in relazione ad identiche condotte, contestate al capo C), l'attuale ricorrente è stato assolto già in primo grado perché il fatto non sussiste. Si aggiunge che la diversità non può discendere dal fatto che, nella vicenda per la quale l'imputato è stato assolto, i file erano stati rinvenuti su un telefono di marca Samsung, mentre, nella vicenda per la quale è stata pronunciata condanna, è stato utilizzato un iPhone.
2.5. Con il quinto motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 56, primo comma, e 600-ter, terzo comma, cod. pen., a norma dell'art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., avuto riguardo ancora alla configurabilità del tentativo di illecita diffusione di materiale pedopornografico.
Si deduce che l'ipotesi del tentativo mal si concilia con la natura ambivalente attribuita dalla Corte alla condotta dell'imputato per i fatti di cui al capo D). Si rammenta come, al fine di poter punire a titolo di tentativo, è necessario che gli atti posti in essere siano diretti in modo non equivoco a commettere un reato (ex multis, Cass. pen. Sez. III, n. 15656 del 02/02/2022). Nel caso di specie, difetta tale requisito dell'univocità, avendo gli stessi giudici di merito riconosciuto che non è possibile escludere la liceità della condotta dell'imputato. Ciò in quanto, data l'impossibilità di verificare l'effettivo contenuto dei link rinvenuti, essi ben potrebbero rimandare a video di contenuto non pedopornografico.
2.6. Con il sesto motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., avuto riguardo agli aumenti di pena applicati a titolo di continuazione.
Si deduce che la Corte, nell'applicare gli aumenti di pena previsti per la riconosciuta continuazione, ha del tutto omesso di fornire adeguata motivazione. Si rappresenta che la motivazione era doverosa anche perché le statuizioni relative agli aumenti operati per le fattispecie di cui ai capi D), A) e Al) erano state oggetto di specifica censura in sede d'appello. Si aggiunge che, del tutto immotivatamente, l'aumento apportato per il reato di cui al capo D) è superiore rispetto a quello di cui al capo B), sebbene per il reato di cui agli artt. 56, primo comma, e 600-ter, terzo comma, cod. pen. siano previste pene enormemente inferiori nel minimo e nel massimo rispetto a quelle fissate per il delitto di cui all'art. 600-ter, primo comma, cod. pen.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è fondato limitatamente alle statuizioni concernenti il trattamento sanzionatorio, mentre nel resto è nel complesso infondato, per le ragioni e nei limiti di seguito precisati.
2. Infondate sono le censure esposte nel primo motivo, che contestano la ritenuta configurabilità del reato di produzione di materiale pedopornografico, a norma dell'art. 600-ter, primo comma, n. 1, cod. pen., con riferimento ai fatti di cui ai capi B e B1, deducendo che la fattispecie tipica non può ritenersi integrata nel caso in cui sia da escludere il pericolo di diffusione del materiale realizzato e che non ricorre l'elemento costitutivo dell'utilizzo della minore nell'ipotesi di mera registrazione di immagini.
2.1. In tema di configurabilità del reato di produzione di materiale pedopornografico, di cui all'art. 600-ter, primo comma, n. 1, cod. pen., vasta è l'elaborazione della giurisprudenza di legittimità, anche a Sezioni Unite, i cui approdi sono stati ritenuti "diritto vivente" dalla Corte costituzionale nella recentissima sentenza n. 91 del 2024.
2.1.1. Costituiscono principi enunciati espressamente dalle Sezioni Unite, quelli secondo cui: 1) ai fini dell'integrazione del reato di produzione di materiale pedopornografico, di cui all'art. 600-ter, primo comma, n. 1, cod. pen., non è richiesto l'accertamento del concreto pericolo di diffusione di detto materiale (Sez. U, n. 51815 del 31/05/2018, M., Rv. 274087 - 01, poi puntualmente richiamato da Sez. U, n. 4616 del 28/10/2021, dep. 2022, D., non mass. sul punto, in motivazione, § 3.1); 2) in tema di reato di pornografia minorile di cui all'art. 600- ter, primo comma, n. 1, cod. pen., è lecita unicamente la produzione di materiale pornografico realizzato senza la "utilizzazione" del minore e con il consenso espresso di colui che abbia raggiunto l'età per manifestarlo (Sez. U, n. 4616 del 28/10/2021, dep. 2022, D., Rv. 282718 - 04); c) ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 600-ter, primo comma, n. 1, cod. pen., si ha "utilizzazione" del minore allorquando, all'esito di un accertamento complessivo che tenga conto del contesto di riferimento, dell'età, maturità, esperienza, stato di dipendenza del minore, si appalesino forme di coercizione o di condizionamento della volontà del minore stesso, restando escluse dalla rilevanza penale del fatto solo le condotte realmente prive di offensività rispetto all'integrità psico-fisica dello stesso (Sez. U, n. 4616 del 28/10/2021, dep. 2022, D., Rv. 282718 - 01).
La giurisprudenza di legittimità ha inoltre precisato che: a) integra il delitto di produzione di materiale pedopornografico, di cui all'art. 600-ter, primo comma, n. 1, cod. pen., anche la realizzazione di una sola immagine di tal genere, non essendo previsto dalla norma il superamento di una soglia quantitativa minima (Sez. 3, n. 41572 del 11/05/2023, C., Rv. 285162 - 01); b) lo scopo sessuale, che rende materiale pedopornografico la rappresentazione degli organi sessuali di un minore di anni diciotto non coinvolto in attività sessuali esplicite, simulate o reali, implica l'accertamento della finalità della sua produzione, che, laddove non immediatamente evincibile, può essere desunta da ogni elemento utile, compresa l'intenzione dell'agente, posto che il reato sussiste quando tale rappresentazione, non altrimenti giustificabile, sia qualificabile come diretta a soddisfare il piacere sessuale o a suscitarne lo stimolo (Sez. 3, n. 29817 del 15/03/2023, F., Rv. 284899 - 01).
2.1.2. La Corte costituzionale, poi, nella sentenza n. 91 del 2024, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 600-ter, primo comma, n. 1, cod. pen., nella parte in cui non prevede, per il reato di produzione di materiale pornografico mediante l'utilizzazione di minori di anni diciotto, che nei casi di minore gravità la pena da esso comminata è diminuita in misura non eccedente i due terzi, ha posto a fondamento della decisione proprio l'elaborazione della giurisprudenza di legittimità in ordine alla non necessità dell'esistenza del pericolo di diffusione del materiale pedopornografico prodotto.
In particolare, il Giudice delle leggi ha precisato che è «irrilevante, perché sia integrato il reato in parola, che la produzione del materiale sia destinata alla successiva distribuzione, divulgazione o diffusione; condotte, queste, sanzionate come fattispecie autonome dal terzo comma, peraltro (come già ricordato) con una cornice edittale minore» (cfr. sent. n. 91 del 2024, § 6).
Ed ha aggiunto che, ai fini della valutazione concernente la configurabilità dell'attenuante della minore gravità, «particolare rilievo assumerà, infine, l'estraneità della condotta incriminata rispetto a quei profili di particolare allarme sociale - ovverosia la riconducibilità del fatto, o anche solo la sua mera contiguità, al circuito della diffusione di immagini o video pedopornografici e, a maggior ragione, al relativo mercato - che hanno indotto il legislatore a stabilire per questo titolo di reato un minimo edittale di notevole asprezza e, più in generale, a colpire qualsiasi condotta comunque idonea ad alimentare l'offerta di pornografia minorile destinata al relativo mercato, mercato che è all'origine dello sfruttamento sessuale dei minori» (cfr. sent. n. 91 del 2024, § 10).
2.2. I principi precedentemente indicati debbono essere confermati in questa sede, nonostante i pur apprezzabili sforzi argomentativi della difesa, i quali, tra l'altro, sollecitano un mutamento giurisprudenziale che dovrebbe implicare, almeno in parte, anche l'intervento delle Sezioni Unite, in forza del disposto di cui all'art. 618, comma 1-bis, cod. proc. pen.
2.2.1. Per quanto attiene alla nozione di "produzione" di materiale pornografico, e alla sua implicazione di una proiezione alla diffusione di quanto realizzato, l'argomento testuale evocato nel ricorso è stato già analiticamente esaminato dalle Sezioni Unite e ritenuto non rilevante.
Nel ricorso, precisamente, si assume che l'impiego, nell'art. 600-ter, primo comma, cod. pen., di due distinti verbi, "produrre" e "realizzare", implica l'attribuzione al primo di un significato autonomo e quindi ulteriore rispetto al secondo, perché altrimenti sarebbe superfluo, e, perciò, comprende anche il riferimento al pericolo di diffusione del materiale prodotto. Sez. U, n. 51815 del 31/05/2018, cit., però, ha evidenziato che il significato del termine «produce» di cui all'art. 600-ter, primo comma, n. 1, cod. pen., deve essere desunto da un esame combinato di questa disposizione con quelle di cui agli artt. 600-quater cod. pen. e 600-quater.1 cod. pen., atteso il collegamento determinato dalla clausola di salvaguardia di queste due disposizioni incriminatrici rispetto alla prima; collegamento dal quale risulta come il termine "produzione" non ha più una sua autonomia rispetto al termine "realizzazione", «con la conseguenza che la "produzione" altro non è che la "realizzazione di materiale pornografico" (cfr., spec. Sez. U, n. 51815 del 31/05/2018, cit., in motivazione, §§ 3.3 e 3.4 ).
Sempre con riguardo alla nozione di "produzione" di materiale pornografico, l'argomento sistematico indicato nel ricorso poggia su presupposti opinabili, ed è comunque definitivamente risolto proprio dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale disposta da Corte cost., sent. n. 91 del 2024.
Nel ricorso, in effetti, si assume che l'esclusione della punibilità delle condotte di cessione e diffusione del materiale pedopornografico commesse dal produttore di tale materiale è incompatibile con la tesi della rilevanza penale della condotta di produzione a fini di uso personale, perché, altrimenti, si finirebbe per equiparare, sotto il profilo del trattamen;o sanzionatorio, quest' d(rVI chi diffonde il materiale a terzi. Tuttavia, è possibile rilevare che proprio l'ampiezza della cornice edittale prevista dall'art. 600-ter, primo comma, n. 1, cod. pen., la quale commina la pena della reclusione da un minimo di sei anni a un massimo di dodici anni, consente di differenziare tra le condotte di produzione a fini personali e le condotte di produzione per terzi. E, come si è indicato in precedenza, proprio sul presupposto della configurabilità del reato di cui all'art. 600-ter, primo comma, n. 1, cod. pen. in relazione tanto a condotte finalizzate ad uso proprio quanto a condotte finalizzate alla diffusione, Corte cast., sent. n. 91 del 2024, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 600-ter, primo comma, n. 1, cod. pen., nella parte in cui non prevede, per il reato di produzione di materiale pornografico mediante l'utilizzazione di minori di anni diciotto, che nei casi di minore gravità la pena da esso comminata è diminuita in misura non eccedente i due terzi.
2.2.2. Per quanto concerne la nozione di "utilizzazione" di minori finalizzata a produrre "materiale pornografico", in essa deve ritenersi inclusa anche la condotta di formazione di immagini di organi sessuali di un infradiciottenne, realizzata all'insaputa del medesimo, o comunque senza acquisirne il consenso, e al fine di soddisfare il piacere sessuale o suscitarne lo stimolo.
È utile considerare, per un verso, che la formazione di «qualunque rappresentazione degli organi sessuali di un minore degli anni diciotto», se effettuata «per scopi sessuali», costituisce, per l'espresso disposto dell'ultimo comma dell'art. 600-ter cod. pen., «pornografia minorile».
Va poi rilevato, sotto altro profilo, che la nozione di "utilizzazione" ha una portata particolarmente ampia, perché diretta ad assicurare la tutela del minore anche nel caso di formale consenso dello stesso alla produzione del materiale pedopornografico. Di conseguenza, e anzi a fortiori, tale nozione deve ritenersi estesa pure alla produzione di rappresentazioni di organi sessuali per scopi sessuali realizzata all'insaputa dell'infradiciottenne.
Chiarissime indicazioni, in proposito, sono fornite dalle Convenzioni internazionali e dalle disposizioni euro-unitarie che hanno dato impulso al legislatore italiano per la formulazione del vigente art. 600-ter cod. pen., le quali prevedono come eccezionali i limiti alla punibilità delle condotte di produzione e possesso di materiale pedopornografico, e li ammettono nei soli casi di valido consenso del minore. In particolare, l'art. 20, paragrafo 3, della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla protezione dei minori contro lo sfruttamento e l'abuso sessuali conclusa a Lanzarote il 25 ottobre 2007 prevede: «Le Parti possono riservarsi il diritto di non applicare, in tutto o in parte, il paragrafo 1, lettere a) ed e), alla produzione ed al possesso di materiale pedopornografico raffigurante minori che abbiano raggiunto l'età fissata in applicazione dell'articolo 18, paragrafo 2, se tali immagini sono prodotte o possedute da essi stessi, con il loro consenso ed esclusivamente per il loro uso privato». Analogo contenuto presentano, poi, l'art. 3, paragrafo 2, della Convenzione GAI/2003/68, e l'art. 8, comma 3, della Direttiva 2011/93/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, relativa alla lotta contro l'abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile (quest'ultimo prevede esclusivamente la facoltà per gli Stati di non attribuire rilevanza penale alla «produzione, all'acquisto o al possesso di materiale pedo-pornografico in cui sono coinvolti minori che abbiano raggiunto l'età del consenso sessuale nei casi in cui tale materiale è prodotto e posseduto con il consenso di tali minori e unicamente a uso privato delle persone coinvolte, purché l'atto non implichi alcun abuso»).
E proprio sulla base di queste indicazioni normative sopra-nazionali, la più recente decisione delle Sezioni Unite in materia ha precisato che «il termine "utilizzazione" sta ad indicare la condotta di chi manovra, adopera, strumentalizza o sfrutta il minore servendosi dello stesso e facendone uso nel proprio interesse, piegandolo ai propri fini come se fosse uno strumento» (così Sez. U, n. 4616 del 28/10/2021, dep. 2022, D., in motivazione, § 3.2).
2.3. La sentenza impugnata ha ritenuto sussistente il reato di cui all'art. 600- ter, primo comma, n. 1, cod. pen. con riguardo ai fatti di cui alle imputazioni sub B e sub B1, all'esito di un'approfondita analisi del materiale istruttorio acquisito.
La Corte d'appello premette che l'attuale ricorrente fu sottoposto a perquisizione in data 19 gennaio 2021, nell'ambito di altro procedimento penale per reati fiscali, e che, nell'occasione, gli vennero sequestrati, tra l'altro, un cellulare marca Samsung e un computer marca Dell.
Precisa, poi, che gli accertamenti hanno consentito di accertare che nel cellulare marca Samsung era presente un video registrato in un bagno domestico, nel quale erano ripresi in successione: dapprima l'imputato, mentre posizionava il cellulare con fotocamera puntata in direzione della vasca; poi una minore, successivamente identificata nella figlia della convivente dell'imputato, dell'età di nove anni, nell'atto di farsi la doccia; quindi, di nuovo l'imputato, mentre rientrava nel bagno dopo l'uscita della ragazza dal video e, poi, mentre interrompeva la registrazione. Segnala, inoltre, che il file in questione è stato ritrovato nel cestino del cellulare e che l'ultima modifica dello stesso risulta essere avvenuta il 18 gennaio 2021, alle ore 6,49.
Aggiunge che, nel cellulare marca Samsung, sono stati rinvenuti: a) 117 file contenenti immagini e video di contenuto pedopornografico; b) due screenshot, ciascuno dei quali suddiviso in diverse immagini dal palese contenuto pedopornografico; c) tre profili anonimi per interagire su Telegram con nickname evocativi, quali "pedopornografico", "incursore pedo" e "rompipedo". E che nel computer Dell erano contenuti 25 file, per immagini e video, a carattere palesemente pedopornografico.
La Corte d'appello, ancora, rappresenta che l'attuale ricorrente fu nuovamente sottoposto a perquisizione il 12 novembre 2021, in occasione dell'esecuzione della misura della custodia cautelare in carcere disposta nei suoi confronti.
Rileva che, in questa nuova evenienza, gli fu sequestrato uno smartphone, il quale conteneva: a) nella sezione "Foto", un altro video realizzato in bagno nei confronti della figlia della convivente, in data 20 settembre 2021, alle ore 18,40;
b) nella sezione "Chat archiviate" numerose chat Telegram, documentanti attività di ricezione e spedizione di numerosi link di contenuti non più funzionanti, e quindi non più conoscibili, riferiti a diversi spazi cloud come Mega, Dropbox e Google Drive; c) nella sezione "Note", una nota in cui erano conservati codici per accedere, mediante collegamento al DarkWeb, al Forum "Rindexxx - for child lovers", dedicato e riservato allo scambio di materiale pedopornografico; d) nello "spazio di archiviazione Mega", 292.068 file contenenti foto e video di carattere pornografico, di cui oltre 26.000 di carattere specificamente pedopornografico, ospitati in forza di abbonamento rinnovato ripetutamente dal 10 luglio 2020 e fino al 2 settembre 2021, relativo al diritto a 2.000 Gb di spazio di archiviazione, nonché alla disponibilità di «strumenti ottimizzati per il trasferimento e la condivisione di grossi volumi di dati»; e) nella sezione "Link" dello spazio Mega, sei collegamenti ipertestuali accessibili senza username e password con contenuti pedopornografici.
Con specifico riferimento ai video ritraenti la figlia della convivente, la sentenza impugnata dà conto delle spiegazioni offerte dall'imputato, il quale ha affermato: a) di aver filmato la minore per verificare se la stessa curasse adeguatamente la propria igiene, in quanto in quel periodo emanava un cattivo odore; b) di aver cestinato il video formato il 18 gennaio 2021, senza mai mostrarlo alla compagna, essendosi accorto di aver fatto una «cavolata»; c) di aver girato per le medesime ragioni il secondo video, dopo aver avuto una discussione con la convivente, al cui esito la minore era stata fatta visitare da un ginecologo; d) di aver conservato questo secondo video, sempre senza mostrarlo alla compagna, al fine di avere una prova nel caso di future discussioni sull'argomento. La sentenza, inoltre, precisa che l'uomo ha ammesso di essere il detentore dei video e delle immagini pedopornografiche rinvenute all'interno dei dispositivi sequestrati all'esito delle due perquisizioni.
Sulla base di questi elementi, la Corte d'appello conclude che le condotte di formazione dei due video ritraenti la figlia della convivente integrano entrambe il reato di cui all'art. 600-ter, primo comma, n. 1, cod. pen.
La sentenza di secondo grado precisa, innanzitutto, che i video riprendono con chiarezza la minore mentre è completamente nuda ed intenta lavarsi, nonché, specificamente, gli atti con cui la stessa si deterge le parti intime, in modo idoneo a suscitare pulsioni di carattere sessuale : Aggiunge, poi, che realizzato con un'inquadratura ancor più ravvicinata rispetto al primo, e, quindi, palesa il chiaro intento di acquisire immagini di migliore qualità del nudo femminile, non essendo questo tipo di ripresa in alcun modo necessaria per accertare le modalità con cui la minore si lavava. Osserva, quindi, che le giustificazioni fornite dall'imputato non sono plausibili perché: a) non si comprende la ragione della mancata esibizione dei video alla compagna, siccome ciò sarebbe stato utile a suffragare con la stessa la sua tesi della scarsa igiene personale della bambina; b) la conservazione del secondo video è inspiegabile a maggior ragione se, come dichiarato nel corso dell'esame, vi fu la sottoposizione della minore a visita ginecologica; c) l'attuale ricorrente aveva una evidente inclinazione alla pedofilia, dimostrata dall'ingente quantità di materiale pedopornografico posseduto; d) il primo video non fu definitamente eliminato, ma solo spostato nel cestino del telefono, ed era quindi agevolmente recuperabile.
2.4. Le conclusioni della sentenza impugnata, nella parte in cui affermano la sussistenza del reato di cui all'art. 600-ter, primo comma, n. 1, cod. pen. con riguardo ai fatti di cui alle imputazioni sub B e sub B1, sono immuni da vizi.
Invero, la condotta di utilizzazione di minori per la produzione di materiale pornografico si è sicuramente realizzata.
In primo luogo, infatti, come evidenziato in precedenza, nei§§ 2.1.1, 2.1.2 e 2.2.1, perché si abbia condotta di produzione non è necessario accertare se il materiale realizzato sia destinato all'uso dell'agente o possa essere messo a disposizione di terzi. E, nella specie, anche l'imputato ha ammesso di aver formato i video contenenti le immagini degli organi sessuali della minore, e, così, di aver realizzato, e, quindi, prodotto detto materiale.
In secondo luogo, poi, come evidenziato in precedenza, in particolare nei §§
2.1.1 e 2.2.2, perché si abbia "utilizzazione" di minori finalizzata a produrre "materiale pornografico", è sufficiente anche l'aver formato immagini di organi sessuali di un infradiciottenne all'insaputa del medesimo, e al fine di soddisfare il piacere sessuale o suscitarne lo stimolo. E, nella specie, la produzione dei video contenenti le immagini degli organi sessuali della minore sono avvenute all'insaputa della stessa, o comunque in assenza di un valido consenso, stante l'età della vittima, in entrambi casi di età inferiore ai dieci anni, ed in difetto di qualunque allegazione in proposito.
In terzo luogo, ancora, come evidenziato in precedenza, in particolare nel § 2.1.1, gli «scopi sessuali» della rappresentazione degli organi sessuali di un minore possono essere desunti da ogni elemento utile, compresa l'intenzione dell'agente, posto che il reato sussiste quando tale rappresentazione, non altrimenti giustificabile, sia qualificabile come diretta a soddisfare il piacere sessuale o a suscitarne lo stimolo. E, nella specie, con motivazione fondata su elementi precisi e congrui su accettabili massime di esperienza sopra sintetizzata al § 2.3 la sentenza impugnata ha spiegato perché deve ritenersi che l'attuale ricorrente abbia prodotto i video ritraenti gli organi sessuali della bambina al fine di soddisfare il piacere sessuale o a suscitarne lo stimolo.
3. Manifestamente infondate sono le censure formulate nel secondo motivo, che contestano la mancata configurabilità del tentativo del reato di produzione di materiale pedopornografico, a norma dell'art. 600-ter, primo comma, n. 1, cod. pen., e, quindi della desistenza o del recesso attivo, deducendo che la fattispecie in esame costituisce un reato di pericolo che si perfeziona solo con la diffusione delle rappresentazioni di contenuto pedopornografico.
In argomento, è sufficiente rinviare a quanto evidenziato in precedenza nei §§ 2.1.1, 2.1.2 e 2.2.1, laddove si è illustrato perché, per la configurabilità della condotta di produzione di materiale pedopornografico a norma dell'art. 600-ter, primo comma, n. 1, cod. pen., non è necessario che il materiale realizzato sia destinato a terzi o possa entrare nella disponibilità di terzi.
4. Fondate sono le censure enunciate nel terzo motivo, che contestano la mancata applicazione dell'attenuante della minore gravità del fatto con riguardo alla condotta di cui al capo B, commessa il 18 gennaio 2021.
4.1. Appare innanzitutto utile precisare che, nel presente giudizio, le doglianze in tema di mancata applicazione della circostanza attenuante della minore gravità del fatto non possono ritenersi precluse per la mancanza di un'analoga richiesta nel corso del giudizio di appello.
Invero, la questione dell'applicazione dell'attenuante della minore gravità del fatto ai reati di produzione di materiale pedopornografico di cui all'art. 600-ter, primo comma, n. 1, cod. pen. è divenuta concretamente deducibile solo per effetto della dichiarazione di illegittimità costituzionale pronunciata dal Giudice delle leggi con la sentenza n. 91 del 2024, depositata il 20 maggio 2024, quindi dopo la conclusione del giudizio di appello. Detta questione, quindi, in ogni caso, rientra tra le questioni sulle quali la Corte di cassazione deve pronunciarsi ex art. 609, comma 2, cod. proc. pen., in quanto questione «che non sarebbe stato possibile dedurre in grado di appello».
Non va trascurato, inoltre, che la giurisprudenza di legittimità ha ripetutamente ritenuto rilevabile d'ufficio, anche in caso di inammissibilità del ricorso, la nullità della sentenza nella parte relativa al trattamento sanzionatorio, conseguente alla sopravvenuta declaratoria di incostituzionalità di norma riguardante la determinazione della pena.
Questa affermazione, in particolare, è stata di recente enunciata proprio a seguito di dichiarazioni di illegittimità costituzionale di disposizioni non prevedenti circostanze attenuanti. Precisamente, in questo senso, con riferimento al reato di rapina, si è espressa Sez. 2, n. 19938 del 15/05/2024, Ghbar, Rv. 286432 - 01, la quale ha annullato con rinvio la decisione impugnata e ha rimesso al giudice di merito la quantificazione della pena, alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 84 del 2024, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 628, cod. pen., nella parte in cui non prevede che la pena è diminuita in misura non eccedente un terzo nel caso in cui, per la natura, la specie, i mezzi, le modalità circostanze dell'azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità. Nella medesima direzione, con riguardo al reato di estorsione, si è pronunciata Sez. 2, n. 4365 del 15/12/2023, dep. 2024, C., Rv. 285862 - 01, che ha annullato con rinvio la decisione impugnata e ha rimesso al giudice di merito la quantificazione della pena, in ragione della sopravvenuta declaratoria d'incostituzionalità dell'art. 629 cod. pen., nella parte in cui non è previsto che la sanzione comminata è diminuita in misura non eccedente un terzo quando, per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell'azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità ai sensi dell'art. 311 cod. pen.
E diverse altre pronunce hanno affermato il principio della rilevabilità di ufficio, nel giudizio di cassazione, anche in caso di inammissibilità del ricorso, della nullità sopravvenuta della sentenza impugnata nel punto relativo alla determinazione del trattamento sanzionatorio in conseguenza della dichiarazione di illegittimità costituzionale di una norma attinente alla determinazione della pena, sebbene non implicante il mancato riconoscimento di una circostanza attenuante (cfr. ad esempio, Sez. 6, n. 13878 del 05/03/2014, El Abbas, Rv. 259354 - 01, e Sez. 6, n. 21982 del 16/05/2013, Ingordini, Rv. 255674 - 01).
4.2. Ciò posto, però, ad avviso del Collegio, l'annullamento con rinvio della decisione impugnata, al fine di far verificare al giudice di merito se sussistano i presupposti per l'applicabilità dell'attenuante della minore gravità del fatto, non può ritenersi un effetto automatico della sopravvenienza della dichiarazione di illegittimità costituzionale dopo la pronuncia della sentenza di appello.
Invero, per evidenti ragioni di economia processual alla Corte di legittimità non è precluso valutare se i fatti, per come ricostruiti nella sentenza impugnata, e in considerazione delle deduzioni delle parti, siano, secondo una valutazione di immediata evidenza (o, per così dire, ictu oculi), tali da escludere la configurabilità della circostanza attenuante della minore gravità del fatto.
In particolare, una conferma di questo assunto sembra rinvenibile nell'elaborazione della giurisprudenza delle Sezioni Unite, che non preclude in assoluto, nel giudizio di legittimità, l'apprezzamento dei fatti acquisiti nel corso del giudizio di merito.
A tal proposito, appare utile richiamare Sez. U, n. 3464 del 30/11/2017, dep. 2018, Matrone, Rv. 271831 - 01, la :uale, occupandosi del significato della disposizione di cui all'art. 620, comma 1, lett. /), doc. proc. pen., come sostituita dall'art. 1, comma 67, legge 23 giugno 2017, n. 103, ha precisato che la Corte di cassazione pronuncia sentenza di annullamento senza rinvio se ritiene superfluo il rinvio e se, anche all'esito di valutazioni discrezionali, può decidere la causa alla stregua degli elementi di fatto già accertati o sulla base delle statuizioni adottate dal giudice di merito, non risultando necessari ulteriori accertamenti. E non va trascurato che, in precedenza, Sez. U, n. 45276 del 30/10/2003, Andreotti, Rv. 226100 - 01, aveva affermato che, nel giudizio di cassazione, l'annullamento della sentenza di condanna va disposto senza rinvio allorché un eventuale giudizio di rinvio, per la natura indiziaria del processo e per la puntuale e completa disamina del materiale acquisito e utilizzato nei pregressi giudizi di merito, non potrebbe in alcun modo colmare la situazione di vuoto probatorio storicamente accertata.
4.3. Nella specie, comunque, la prospettazione della questione dell'applicazione dell'attenuante della minore gravità del fatto ai reati cui all'art. 600-ter, primo comma, n. 1, cod. pen., impone l'annullamento .lieIIZll rinvio della sentenza impugnata con riferimento alla condotta di cui al capo B.
Invero, il fatto in questione, per come descritto nella sentenza impugnata, e salvo diversi approfondimenti istruttori, appare estraneo «a quei profili di particolare allarme sociale - ovverosia la riconducibilità del fatto, o anche solo la sua mera contiguità, al circuito della diffusione di immagini o video pedopornografici e, a maggior ragione, al relativo mercato - che hanno indotto il legislatore a stabilire per questo titolo di reato un minimo edittale di notevole asprezza e, più in generale, a colpire qualsiasi condotta comunque idonea ad alimentare l'offerta di pornografia minorile destinata al relativo mercato, mercato che è all'origine dello sfruttamento sessuale dei minori» (cfr., specificamente, Corte cast., sent. n. 91 del 2024, § 10).
Lo stesso, quindi, non può ritenersi caratterizzato da elementi i quali siano tali da indurre ad escludere, secondo una valutazione di immediata evidenza, la configurabilità della circostanza attenuante della minore gravità del fatto.
4.4. Deve inoltre pronunciarsi annullamento di ufficio in relazione alla mancata applicazione della circostanza attenuante della minore gravità del fatto con riguardo alla condotta di cui al capo B1, pur tenendo conto della precisazione indicata sopra nel § 4.2.
È utile premettere che, anche con riguardo al capo B1, il rapporto processuale
risulta ancora "aperto", in ragione dei motivi proposti in ordine alla configurabilità del fatto ed alla sua qualificazione, e contenenti censure in parte infondate ma non inammissibili (il riferimento è alle censure enunciate nel primo motivo del ricorso). Di conseguenza, l'eventuale formazione del giudicato all'esito di questo giudizio, quindi in data successiva renderebbe estremamente alla dichiarazione di illegittimità costituzionale,
problema dell’inammissibilità successiva richiesta al giudice dell'esecuzione diretta ad ottenere l'applicazione dell'attenuante in esame.
Ciò posto, deve rilevarsi che anche il fatto di cui al capo B1, in particolare per l'assenza di dati da cui inferire la destinazione del materiale pedopornografico prodotto a terzi, e salvo eventuali diversi approfondimenti istruttori, non può dirsi caratterizzato da elementi tali da escludere, secondo una valutazione di immediata evidenza, la configurabilità della circostanza attenuante della minore gravità del fatto, sicché risulta necessaria utazione sul punto del giudice di merito.
5. Infondate sono le censure proposte con il quarto e il quinto motivo, da esaminare congiuntamente, perché strettamente connessi, i quali contestano la configurabilità del tentativo di diffusione di materiale pedopornografico con riguardo al fatto di cui al capo D, deducendo, in particolare, l'assenza di atti univocamente diretti a commettere il reato, per l'impossibilità di verificare il contenuto dei link rinvenuti.
5.1. In linea generale, con riguardo alla configurabilità del tentativo, occorre rilevare che, secondo l'orientamento ampiamente prevalente della giurisprudenza, non è necessario il compimento di atti esecutivi.
Si è infatti ripetutamente affermato, pure assai di recente, che, in tema di delitto tentato, anche gli atti preparatori possono integrare gli estremi del tentativo punibile, purché univoci, ossia rivelatori, per il contesto nel quale si inseriscono e per la loro natura ed essenza, secondo le norme di esperienza e l'id quod plerumque accidit, del fine perseguito dall'agente (così, per tutte, Sez. 6, n. 467696 del 18/10/2023, Marzano, Rv. 285566 - 01, e Sez. 1, n. 37091 del 19/07/2023, Caminiti, Rv. 285282 - 01).
5.2. La sentenza impugnata, conformemente a quella di primo grado, ha ravvisato la sussistenza del tentativo del delitto di cui all'art. 600-ter, terzo comma, cod. pen., in relazione alla condotta descritta nel capo D.
A tal fine ha valorizzato, una pluralità di elementi. In primo luogo, ha evidenziato che l'attuale ricorrente accedeva, a pagamento, al programma di messaggistica Telegram con l'opzione della cancellazione automatica del contenuto della chat sia per il mittente che per il ricevente, ed era iscritto ad un forum con numerosi utenti, tutti con nickname indicativi di interessi per contenuti pedopornograficì. Ha poi rilevato che, per interagire su tale chat, l'imputato utilizzava tre profili anonimi recanti nickname evocativi, quali "pedopornografico", "incursore pedo" e "rompipedo". Ha inoltre rappresentato che, nello "spazio di archiviazione Mega" dello smartphone dell'attuale ricorrente, deteneva 292.068 file contenenti foto e video di carattere pornografico, di cui oltre 26.000 di carattere specificamente pedopornografico, ospitati in forza di abbonamento rinnovato ripetutamente dal 10 luglio 2020 e fino al 2 settembre 2021, relativo al diritto a 2.000 Gb di spazio di archiviazione, nonché alla disponibilità di «strumenti ottimizzati per il trasferimento e la condivisione di grossi volumi di dati». Ha quindi segnalato che, nella sezione "Link" dello spazio Mega, l'imputato disponeva sei collegamenti ipertestuali accessibili senza username e password, nei quali era archiviato materiale pedopornografico. Ancora, ha osservato che l'attuale ricorrente, invitato a fornire spiegazioni, si è limitato a dire di aver intrattenuto una chat con sé stesso.
Sulla base di questi elementi, la sentenza impugnata ha concluso che la condotta dell'imputato di selezione ed archiviazione nei sei link Mega di materiale pedopornografico, unitamente alla sua partecipazione a chat cui aderivano migliaia di utenti con nickname indicativi di interessi per contenuti pedopornografici, costituisce condotta idonea a diffondere il materiale illecito di cui disponeva.
5.3. Le conclusioni della sentenza impugnata, nella parte in cui affermano la sussistenza del tentativo di reato di cui all'art. 600-ter, terzo comma, cod. pen. con riguardo ai fatti di cui all'imputazione sub D, sono immuni da vizi.
Invero, rispetto alla commissione del reato di diffusione di materiale pedopornografico, legittimamente sono stati ritenuti univoci, ossia rivelatori, per il contesto nel quale si inseriscono e per la loro natura ed essenza, secondo le norme di esperienza e l'id quod plerumque accidit, del fine perseguito dall'agente, gli atti dell'imputato di selezione ed archiviazione nei sei link Mega di materiale pedopornografico.
Ed infatti, l'inserimento di materiale elettronico in link Mega è in sé fatto indicativo di una condotta diretta allo scambio di contenuti, perché Mega, secondo quanto risulta anche dalle fonti aperte presenti su internet, è un sito web di file hosting e di file-sharing internazionale, e perché, nella specie, da un lato, i link Mega rinvenuti nello smartphone dell'imputato, oltre a contenere copioso materiale pedopornografico, erano accessibili senza username e password, e, sotto altro profilo, l'attuale ricorrente, sempre nel medesimo dispositivo, aveva la disponibilità di «strumenti ottimizzati per il trasferimento e la condivisione di grossi volumi di dati». Inoltre, quanto al contesto, l'imputato: a) partecipava a chat cui aderivano migliaia di utenti con nickname indicativi di interessi per contenuti pedopornografici; b) accedeva al programma di messaggistica Telegram con l'opzione della cancellazione automatica del contenuto della chat sia per il mittente che per il ricevente; c) utilizzava, per questi accessi, tre profili anonimi recanti nickname evocativi, quali "pedopornografico", "incursore pedo" e "rompipedo".
Le specifiche modalità della condotta di cui al capo D, inoltre, danno ragione dei differenti esiti di giudizio in relazione a questa contestazione rispetto a quella di cui al capo C. Precisamente, come indicato nella sentenza di primo grado, e riportato dalla Corte d'appello a pag. 14, la condotta per la quale è stata pronunciata assoluzione, quella contest;:a al capo C, shot presenti nel telefono Samsung, ma non vi è traccia dell'inserimento degli stessi in un link Mega.
6. Fondate sono le censure evidenziate nel sesto motivo, che contestano la commisurazione degli aumenti di pena per i reati-satellite di cui ai capi A, Al e D, deducendo che, per gli aumenti relativi alle prime due imputazioni, nonostante le espresse doglianze formulate nell'atto di gravame, nulla è stato indicato, mentre, per gli aumenti relativi all'ultima imputazione, risulta evidente la sproporzione rispetto a quanto disposto con riguardo al capo B.
Per quanto concerne gli aumenti di pena apportati per i capi A e Al, concernenti la detenzione di materiale pedopornografico per una ingente quantità, è sufficiente rilevare che la sentenza impugnata dà espressamente atto degli specifici motivi di censura contenuti nell'atto di gravame (cfr. pag. 19 della sentenza impugnata), ma poi nulla espone per rispondere agli stessi.
Per quanto concerne l'aumento di pena apportato per il capo D, le censure evidenziano una obiettiva lacuna della motivazione. Invero, l'aumento di pena per il reato di cui al capo D è stato fissato in sei mesi di reclusione e 4.000,00 euro di multa, mentre quello per il reato di cui al capo B è stato determinato in cinque mesi di reclusione e 4.000,00 euro di multa, sebbene per il reato di cui agli artt. 56, primo comma, e 600-ter, terzo comma, cod. pen. siano previste pene notevolmente inferiori nel minimo e nel massimo rispetto a quelle fissate per il delitto di cui all'art. 600-ter, primo comma, cod. pen. E la sentenza impugnata non indica le ragioni per le quali, in concreto, l'aumento di pena per il reato di cui al capo D deve essere più severo di quello apportato per il reato di cui al capo B.
7. In conclusione, la sentenza impugnata deve essere in parte annullata con rinvio per nuovo giudizio, con riguardo sia all'applicabilità della circostanza attenuante della minore gravità del fatto con riguardo ai reati di cui ai capi Be B1, sia alla misura degli aumenti di pena da apportare per i reati-satellite di cui ai capi A, Al e D. Nel resto, invece, il ricorso deve essere rigettJ=>per la complessiva infondatezza delle ulteriori censure, con conseguente irrevocabilità del giudizio di responsabilità in ordine alla responsabilità penale dell'imputato per i reati di cui ai capi A, Al, B, B1 e D.
Il Giudice del rinvio, che si individua in altra Sezione della Corte d'appello di Brescia, quindi, accerterà:
a) se, ferma restando la pena-base, siano da riconoscere all'imputato, con riguardo ai reati di cui ai capi B1 e B, le circostanze attenuanti della minore gravità del fatto. A tal fine, così come indicato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 91 del 2024, il Giudice del rinvio, eventualmente anche all'esito dello svolgimento dell'attività istruttoria da esso ritenuta necessaria, potenzialmente rilevanti per una valutazione globale del fatto, tra i quali le modalità esecutive e l'oggetto delle immagini pedopornografiche, le condizioni fisiche e psicologiche della vittima, l'età di questa e' la differenza di età con il reo, nonché l'estraneità o la contiguità della condotta al circuito della diffusione di immagini e video pedopornografici;
b) quale sia l'entità degli aumenti di pena da apportare per i reati di cui ai capi A, Al e D, dandone computa motivazione, ed evitando di incorrere nei vizi indicati in precedenza nel § 6.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra Sezione della Corte di appello di Brescia. Rigetta il ricorso nel resto. In caso di diffusione del presente provvedimento, si omettano le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 del d.lgs. n. 196 del 2003.