
Protagonista della vicenda è un manager assunto con un contratto di due anni in un'azienda che aveva stipulato una polizza contro rischio infortuni e malattie a beneficio dei dirigenti. In seguito il rapporto era stato modificato da determinato a indeterminato ma, a causa di un infarto che aveva colpito il dipendente rendendolo impossibilitato a lavorare, non si era perfezionato. La società assicurativa rifiutò l'indennizzo all'uomo, ritenendo che questa era subordinata al fatto che la malattia avesse determinato la risoluzione del rapporto, mentre nel caso di specie questo era cessato per la naturale scadenza del contratto. La Corte d'appello riformava la decisione del Tribunale, che riconosceva tale diritto al lavoratore, ritendendo che non era stato dimostrato il nesso causale tra risoluzione e malattia, concludendo che la conclusione del rapporto era stata determinata da ragioni organizzative.
Giunto in Cassazione, il dipendete contestava come i Giudici di secondo grado avevano interpretato il contratto di assicurazione, affermando che questo «non subordina affatto il pagamento dell'indennizzo alla circostanza che l'infortunio o la malattia avessero determinato l'interruzione del rapporto di lavoro». Gli Ermellini, nell'accogliere le doglianze del ricorrente ritengono che «il contratto oggetto del contendere conteneva ambiguità apparenti non spiegabili»; questo, infatti, da un lato subordinava l'indennizzo alla condizione che fosse stato l'evento lesivo a determinare la risoluzione del rapporto di lavoro, dall'altro erano state inserite delle parti che ammettevano la possibilità che l'indennizzo fosse dovuto anche in mancanza della risoluzione del contratto.
L'art. 16 delle condizioni generali di polizza imponeva all'assicurato nel caso di sinistro di allegare alla richiesta di indennizzo «la documentazione attestante l'avvenuta cessazione del rapporto di lavoro in conseguenza dell'invalidità (solo nel caso che ciò avvenga)». Ma stabilire che la prova della risoluzione del rapporto di lavoro va allegata alla richiesta di indennizzo «solo se sia avvenuta» lascia intendere che possano sussistere dei casi in cui questo sia dovuto anche in mancanza della condizione principale. Una simile ambiguità è presente all'art. 18, che consentiva all'assicuratore di accertare l'invalidità «nel caso in cui non si sia verificata la cessazione del rapporto di lavoro», non è conciliabile con l'art. 1 in quanto «se non si fosse verificata la cessazione del rapporto di lavoro nessun indennizzo era teoricamente dovuto, e nessuna invalidità perciò l'assicuratore era tenuto ad accertare».
Secondo la Cassazione, quindi: «la Corte d'appello, pertanto è effettivamente incorsa nel duplice vizio, da un lato, di interpretare il contratto senza valutare le clausole in modo complessivo; e dall'altro di non rilevare che le clausole, unitariamente valutate, presentavano un evidente margine di ambiguità. Dinnanzi a tale ambiguità la Corte d'appello ha effettivamente violato l'
Svolgimento del processo
1.Nel 2016 ricorse ai sensi dell'art. 702 bis c.p.c. al Tribunale di Roma, esponendo che:
- ) era stato assunto dall--- anni con la qualifica di dirigente; .p.a. a tempo determinato per due
-) la società datrice di lavoro aveva stipulato con la-s.p.a. un contratto di assicurazione contro il rischio di infortuni e malattie a beneficio dei propri dirigenti;
-) prima della scadenza del rapporto di lavoro a tempo determinato aveva ricevuto dall'indeterminato;
- una proposta di assunzione a tempo
-) tuttavia, nelle more del perfezionamento del contratto di lavoro a tempo indeterminato veniva colpito da un infarto in data 7.8.2011;
-) a causa dei postumi dell'infarto non si poté dar corso alla programmata assunzione a tempo indeterminato;
-) la società-s.p.a., richiesta del pagamento dell'indennizzo dovuto ai sensi della polizza sopra ricordata, lo rifiutò.
Concluse, pertanto, chiedendo la condanna della società convenuta al pagamento dell'indennizzo contrattualmente dovuto.
2.La società si costituì eccependo, per quanto in questa sede ancora rileva, che il contratto subordinava il diritto all'indennizzo alla circostanza che l'infortunio o la malattia avesse comportato la risoluzione del rapporto di lavoro.
Nel caso di specie, invece, il rapporto di lavoro di con I'- era cessato il 31 dicembre 2011 per la scadenza del termine cui il contratto era sottoposto e non già in conseguenza dell'infarto occorso al lavoratore.
3.Con ordinanza 9 gennaio 2017 il Tribunale di Roma accolse la domanda. L'ordinanza fu appellata dalla società
4.Con sentenza 12 maggio 2022 n. 3188 la Corte d'appello di Roma accolse il gravame e rigettò la domanda formulata da
Ritenne la Corte d'appello non esservi prova che la risoluzione del rapporto di lavoro avvenne in conseguenza della malattia di Osservò la Corte d'appello che il contratto di lavoro a tempo determinato era stato prorogato fino al 31 dicembre 2011 con una lettera spedita dal datore di lavoro a il 28 luglio 2011 e, quindi, prima ancora dell'evento lesivo, avvenuto, come detto, il 7 agosto 2011.
Ne trasse la conclusione che la mancata assunzione a tempo indeterminato di era motivata da ragioni organizzative dell'azienda, e non dalla malattia.
5.La sentenza d'appello è stata impugnata per Cassazione da Tizio con ricorso fondato su cinque motivi. La-ha resistito con controricorso.
Il Collegio ha disposto il deposito della motivazione nel termine di cui all'art. 380 bis, secondo comma, c.p.c..
Motivi della decisione
1.Col primo motivo è denunciata la nullità della sentenza per violazione dell'articolo 276 c.p.c..
Nell'illustrazione del motivo si sostiene che la Corte d'appello ha trascurato di esaminare due eccezioni preliminari formulate dalla difesa dell'appellato, cioè :
a)l'appello era stato proposto tardivamente;
b)il nesso di causa tra la malattia e la cessazione del rapporto di lavoro non era stato contestato dalla società - nel primo grado di giudizio.
Deduce il ricorrente che l'esame delle suddette questioni non poteva essere evitato richiamando il principio della ragione più liquida, come fatto dalla Corte d'appello.
Infatti il suddetto princIp10 può essere invocato per evitare di esaminare tutte le questioni di merito agitate fra le parti, ma non può essere invocato per evitare l'esame di questioni pregiudiziali di rito, che in quanto tali devono essere necessariamente esaminate per prime ai sensi dell'articolo 276, secondo comma, c.p.c..
1.1.Il motivo è inammissibile.
È ben vero che il principio cosiddetto della ragione più liquida (sul quale, per tutte, si veda Cass. Sez. U., Sentenza n. 23104 del 26/08/2024) non può consentire di eludere la risoluzione delle questioni di rito prima di quelle di merito (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 21859 del 02/08/2024, Rv. 672049 -
01). E, tuttavia, affinché la violazione dell'ordine delle questioni abbia un concreto rilievo occorre che la questione di rito, che si pretende pretermessa ingiustamente, avesse efficacia decisiva della controversia.
Al riguardo, il vizio di "omessa pronuncia", in cui infine si risolve - riferito alla questione di rito che si reputa ingiustamente pretermessa - il sostanziale contenuto della censura in esame, può riguardare solo questioni di merito, non questioni pregiudiziali (Sez. 3, Sentenza n. 1701 del 23/01/2009; Sez. 3, Sentenza n. 25154 del 11/10/2018; Sez. 3, Sentenza n. 10422 del 15/04/2019).
Delle due, infatti, l'una:
-se la questione pregiudiziale di rito che si assume non esaminata era ininfluente ai fini del decidere o infondata, mancherebbe l'interesse ad impugnare;
-se, invece, la questione pregiudiziale che si assume non esaminata era decisiva e fondata, la sentenza che ne ha omesso l'esame va impugnata per avere violato la legge processuale che gli imponeva di accogliere la questione pregiudiziale, non per omessa pronuncia.
1.2.Nel caso di specie il ricorrente ha per l'appunto prospettato non già il vizio di omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c., ma il vizio di violazione dell'ordine necessario delle questioni da esaminare, imposto dall'art. 276 c.p.c..
La violazione dell'ordine delle questioni, per quanto appena detto, in tanto può condurre alla cassazione della sentenza impugnata, in quanto le questioni pregiudiziali non esaminate fossero state tali da condurre ad un diverso esito della lite.
Pertanto, è onere del ricorrente per cassazione, ai sensi dell'art. 366 n. 3 c.p.c., esporre con sufficiente chiarezza le ragioni per le quali la questione processuale trascurata dal giudice d'appello avrebbe potuto condurre ad un diverso esito del giudizio.
1.3.Nel caso di specie, tuttavia, per quanto attiene la prima delle eccezioni che sostiene non essere state esaminate (l'eccezione di tardività dell'appello) essa è formulata in modo ermetico. Il ricorrente, infatti, si limita a dedurre che "l'atto d'appello non è stato notificato presso il domicilio eletto dall'ing. ma solo presso l'altro difensore, con violazione del disposto di cui aWarticolo 330 c.p.c. ". Non si dice chi sia "l'altro difensore", né perché mai la notifica a lui effettuata sarebbe da ritenersi nulla.
1.4.Quanto alla seconda eccezione (non fu contestato in primo grado il nesso di causalità tra l'infarto e la mancata prosecuzione del rapporto di lavoro), essa era manifestamente infondata in iure, alla luce del consolidato principio per cui l'onere di contestazione sussiste soltanto per i fatti noti alla parte, non anche per i fatti ad essa ignoti (Sez. 3, Sentenza n. 3576 del 13/02/2013). Ed ovviamente l'assicuratore è terzo rispetto al rapporto di lavoro e non può essere a conoscenza delle relative vicende.
1.5.In definitiva, il motivo è inammissibile quanto alla prima parte, perché irrispettoso dell'onere di compiuta formulazione; e, quanto alla seconda parte, per mancanza di decisività.
2.Col secondo motivo è prospettata la violazione dell'articolo 115 c.p.c. Deduce il ricorrente che in primo grado la società - non contestò l'esistenza del nesso di causa fra l'infarto e l'interruzione del rapporto di lavoro, la quale, per quanto detto, era uno dei presupposti del diritto al pagamento dell'indennizzo.
2.1.Il motivo è infondato alla luce di quanto già detto al § 1.4 che precede.
3.Col terzo motivo è prospettata la violazione dell'articolo 345 c.p.c.. Sostiene il ricorrente che la Corte d'appello non avrebbe potuto rilevare d'ufficio il difetto di prova del fatto costitutivo del diritto all'indennizzo, e cioè l'esistenza di un nesso di causa tra la malattia e la mancata prosecuzione del rapporto di lavoro.
3.1.Il motivo è manifestamente infondato, dal momento che nelle controversie tra assicurato ed assicuratore è onere del primo dimostrare l'avverarsi di un rischio esattamente corrispondente a quello dedotto in contratto: e la mancanza della relativa prova, riguardando i medesimi fatti costitutivi del diritto invocato, è ovviamente rilevabile d'ufficio.
4.Col quarto motivo è prospettato il vizio di omesso esame di un fatto decisivo.
Nonostante l'intitolazione, nell'illustrazione del motivo si deduce che la Corte d'appello avrebbe trascurato di motivare in merito a tre questioni:
a)sull'eccezione di inammissibilità dell'appello;
b)sull'eccezione di incontestabilità del nesso di causa tra infarto e interruzione del rapporto di lavoro;
e) sulla "confutazione dell'affermazione del Tribunale" con cui fu ritenuto esistente il suddetto nesso di causa.
4.1.Premesso che il motivo prospetta un vizio di motivazione e non l'omesso esame di un fatto decisivo, in ogni caso le prime due censure restano assorbite da quanto già detto con riferimento al primo ed al terzo motivo.
La terza censura è manifestamente infondata: la Corte d'appello ha in sostanza ritenuto che I- aveva già deciso di non rinnovare il rapporto di lavoro con prima ancora che questi si ammalasse, sicché la malattia non fu essa la causa della cessazione del rapporto.
5.Col quinto motivo è denunciata la violazione degli articoli 1363, 1366, 1367 e 1370 c.c.
Nell'illustrazione del motivo si contesta l'interpretazione del contratto di assicurazione adottata dalla Corte d'appello. Sostiene il ricorrente che il contratto non subordinava affatto il pagamento dell'indennizzo alla circostanza che l'infortunio o la malattia avessero determinato l'interruzione del rapporto di lavoro.
5.1.Il motivo è fondato.
La fattispecie rientra, infatti, nei pure assai rigorosi limiti, elaborati dalla giurisprudenza di questa Corte, entro i quali il sindacato sull'interpretazione del contratto è consentito in sede di legittimità, per l'evidente violazione di uno dei relativi criteri legali.
La Corte d'appello ha interpretato il contratto ritenendo che la cessazione del rapporto di lavoro provocata dall'infortunio fosse condizione necessaria per il pagamento dell'indennizzo.
Il contratto oggetto del contendere conteneva tuttavia ambiguità apparentemente non spiegabili.
Da un lato, infatti (art. 1) effettivamente subordinava il pagamento dell'indennizzo alla condizione che l'evento lesivo avesse "comportato la risoluzione del rapporto di lavoro in atto fino a quel momento".
Questa previsione, tuttavia, era seguita da altri patti che postulavano la possibilità che l'indennizzo fosse dovuto anche se fosse mancata la risoluzione del rapporto di lavoro.
L'art. 16 delle condizioni generali di polizza, infatti, imponeva all'assicurato nel caso di sinistro di allegare alla richiesta di indennizzo "la documentazione attestante l'avvenuta cessazione del rapporto di lavoro in conseguenza dell'invalidità (solo nel caso che ciò avvenga)". Ma stabilire che la prova della risoluzione del rapporto di lavoro va allegata alla richiesta di indennizzo "so/o se sia avvenuta" lascia chiaramente intendere che possano esservi casi in cui l'indennizzo sia dovuto anche se la risoluzione del rapporto non sia avvenuta.
Analoga ambiguità si ravvisa nel successivo art. 18 delle condizioni generali, il quale consentiva all'assicuratore di accertare l'invalidità "nel caso in cui non si sia verificata la cessazione del rapporto di lavoro". Ed anche tale previsione prima facie non è conciliabile con l'art. 1: se infatti non si fosse verificata la cessazione del rapporto di lavoro nessun indennizzo era teoricamente dovuto, e nessuna invalidità perciò l'assicuratore era tenuto ad accertare.
5.2.La Corte d'appello, pertanto è effettivamente incorsa nel duplice vizio, da un lato, di interpretare il contratto senza valutare le clausole in modo complessivo; e dall'altro di non rilevare che le clausole, unitariamente valutate, presentavano un evidente margine di ambiguità. Dinanzi a tale ambiguità la Corte d'appello ha effettivamente violato l'art. 1370 e.e., interpretando il contratto in senso favorevole al predisponente, ma senza dare alcun conto, in motivazione, né di tale ambiguità, né della possibilità e, soprattutto, degli specifici argomenti per superarla, in un senso o nell'altro.
6.Le spese del presente giudizio di legittimità saranno liquidate dal giudice del rinvio.
P.Q.M.
(-) accoglie il quinto motivo di ricorso; rigetta i restanti; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d'appello di Roma, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile della Corte di cassazione, addì 9 dicembre 2024.