«Ne consegue che se il Paese membro nel quale lo straniero, ivi trasferitosi, abbia presentato una nuova domanda di protezione internazionale, successivamente al rigetto di una prima domanda proposta in Italia, non invia alcuna richiesta, ex art.23 del Reg. Dublino III, all'Italia di «ripresa in carico», anzi accetta la «ripresa in carico» richiesta dall'Italia, a fronte della presentazione di una nuova domanda di protezione internazionale, ex art.18 Reg. UE n. 604/2013, tale Stato assume la competenza sulla domanda di asilo e non è nullo il decreto di trasferimento adottato dall'Unità di Dublino».
Un cittadino del Pakistan propone ricorso avverso il provvedimento con il quale il Ministero dell'Interno – Dipartimento per l'Immigrazione aveva disposto il suo trasferimento in Francia, Paese in cui lo straniero risultava avere già presentato (nel 2019) una precedente domanda di protezione internazionale, come risultante dal sistema Eurodac,...
Svolgimento del processo
Il Tribunale di Torino, con decreto n. cronol. 8126/2022 pubblicato il 21/10/2022, ha respinto il ricorso di K.A., cittadino del Pakistan, avverso provvedimento del 5/11/2021, con il quale il Ministero dell’Interno-Dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione – Direzione Centrale dei servizi Civili per l’Immigrazione e l’Asilo-Unità di Dublino ha disposto, ex art.18.1.b. del Regolamento UE n. 604/2013, Reg.Dublino III, il suo trasferimento in Francia, Paese in cui lo straniero risultava avere già presentato (nel 2019) una precedente domanda di protezione internazionale, come risultante dal sistema Eurodac, e che aveva comunicato di accettare la richiesta di «ripresa in carico».
In particolare, i giudici hanno rilevato, quanto al motivo concernente la violazione degli obblighi informativi prescritti dagli artt.4 e 5 del Reg. UE n. 604/2013, che il motivo di doglianza era infondato, avendo il ricorrente sottoscritto due diverse dichiarazioni, nel 2021 e nel 2022, dando atto di avere ricevuto l’opuscolo informativo prescritto dall’art.4 del Regolamento Dublino III, con conseguente dimostrazione dell’assolvimento degli obblighi informativi; peraltro, il ricorso difettava anche di specificità sul punto, dovendo il ricorrente precisare quali erano gli effetti negativi del mancato assolvimento di tale obbligo rispetto alla finalità perseguita dal legislatore UE; infondata anche la censura sul mancato rispetto del termine di cui all’art.23 del Reg.604/2013, avendo l’amministrazione documentato «il rispetto del termine di legge;» infondate erano le altre censure, non essendo ravvisabile per il ricorrente dalla decisione di trasferimento in Francia un rischio reale di subire in detto Stato membro trattamenti inumani o degradanti, né essendo ravvisabile un rischio di violazione del principio di non refoulement (vale a dire di rimpatrio in Pakistan), una volta esclusa l’esistenza di carenze sistemiche nella procedura di asilo dello Stato membro competente .
Avverso la suddetta pronuncia K.A. propone ricorso per cassazione, notificato il 21/11/2022, affidato a unico motivo, nei confronti del Ministero dell’Interno (che non svolge difese ).
Motivi della decisione
1. Il ricorrente lamenta, con unico motivo, ex art.360 n. 4 c.p.c., la violazione dell’art.112 c.p.c., per avere il Tribunale omesso di esaminare il motivo di ricorso sub capo IV con il quale di deduceva l’insussistenza dei presupposti per l’adozione del decreto di trasferimento ai sensi del Reg. 604/2013, perché lo stesso ricorrente aveva già presentato, nel 2016, una domanda di protezione internazionale in Italia, respinta dalla Commissione territoriale di Novara con provvedimento notificato nel 2017, avverso il quale era stato proposto ricorso giurisdizionale, respinto dal Tribunale di Torino con provvedimento del giugno 2018; di conseguenza, si era eccepito che l’Italia e non la Francia rappresentava il primo Paese membro nel quale il ricorrente aveva presentato domanda di protezione internazionale.
2. La censura è infondata.
Risulta documentata la proposizione in sede di originario ricorso di uno specifico motivo di doglianza sulla insussistenza dei presupposti per l’adozione di un provvedimento di trasferimento ai sensi del Regolamento Dublino III.
L’Amministrazione, costituendosi, aveva contestato anche tale motivo rilevando che il ricorrente, dopo avere presentato una domanda di protezione internazionale in Italia nel 2016, si era trasferito in Francia , dove aveva presentato una nuova istanza nel giugno 2019, ma, nel caso di specie, la Francia dopo avere ricevuto tale domanda non aveva inviato alcuna richiesta, ex art.23 del Reg., all’Italia di «ripresa in carico», così assumendo la competenza, tanto che, con nota del 5/10/2021, aveva accettato ex art.18 Reg. UE n. 604/2013.
Questa Corte (Cass. 3388/2005) ha da tempo chiarito che «Poichè il vizio di omessa pronuncia si concreta nel difetto del momento decisorio, per integrare detto vizio occorre che sia stato completamente omesso il provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto: il che si verifica quando decide su alcuni capi della domanda, che siano autonomamente apprezzabili, o sulle eccezioni proposte ovvero quando egli pronuncia solo nei confronti di alcune parti. Per contro, il mancato o insufficiente esame delle argomentazioni delle parti integra un vizio di natura diversa, relativo all'attività svolta dal giudice per supportare l'adozione del provvedimento, senza che possa ritenersi mancante il momento decisorio. Pertanto, non integra il vizio di omessa pronuncia la mancata confutazione, da parte del giudice che rigetta l'opposizione ad ordinanza - ingiunzione, dell'argomentazione svolta in uno dei motivi di opposizione, considerato, appunto, che il vizio di omessa pronuncia è escluso dalla pronuncia sull'accertamento della pretesa punitiva fatta valere dall'amministrazione nei confronti del destinatario dell'ordinanza - ingiunzione, detto accertamento rappresentando l'oggetto del giudizio di opposizione ad ordinanza - ingiunzione. Escluso il vizio di omessa pronuncia, il mancato esame di un motivo, da parte del giudice dell'opposizione, giustifica, peraltro, l'annullamento, da parte della Suprema Corte, della sentenza impugnata a condizione che le questioni di fatto, proposte con il motivo non esaminato, siano decisive ai fini dell'accertamento dei fatti sui quali si fonda la pretesa punitiva dell'amministrazione ovvero che, trattandosi di questioni in diritto, le stesse non siano infondate: nel primo caso dovendo essere denunciato un vizio di motivazione, nel secondo un vizio di violazione di legge. Tuttavia, quando il motivo non esaminato dal giudice dell'opposizione propone infondate questioni di diritto, lo iato esistente tra pronuncia di rigetto e mancato esame del motivo per cui l'annullamento è stato domandato deve essere colmato dalla Corte di Cassazione attraverso l'impiego del potere di correzione della motivazione (art. 384, secondo comma, cod. proc. civ.), integrando la decisione di rigetto pronunciata dal giudice dell'opposizione mediante l'enunciazione delle ragioni che la giustificano in diritto, senza necessità di rimettere al giudice di rinvio il compito di dichiarare infondato in diritto il motivo non esaminato» (conf. Cass. 8561/2006; Cass. 28663/2013, con riguardo alla mancanza di motivazione su questione di diritto e non di fatto; Cass. Sez.Un.2731/2017, sempre con riferimento al potere, in una lettura costituzionalmente orientata dell'art. 384 c.p.c., di correggere la motivazione anche a fronte di un "error in procedendo", quale la motivazione omessa, mediante l'enunciazione delle ragioni che giustificano in diritto la decisione assunta, anche quando si tratti dell'implicito rigetto della domanda perché erroneamente ritenuta assorbita, sempre che si tratti di questione che non richieda ulteriori accertamenti in fatto).
Orbene, la questione di diritto posta dal ricorrente con il motivo non espressamente esaminato dal Tribunale era comunque infondata.
Il Regolamento di Dublino III distingue, ai fini della determinazione dello stato competente sulla domanda di protezione internazionale , tra procedura di «presa in carico» e quella di «ripresa in carico».
La procedura di «presa in carico», disciplinata agli artt. 20 e 21 Reg. 2013, viene avviata quando lo Stato membro, che riceve una domanda di protezione internazionale, ritiene, in base ai criteri fissati dal Regolamento, che la competenza debba essere attribuita ad altro Stato membro.
Diversamente, nella procedura di «ripresa in carico», il presupposto è che il richiedente, che ha presentato una nuova domanda di protezione internazionale (art. 23 Reg. 2013) o che si trova in stato di irregolarità (art. 24, Reg. 2013) nello Stato che procede alla determinazione dello Stato competente, aveva già in precedenza presentato domanda di asilo in altro Stato membro, che l’ha accettata, e dove la domanda o è ancora pendente (art. 18, par. 1, lett. b) Reg. 2013), o è stata ritirata (art. 18, par. 1, lett. c) Reg. 2013) o si è conclusa con un diniego (art. 18, par. 1, lett. d) Reg. 2013).
In tale situazione, come ha affermato la Corte di giustizia nel caso HR (CGUE, 2 aprile 2019, Cause C-582/17 e C-583/17), «essendo già stata accertata la competenza per l’esame della domanda, non occorre procedere ad una nuova applicazione delle norme che disciplinano la procedura di determinazione di tale competenza, tra le quali carattere prioritario hanno i criteri stabiliti al capo III del medesimo Regolamento».
Di conseguenza, secondo la Corte, non è possibile in sede di impugnazione avverso il decreto di trasferimento, eccepire l’errata applicazione dei criteri del Regolamento, come effettuata in origine dal Paese della ripresa in carico, i criteri di collegamento di cui alla successiva analisi nel testo sono rilevanti nella procedura di presa in carico, dove appunto la questione relativa a quale sia il paese competente è controversa, mentre non lo sono in relazione alle procedure di ripresa in carico. Peraltro, vi sono delle ipotesi, legate essenzialmente al decorso dei termini per la presentazione della domanda di ripresa in carico o di quelli previsti per il trasferimento, o ancora considerazioni relative al rispetto dei diritti fondamentali o all’attivazione delle cd. clausole discrezionali, che possono condurre nella ripresa in carico a rimettere in discussione la determinazione dello Stato membro competente originariamente effettuata. Ciò non implica, però, la riapertura dell’esame dei criteri di collegamento di cui al capo III. In questi casi, la competenza si radicherà presso lo Stato che procede alla determinazione dello Stato competente.
Le regole dettate dagli artt. 23 e 24 del Regolamento Dublino, volte
a disciplinare la procedura di ripresa in carico, si applicano alle persone di cui all'articolo 20, paragrafo 5, o all'articolo 18, paragrafo 1, lettere da b) a d), del Regolamento stesso. L'articolo 23, paragrafo 1, e l'articolo 24, paragrafo 1, del Regolamento prevedono la facolta` di formulare una richiesta di «ripresa in carico» qualora lo Stato membro richiedente ritenga che un altro Stato membro sia «competente ai sensi dell'articolo 20, paragrafo 5, e dell'articolo 18, paragrafo 1, lettere [da] b) [a] d)», di tale regolamento, e non qualora ritenga che un altro Stato membro sia «competente per l'esame della domanda».
Va poi precisato che anche le procedure di ripresa in carico (come quelle di presa in carico) sono caratterizzate da scadenze e termini perentori, in quanto il Reg. 2013 ha previsto termini obbligatori anche per quanto riguarda la formulazione da parte dello Stato che procede alla determinazione della competenza della richiesta di ripresa in carico.
In particolare, nel caso in cui la persona interessata abbia presentato nello Stato richiedente una nuova domanda di protezione internazionale (art. 23, Reg. 2013), la richiesta di ripresa in carico deve essere formulata nel termine di due mesi, che decorrono dal riscontro sulla banca dati Eurodac del fatto che la persona ha già presentato una domanda di asilo in precedenza e che l’esame della stessa è in una delle situazioni descritte all’art. 18, par. 1, lett. b), c) o d) o all’art. 20, par. 5 del Reg. 2013. Se non vi è un riscontro positivo su Eurodac il termine è di tre mesi.
Il mancato rispetto dei termini per formulare la richiesta implica il radicamento della competenza sulla domanda nello Stato richiedente.
Nel caso in cui la persona interessata non abbia presentato nello Stato richiedente una nuova domanda di protezione internazionale (art. 24, Reg. 2013) e dunque essa si trovi in condizione di irregolarità, il termine per la richiesta di ripresa in carico è sempre di due mesi in caso di riscontro positivo su Eurodac. Il termine diventa di tre mesi laddove non vi sia riscontro positivo nella banca dati e decorre dal momento in cui lo Stato richiedente apprende che un altro Stato membro può essere competente per detta persona. Nel caso tale lasso di tempo trascorra senza che lo Stato richiedente abbia formulato richiesta di ripresa in carico, esso offre alla persona interessata la possibilità di presentare una nuova domanda.
Tanto nelle ipotesi di cui agli artt. 23 e 24 del Reg. 2013, l’art. 25 del Regolamento stabilisce che lo Stato richiesto ha, nel caso la richiesta di ripresa in carico si fondi su un riscontro Eurodac, due settimane di tempo per rispondere, che diventa un mese laddove la richiesta non si basi su Eurodac. La mancata risposta nel termine implica l’accettazione della richiesta di ripresa in carico.
È stato evidenziato in dottrina che ciascuna procedura di ripresa in carico ha una sua autonomia ed eventi successivi che possono incidere sul suo ordinario svolgimento (ad esempio causati da movimenti secondari del richiedente in uno Stato terzo o il rientro nello Stato richiedente dopo il trasferimento intervenuto nello Stato designato come competente) determinano la necessità di avviare nuovamente la procedura di ripresa in carico alla luce dei diversi presupposti, di fatto e di diritto, che si sono venuti a creare.
Nella sentenza Hasan (CGUE, sent. 25 gennaio 2018, causa C- 360/18), la Corte di Giustizia ha affrontato il caso di un cittadino di paese terzo il quale, dopo aver presentato la domanda di protezione internazionale in un primo Stato membro (nel caso di specie, Italia), era stato trasferito verso tale Stato membro a seguito del rigetto di una nuova domanda presentata presso un secondo Stato membro (Germania) ed è poi tornato, senza titolo di soggiorno, nel territorio di quest’ultimo. La Corte ha stabilito che, in una situazione del genere, lo Stato richiedente (la Germania) non poteva procedere a un ulteriore trasferimento senza che venisse prima avviata una nuova e distinta procedura di ripresa in carico, che dovra` basarsi sull’art. 24, anziché sull’art. 23 del Regolamento, come invece per la prima richiesta di ripresa in carico. Tale nuova richiesta di ripresa in carico deve essere inviata nel rispetto dei termini previsti dall’art. 24 che non possono iniziare a decorrere prima che lo Stato richiedente abbia avuto conoscenza del rientro della persona interessata nel proprio territorio. Il mancato rispetto di tale termine implica il radicamento della competenza sulla domanda presso lo Stato richiedente, sempre che la persona interessata abbia formulato richiesta di presentare una nuova domanda di protezione internazionale.
I termini per la presa e ripresa in carico – come del resto tutti gli altri termini previsti dal Regolamento, quali ad esempio, quelli legato alla procedura di trasferimento, ex art. 29 Reg. 2013 o alla cessazione della competenza ex art. 19 Reg. 2013 – sono da intendersi come perentori.
La Corte di giustizia ha stabilito che: «tali termini contribuiscono, in modo determinante, alla realizzazione dell’obiettivo di un rapido espletamento delle domande di protezione internazionale, enunciato al considerando 5 del Reg. 2013, garantendo che dette procedure siano attuate senza ritardi ingiustificati e attestano la particolare importanza attribuita da tale legislatore alla rapida determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale nonché il fatto che, tenuto conto della finalità di garantire un effettivo accesso alle procedure volte al riconoscimento della protezione internazionale e di non pregiudicare l’obiettivo di un rapido espletamento delle domande di protezione internazionale, occorre, secondo detto legislatore, che siffatte domande siano esaminate, se del caso, da uno Stato membro diverso da quello designato come competente in applicazione dei criteri di cui al capo III del Regolamento in parola» (CGUE, 13 novembre 2018, cause riunite C-47/17 e C-48/17, X e X, §§ 69 e 70).
Questa Corte (Cass.19518/2021) ha ritenuto che l'esercizio della facolta` di formulare una richiesta di ripresa in carico presuppone non che sia accertata la competenza dello Stato membro richiesto ad esaminare la domanda di protezione internazionale, ma che tale Stato membro soddisfi le condizioni previste all'articolo 20, paragrafo 5, o all'articolo 18, paragrafo 1, lettere da b) a d), del Regolamento stesso (cfr., in termini, Corte di Giustizia del 2 aprile 2019, nelle cause riunite C 582/17 e C 583/17, punti nn. 58-61) e che «un cittadino di un Paese terzo che abbia presentato una domanda di protezione internazionale in un primo Stato membro, abbia poi lasciato tale Stato membro ed abbia successivamente presentato una nuova domanda di protezione internazionale in un secondo Stato membro, non puo`, in linea di principio, invocare, nell'ambito di un ricorso proposto, ai sensi dell'articolo 27, paragrafo 1, di detto Regolamento, in tale secondo Stato membro avverso la decisione di trasferimento adottata nei suoi confronti, quei criteri di competenza (la suddetta pronuncia della Corte di Giustizia del 2 aprile 2019, nelle cause riunite C 582/17 e C 583/17, precisa, peraltro, che solo in via eccezionale, lo stesso puo` invocare il criterio di competenza di cui all'art. 9 del Regolamento, in una situazione coperta dall'articolo 20, paragrafo 5, del medesimo Regolamento, laddove il suddetto cittadino di un Paese terzo abbia trasmesso all'autorità competente dello Stato membro richiedente elementi che dimostrino in modo manifesto che quest'ultimo dovrebbe essere considerato lo Stato membro competente per l'esame della domanda in applicazione di detto criterio di competenza)».
L'articolo 18, paragrafo 1, lettere da b) a d), del Regolamento si riferisce ad una persona la quale, da un lato, ha presentato una domanda di protezione internazionale, che è in corso di esame, ha ritirato una siffatta domanda in corso di esame o ha visto la stessa respinta e, dall'altro, ha presentato una domanda in un altro Stato membro oppure si trova, senza titolo di soggiorno, nel territorio di un altro Stato membro.
Si è quindi già chiarito (Cass. 19518/2021) che alla stregua dell'articolo 23, paragrafo 3, del Regolamento (a tenore del quale «Se la richiesta di ripresa in carico non e` presentata entro i termini prescritti al paragrafo 2, la competenza per l'esame della domanda di protezione internazionale spetta allo Stato membro in cui la nuova domanda e` stata presentata»), lo Stato membro nel quale sia stata presentata una nuova domanda di protezione internazionale è competente per l'esame di quest'ultima qualora una richiesta di «ripresa in carico» non sia stata formulata da detto Stato membro entro i termini di cui all'articolo 23, paragrafo 2, di tale regolamento (secondo cui «Una richiesta di ripresa in carico e` presentata quanto prima e in ogni caso entro due mesi dal ricevimento della risposta pertinente Eurodac ai sensi dell'articolo 9, paragrafo 5, del regolamento (UE) n. 603/2013. Se la richiesta di ripresa in carico e` basata su prove diverse dai dati ottenuti dal sistema Eurodac, essa e` inviata allo Stato membro richiesto entro tre mesi dalla data di presentazione della domanda di protezione internazionale ai sensi dell'articolo 20, paragrafo 2»), pure se, da un lato, un altro Stato membro era competente per l'esame di domande di protezione internazionale presentate in precedenza e, dall'altro, alla scadenza dei suddetti termini era pendente dinanzi a un giudice di quest'ultimo Stato membro il ricorso proposto contro il rigetto di una di dette domande.
Nella specie, la Francia, Paese nel quale il ricorrente, ivi trasferitosi, aveva presentato una nuova domanda di protezione internazionale, nel 2019, successivamente al rigetto della domanda proposta in Italia nel 2016, come dedotto dall’amministrazione nel giudizio di merito, non aveva inviato alcuna richiesta, ex art.23 del Reg., all’Italia di ripresa in carico, così assumendo la competenza, tanto che, con nota del 5/10/2021, aveva accettato la ripresa in carico richiesta dall’Italia ex art.18 Reg. UE n. 604/2013.
Tali dati fattuali non sono contestati in ricorso.
Deve quindi affermarsi il seguente principio di diritto: «In forma del Regolamento di Dublino III, n. 604/2013, anche le procedure di ripresa in carico (come quelle di presa in carico), ex art.23 Reg. 2013 (laddove il richiedente abbia presentato una nuova domanda di protezione internazionale), sono caratterizzate da scadenze e termini perentori, in quanto il Regolamento ha previsto termini obbligatori anche per quanto riguarda la formulazione da parte dello Stato che procede alla determinazione della competenza della richiesta di ripresa in carico. Ne consegue che se il Paese membro nel quale lo straniero, ivi trasferitosi, abbia presentato una nuova domanda di protezione internazionale, successivamente al rigetto di una prima domanda proposta in Italia, non invia alcuna richiesta, ex art.23 del Reg. Dublino III, all’Italia di «ripresa in carico», anzi accetta la «ripresa in carico» richiesta dall’Italia, a fronte della presentazione di una nuova domanda di protezione internazionale, ex art.18 Reg. UE n. 604/2013, tale Stato assume la competenza sulla domanda di asilo e non è nullo il decreto di trasferimento adottato dall’Unità di Dublino».
3. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto.
Non v’è luogo a provvedere sulle spese processuali non avendo l’intimato svolto attivita` difensiva.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso.
Ai sensi dell’art.13, comma 1 quater del DPR 115/2002, da` atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, a norma del comma 1 bis dello stesso art.13.