
Svolgimento del processo
1. Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Pistoia – in funzione di giudice dell’esecuzione – ha revocato il beneficio della sospensione condizionale della pena, che era stato accordato a A.C. con sentenza ex art. 444 cod. proc. pen. del 25/01/2022, passata in giudicato il 21/02/2022, che le aveva applicato la pena di anni uno e mesi sei di reclusione, in relazione al delitto di cui all’art. 572 cod. pen., concedendole il beneficio della sospensione condizionale, subordinato alla partecipazione - entro il termine di un anno, decorrente dal passaggio in giudicato della pronuncia - a specifico percorso di recupero, da compiersi presso ente o associazione attivi nel settore della prevenzione e della assistenza psicologica, ai sensi dell’art. 165 cod. pen. Il provvedimento di revoca è basato sul rilievo del mancato completamento – da parte della condannata – del programma stabilito in relazione a soggetti maltrattanti, che era stato disposto nei confronti della stessa.
2. Ricorre per cassazione A.C., a mezzo dell’avv. F.M., deducendo violazione di legge con riferimento all’art. 165 cod. pen., nonché difetto di motivazione, in relazione alla revoca del suddetto beneficio.
La subordinazione della sospensione condizionale della pena, accordata alla ricorrente, allo svolgimento del corso indicato dal giudice per le indagini preliminari, non rientrava nell’ambito dell’accordo raggiunto ai sensi e per gli effetti dell’art. 444 cod. proc. pen., ma era stata disposta d’ufficio dallo stesso giudice. Questi avrebbe dovuto, invece, ratificare l’accordo come raggiunto fra le parti, ovvero disattenderlo in toto; ciò che non poteva fare, quindi, era modificarlo d’ufficio. Puntualizzata la natura illegittima di tale decisione, si deve aggiungere che – una volta organizzato un corso presso un CAM (Centro di ascolto uomini maltrattanti Onlus) dedicato anche a soggetti femminili – la ricorrente vi ha immediatamente aderito; qui l’operatore, dopo diverse sedute, ha rilevato la fragilità emotiva della A.C. e la conseguente impossibilità, per la stessa, di proseguire nell’espletamento del percorso di recupero, potendo ciò rappresentare addirittura un fattore di rischio a suo carico. A questo punto, la ricorrente ha partecipato ad un corso tenuto dalla propria psicoterapeuta, raggiungendo anche buoni risultati in fase di recupero. L’interruzione del corso presso il CAM, dunque, non è riconducibile alla negativa volontà dell’interessata, bensì ad una causa di forza maggiore.
Solo il 15/03/2024 – e dunque, oltre il periodo di tempo originariamente fissato, in relazione all’obbligo di prendere parte a un corso - il Giudice per le indagini preliminari ha stabilito la presa in carico della A.C., presso il Servizio di Salute Mentale (ciò una volta espletati gli approfondimenti ritenuti necessari, presso il servizio sociale del Comune di Lamporecchio, oltre che presso la SDS- Salute mentale, presso l’ULEPE e presso la Società della Salute Valdinievole); a questa tipologia di trattamento, però, la A.C. non ha ritenuto di partecipare, non ritenendo che esso potesse offrire le necessarie garanzie, in relazione alla propria salute mentale (il contatto con il suddetto Centro le induceva, anzi, uno stato di agitazione psicologica, in quanto ella lo ricollegava a un TSO che le era stato colà praticato in passato).
Tali aspetti risultano tralasciati, nel provvedimento impugnato, laddove non viene preso in considerazione il percorso puntualmente seguito dalla ricorrente e, successivamente, da questa interrotto per fatto incolpevole. Risulta illegittimo, allora, il provvedimento mediante il quale è stato disposto un secondo percorso, fuori dei termini temporali in origine fissati; non è in linea con il dettato normativo, inoltre, il provvedimento di revoca della sospensione condizionale della pena, che si rapporta solo al corso dell’ULEPE e non a quello condotto dal CAM.
3. Il Procuratore generale ha chiesto l’annullamento con rinvio, sull’assunto che la tipologia di trattamento cui viene ora sottoposta la ricorrente sia del tutto difforme, rispetto a quanto stabilito in sentenza.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è infondato.
2. Integrando brevemente quanto già sintetizzato in parte narrativa, può precisarsi come sia stata pronunciata sentenza ai sensi e per gli effetti dell’art. 444 cod. proc. pen., a carico della A.C., relativamente a contestazione ex art. 572 cod. pen.; tale sentenza ha accordato il beneficio della sospensione condizionale della pena, subordinandolo alla partecipazione ad opera dell’interessata – entro il periodo di un anno, decorrente dal passaggio in giudicato della sentenza - a specifico percorso di recupero, da tenersi presso ente o associazione, ai sensi dell’art. 165 cod. pen. E la A.C., infatti, ha regolarmente intrapreso la frequentazione di tale corso, in base al programma stabilito. L’iter volto al recupero si è però interrotto, una volta che erano trascorsi due mesi, per decisione unilaterale dell’ente, assunta a causa della manifestata “fragilità emotiva” della A.C. medesima; si è ritenuto, infatti, che la prosecuzione del percorso potesse risultare per lei rischiosa. Ciò fatto, la ricorrente è stata sottoposta a un tipo di percorso di recupero di diversa natura, nel senso che ne è stata disposta la presa in carico ad opera della Unità Funzionale complessa Salute Mentale. La A.C. ha però rifiutato di seguire tale nuova tipologia trattamentale; da ciò la revoca del beneficio della sospensione condizionale della pena, avversata con la presente impugnazione.
3. Pacifico è che si sia verificata una interruzione incolpevole del già iniziato programma, elemento che è univocamente evocativo dell’assenza di qualsivoglia profilo di indifferenza – ascrivibile all’interessata - verso l’impegno assunto.
3.1. In sentenza, però, era stato semplicemente indicato l’obbligo di partecipare – entro il termine di un anno dall’irrevocabilità della sentenza - “a specifico percorso di recupero presso ente o associazione”. Tale ampia e generica prescrizione palesava, dunque, l’assenza della precisa indicazione di uno specifico ente. Tale dato vale già a rendere inconferente l’argomento difensivo, incentrato sulla impropria verificazione di una modifica trattamentale in corso d’opera, derivante dalla sottoposizione dell’interessata a un percorso di recupero completamente diverso, rispetto a quello originariamente fissato.
3.2. Ferma tale prodromica precisazione, occorre poi richiamare il principio di diritto fissato da questa Corte (principio al quale questo Collegio intende dare continuità) in punto di sospensione condizionale della pena, subordinata alla partecipazione dell'imputato agli specifici percorsi di recupero di cui all'art. 165, comma quinto, cod. pen., per ricordare come la precisa definizione delle modalità attuative di espletamento, nonché i termini materiali, entro cui dovranno essere svolti tali percorsi di natura trattamentale, possano essere agevolmente demandati al giudice della esecuzione, laddove non ne risulti già una rigida specificazione in sentenza (così Sez. 6, n. 30147 del 03/05/2023, P., rv. 285046).
3.3. Tale sviluppo è esattamente conforme a quanto accaduto nel caso di specie, laddove:
- il giudice della cognizione aveva dettato l’obbligo di assoggettamento dell’interessata a un dato percorso rieducativo, fissandolo esclusivamente nelle linee generali;
- in sede esecutiva, sono state disposte le concrete modalità esecutive alle quali attenersi, rispetto a tale iter di recupero;
- il giudice dell’esecuzione, in seguito, preso atto della impossibilità di proseguire nel percorso di recupero originariamente fissato, è intervenuto a modificare il primo programma, proprio in quanto quest’ultimo era divenuto non più praticabile (e anzi, il nuovo trattamento, da svolgersi presso la Unità Funzionale Complessa Salute Mentale di Valdinievole costituisce l’esito di una articolata indagine, condotta in modo capillare, grazie all’ausilio di vari enti e volta a individuare il tipo di trattamento più idoneo, rispetto alla finalità di recupero della stabilità psichica della ricorrente).
3.4. Privo di pregio è l’ulteriore argomento difensivo, imperniato sul fatto che la A.C. si stesse autonomamente sottoponendo a un trattamento privato, asseritamente già esitato in senso favorevole, presso una psicoterapeuta di fiducia. E infatti, al giudice (della cognizione o dell’esecuzione) e non all’interessata, spetta la decisione circa la idoneità di un dato percorso trattamentale.
Trattasi di un concetto di valenza addirittura metagiuridica, che è stato comunque cristallizzato dalla giurisprudenza di legittimità; questa ha precisato, infatti, come l'obbligo di partecipazione ai percorsi trattamentali di cui all'art. 165, comma quinto, cod. pen., introdotto dall'art. 6, comma 1, legge 19 luglio 2019 n. 69, cui è subordinato il riconoscimento del beneficio de quo, in favore degli autori di reati di violenza domestica o di genere, presenti un contenuto special-preventivo estremamente peculiare, essendo finalizzato a scongiurare – grazie al recupero del soggetto e in virtù dell'ausilio di esperti – la possibilità di recidiva omogenea, per cui è da ritenersi legittimo il diniego del beneficio in caso di partecipazione a programmi di recupero delle dipendenze che appaiano sforniti dei necessari requisiti di specificità, nonché inidonei alla conquista della rieducazione dell’interessato (si veda Sez. 6, n. 39341 del 26/06/2023, T. rv. 285275).
3.5. Non vi è chi non rilevi, inoltre, come le ragioni poste a fondamento del rifiuto, opposto dalla A.C. alla nuova modalità trattamentale prescelta, presentino un connotato meramente avversativo; non è specificamente chiarito, infatti, per quale ragione si debba reputare inadeguato il percorso indicato, presso il Servizio di Salute Mentale. Il rifiuto costituisce, sostanzialmente, la mera espressione della incongrua volontà di operare - in piena autonomia e fuori dal controllo dell’A.G. – l’opzione circa il percorso ritenuto maggiormente idoneo; tanto ciò vero, che la ricorrente ha argomentato la propria indisponibilità affidandosi ad affermazioni di vaga significazione e di incerto contenuto, sostenendo cioè trattarsi di un corso inidoneo e costituente “un vero e proprio esperimento sulla sua salute” e, in tal modo, finendo per rendere privo di reale giustificazione l’opposto rifiuto a sottoporsi al trattamento fissato, in suo favore, dal giudice dell’esecuzione.
3.6. Pacifico è, infine, come la fissazione del termine di un anno in sentenza non fosse corredato da alcuna sanzione decadenziale, né potesse importare una revoca automatica in caso di mancato rispetto (viepiù venendo in rilievo, nella concreta fattispecie, un inadempimento di natura incolpevole).
3.7. Le valutazioni da compiere, nella materia specifica, devono essere il frutto di un adeguato bilanciamento, tra le esigenze pubbliche di tutela della sicurezza e il piano individuale, attinente alla tutela della salute e del rispetto della vita privata; tale comparazione, poi, deve muoversi nella prospettiva dell'art. 8 Cedu, che è come noto finalizzato ad apprestare adeguata difesa alla sfera individuale, rispetto a forme di ingerenza arbitraria dei pubblici poteri, con riferimento al diritto al rispetto della vita privata e familiare, oltre che del domicilio e della tutela della corrispondenza.
Secondo le coordinate teoriche desumibili da diversi arresti della giurisprudenza convenzionale, peraltro, l’art. 8 CEDU non si esaurisce nella imposizione, nei confronti degli Stati, di un limite verso possibili ingerenze (e quindi, nella predeterminazione di un obbligo di astensione a carico del potere pubblico, rispetto al compimento di determinate attività di carattere marcatamente intrusivo), ma comprende una serie di obblighi di tipo positivo, atti a rendere effettivo il rispetto della vita privata. La vastità del margine di apprezzamento riservato allo Stato, in sostanza, è direttamente proporzionale al singolo aspetto della vita privata che viene in rilievo. E quanto alla protezione da assicurare, più specificamente, alle vittime di violenze domestiche, la Corte EDU ha ripetutamente affermato la necessità che le misure adottate dai singoli Stati siano dotate di una particolare efficacia preventiva, che metta le persone esposte al riparo da possibili forme di aggressione fisica e morale [si vedano i principi enucleati da Corte EDU, Sez. 5, 22/03/2018, Wejten e altri contro Germania, da Corte EDU, Sez. 2, 24/04/2012, Kalucza contro Ungheria e da Corte EDU, Sez. 5, 12/06/2008, Bevacqua e S. contro Bulgaria).
3.8. In tale ottica, l’avversata decisione non può che essere vista come l’esito di un logico, equilibrato e coerente percorso di bilanciamento, operato dal giudice di merito; una saldezza che, infine, non viene minimamente disarticolata dalle deduzioni difensiva.
4. Alla luce delle considerazioni che precedono, si impone il rigetto del ricorso; segue ex lege la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali. Ricorrendone le condizioni, infine, deve essere disposta l’annotazione di cui all’art. 52, comma 1, del decreto legislativo 20 giugno 2003, n. 196, recante il “codice in materia di protezione dei dati personali”.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.