Svolgimento del processo
1. Il Tribunale di Reggio Calabria ha confermato l'ordinanza con cui è stata applicata la misura della custodia in carcere nei confronti di ritenuto gravemente indiziato dei reati ritenuto gravemente indiziato dei reati di cui agli artt. 74- 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (capi C)- C18)- C24)- C25)- C26)- C29).
Quanto al delitto associativo, l'indagato avrebbe collaborato nel trasporto della cocaina e nel ritrasferimento dei ricavi della vendita ai fornitori in Colombia e agli altri correi.
2. Ha proposto ricorso per cassazione l'indagato articolando sei motivi.
Vi è una articolata parte ricostruttiva della complessa indagine internazionale che ha visto coinvolti il Belgio, la Germania, la Francia e la Procura distrettuale di Reggio Calabria, autrice di una serie di Ordini di indagine europea, e si evidenziano, da una parte, una serie di questioni anche in fatto e, dall'altra, come la piattaforma indiziaria sia costituita esclusivamente dal contenuto delle comunicazioni contenute nella chat scambiate sulla piattaforma-.
2.1. Con il primo motivo si deduce violazione di legge processuale.
Sotto un primo profilo, si assume che, al momento della acquisizione delle chat dalla piattaforma, il termine di durata delle indagini preliminari era verosimilmente scaduto.
Sarebbe infatti errato l'assunto del Tribunale secondo cui la data di iscrizione della notizia di reato sarebbe quella del 3.3.2022 e non sarebbe condivisibile nemmeno l'ulteriore affermazione secondo cui il "nuovo" art. 335 quater cod. proc. pen. non sarebbe ratione temporis nella specie applicabile, atteso che, invece, la norma in questione avrebbe meramente positivizzato risalenti e garantistici orientamenti giurisprudenziali.
Si assume che: a) il riferimento alla data del 3.3.2022 non proverebbe alcunché in quanto il presente procedimento, con n. 3886/22 R.G.N.R., sarebbe derivato da quello avente n. 1589/2019 che, a sua volta, costituirebbe una gemmazione di altro procedimento, quello n. 7078/18 mod. 44; b) sarebbero inoltre errate sia l'affermazione secondo cui il procedimento n.1589/2019 non potrebbe subire discovery perché gravato da segreto d'ufficio, sia quella secondo cui il Tribunale non potrebbe compiere attività istruttoria.
Evidenzia il ricorrente come - sarebbe stato iscritto nel 2022 nonostante fosse da mesi indagabile e intercettato.
2.2. Con il secondo e il terzo motivo, che possono essere descritti contestualmente, si deduce violazione di legge processuale e vizio di motivazione.
Il tema attiene alle modalità di acquisizione delle chat, i cui esiti sarebbero riconducibili ad un'attività intercettiva e non, invece, come erroneamente sostenuto dal Tribunale, all'art. 234 bis cod. proc. pen.
2.3. Con il quarto motivo si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione; si deduce la inutilizzabilità probatoria delle captazioni compiute in maniera indiscriminata e massiva; il riferimento normativo corretto, si aggiunge, sarebbe all'art. 270 cod. proc. pen. e si evidenzia come la Francia non conosca uno strumento giuridico equivalente a quello previsto nell'ordinamento interno con la norma in questione: dunque, non si sarebbe potuta dare attuazione all'Ordine di indagine.
Si aggiunge: a) che l'autorità giudiziaria italiana non avrebbe in nessun caso disporre una intercettazione di una intera piattaforma telematica; b) che, nel caso di specie, vi sarebbe una evidente violazione del principio di corrispondenza e di proporzionalità; c) gli Ordine di indagine emessi il 21.9.2021 e il 3.3.2022 sarebbero incompatibili con la direttiva 2014/41 UE e, in particolare, con l'art. 6 par. 1 letta) e b).
2.4. Con il quinto motivo si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione.
Il tema attiene all'assunto secondo cui i trojian inoculati nei server di_, per effetto dei provvedimenti autorizzativi di Parigi, avrebbero dovuto assolvere all'unica funzione di acquisire le chiavi di cifratura conservate nei cripto telefonini: le chat in formato criptato sarebbero state intercettate da circa un anno e mezzo prima rispetto ai provvedimenti emessi dal Tribunale di Parigi, in esecuzione dei decreti del Tribunale di Lille.
In tale contesto sarebbe inconferente il riferimento da parte del Tribunale del riferimento alla prova atipica.
2.5. Con il sesto motivo si chiede di sollevare questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia.
3. Sono stati presentati motivi nuovi.
3.1. Con il primo motivo si deduce violazione di legge processuale e vizio di motivazione.
Si tratta di un motivo fondato su un presupposto fattuale e cioè che, a seguito della sentenza delle Sezioni unite - in attesa della quale la trattazione del presente procedimento era stata rinviata - e della necessità di verificare la possibile violazione dei diritti fondamentali, il ricorrente sarebbe venuto a conoscenza che, nell'ambito della udienza preliminare tenuta in un diverso procedimento penale pendente a Milano, il Pubblico Ministero avrebbe effettuato in quella sede una copiosa produzione documentale relativa alla attività di indagine condotta dall'Autorità Giudiziaria olandese nel quadro dell'attività investigativa comune allestita per conoscere il contenuto delle conversazioni intercettate.
Da detta produzione documentale sarebbero emersi una serie di ulteriori elementi tutti indicati nel motivo - comprovanti la complessità del procedimento di decriptazione, e, soprattutto, la lacunosità della discovery del presente processo e la perdurante indisponibilità di plurime informazioni rilevanti con conseguente violazione dei diritti fondamentali.
3.2. Con il secondo motivo aggiunto si deduce violazione di multiple disposizioni di legge.
Il tema attiene alla mancata possibilità di accedere al motore di ricerca - il cui utilizzo a fini investigativi è emerso in seguito, e sul quale sarebbero state "caricate" le conversazioni in chiaro, dopo, cioè la decriptazione.
3.3. Con il terzo motivo nuovo di ricorso si deduce violazione di plurime disposizioni di legge; il tema attiene alla violazione dell'art. 31 della direttiva 2014/41/Ue da parte dell'Autorità Giudiziaria francese, quanto alla informazione del compimento delle operazioni di intercettazione sul proprio territorio nazionale.
Detta inosservanza avrebbe impedito ai Giudici italiani di assentire alla prosecuzione alla prosecuzione delle intercettazioni.
Si aggiunge che il ricorrente, non avendo mi assunto in Francia la veste di indagato, non sarebbe legittimato ad adire il giudice francese per dedurre la inosservanza dell'art. 31 della Direttiva per denunciare la violazione dell'art. 100-8 del codice di procedura penale francese, presidiata dalla sanzione di "nullità degli esiti della attività captativa condotta" (così il ricorso).
Motivi della decisione
1. Il ricorso è nel complesso infondato.
2. È inammissibile il primo motivo di ricorso, non solo per la sua genericità, ma soprattutto perché, pur volendo ragionare con la difesa, esso è manifestamente infondato.
La disciplina in tema di accertamento della tempestività delle iscrizioni nel registro delle notizie di reato, oggi prevista dall'art. 335-quater cod. proc. pen., non si applica, a norma dell'art. 88-bis d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, così come inserito dall'art. 5- sexies d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199, ai procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore del 30 dicembre 2022 in 16, nonché in relazione alle notizie di reato delle quali il pubblico ministero ha già disposto l'iscrizione nel registro di cui all'art. 335 cod. proc. pen., nonché in relazione alle notizie di reato iscritte successivamente, quando ricorrono le condizioni previste dall'art. 12 cod. proc. pen. e, se si procede per taluno dei delitti indicati nell'art. 407, comma 2, cod. proc. pen., anche quando ricorrono le condizioni previste dall'art. 371, comma 2, lett. b) e c), cod. proc. pen.
Nella specie, secondo quanto rappresentato nell'ordinanza impugnata, e non confutato specificamente dalla difesa, la notizia di reato per la quale è stata emessa l'ordinanza cautelare è stata iscritta nei confronti del ricorrente i unico dei due attuali ricorrenti a sollevare la questione in sede di riesame, in data 3 marzo 2022, quindi in epoca di gran lunga anteriore a quella di entrata in vigore dell'art. 335-quater cod. proc. pen.
Non applicandosi la norma processuale sopravvenuta, il principio a cui deve farsi riferimento è quello per cui il termine di durata delle indagini preliminari decorre dalla data in cui il pubblico ministero ha iscritto, nel registro delle notizie di reato, il nome della persona cui il reato è attribuito, senza che al G.i.p. sia consentito stabilire una diversa decorrenza, sicché gli eventuali ritardi indebiti nella iscrizione, tanto della notizia di reato che del nome della persona cui il reato è attribuito, pur se abnormi, sono privi di conseguenze agli effetti di quanto previsto dall'art. 407, comma terzo, cod. proc. pen., fermi restando gli eventuali profili di responsabilità disciplinare o penale del magistrato del P.M. che abbia ritardato l'iscrizione (Sez. U., n. 40538 del 24/09/2009, Lattanzi, Rv. 244376).
3. Sono infondati gli altri motivi originari del ricorso, che possono essere valutati congiuntamente e alla luce dei principi di recente affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte, che si sono pronunciate in merito alle questioni di diritto sollevate dal ricorrente (Sez. U, n. 23756 del 29/02/2024, Giorgi; Sez. U, n. 23755 del 29/02/2024, Gjuzi).
Anche nei casi sottoposti alle Sezioni Unite il compendio indiziario posto alla base delle misure cautelari personali era costituito principalmente da elementi acquisiti tramite o.e.i. da parte dell'autorità giudiziaria italiana e segnatamente da comunicazioni scambiate su chat di gruppo mediante un sistema cifrato, e già a disposizione dell'autorità giudiziaria francese.
In primo luogo, le Sezioni Unite hanno chiarito che, trattandosi di prove già disponibili in Francia, tanto per la competenza ad emettere !'o.e.i. tanto per le condizioni di ammissibilità ed utilizzabilità delle prove così acquisite, occorre far riferimento al sistema di circolazione delle prove nel processo penale italiano.
Il pubblico ministero e, più in generale, la parte che vi ha interesse possono, nell'ordinamento italiano, chiedere ed ottenere la disponibilità di prove già formate in un procedimento penale al fine di produrle in un altro procedimento penale, senza necessità di alcuna autorizzazione preventiva da parte del giudice competente per quest'ultimo.
Ciò anche nel caso di prove, come le intercettazioni di conversazioni o di comunicazioni, per la cui formazione è indispensabile la preventiva autorizzazione del giudice competente.
Se non occorre la preventiva autorizzazione, sul piano generale resta invece impregiudicato il potere del giudice competente del procedimento penale ad quem di valutare se le prove così acquisite siano ammissibili e utilizzabili ai fini della decisione: in tal senso assumono rilievo le regole dettate dagli artt. 238, 270 cod. proc. pen. e 78 disp. att. cod. proc. pen.
Questo comporta dunque che anche gli atti oggetto dell'o.e.i. costituenti «prove già in possesso delle autorità competenti dello Stato di esecuzione» possono essere legittimamente richiesti e acquisiti dal pubblico ministero italiano senza la necessità di preventiva autorizzazione da parte del giudice del procedimento nel quale si vorrebbe utilizzarli.
Spetta invece al giudice nazionale, al quale il pubblico ministero presenterà le prove così acquisite di controllare, verificare se vi siano le condizioni per emettere l'o.e.i. e per utilizzarle nel processo italiano.
Le Sezioni Unite hanno poi affrontato la questione controversa della corretta qualificazione dell'atto trasmesso tramite l'o.e.i.; si tratta di una questione che anche il presente ricorso solleva.
In mancanza di certezze sul materiale acquisito all'estero - ovvero se lo stesso consisteva o meno in risultati di intercettazioni svolte in Francia - le Sezioni Unite hanno esaminato le possibili soluzioni prospettate dall'ordinanza impugnata e dalla difesa.
Nei casi sottoposti all'esame delle Sezioni Unite, le ordinanze impugnate - al pari della ordinanza relativa al presente ricorso - avevano ritenuto che le trascrizioni di queste chat costituissero "documenti informatici", acquisiti ex art. 234-bis cod. proc. pen.
Detta soluzione è stata esclusa dalle Sezioni Unite che hanno invece chiarito che l'art. 234-bis disciplina non un mezzo di prova, bensì una modalità di acquisizione di particolari tipologie di elementi di prova presenti all'estero, che viene attuata in via "diretta" dall'autorità giudiziaria italiana e prescinde da qualunque forma di collaborazione con le autorità dello Stato in cui tali dati sono custoditi (in altri termini sono dati informatici disponibili al pubblico e quindi "accessibili" - senza autorizzazione dello Stato territoriale - dall'autorità giudiziaria procedente).
Secondo le Sezioni Unite, potrebbe venire invece in considerazione la nozione di "prova documentale" ex art. 234 cod. pen., in quanto essa può ricomprendere anche le comunicazioni elettroniche, ancorché per alcune tipologie di documenti siano previste regole specifiche, come nel caso della tutela accordata dall'art. 15 Cost. alla corrispondenza (anche di tipo messaggistico, come precisato dalla Corte costituzionale), che tuttavia non richiede per la sua acquisizione processuale un provvedimento del giudice, ma solo un atto motivato dell'a.g.
Nel caso invece in cui gli atti acquisiti siano il risultato di intercettazioni già effettuate in via autonoma in Francia, le Sezioni Unite hanno ribadito che è sufficiente che il relativo o.e.i. sia emesso dal pubblico ministero, avendo questi lo stesso potere sul piano interno.
Mentre il parametro di riferimento nel sistema processuale nazionale per verificare l'esistenza delle condizioni di ammissibilità dell'o.e.i. e di utilizzabilità della prova è costituito dalla disciplina prevista dall'art. 270 cod. proc. pen.
Con la conseguenza che vengono in applicazione i seguenti corollari:
- i risultati delle intercettazioni possono essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli nei quali le operazioni sono state disposte solo se «risultino rilevanti ed indispensabili per l'accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l'arresto in flagranza»
- ai fini dell'utilizzabilità degli esiti di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni in procedimento diverso da quello nel quale esse furono disposte, non occorre la produzione del relativo decreto autorizzativo, in quanto l'art. 270 cod. proc. pen. prevede esclusivamente il deposito, presso l'autorità giudiziaria competente per il "diverso" procedimento, dei verbali e delle registrazioni delle intercettazioni medesime, né sono altrimenti previste sanzioni di inutilizzabilità (Sez. U, n. 45189 del 17/11/2004, Esposito, Rv. 229244 - 01, e Sez. 1, n. 49627 del 14/11/2023, Kasli Ramazan, Rv. 285579);
- grava sulla parte, che eccepisce l'invalidità o l'inutilizzabilità delle intercettazioni provenienti da altro procedimento, l'onere di allegare e provare il fatto dal quale dipende la patologia denunciata (Sez. U, n. 45189 del 17/11/2004, Esposito, Rv. 229245 - 01), e, quindi, nel caso di censura concernente il vizio di motivazione apparente, di produrre sia il decreto di autorizzazione emesso nel procedimento diverso, sia il documento al quale esso rinvia (Sez. U, n. 45189 del 17/11/2004, Esposito, Rv. 229246, nonché Sez. 1, n. 11168 del 18/02/2019, Caratelli, Rv. 274996);
- nel caso di acquisizione degli esiti di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni in procedimento diverso da quello nel quale siano state rilasciate le relative autorizzazioni, il controllo del giudice sulla legalità dell'ammissione e dell'esecuzione delle operazioni - di carattere meramente incidentale e, come tale, ininfluente nel procedimento a quo - riguarda esclusivamente la serietà e la specificità delle esigenze investigative, come individuate dal P.M. in relazione alla fattispecie criminosa ipotizzata, e non comporta alcuna valutazione di fondatezza, neanche sul piano indiziario, della ipotesi in questione (Sez. U, n. 45189 del 17/11/2004, Esposito, Rv. 229247);
- l'omesso deposito degli atti relativi, ivi compresi i nastri di registrazione, presso l'autorità competente per il diverso procedimento, non ne determina l'inutilizzabilità, in quanto detta sanzione non è prevista dall'art. 270 cod. proc. pen. e non rientra nel novero di quelle di cui all'art. 271 cod. proc. pen. aventi 6 carattere tassativo (così ex plurimis: Sez. 5, n. 1801 del 16/07/2015, dep. 2016, Tunno, Rv. 266410 - 01; Sez. 5, n. 14783 del 13/03/2009, Badescu, Rv. 243609 - 01; Sez. 6, n. 27042 del 18/02/2008, Morabito, Rv. 240972);
- la trasmissione dei risultati delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni dal procedimento in cui sono state disposte ad altro procedimento in cui si intende utilizzarle non richiede alcun intervento preventivo da parte del giudice di quest'ultimo, al fine di autorizzare le parti interessate a procedere all'acquisizione di copia dei relativi atti, perché tale intervento non è previsto dall'art. 270 cod. proc. pen., né è imposto da altre disposizioni o dal sistema normativo.
I principi sopra affermati sono applicabili, secondo le Sezioni Unite, anche quando le operazioni di intercettazioni siano state realizzate all'estero con l'inserimento di un captatore informatico sui server della piattaforma di un sistema informatico o telematico, al fine di acquisire le chiavi di cifratura delle comunicazioni, custodite nei dispositivi dei singoli utenti.
Tale mezzo investigativo opera un'intrusione nel domicilio informatico di una persona allo scopo di captare non comunicazioni, ma dati necessari per rendere intellegibili le comunicazioni.
Secondo le Sezioni Unite, anche nel nostro sistema deve ritenersi ammissibile, ai fini dell'utile effettuazione di intercettazioni telefoniche ed ambientali, l'autorizzazione, da parte del giudice, del compimento di quegli atti che ne costituiscono una naturale e necessaria modalità attuativa, pur quando gli stessi comportino l'intrusione nel dispositivo elettronico di una persona.
All'esito di tale impostazione, le Sezioni Unite hanno ritenuto che dalla inapplicabilità dell'art. 234-bis cod. proc. pen. non derivi di per sé la illegittimità dell'acquisizione e inutilizzabilità dei dati trasmessi; invero, l'errore di qualificazione in cui erano incorse le ordinanze impugnate non ne determinava l'annullamento, in quanto nel caso sussistevano comunque le condizioni necessarie per emettere legittimamente l'o.e.i.
In particolare: - anche a voler ritenere, come prospettato dalla difesa, che le prove trasmesse siano qualificabili come risultati di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, la loro acquisizione poteva essere effettuata sulla base di o.e.i. emessi dal pubblico ministero in assenza di preventiva autorizzazione del giudice, come sopra già indicato; - gli atti ottenuti mediante o.e.i. erano stati inoltre richiesti in quanto ritenuti «rilevanti ed indispensabili per l'accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l'arresto in flagranza»;
- l'asserita violazione delle garanzie procedimentali di cui all'art. 268, commi 6, 7 e 8, cod. proc. pen. non rileva ai fini delle condizioni di ammissibilità di cui all'art. 6, paragrafo 1, lett. b), Direttiva cit., ma viene in considerazione in una fase successiva e di controllo, sicché la loro attuazione può essere differita anche dopo l'utilizzazione degli esiti delle captazioni a fini cautelari.
Quanto all'utilizzabilità delle prove, le Sezioni unite hanno chiarito il riparto di competenze tra Stato di esecuzione e Stato di emissione dell'o.e.i.
Le questioni relative all'esecuzione dell'o.e.i (quindi anche alla trasmissione degli atti) sono proponibili in linea generale solo nello Stato di esecuzione, al quale compete la verifica della regolarità degli atti ivi compiuti.
Nel caso affrontato dalle Sezioni Unite, il ricorrente aveva eccepito con il riesame la incompleta trasmissione degli atti autorizzativi emessi in Francia e la Suprema Corte ha rilevato che la difesa non aveva nemmeno allegato con il ricorso di aver presentato istanza a quell'autorità per contestare tale punto; tra l'altro, come ha rilevato il Supremo Consesso, non risultavano, né erano state indicate, disposizioni da cui desumere la giuridica necessità dell'acquisizione e del deposito, nel procedimento in Italia, dei provvedimenti dell'autorità giudiziaria straniera aventi ad oggetto l'autorizzazione di attività di indagine in un procedimento pendente davanti ad essa, i cui esiti sono stati successivamente richiesti dall'autorità giudiziaria italiana mediante o.e.i.: lo stesso art. 270 cod. proc. pen. nulla prevede al riguardo.
Il principio della applicazione della lex loci nell'esecuzione dell'o.e.i, se comporta l'esclusione quindi della proponibilità di questioni ad essa relativa nello Stato di emissione, fa «salve le garanzie dei diritti fondamentali nello Stato di esecuzione» (art. 14 Direttiva OEI).
La soluzione accolta corrisponde alla costante tradizione del nostro ordinamento, e alla consolidata elaborazione della giurisprudenza di legittimità, secondo cui, in tema di rogatoria internazionale, trovano applicazione le norme processuali dello Stato in cui l'atto viene compiuto, con l'unico limite che la prova non può essere acquisita in contrasto con i principi fondamentali dell'ordinamento giuridico italiano e dunque con il diritto di difesa (mentre irrilevante è la mera inosservanza delle regole dettate dal codice di rito dello Stato italiano richiedente).
Nel sistema della Direttiva 2014/41/UE è inoltre espressamente riconosciuto il principio della «presunzione relativa che gli altri Stati membri rispettino il diritto dell'Unione e, in particolare, i diritti fondamentali» (Corte giustizia, 11/11/2021, Gavanozov, C-852/19, § 54; cfr., nello stesso senso, Corte giustizia, 08/12/2020, Staatsanwaltschaft Wien, C-584/19, § 40).
Il che comporta dunque che anche nello Stato di emissione va assicurato il rispetto di tali diritti.
Ciò premesso, le Sezioni Unite hanno affermato che, ai fini dell'accertamento del "rispetto dei diritti fondamentali", assumono rilievo i principi:
- della presunzione relativa di conformità ai diritti fondamentali dell'attività svolta dall'autorità giudiziaria estera nell'ambito di rapporti di collaborazione ai fini dell'acquisizione di prove;
- e dell'onere per la difesa di allegare e provare il fatto dal quale dipende la violazione denunciata (Sez. U, n. 39061 del 16/07/2009, De borio, Rv. 244329 - 01, e, in termini analoghi, Sez. U, n. 45189 del 17/11/2004, Esposito, Rv. 229245).
Quanto ai «diritti fondamentali» da rispettare in caso di risultati di intercettazioni, le Sezioni Unite hanno rammentato l'elaborazione in materia della giurisprudenza della Corte EDU e delle condizioni poste dalla specifica disciplina fissata nella Direttiva 2014/41/UE.
Ed in particolare:
- le intercettazioni non autorizzate da un giudice o da un'autorità indipendente, e le intercettazioni disposte sulla base di provvedimenti non motivati in ordine all'esistenza in concreto dei presupposti richiesti dalla legge per procedervi, si pongono in contrasto con i diritti fondamentali garantiti dalla CEDU;
- non emerge un divieto di effettuare intercettazioni di vaste proporzioni, purché siano previste efficaci garanzie contro rischi di abusi e di arbitri nelle fasi dell'adozione della misura, della sua esecuzione e del controllo successivo (cfr. Corte EDU, Grande Camera, 25/05/2021, Big Brother Watch ed altri c. Regno Unito, e Corte EDU, Grande Camera, 25/05/2021, Centrum fiir Ràttvisa c. Svezia, le quali, sebbene con riguardo ad intercettazioni effettuate dai servizi segreti e non nell'ambito di un procedimento penale, hanno escluso che, in generale, le c.d. "intercettazioni di massa", anche quando disposte per contrastare attività delittuose concernenti il traffico di sostanze illecite, integrino una violazione degli artt. 8 e 10 CEDU, se effettuate nel rispetto di "dovute" garanzie).
- non esiste l'incompatibilità con le garanzie della CEDU della trasmissione dei risultati di intercettazioni disposte in un procedimento penale ad un diverso procedimento penale da parte di un pubblico ministero;
- neppure determina, almeno in linea di principio, una violazione di «diritti fondamentali» l'impossibilità, per la difesa, di accedere all'algoritmo utilizzato nell'ambito di un sistema di comunicazioni per "criptare" il contenuto delle stesse (se la disponibilità dell'algoritmo di criptazione è funzionale al controllo dell'affidabilità del contenuto delle comunicazioni acquisite al procedimento, è onere infatti della difesa dedurre specifiche allegazioni di segno contrario, quando il contenuto di ciascun messaggio è inscindibilmente abbinato a una chiave di cifratura, per cui una chiave errata non ha alcuna possibilità di decriptarlo, anche solo parzialmente (cfr., tra le tante, Sez. 6, n. 46833 del 26/10/2023, Bruzzaniti, non mass. sul punto; Sez. 6 n. 48838 dell'll/10/2023, Brunello, non mass. sul punto; Sez. 4, n. 16347 del 05/04/2023, Papalia, non mass. sul punto; Sez. 1, n. 6364 del 13/10/2022, dep. 2023, Calderon, non mass. sul punto), né la giurisprudenza sovranazionale risulta aver affermato che l'indisponibilità dell'algoritmo di decriptazione agli atti del processo costituisca, di per sé, violazione dei «diritti fondamentali» (così Corte EDU, Grande Camera, 26/09/2023, Yiiksel YalOnkaya c. Turchia, § 336);
- in ogni caso, inoltre, resta fermo che l'onere dell'allegazione e della prova in ordine ai fatti da cui desumere la violazione dei «diritti fondamentali» grava sulla parte interessata;
- quanto poi alla Direttiva, è prevista l'inutilizzabilità dei risultati di intercettazioni disposte da autorità di altro Stato ed effettuate nei confronti di persone il cui «indirizzo di comunicazione» è attivato in Italia sussiste solo se l'autorità giudiziaria italiana rileva che le captazioni non sarebbero state consentite «in un caso interno analogo», perché disposte per un reato per il quale la legge nazionale non prevede la possibilità di ricorrere a tale mezzo di ricerca della prova.
Affrontati alla stregua di tali principi i ricorsi, le Sezioni Unite hanno ritenuto soddisfatta la condizione di ammissibilità posta dall'art. 6, par. 1, lett. a), Direttiva 2014/41/UE, relativa alla necessità e proporzionalità delle attività richieste mediante o.e.i., anche in considerazione dei diritti degli indagati.
L'esame di tale profilo deve essere compiuto avendo riguardo al procedimento nel cui ambito è emesso l'ordine europeo di indagine.
I dati probatori trasmessi dall'autorità giudiziaria francese sono stati acquisiti in un procedimento penale pendente davanti ad essa sulla base di provvedimenti autorizzativi adottati da un giudice in relazione ad indagini per gravi reati, ed ampiamente motivati in ordine all'esistenza in concreto dei presupposti ritenuti necessari dalla giurisprudenza della Corte EDU.
Le Sezioni Unite hanno escluso anche la plausibilità della prospettazione difensiva secondo cui le autorità francesi avrebbero effettuato intercettazioni generalizzate ed indiscriminate.
Il ricorso al sistema - per le modalità di accesso, per la impenetrabilità dall'esterno, e per l'utilizzo che risulta esserne stato fatto, costituiva una concreta e specifica fonte indiziante a carico dei singoli utenti proprio con riguardo a tali reati.
Il sistema - per le garanzie di anonimato assicurate agli utenti, non è certamente compatibile con la disciplina italiana, che richiede l'identificazione degli stessi, mediante l'acquisizione di dati anagrafici riportati su un documento di identità, prima dell'attivazione anche di singole componenti di servizi di telefonia mobile (cfr. art. 98-undetricies d.lgs. 1 agosto 2003, n. 259).
Secondo le Sezioni unite, i provvedimenti dell'autorità giudiziaria francese evidenziavano che: a) l'acquisto del singolo dispositivo richiedeva il versamento di parecchie migliaia di euro in funzione di una utilizzazione limitata ad alcuni mesi e, quindi, lasciava presupporre la percezione di elevati «redditi conseguenti»; b) la vendita dei singoli dispositivi avveniva in condizioni di clandestinità, tali da garantire l'anonimato del venditore e dell'acquirente, anche perché effettuata dietro pagamenti in contanti, con conseguente esclusione della tracciabilità delle operazioni; c) il gestore del sistema di crittografia garantiva il massimo anonimato delle comunicazioni, in quanto precisava esplicitamente sul sito internet di non conservare alcun dato diverso da quello concernente l'apertura del rapporto e da quello della sua ultima utilizzazione; d) il sistema di crittografia era estremamente sofisticato, in quanto caratterizzato da ben quattro chiavi di cifratura, memorizzate in luoghi diversi.
Le medesime ordinanze, poi, anche facendo richiamo ad episodi specifici, rappresentano che il sistema - è stato utilizzato da organizzazioni criminali operanti in Francia, in Belgio, nei Paesi Bassi e a livello internazionale, proprio in materia di traffico di sostanze stupefacenti.
, J. Va rilevato infine che, a seguito delle richiamate decisioni delle Sezioni Unite, sui temi in esame si è pronunciata la Corte di giustizia dell'Unione europea (Corte giust. UE, Grande Sezione, 30 aprile 2024, C-670/22, M.N., EncroChat), affermando il principio secondo cui l'art. 6, par. 1, lett. b) , della direttiva 2014/41 non richiede - neppure in una situazione come quella in cui i dati in questione sono stati raccolti dalle autorità competenti dello Stato di esecuzione nel territorio dello Stato di emissione e nell'interesse di quest'ultimo - che l'emissione di un ordine europeo di indagine diretto alla trasmissione di prove già in possesso delle autorità competenti dello Stato di esecuzione sia soggetta alle stesse condizioni sostanziali applicabili, nello Stato di emissione, in materia di raccolta di tali prove.
Infatti, alla luce del principio del riconoscimento reciproco delle sentenze e delle decisioni giudiziarie, che è alla base della cooperazione giudiziaria in materia penale, l'autorità di emissione non è autorizzata a controllare la regolarità del procedimento distinto mediante il quale lo Stato membro di esecuzione ha raccolto le prove già in possesso di quest'ultimo e di cui l'autorità di emissione chiede la trasmissione.
Sotto altro, ma connesso profilo, occorre tuttavia considerare che la disposizione di cui all'art. 6, par. 1, lett. a), della citata direttiva 2014/41 consente l'emissione di un ordine europeo di indagine anche nell'ipotesi in cui l'integrità dei dati intercettati non possa essere verificata in tale fase della procedura a causa della riservatezza delle basi tecniche dell'intercettazione, purché il diritto ad un processo equo venga garantito nel corso del successivo procedimento penale.
Infatti, l'integrità delle prove trasmesse può, in linea di principio, essere valutata solo nel momento in cui le autorità competenti dispongono effettivamente delle prove di cui trattasi.
Per tale ragione la Corte di Lussemburgo ha altresì precisato che l'art. 14, par. 7, della richiamata direttiva 2014/41 impone agli Stati membri di assicurare, senza pregiudizio dell'applicazione delle norme processuali nazionali, che nel procedimento penale avviato nello Stato di emissione siano rispettati i diritti della difesa e sia garantito un giusto processo nell'ambito della valutazione delle prove acquisite tramite l'ordine europeo di indagine.
Di conseguenza, quando un organo giurisdizionale nazionale considera che una parte non è in grado di svolgere efficacemente le proprie osservazioni su un tale elemento di prova che sia idoneo ad influire in modo preponderante sulla valutazione dei fatti, tale organo giurisdizionale deve constatare una violazione del diritto a un processo equo ed - espungere tale elemento di prova.
4. Declinati i suddetti principi in relazione al caso in esame, i motivi di ricorso, che possono essere valutati congiuntamente, rivelano la loro infondatezza, al limite della inammissibilità.
Quanto alla qualificazione giuridica dell'atto trasmesso, anche nel caso in esame, la corretta soluzione indicata dalla difesa (ovvero che non si verta nell'ipotesi di cui all'art. 234-bis cod. proc. pen., bensì di risultati di intercettazioni già disposte autonomamente in Francia) non comporta riflessi sulla ammissibilità e utilizzabilità della prova trasmessa per le ragioni già indicate.
Sotto altro profilo, la difesa si è limitata a dedurre la erronea applicazione degli artt. 266-bis e e ss. cod. proc. pen., senza tuttavia specificare le violazioni rilevanti; in ordine al mancato accesso alle chat, alla violazione del principio di proporzionalità e alle operazioni di decifratura è sufficiente rinviare a quanto sul punto chiarito dalle Sezioni Unite.
Anche nel presente caso, le deduzioni della difesa si presentano astratte, generiche e non in grado di superare la presunzione di legittimità degli atti compiuti all'estero e, più in generale, i principi affermati dalle Sezioni unite; nessuna istanza risulta peraltro essere stata avanzata presso lo Stato di esecuzione per accedere direttamente agli atti. Resta in ogni caso fermo il principio affermato dalla Corte di giustizia, in ordine al diritto della difesa di poter svolgere nel corso del procedimento in relazione alla prova acquisita tramite l'o.e.i. le prerogative, nel rispetto del diritto nazionale, proprie del contraddittorio e del giusto processo (in tal senso, anche testualmente, Sez. 6, n. 30032 del 03/07/2024, Giorgi).
5. Sono inammissibili anche i primi due motivi nuovi.
Si tratta di motivi che hanno una loro obiettiva consistenza e che lasciano intravedere rilevanti questioni; si tratta, tuttavia, di motivi formulati sulla base di informazioni, documenti relativi ad un altro procedimento penale e acquisiti dopo la decisione impugnata e sostanzialment*9uito della pronuncia delle Sezioni unite.
La Corte di cassazione ha in più occasioni chiarito che le eventuali acquisizioni successive rispetto al momento della chiusura della discussione dinanzi al collegio non assumono alcun rilievo nell'ambito del successivo giudizio di legittimità, potendo essere fatte valere soltanto con la richiesta di revoca o modifica della misura al giudice competente (Sez. 3, n. 23151 del 24/01/2019, Zamparini, Rv. 275982; Sez. 6, n. 39871 del 12/07/2013, Rv. 256445 - 01; Sez. 2, n. 8460 del 14/02/2013, Rv. 255308 - 01).
6. Anche il terzo motivo aggiunto è infondato, non solo per la sua genericità ma anche perché le Sezioni unite hanno al riguardo chiarito che l'obbligo di notifica sorge quando l'autorità procedente viene a conoscenza che l'intercettazione riguarda persone il cui «indirizzo di comunicazione» è utilizzato nel territorio di un altro Stato.
Si è aggiunto, da una parte, che l'eventuale intempestività della comunicazione non è sanzionata di per sé, e che, in ogni caso, opera la garanzia della possibile dichiarazione di inutilizzabilità da parte dell'autorità competente dello Stato in cui è fatto uso dell'«indirizzo di comunicazione», e dall'altra, che il divieto della Direttiva 2014/41/UE di iniziare o proseguire le attività di captazione, ovvero di utilizzarne i risultati, è previsto solo «[q]ualora l'intercettazione non sia ammessa in un caso interno analogo».
E, nella disciplina italiana di attuazione della Direttiva cit., l'art. 24 d.lgs. n. 108 del 2017 prevede un'unica ipotesi vietata: «se le intercettazioni sono state disposte in riferimento a un reato per il quale, secondo l'ordinamento interno, le intercettazioni non sono consentite».
In tale quadro di riferimento le Sezioni unite hanno concluso che, nell'ordinamento italiano, sulla base della disciplina di cui all'art. 31 Direttiva 2014/41/UE, l'inutilizzabilità dei risultati di intercettazioni disposte da autorità di altro Stato ed effettuate nei confronti di persone il cui «indirizzo di comunicazione» è attivato in Italia sussiste solo se l'autorità giudiziaria italiana rileva che le captazioni non sarebbero state consentite «in un caso interno analogo», perché disposte per un reato per il quale la legge nazionale non prevede la possibilità di ricorrere a tale mezzo di ricerca della prova.
Ne discende la infondatezza del motivo.
7. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.