Il TAR Lazio afferma la prevalenza del potere amministrativo di autotutela rispetto a situazioni penalmente rilevanti come quella oggetto del caso di specie.
Oggetto del presente giudizio è l'esercizio del potere amministrativo di autotutela dinanzi a condotte penalmente rilevanti tenute da pubblici dipendenti.
Nello specifico, la vicenda si inserisce nell'ambito di un procedimento penale che aveva visto una dipendente pubblica accusata di aver definito positivamente circa 100...
Svolgimento del processo
I. – Si controverte sulla legittimità del decreto del Presidente della Repubblica del 1° agosto 2022, con cui è stato annullato il precedente decreto del Presidente della Repubblica di concessione della cittadinanza, emesso in data 8 marzo 2016 nei confronti del ricorrente.
II. - A fondamento del provvedimento impugnato l’Amministrazione ha rappresentato che il decreto di concessione della cittadinanza, già emanato in favore del ricorrente, “è divenuto oggetto del procedimento penale presso il Tribunale di Roma (n. -OMISSIS- R.G.N.R. PM e n. -OMISSIS- R.G. Ufficio G.I.P.-G.U.P.), instaurato a seguito dell’indagine compiuta dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma, volta ad accertare l’avvenuta definizione favorevole, pur in presenza di gravi elementi ostativi, di circa 500 pratiche di concessione della cittadinanza, tra le quali risulta ricompresa anche quella dell’istante”. L’atto impugnato riferisce, inoltre, che da tale procedimento penale era stato stralciato un ulteriore procedimento, “il n. -OMISSIS-, definito con giudizio abbreviato con la sentenza n. 13711/2018 del Tribunale di Roma, che ha condannato una dipendente della Direzione centrale per la cittadinanza del Ministero dell’Interno per i reati di cui agli artt. 615 ter e 615 quater c.p., per aver definitivo positivamente, nonostante l’istruttoria fosse alterata, circa 100 istanze di cittadinanza, mediante accesso abusivo al sistema informatico e manipolazione dei dati dietro corrispettivo”; che la sentenza del Tribunale di Roma “è stata confermata in secondo grado, con la sentenza n. -OMISSIS- della Corte d’Appello di Roma, e in ultimo grado, a seguito della pronuncia della Corte di Cassazione nr. -OMISSIS-, diventando definitiva”; che “la medesima dipendente, coimputata, in associazione con altri soggetti, anche nel richiamato procedimento penale presso il Tribunale di Roma, di cui è oggetto il succitato d. P.R. di concessione, nell’ambito del più alto numero di pratiche di cittadinanza, è stata già nuovamente condannata, con sentenza ex art. 444 e 445 c.p.p. n. -OMISSIS- dell’11/05/2022 del G.U.P. presso il Tribunale Ordinario di Roma”.
Il provvedimento di concessione della cittadinanza, nei confronti dell’odierno ricorrente, sarebbe pertanto risultato “carente in via assoluta di istruttoria e non altrimenti sanabile, per via delle circostanze emerse in sede penale e non addebitabili all’Amministrazione”.
Nella motivazione dell’atto, inoltre, si dà conto della nota ministeriale, datata 22 dicembre 2021, con la quale, nei confronti dell’odierno ricorrente, è stata data comunicazione di avvio del procedimento di annullamento in autotutela, ai sensi degli artt. 7 e 10-bis della legge n. 241 del 1990, e si aggiunge che “non sono stati forniti nuovi elementi utili per una decisione favorevole”.
Si fa inoltre cenno all’asserita tempestività dell’azione della p.a., non potendo essere applicato il termine “ragionevole” di cui all’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990 allo specifico procedimento di concessione dello status di cittadino, e ciò “per incompatibilità con i valori fondamentali del nostro ordinamento costituzionale, secondo consolidata giurisprudenza”.
Sono, infine, spese ulteriori considerazioni atte a sostenere la sussistenza e la prevalenza dell’interesse pubblico, concreto e attuale, alla rimozione dell’atto di riconoscimento della cittadinanza, anche nel bilanciamento con il contrapposto interesse della parte privata, nel soddisfacimento dei criteri di proporzionalità e ragionevolezza.
III. – Il gravame è affidato ai seguenti motivi di censura, volti a dimostrare l’illegittimità del provvedimento di ritiro dello status impugnato e ottenerne l’annullamento:
I. Genericità del provvedimento di annullamento del decreto di cittadinanza ed assenza di elementi che giustifichino il decreto, carenza di motivazione, violazione dell’art. 97 della Costituzione e dei principi di legalità, imparzialità e buon andamento e di comportamento secondo buona fede.
Il Ministero non avrebbe provato, con esclusivo riferimento alla pratica del ricorrente, se e in che modo la procedura sia stata inficiata da una carenza assoluta di istruttoria e quali requisiti siano mancati ed in che modo vi fosse un collegamento con il procedimento penale.
II. Carenza di motivazione, violazione dell’art. 21 nonies, comma 1, della legge n. 241/1990, violazione dell’art. 6 della legge n. 124/2005 e del legittimo affidamento sul provvedimento di concessione della cittadinanza (essendo stato comunicato l’annullamento dopo oltre sei anni dalla concessione), eccesso di potere.
L’Amministrazione non avrebbe verificato la sussistenza di un interesse pubblico attuale e concreto alla rimozione del provvedimento, comparando tale interesse con l’entità del sacrificio imposto all’interesse privato, e comunque esercitare il potere di annullamento entro un termine ragionevole.
III. Violazione dell’art. 27, comma 1, della Costituzione, dell’art. 9 della legge n. 91/1992 e dell’art. 21 septies, comma 1, della legge n. 241/1990, violazione del diritto di difesa ed eccesso di potere per violazione del principio del giusto procedimento, difetto di istruttoria, sviamento, erroneità dei presupposti, ingiustizia manifesta e violazione dell’art. 6 in materia di autotutela amministrativa.
L’Amministrazione avrebbe dovuto precisare in motivazione, quanto era stato accertato con il procedimento penale, per poter consentire a parte ricorrente di difendersi sul punto, considerando che né il P.M. né il Giudice del procedimento penale hanno ritenuto che l’istante fosse in qualche modo responsabile di alcun reato, o avesse in alcun modo contribuito allo stesso.
IV. Eccesso di potere, carenza di motivazione e carenza di istruttoria per non avere l’amministrazione indicato né valutato la sussistenza dei requisiti richiesti per la concessione della cittadinanza, nonché violazione dell’art. 111 della Costituzione sul giusto processo, dell’art. 24 della Costituzione sul diritto di difesa, degli artt. 113 e 97 della Costituzione, dell’art. 41 CEDU, degli artt. 3, 4 e 21 octies della legge n. 241/1990, dell’art. 15, comma 1, della legge n. 183/2011 e dell’art. 9 della legge n. 91/1992.
L’Amministrazione avrebbe dovuto valutare se parte ricorrente avesse comunque titolo per l’ottenimento della cittadinanza, compiendo una duplice istruttoria: la prima per verificare se vi fossero le condizioni e i tempi per procedere all’annullamento d’ufficio; la seconda per verificare se, prescindendo dall’annullamento, vi fossero le condizioni per l’ottenimento della cittadinanza.
V. Violazione dell’art. 97 della Costituzione e degli artt. 1, 2, 3, 10 bis, 21 bis e 21 octies della legge n. 241/90, violazione degli artt. 6 e ss. della legge n. 91/1992, degli artt. 2, 3 E 21-bis della legge n. 241/90 ed eccesso di potere per violazione dei principii del tempus regit actum e del legittimo affidamento, carenza dei presupposti, sviamento di potere, ingiustizia manifesta, difetto di istruttoria e di motivazione.
Non risulta dal tenore del provvedimento quale sia la concreta ed attuale ragione alla rimozione, in quanto la cittadinanza è stata concessa nell’anno 2016, mentre la notifica dell’annullamento è del 2022, con ciò evidenziandosi l’assenza di un’attuale ragione alla rimozione. Né si indica quale sia la concreta ragione che porterebbe all’annullamento di un decreto dopo sei anni dalla concessione della cittadinanza.
IV. – Il Ministero dell’interno, costituito in giudizio per resistere al ricorso, ha versato in atti documenti e relazioni difensive, con cui ha contestato nel merito le censure ex adverso svolte e concluso per il rigetto della domanda di annullamento.
V. – All’udienza pubblica del 26 giugno 2024 la causa è stata trattenuta in decisione.
Motivi della decisione
I. - Il ricorso è infondato e va, pertanto, respinto.
II. - La vicenda oggetto del presente giudizio è nota alla giurisprudenza della Sezione, che su di essa si è già pronunciata con diversi precedenti.
Si tratta della vicenda che ha visto coinvolta una funzionaria infedele del Ministero dell’interno la quale, a seguito di un procedimento penale, è stata condannata per aver alterato, in ragione di indebiti accessi nelle rispettive procedure informatiche, un numero notevole di pratiche afferenti alla concessione della cittadinanza italiana in favore di richiedenti stranieri, nella maggior parte accomunati dalla provenienza dalla medesima area geografica e dal fatto che, dopo aver conseguito la cittadinanza, si sono trasferiti all’estero (quasi tutti nel Regno Unito). Le fondamentali circostanze di fatto della vicenda, che hanno orientato l’amministrazione all’esercizio del potere di autotutela, sono sufficientemente e adeguatamente descritte nella motivazione dell’atto gravato, nel quale si dà conto del procedimento penale stralciato dal filone principale, conclusosi con la condanna definitiva, dopo tre gradi di giudizio, nei confronti della funzionaria infedele; si dà altresì conto, degli ulteriori sviluppi che la vicenda ha fatto registrare, rappresentati dall’avvenuta condanna, in primo grado, della medesima funzionaria anche per le imputazioni di cui al filone principale, nell’ambito del quale risulta compresa la pratica di cittadinanza dell’odierno ricorrente.
Dagli atti versati in giudizio, in effetti emerge chiaramente – come si anticipava – che la pratica di cittadinanza dell’odierno ricorrente risulta compresa tra quelle inquinate dall’intervento illecito della funzionaria infedele.
In particolare, nella sentenza di patteggiamento datata 11 maggio 2022 emessa nei confronti della funzionaria infedele e del marito della stessa nonché nel decreto di rinvio a giudizio di tutti gli altri indagati la pratica del ricorrente, codice -OMISSIS-, è richiamata sia nell’elenco delle 486 pratiche alterate sotto la descrizione del capo di imputazione B) per il delitto ex artt. 110, 48 e 479 c.p., contestandosi qui, nei confronti di diversi soggetti, la “manipolazione del sistema informatico SICITT, in uso al Ministero dell’Interno, nonché la formazione di attestazioni false concernenti il reddito, requisito necessario per l’ottenimento della cittadinanza italiana”, sia nell’elenco delle 299 pratiche per le quali risultano essere state utilizzate abusivamente le credenziali del dirigente dell’area. Si tratta, in quest’ultimo caso, del capo di imputazione C) per il delitto ex artt. 81, capoverso, 615-ter, comma 1, comma 2, numero 1), e comma 3, e 615-quater c.p., concernente specificamente la persona della funzionaria infedele, la quale, “con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, dopo essersi abusivamente procurata le credenziali di accesso altrui, abusivamente si introduceva e si manteneva nel sistema informatico denominato SICITT del Ministero dell’Interno, sistema di interesse pubblico munito di misure di sicurezza, per manipolare i dati in esso contenuti e consentire a numerosi stranieri, sprovvisti dei requisiti necessari, di acquisire la cittadinanza italiana”. Inoltre, a conferma della carenza assoluta di istruttoria sottesa all’originario provvedimento concessorio, l’elenco delle irregolarità versato in atti dalla p.a. in data 10 giugno 2024 evidenzia che l’interessato ha conseguito lo status in presenza della carenza reddituale, infatti è risultato quanto segue: “parere contrario Prefettura di Roma per redditi – inserito aggiornamento redditi dall’istruttore”
Per tutte le pratiche contraffatte l’Amministrazione, assicuratasi del mantenimento della cittadinanza originaria in capo agli interessati, ha provveduto all’annullamento in autotutela del provvedimento di concessione e alla conseguente reiezione delle istanze originarie volte al rilascio della cittadinanza italiana, facendo salvi gli effetti dei provvedimenti annullati per i figli minori.
III. – Tanto premesso, è ora possibile esaminare i motivi di doglianza dedotti nell’atto introduttivo del giudizio.
Con l’odierno ricorso l’interessato in sostanza eccepisce che la motivazione del diniego è carente, che il procedimento penale indicato non lo coinvolge direttamente, che è stato violato il suo affidamento nel rilascio dello status, essendo stato il provvedimento di autotutela adottato, senza preavviso di rigetto e in carenza della rappresentazione delle sottese ragioni di pubblico interesse e in un tempo non ragionevole.
IV. - Appare opportuno esaminare preliminarmente la lamentata lesione delle garanzie procedimentali della parte.
La censura non è fondata.
In primo luogo, si rileva che l’Amministrazione ha comunicato all’interessato l’avvio del procedimento di annullamento con nota del 22 dicembre 2021, notificata dal Consolato Generale a Londra.
In ogni caso, il Collegio rileva l’inconsistenza in linea generale di simili censure ai sensi dell'art. 21-octies, comma 2, secondo periodo, della legge n. 241/1990, che in relazione all’ipotesi di omessa comunicazione di avvio del procedimento (e la nota ministeriale del 23 novembre 2021 indirizzata al ricorrente è proprio una comunicazione di avvio del procedimento per l’annullamento del decreto di concessione della cittadinanza precedentemente emanato in favore di questi) esclude il vizio di legittimità, ove emerga nel corso del giudizio che il contenuto dispositivo del provvedimento oggetto di gravame non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.
V. - In relazione alle residue doglianze, è possibile replicare ad esse in maniera congiunta attesa la stretta attinenza degli argomenti sottesi a ciascuno dei motivi di ricorso, fatta eccezione per la dedotta violazione dell’art. 21-nonies della legge n. 241/1990, di cui al secondo motivo di ricorso, su cui si tornerà infra.
Con i motivi di ricorso qui considerati, l’interessato in sostanza censura la motivazione del provvedimento di annullamento, in quanto carente ed erronea, deduce inoltre un difetto di istruttoria, visto che il procedimento penale indicato, su cui si fonda il ritiro, non lo coinvolge direttamente, asserisce di possedere i requisiti per l’acquisto della cittadinanza.
Il Collegio rileva l’infondatezza di simili censure per quanto di seguito precisato.
Le risultanze istruttorie tracciate in premessa, innanzi tutto, rendono la presunta estraneità del ricorrente al procedimento penale sotteso al provvedimento caducatorio impugnato non dirimente al fine dello scrutinio della legittimità dell’annullamento d’ufficio del precedente decreto di concessione della cittadinanza, vista la gravità del fatto, relativo a quello che è stato definito una sorta di “mercato” delle pratiche della cittadinanza, in relazione al quale è possibile presupporre l’esistenza di un accordo criminoso e il conseguente coinvolgimento di un gran numero di soggetti a vario titolo interessati e visto che la pratica del ricorrente è espressamente indicata nell’elenco di cui ai capi di imputazione e, conseguentemente, rientra tra quelle di cui alla relativa sentenza di patteggiamento dell’11 maggio 2022 sopra menzionata. Ne deriva, pertanto, che l’amministrazione, a fronte dell’acclarata manipolazione abusiva della pratica in oggetto affetta, dunque, da un grave e insanabile vizio di difetto di istruttoria, ha ragionevolmente avviato il procedimento di autotutela per disporre l’annullamento d’ufficio del precedente decreto concessorio (cfr. Cons. Stato, sez. III, 5 giugno 2023, n. 5508: “Circa l’asserita estraneità dell’interessato alla vicenda penale che ha coinvolto la dipendente infedele, è pur vero che il medesimo né risulta destinatario della sentenza del giudice penale confermata in tutti i gradi di giudizio, né d’altra parte ha mai assunto la posizione di indagato, né il suo ruolo nella consumazione dell’illecito è stato compiutamente definito dall’amministrazione.
Tuttavia, tali rilievi non sono idonei a scalfire il legame, rilevante ai fini della presente decisione, tra la genesi del provvedimento di concessione della cittadinanza all’appellante e la suddetta fattispecie criminosa e, in definitiva, a smentire l’incidenza dei reati accertati sull’adeguatezza del provvedimento in rapporto all’interesse pubblico che esso è fisiologicamente destinato a realizzare, in armonia e non in contrapposizione con quello del richiedente.”).
La recentissima sentenza del Consiglio di Stato, Sezione III, 9 maggio 2024, n. 4167 - pronunciata proprio in relazione ad una delle 500 pratiche relative al filone principale della vicenda penale richiamata – ha puntualizzato che: “L’elemento distintivo che connota la fattispecie qui di interesse - differenziandola in parte qua da quella esaminata nel 2023 - attiene al fatto che il quadro probatorio a supporto del vizio istruttorio si è nel frattempo irrobustito, essendo intervenuta anche la seconda sentenza di condanna (emessa nel 2022), in aggiunta alla prima pronunciata nell’ambito del procedimento stralcio”, confermando, ancora una volta, la validità dell’impostazione originaria, che sottolinea l’effetto viziante dell’intervento del funzionario infedele, attribuendo valenza dirimente al fatto che “la pratica è stata scelta e gestita al di fuori dei compiti assegnati alla dipendente sottoposta al giudizio penale, in quanto il relativo procedimento è stato attribuito, in base al numero identificativo, alla competenza esclusiva di un’area diversa rispetto a quella cui l’istruttrice era assegnata”.
Sulla base di analoghe considerazioni il Collegio deduce l’irrilevanza, ai fini della valutazione della correttezza dell’operato della p.a. nell’adozione del provvedimento di rimozione, anche dell’asserita sussistenza in capo al ricorrente di tutti i requisiti necessari al rilascio della cittadinanza. In proposito, il Consiglio di Stato, sez. III, nella citata sent. n. 5508/2023 ha chiarito: “Non meritevoli di accoglimento sono, inoltre, le argomentazioni difensive volte a sostenere che l’appellante presentava e presenta tutti i requisiti per l’ottenimento dello status civitatis, tant’è che la sua pratica sarebbe completa di tutti i necessari pareri favorevoli.
Tali rilievi difensivi appaiono irrilevanti, nella misura in cui, in ogni caso, la pratica dell’interessato è stata illecitamente trattata al di fuori dell’area di competenza della funzionaria infedele, che si è ingerita nella procedura di rilascio del decreto concessorio, utilizzando abusivamente le credenziali della Dirigente dell’area terza (con l’effetto finale di esautorare la stessa competenza dirigenziale), proprio allo scopo di accelerarne la trattazione e di assicurarne, comunque, il buon esito, nel perseguimento di un interesse di carattere esclusivamente privato.
In tale contesto, l’eventuale sussistenza dei pareri favorevoli e, in generale, dei requisiti previsti dalla normativa in materia di cittadinanza – che non potrebbe essere verificata recta via dal giudice amministrativo – non pare sufficiente ad emendare il provvedimento di concessione della cittadinanza da un vizio a monte e - come correttamente rilevato dal giudice di primo grado - intrinsecamente insanabile, alla luce dell’origine criminosa dell’atto stesso, peraltro giudizialmente accertata in modo definitivo”.
A ciò si aggiunga che nel caso di specie detta tesi difensiva sembra non trovare conferma neanche sul piano fattuale, visto che, come si evince dal summenzionato prospetto riepilogativo delle irregolarità riscontrate a carico dell’odierno istante, era stato emesso nel corso dell’iter procedimentale un parere contrario al rilascio dello status dalla Questura competente per mancanza del necessario requisito reddituale.
Nell’ambito del procedimento volto a valutare la meritevolezza dello status dell’odierno ricorrente, dunque la manipolazione tramite accesso abusivo al sistema informatico di gestione delle pratiche – secondo quanto si desume dallo stesso prospetto delle irregolarità, versato in atti a dimostrazione dell’assoluta carenza di istruttoria considerata dall’autorità procedente quale “motivo di illegittimità del provvedimento, non altrimenti sanabile, che ne consente l’annullamento d’ufficio” – è servita anche ad eludere la valutazione di elementi di controindicazione concretamente esistenti sul conto dell’istante.
In presenza di una concessione radicalmente illegittima del massimo status giuridico nazionale, solamente un contrarius actus può costituire valido rimedio (TAR Lazio, Sez. V-bis sent. 3170/2022; sez. I ter, sent. nr. 9069/2021) e nel caso di specie l’illegittimità è riconducibile ad un fatto costituente reato, in grado di mettere in pericolo al massimo grado quegli stessi interessi pubblici, presidiati dal complesso di controlli e verifiche rigorose che si impongono nell’esercizio del potere concessorio de quo.
VI. – Peraltro, richiamando i precedenti di questa Sezione (ex plurimis, Tar Lazio, Sez. V bis, sentenze nn. 1975; 2943; 2945; 3026 del 2022), si ricorda che alla base del provvedimento di cittadinanza vi è una valutazione altamente discrezionale del soggetto pubblico, che pone in essere un potere valutativo che si traduce in un apprezzamento di opportunità in ordine al definitivo inserimento dell'istante all'interno della comunità nazionale, apprezzamento influenzato e conformato dalla circostanza che al conferimento dello status civitatis è collegata una capacità giuridica speciale, propria del cittadino, che comporta non solo diritti - consistenti, sostanzialmente, oltre nel diritto di incolato, nei “diritti politici” di elettorato attivo e passivo (che consentono, mediante l’espressione del voto alle elezioni politiche, la partecipazione all’autodeterminazione della vita del Paese di cui si entra a far parte e la possibilità di assunzione di cariche pubbliche) - ma anche doveri nei confronti dello Stato-comunità, – consistente nel dovere di difenderla anche a costo della propria vita in caso di guerra (“il sacro dovere di difendere la Patria” sancito, a carico dei soli cittadini, dall’art. 52 della Costituzione), nonché, in tempo di pace, nell'adempimento dei “doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”, consistenti nell’apportare il proprio attivo contributo alla Comunità di cui entra a far parte (art. 2 e 53 Cost.).
A differenza dei normali procedimenti concessori, che esplicano i loro effetti esclusivamente sul piano di uno specifico rapporto Amministrazione/Amministrato, l’ammissione di un nuovo componente nell’elemento costitutivo dello Stato (Popolo), incide sul rapporto individuo/Stato-Comunità, con implicazioni d’ordine politico-amministrativo; si tratta, pertanto, di determinazioni che rappresentano un'esplicazione del potere sovrano dello Stato di ampliare il numero dei propri cittadini (vedi, da ultimo, Consiglio di Stato, sez. III, 7.1.2022 n. 104; cfr. Cons. Stato, AG, n. 9/1999; sez. IV n. 798/1999; n. 4460/2000; n. 195/2005; sez, I, n. 1796/2008; sez. VI, n. 3006/2011; Sez. III, n. 6374/2018; n. 1390/2019, n. 4121/2021; TAR Lazio, Sez. II quater, n. 10588 e 10590 del 2012; n. 3920/2013; 4199/2013).
È stato, sul punto, anche osservato che il provvedimento di concessione della cittadinanza refluisce nel novero degli atti di alta amministrazione, proprio perché sottende una valutazione di opportunità politico-amministrativa, caratterizzata da un altissimo grado di discrezionalità nella valutazione dei fatti accertati e acquisiti al procedimento: l'interesse dell'istante ad ottenere la cittadinanza deve necessariamente coniugarsi con l'interesse pubblico ad inserire lo stesso a pieno titolo nella comunità nazionale.
E se si considera il particolare atteggiarsi di siffatto interesse pubblico, avente natura “composita”, in quanto coevamente teso alla tutela della sicurezza, della stabilità economico-sociale, del rispetto dell’identità nazionale, è facile comprendere il significativo condizionamento che ne deriva sul piano dell’agere del soggetto alla cui cura lo stesso è affidato.
Nel caso all’esame del Collegio, la gravità della vicenda in questione, la presumibile esistenza di un pactum sceleris tra un gran numero di soggetti, la delicatezza degli interessi lesi – come questo Tribunale ha già avuto modo di affermare, in relazione a fattispecie analoghe di cui alle sentenze TAR Lazio, sez. I ter, nn. 9340/2020, n. 253/2022 e 524/2022; sez. V bis nn. 3618, 3844 e 17073 del 2022, nn. 3560, 3561 e 8195 del 2023 - rende ancor più comprensibile la particolare prudenza e cautela che ispira l'azione amministrativa nel settore in argomento, non potendosi comunque ammettere che l’incorporazione di un nuovo membro nella comunità nazionale avvenga secondo modalità o procedure criminose, in modo del tutto incompatibile con i valori fondamentali del nostro ordinamento costituzionale.
In proposito, il Consiglio di Stato, sez. III, con sentenza n. 4687 del 9 giugno 2022 ha affermato: «Invero, se il giudizio penale si appunta, in una dimensione eminentemente soggettiva, sulla condotta dell’autore del reato, in vista di una valutazione di riprovevolezza funzionale alla determinazione della sanzione criminale, il provvedimento viene in rilievo, quale possibile oggetto del potere di riesame, in una prospettiva di carattere squisitamente oggettivo, intesa a verificare se l’assetto regolatorio da esso determinato sia funzionale ad una corretta composizione degli interessi in gioco, secondo la gerarchia degli stessi così come definita dalla norma attributiva del potere e nel rispetto delle modalità di esercizio legislativamente definite: impostazione alla quale aderisce, del tutto condivisibilmente, anche l’Amministrazione appellata, osservando con il provvedimento impugnato che, per i fini in discorso, deve aversi “riguardo esclusivamente ai dati oggettivi relativi al provvedimento di concessione della cittadinanza”.
Non è quindi sufficiente, al fine di giustificare l’esercizio del potere di riesame, accertare che il provvedimento che ne costituisce oggetto sia stato lambito da una vicenda penalmente rilevante, dovendo piuttosto verificarsi se essa abbia determinato la deviazione del provvedimento dalla sua funzione tipica, connessa come si è detto all’oggettivo, quanto efficace ed imparziale, perseguimento dell’interesse pubblico cui esso è preordinato» (in termini Cons. Stato, sez. III, 5 giugno 2023, n. 5508, 28 dicembre 2022, n. 11485 e 9 maggio 2024, n. 4167 cit.).
D’altronde, come già affermato dalla Sezione, in ordine ad altre pratiche ricomprese nell’elenco di quelle che formano oggetto del procedimento penale principale (oggi conclusosi, come detto, con una sentenza di condanna in primo grado, secondo il rito del c.d. patteggiamento, nei confronti della funzionaria infedele e del coniuge), non può ragionevolmente porsi in discussione, proprio sulla base delle predette risultanze (e ciò, anche se, nel caso in esame, non sono stati spiegati tutti e tre i gradi di giudizio), il fatto che la funzionaria infedele abbia evocato a sé le pratiche di cittadinanza, attribuendo ai richiedenti lo status, nonostante non fossero in possesso dei requisiti, e/o che, comunque, abbia anticipato, in presenza o meno dei requisiti, i tempi di concessione dello stesso, con ingiustificata priorità rispetto ad altri richiedenti che si sono trovati per conseguenza “scavalcati”, in tal modo perpetrando un favoritismo in contrasto con i valori di uguaglianza che costituiscono principi fondamentali del nostro ordinamento giuridico (in tal senso, di recente, TAR Lazio, Roma, questa Sez. V bis, sentenze n. 2105 e n. 2106 del 2023).
VII. – Infine anche la censura di violazione dell’art. 21-nonies della legge n. 241/1990, di cui al secondo motivo di ricorso, non può avere positivo apprezzamento.
Al cospetto dell’accertamento in sede penale della vicenda, si è già diffusamente evidenziato che l’Amministrazione non aveva scelta, non potendosi ammettere la sanatoria di un procedimento la cui definizione ha costituito corrispettivo di un reato. E quanto appena statuito vale soprattutto a fronte della concessione dello status che è, come già diffusamente osservato, un provvedimento che consente al soggetto di entrare in una comunità, attraverso il rilascio di un beneficio tra i più rilevanti e duraturi previsti dall’ordinamento. Il rilascio della cittadinanza, al di fuori di un regolare procedimento, non può essere ammesso, pena la violazione dello stesso art. 97 Cost. evocato dal ricorrente, dei canoni di legalità dell’azione amministrativa e del giusto procedimento che deve contemperare in ambito amministrativo l’interesse pubblico con quello del privato.
Deve pertanto ribadirsi, in questa sede, l’orientamento già espresso dalla Sezione (cfr., di recente, ex plurimis, le sentenze n. 17073 del 2022, n. 3560, n. 3561 e 8195 del 2023) e confermato dal Consiglio di Stato con le richiamate sentenze nn. 4687 e 11485 del 2022 e n. 5508 del 2023, in ordine alla piena legittimità dell’atto di annullamento d’ufficio adottato dall’amministrazione resistente. Quest’ultima si è, infatti, trovata di fronte ad esiti illegalmente alterati delle varie pratiche di cittadinanza coinvolte – a causa della mancanza di una previa, rigorosa e limpida istruttoria procedimentale – e ha dovuto, conseguentemente, intervenire per porvi rimedio, sul presupposto che, in tale contesto, “la soluzione meglio idonea a realizzare il giusto contemperamento degli interessi contrapposti è quella consistente nell’“azzeramento” della vicenda procedimentale così radicalmente inficiata dalla menzionata condotta criminosa, trasferendo la tutela dell’interesse sostanziale del richiedente la concessione della cittadinanza al nuovo procedimento concessorio che dovesse essere instaurato a seguito dell’eventuale rinnovazione, da parte del medesimo, della relativa istanza” (da ultimo, Cons. Stato, sez. III, n. 5508/2023 e n. 4167/2024 citate).
Inoltre, impregiudicata l’idoneità delle argomentazioni sopra dispiegate ad integrare valide ragioni di pubblico interesse a sostegno del provvedimento di ritiro, ritiene non ravvisabile alcuna posizione di legittimo affidamento del soggetto - che ha conseguito lo status in ragione di un’operazione illecita, a cui hanno preso parte intermediari che hanno pagato un prezzo per la definizione della pratica - prevalente sulla necessità di ripristino della legalità.
L’interesse di parte ricorrente, da valutarsi nel necessario contemperamento in sede di autotutela, si giustappone all’imprescindibile e preminente esigenza di trasparenza e credibilità dell’azione amministrativa, nonché di salvaguardia dei principi di imparzialità e buona amministrazione di cui all’art. 97 della Costituzione - non a caso indicati come “vero cardine della vita amministrativa e quindi condizione dello svolgimento ordinato della vita sociale” (Corte Cost., sentenza n. 123 del 1968) - che hanno reso ineludibile l’intervento demolitorio sui procedimenti viziati.
Infine, questo Tribunale ha peraltro escluso la violazione dell’art. 21-nonies in esame anche in relazione al previsto rispetto di un termine ragionevole nell’esercizio del potere di autotutela, chiarendo che è da ritenere limitato alle ipotesi di ritiro di provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici: «Quanto al termine ragionevole di esercizio del potere - fissato nel massimo in diciotto mesi, nel testo all’epoca vigente dell’art. 21 - nonies della L. n. 241/1990 - il Collegio non può non rilevare che esso decorre “dal momento dell'adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici”. Si tratta quindi di un termine non applicabile alla concessione dello status di cittadino: e ciò non solo per una ragione testuale, consistente nel fatto che la disposizione fa riferimento ai provvedimenti autorizzatori o alla concessione di benefici meramente economici, ma proprio per una ragione sostanziale, non potendosi ammettere che l’incorporazione di un nuovo membro nella comunità nazionale, che eventualmente avvenga secondo modalità o procedure radicalmente anomale, possa consolidarsi col mero decorso del tempo, in modo del tutto incompatibile con i valori fondamentali del nostro ordinamento costituzionale. Se in linea di principio l’interesse pubblico non conosce scadenza, il limite temporale introdotto dall’art. 21 - nonies della L. n. 241/1990, che rappresenta l’esito di un bilanciamento di interessi effettuato dal legislatore “a monte” dei concreti procedimenti di autotutela, va interpretato in senso restrittivo: il che ne preclude l’applicazione oltre le ipotesi previste dal legislatore» (Tar Lazio, sez. I ter, n. 29 luglio 2021, n. 9069).
Si aggiunga, infine, che la recente sentenza del Consiglio di Stato, sez. III, n. 4167/2024 soprarichiamata ha ulteriormente precisato, con riguardo ai limiti temporale dell’annullamento d’ufficio, che «il decreto di concessione della cittadinanza non è riconducibile ai provvedimenti di “autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici” di cui all’art. 21-nonies L. n. 241/1990 - per i quali è previsto un rigido sbarramento temporale – e che, comunque, alla luce dello svolgimento della vicenda concreta, l’emanazione del provvedimento di secondo grado impugnato in prime cure è avvenuta entro un termine ragionevole, in quanto adottato a distanza di pochi mesi dalla sentenza emessa dal Tribunale di Roma in data 11 maggio 2022, che ha accertato, in primo grado, la complessa vicenda criminosa riguardante anche la pratica di cittadinanza dell’appellante e che, in definitiva, ha reso palese il grave deficit istruttorio idoneo a invalidare l’atto di concessione dello status civitatis».
Ne discende, pertanto, l’inesauribilità del potere amministrativo di autotutela, che nella fattispecie in esame non può essere assoggettato ad un rigido limite temporale preclusivo anche in ragione della notevole rilevanza dell’interesse pubblico connesso alla concessione dello status civitatis (vedi, tra tante T.A.R. Lazio, sez. V bis, n. 8186/2022).
VIII. - Alla luce di postulati sopra enucleati, la domanda caducatoria del d.P.R. di annullamento deve essere conclusivamente respinta, non potendosi ritenere l’atto impugnato affetto dai vizi di illegittimità dedotti dal ricorrente.
IX. – Le spese di lite possono tuttavia essere compensate, avuto riguardo alla natura e alla complessità del presente contenzioso.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Quinta Bis), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità del ricorrente.