
Gli assistenti con funzioni di direttori operativi collaborano con il direttore dei lavori nel verificare che lavorazioni di singole parti da realizzare siano eseguite regolarmente e nell'osservanza delle clausole contrattuali. Essi rispondono della loro attività direttamente al direttore dei lavori.
La Corte d'Appello confermava la responsabilità penale di Tizio e Caio in ordine al reato ex art. 589, c. 2, c.p., per aver colposamente cagionato la morte dei lavoratori in violazione delle contestate norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro.
Giunti in sede di legittimità, Tizio censura la...
Svolgimento del processo
1. La Corte di appello di Roma, con la sentenza indicata in epigrafe, riformando parzialmente quella resa dal Tribunale di Latina in data 20 luglio 2020, ha ridotto la pena irrogata a B.C. in anni due di reclusione, riconoscendo i benefici della sospensione condizionale e della non menzione; ha confermato l'accertamento di responsabilità in ordine al reato di cui all'articolo 589, comma 2, cod. pen., per aver colposamente cagionato la morte dei lavoratori M.U. e C.D., in violazione delle contestate norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro.
La vicenda per cui è processo è stata così ricostruita: il 2 aprile 2009, D.C. e U.M., operai della ditta M., mentre effettuavano lavori di ristrutturazione della cappella cimiteriale del Comune di (omissis), operando al di sopra di una impalcatura, venivano travolti dal crollo del muro di fondo della chiesa e, in conseguenza dell'accaduto, decedevano.
La causa del crollo del muro veniva individuata nel mancato puntellamento o cerchiatura dell'edificio e nell'errata organizzazione delle fasi della lavorazion che non aveva tenuto conto dello stato di grave precarietà della struttura dell'edificio, il quale presentava lesioni di tale entità da rendere indispensabili le suddette precauzioni prima di intraprendere qualsiasi lavoro di consolidamento. Nel corso del tempo, infatti, la statica complessiva dell'edificio era stata compromessa dal venir meno dei raccordi di giunzione delle varie componenti murarie.
Per l'esecuzione dei lavori di ristrutturazione della cappella, il Comune aveva stipulato una convenzione di incarico professionale in data 22 gennaio 2008 con l'architetto A., al quale era stato conferito l'incarico di progettazione e coordinamento, direzione e controllo tecnico contabile dei lavori, e con l'architetto C.B., al quale era stato conferito l'incarico di direttore operativo dei lavori. La Corte distrettuale ha ritenuto, in fatto, la riconducibilità dei ruoli di coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione ed esecuzione, di direttore dei lavori e direttore operativo, ad entrambi gli architetti A. e B. in forma collegiale, rilevando che, sebbene la convenzione di incarico stipulata il 22 gennaio 2008, all'articolo 1, avesse formalmente distinto i ruoli attribuiti ai due professionisti, erano emersi alcuni elementi per ritenere che costoro rivestissero in concreto tali funzioni.
In particolare, nella premessa della convenzione di incarico era prevista l'istituzione dell'ufficio di direzione dei lavori di consolidamento e restauro nelle persone dei due professionisti; nella disciplina dei compensi non era stata effettuata alcuna distinzione, essendo stato definito il corrispettivo in forma unitaria; entrambi i professionisti avevano ricevuto la documentazione tecnico-amministrativa necessaria all'espletamento dell'incarico; la stessa convenzione era stata sottoscritta da entrambi sotto la comune dicitura "il professionista".
Tale conclusione sarebbe stata confermata da altri documenti, tra cui il verbale di negoziazione prodromico alla convenzione, privo di alcuna distinzione fra le mansioni dei due professionisti, i quali si erano dichiarati disponibili genericamente ed indistintamente all'espletamento dell'incarico; le determine del Responsabile del servizio area tecnica che non avevano operato alcuna distinzione fra le posizione dei due architetti e, tra queste, la n.2 del 22 gennaio 2008, con la quale era stato approvato il progetto esecutivo dei lavori di consolidamento e restauro, indicando come redattori gli architetti A. e B..
E soprattutto, a chiusura del cerchio, è stato sottolineato che tutte le tavole
progettuali e gli elaborati a corredo del progetto esecutivo erano state sottoscritte dai due architetti, con apposizione dei rispettivi timbri dell'ordine professionale.
La Corte distrettuale, infine, ha altresì sottolineato che l'ufficio di direzione dei lavori era stato costituito in forma collegiale, attraverso la nomina congiunta, ed il conferimento di uguali poteri ai due architetti, in conformità alla disciplina prevista dall'allora vigente D.P.R. 544/1999; e la costituzione dell'ufficio unico aveva prodotto l'effetto di unificare di fatto i compiti dei due tecnici.
Inoltre, nella sentenza di primo grado (pag.12, 5° cpv), era stato pure evidenziato che, anche secondo le affermazioni dei testi della difesa, il B. era stato presente nel cantiere, avendo effettuato sopralluoghi, essendo perciò al corrente delle modalità di esecuzione dei lavori.
2. B.C., attraverso il suo difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione per i seguenti motivi.
2.1 Con il primo motivo, formulato ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lettera b), cod.proc.pen., eccepisce l'erronea qualificazione giuridica del fatto reato, derivante dall'attribuzione all'imputato di incarichi e responsabilità non risultanti dagli atti di causa.
In particolare, i giudici di merito non hanno considerato che, nella convenzione di incarico professionale stipulata in data 22 gennaio 2008 tra il Comune di (omissis) e l'architetto B. e l'architetto A., il Comune, all'articolo 2, aveva affidato all'architetto A. T. l'incarico di progettazione e coordinamento, direzione e controllo tecnico e contabile, ex artt. 123, 124 e 127 del d.p.r. 554/99, dei lavori di consolidamento e restauro della cappella cimiteriale; all'architetto B.C., invece aveva affidato l'incarico di direttore operativo, ai sensi degli articoli 123 e 125 dello stesso decreto.
Tale convenzione, pertanto, prevedeva espressamente che all'architetto B. fosse affidato esclusivamente l'incarico di direttore operativo, sicché l'assunto riportato in sentenza, secondo cui in tale documento non sarebbe stata prevista alcuna distinzione dei ruoli, risulterebbe privo di fondamento.
Il ricorrente rileva che il direttore operativo, ruolo assegnato al medesimo, è un assistente del direttore dei lavori, con il quale il primo collabora al fine di verificare la regolarità e l'osservanza delle clausole contrattuali in relazione a singole parti di lavori; egli risponde direttamente al direttore dei lavori il quale rimane unico responsabile nei confronti della stazione appaltante.
La richiamata convenzione, inoltre, espressamente prevedeva il conferimento dell'incarico di coordinatore per l'esecuzione dei lavori all'architetto A.T..
Ed ancora, il piano di sicurezza e coordinamento veniva redatto esclusivamente da quest'ultimo, indicato quale coordinatore per la sicurezza in tutte le schede allegate allo stesso documento.
Anche la figura del direttore dei lavori, nel caso di specie, era esclusivamente rivestita dall'architetto A. il quale, ai sensi dell'articolo 124, comma 1, del D.P.R. 554/99, era tenuto a “curare "che i lavori cui è preposto siano eseguiti a regola d'arte ed in conformità al progetto e al contratto"; lo stesso, inoltre, aveva il compito di ordinare la sospensione dei lavori, ai sensi dell'articolo 133, comma 1).dello stesso decreto, laddove avesse ravvisato difformità di lavorazione rispetto alle regole dell'arte, senza possibilità di poter delegare tale obbligo.
Ugualmente, ai sensi dell'articolo 35, comma 1, lettera H), compito del progettista esecutivo era quello di stilare il cronoprogramma dei lavori.
In sintesi l'architetto B., non ricoprendo l'incarico di progettista esecutivo, di coordinatore della sicurezza nella progettazione e nell'esecuzione, non sarebbe stato responsabile delle inosservanze contestabili solo al soggetto che ricopriva tali ruoli.
2.2 Con il secondo motivo, eccepisce la violazione dell'articolo 606, comma 1, lett. e), cod.proc.pen., per manifesta illogicità della motivazione in relazione alla qualificazione giuridica del fatto reato, ovvero all'attribuzione di incarichi e responsabilità all'imputato non risultanti dagli atti di causa.
La Corte distrettuale avrebbe erroneamente motivato, nella parte della sentenza in cui ha affermato che la costituzione dell'ufficio di direzione dei lavori era stata effettuata in forma collegiale, con nomina congiunta e conferimento di uguali poteri ai due architetti A. e B., richiamandosi al verbale di negoziazione ed alla manifestata disponibilità all'incarico da parte di entrambi.
Il ricorrente richiama gli articoli 123 del d.p.r. 554/99, e altre disposizioni introdotte successivamente dal legislatore in materia di appalti e contratti pubblici (art.147,co.1, DPR 207/2010; art. 101, comma 2, D.Lgs. 50/2016; art.114, co. 2, D.lgs. 36/2023), oltre alle indicazioni fornite dalle Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, da cui emergerebbe la connotazione monocratica della figura del direttore dei lavori.
Argomenti in senso contrario non potrebbero essere ricavati dal verbale di negoziazione, anche in considerazione del fatto che la disponibilità manifestata dei professionisti in suddetto preliminare contesto, sarebbe stata poi superata dal
testo della convenzione nella quale i ruoli erano stati nettamente distinti.
Neppure significativ, risulterebbe, ad avviso della difesa, il contenuto della determina del Responsabile del servizio di area tecnica rivolto ai due professionisti, senza distinzione di posizioni, e così pure la liquidazione dei compensi in parti uguali, trattandosi di atti unilaterali, inidonei a superare il significato letterale della convenzione di incarico.
Nello stesso senso si muove la critica riguardante la motivazione nella parte in cui valorizza le firme congiunte apposte déi due architetti alle tavole progettuali, non significative del ruolo rispettivamente rivestito.
2.3 Con il terzo motivo, eccepisce l'intervenuta prescrizione del reato di cui all'articolo 589 del codice penale, sin dal giudizio di primo grado, non essendo applicabile la norma che prevede il raddoppio dei termini per l'ipotesi in cui ricorra la violazione di norme in materia di sicurezza sul lavoro, non ravvisabili nella specie per i motivi precedentemente esposti.
Infine, rileva che anche un'eventuale delega da parte del direttore dei lavori risulterebbe illegittima e inefficace, stante la riserva assoluta di nomina o designazione da parte del committente o del responsabile dei lavori.
3. Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
4. Il difensore della P.O. E.P., madre di C. D., ha depositato conclusioni scritte con cui ha chiesto il rigetto del gravame e la condanna dell'imputato alle spese processuali del presente giudizio.
5. La difesa di A.A., U.R. e S., rispettivamente moglie e figli di M.U.; questi ultimi anche quali eredi di T.E., madre della vittima, hanno depositato conclusioni scritte, chiedendo la conferma della sentenza impugnata, e quindi la conferma delle statuizioni civili, oltre alla condanna dell'imputato alle spese processuali del presente giudizio.
6. Il difensore dell'imputato ha depositato memoria di replica alle conclusioni del Procuratore Generale.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è inammissibile.
1.1 Manifestamente infondati risultano i primi due motivi di ricorso, orientati a contestare la riferibilità della ritenuta posizione di garanzia al B., al quale nelle sentenze di merito è stato attribuito, congiuntamente all'architetto A., il ruolo di coordinatore per la progettazione e per la esecuzione e la sicurezza, oltre alla effettiva direzione dei lavori.
Nella giurisprudenza della suprema Corte, è ormai consolidato il princ1p10 secondo il quale, anche alla luce della novella del 2006, il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene pur sempre alla coerenza strutturale della decisione, di cui saggia l'oggettiva "tenuta", sotto il profilo logico argomentativo, e quindi l'accettabilità razionale, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (Cass., Sez. 4, n.14076 del 5-03-2024, in motivazione; Sez. 3, n. 37006 del 27 -9-2006, Piras, Rv. 235508; Sez. 6, n. 23528 del 6-6-2006, Bonifazi, Rv. 234155).
Ne deriva che il giudice di legittimità, nel momento del controllo della motivazione, non deve stabilire se la decisione di merito proponga la migliore ricostruzione dei fatti né deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento, atteso che l'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. non consente alla Corte di cassazione una diversa interpretazione delle prove.
In altri termini, il giudice di legittimità, che è giudice della motivazione e dell'osservanza della legge, non può divenire giudice del contenuto della prova, non competendogli un controllo sul significato concreto di ciascun elemento probatorio. Questo controllo è riservato al giudice di merito, essendo consentito alla Corte regolatrice esclusivamente l'apprezzamento della logicità della motivazione (cfr , ex plurimis, Cass., Sez. 4, n.13269 del 7-12-2022, in motivazione; Sez. 3, n. 8570 del 14-1-2003, Rv. 223469; Sez. fer. , n. 36227 del 3-9-2004, Rinaldi; Sez. 5, n. 32688 del 5-7-2004, Scarcella; Sez. 5, n.22771 del 15-4-2004, Antonelli).
Nel caso in esame, il Giudice a quo ha indicato un dato particolarmente significativo nella individuazione della funzione effettivamente rivestita dal B., sottolineando che costui, insieme all'architetto A., aveva sottoscritto tutte le tavole progettuali e gli elaborati a corredo, con apposizione dei rispettivi timbri dell'ordine professionale.
Il dato è stato poi ulteriormente corroborato dalla evidenziazione di ulteriori circostanze che - secondo le logiche deduzioni della Corte distrettuale – hanno comprovato l'assunzione, in fatto, delle funzioni di coordinatore per la progettazione, oltre a quelle di coordinatore per l'esecuzione e direttore dei lavori in capo al B..
In particolare, nella premessa della convenzione di incarico era prevista l'istituzione dell'ufficio di direzione dei lavori di consolidamento e restauro nelle persone dei due professionisti; nella disciplina dei compensi non era stata effettuata alcuna distinzione, essendo stato definito il corrispettivo in forma unitaria; entrambi i professionisti avevano ricevuto la documentazione tecnico amministrativa necessaria all'espletamento dell'incarico; la stessa convenzione era stata sottoscritta da entrambi sotto la comune dicitura "il professionista".
La conclusione - si legge nelle sentenze di merito - è confermata da altri documenti, tra cui il verbale di negoziazione prodromico alla convenzione, privo di alcuna distinzione fra le mansioni dei due professionisti, i quali si erano dichiarati disponibili genericamente ed indistintamente all'espletamento dell'incarico; le determine del Responsabile del servizio area tecnica1che non avevano operato alcuna distinzione fra le posizione dei due architetti e, tra queste, la n.2 del 22 gennaio 2008, con la quale era stato approvato il progetto esecutivo dei lavori di consolidamento e restauro, indicando come redattori gli architetti A. e B.. Inoltre, nella sentenza di primo grado (pag.12, 5° cpv), era stato pure evidenziato che, anche secondo le affermazioni dei testi della difesa, il B. era stato presente nel cantiere, avendo effettuato sopralluoghi, essendo perciò al corrente delle modalità di esecuzione dei lavori.
E' stato pertanto logicamente ritenuto che il B. agisse all'unisono con l'A. nei suddetti ruoli, assumendone la diretta responsabilità.
L'argomentazione è immune da vizi motivazionali, sicchè sul punto può concludersi nel senso che la Corte distrettuale ha correttamente affermato che i compiti dei due tecnic di fatto fossero unificati, escludendo perciò logicamente che il B. svolgesse un ruolo meramente interno e subordinato rispetto all'architetto A..
Per contro, le censure proposte dal ricorrente, circoscritte essenzialmente al dato formale ricavato dalla convenzione di incarico del 22 gennaio 2008, in cui i ruoli erano stati differenziati, non valgono a disarticolare la logica argomentazione contenuta in sentenza che ha valorizzato l'effettiva assunzione in fatto, culminata con l'adozione degli atti di competenza del coordinatore e del direttore dei lavori. La motivazione è in linea con la consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale, in tema di reati omissivi colposi, la posizione di garanzia - che può essere generata da investitura formale o dall'esercizio di fatto delle funzioni tipiche delle diverse figure di garante - deve essere individuata accertando in concreto la effettiva titolarità del potere - dovere di protezione dello specifico bene giuridico che necessita di protezione, e di gestione della specifica fonte di pericolo di lesione di tale bene, alla luce delle specifiche circostanze in cui si è verificato il sinistro (Sez. 4, n. 38624 del 19/06/2019, S., Rv. 277190)
Riguardo al ruolo assunto, dunque, la Corte distrettuale ne ha delimitato i confini, attingendo agli elementi fattuali emersi nel processo, con motivazione immune da vizi di logicità.
In ordine ai profili di colpa, i giudici di merito , hanno sottolineato come la consapevolezza della precarietà dell'edificio da parte de Sellato risultava particolarmente evidente già dal contenuto del piano di sicurezza e coordinamento che il medesimo aveva contribuito a redigere, nel quale era espressamente evidenziata la possibilità di crolli.
Tuttavia, a tale rilievo non aveva fatto seguito una precisa valutazione dei presidi idonei ad eliminare il rischio; infatti, l'astratta previsione di un puntellamento risultava vaga e generica, non essendo stato specificato quando avrebbe dovuto essere installato il presidio.
Ebbene, la suddetta cautela risultava essenziale. atteso che l'intervento su una struttura fatiscente come quell in oggetto imponeva la prescrizione, come primo e indifferibile intervento, del puntellamento e della cerchiatura, in modo da garantire la stabilità dell'edificio sin dall'inizio dei lavori di consolidamento.
Per di più, oltre alla insufficienza nella previsione dei presidi necessari a contenere il rischio, è stato sottolineato che, sebbene i lavori fossero iniziati da oltre due mesi, alcun puntellamento dell'edificio era stato apprestato fino al momento del crollo del muro che provocò la morte dei due operai.
E a fronte dello stato di fatto che evidenziava il grave pericolo incombente, il S. - il quale secondo gli stessi testimoni indicati dalla difesa era stato visto in cantiere - non era intervenuto ad impartire prescrizioni all'impresa esecutrice o a sospendere i lavori in corso, nonostante l'edificio, già giudicato fatiscente, non fosse stato puntellato, avallando quindi la complessiva negligenza con cui si svolsero, senza effettuare alcuna verifica dell'eventuale aggravarsi della situazione di pericolo, della quale egli era certamente al corrente.
Inoltre, a proposito della posizione del direttore dei lavori, è indubbio, per quanto logicamente ritenuto dai giudici di merito, che il B. abbia effettivamente agito nella sfera di competenza dell'ufficio unico della direzione dei lavori.
Si è da tempo precisato che tale figura professionale è responsabile a titolo di colpa del crollo di costruzioni anche nell'ipotesi di sua assenza dal cantiere, dovendo egli esercitare un'oculata attività di vigilanza sulla regolare esecuzione delle opere edilizie ed in caso di necessità adottare le necessarie precauzioni d'ordine tecnico, ovvero scindere immediatamente la propria posizione di garanzia da quella dell'assuntore dei lavori, rinunciando all'incarico ricevuto (cfr. sez. 4 n. 18445 del 21/02/2008, Strazzanti, Rv. 240157).
Infatti, egli è responsabile dell'infortunio sul lavoro quando gli viene affidato il compito di sovrintendere all'esecuzione dei lavori, con la possibilità di impartire ordini alle maestranze sia per convenzione, cioè per una particolare clausola introdotta nel contratto di appalto, sia quando per fatti concludenti risulti che egli si sia in concreto ingerito nell'organizzazione del lavoro (cfr. sez. 4 n. 49462 del 26/03/2003, Viscovo, Rv. 227070).
Trattasi, come si vede, di una motivazione precisa, fondata su specifiche risultanze processuali e del tutto idonea a illustrare l'itinerario concettuale esperito dal giudice di merito.
D'altronde, il vizio di manifesta illogicità che, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod proc. pen., legittima il ricorso per cassazione implica che il ricorrente dimostri che l'iter argomentativo seguito dal giudice è assolutamente carente sul piano logico e, per altro verso, che questa dimostrazione non ha nulla a che fare con la prospettazione di un'altra interpretazione o di un altro iter, in tesi egualmente corretti sul terreno della razionalità. Ne consegue che, una volta che il giudice abbia coordinato logicamente gli atti sottoposti al suo esame, a nulla vale opporre che questi atti si prestavano a una diversa lettura o interpretazione, munite di eguale crisma di logicità (Sez. U, 27-9-1995, Mannino, Rv. 202903).
La verifica che la Corte di cassazione è abilitata a compiere sulla completezza e correttezza della motivazione di una sentenza non può infatti essere confusa con una rinnovata valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella fornita dal giudice di merito. Né la Corte suprema può esprimere alcun giudizio sulla rilevanza e sull'attendibilità delle fonti di prova, giacchè esso è attribuito al giudice di merito, con la conseguenza che le scelte da quest'ultimo compiute, se coerenti, sul piano della razionalità, con una esauriente analisi delle risultanze probatorie acquisite, si sottraggono al sindacato di legittimità, una volta accertato che, come nel caso in disamina, il processo formativo del libero convincimento del giudice non abbia subìto il condizionamento derivante da una riduttiva indagine conoscitiva o gli effetti altrettanto negativi di un'imprecisa ricostruzione del contenuto di una prova (Sez. U, 25-11-1995, Facchini, Rv. 203767 ). Dedurre infatti vizio di motivazione della sentenza significa dimostrare che essa è manifestamente carente di logica e non già opporre alla ponderata ed argomentata valutazione degli atti effettuata dal giudice di merito una diversa ricostruzione (Sez. U, 19-6- 1996, Di Francesco, Rv 205621). 3.
Pertanto è stato correttamente rimproverato al B., alla luce della posizione di garanzia connessa al ruolo di fatto rivestito, di non aver previsto nel piano di sicurezza e coordinamento, redatto in unione con l'architetto A., il puntellamento o la cerchiatura dell'edificio quale opera preliminare cui procedere prima di iniziare qualsivoglia lavorazione; in secondo luogo, di non aver adeguatamente visionato il piano operativo di sicurezza redatto dall'impresa M., non rilevando, dunque, le evidenti carenze in materia di misure di sicurezza, mancando in questo idonei presidi atti ad evitare il rischio di crollo; infine, di aver omesso di vigilare adeguatamente, coordinare e disciplinare l'attività svolta dall'impresa M..
1.2 Per completezza, rispondendo alla censura tendente a circoscrivere il ruolo del B. alla sola funzione di direttore operativo, occorre rilevare che l'assunto difensivo non vale in ogni caso a disarticolare la motivazione offerta dalle sentenze di merito.
Secondo la disciplina in vigore al momento del fatto, gli assistenti con funzioni di direttori operativi collaborano con il direttore dei lavori nel verificare che lavorazioni di singole parti dei lavori da realizzare siano eseguite regolarmente e nell'osservanza delle clausole contrattuali. Essi rispondono della loro attività direttamente al direttore dei lavori (art.125, co.1, del d.P.R. 554/1999).
Le funzioni del coordinatore per l'esecuzione dei lavori previsti dalla vigente normativa sulla sicurezza nei cantieri sono svolte dal direttore lavori. Nell'eventualità che il direttore dei lavori sia sprovvisto dei requisiti previsti dalla normativa stessa, le stazioni appaltanti devono prevedere la presenza di almeno un direttore operativo avente i requisiti necessari per l'esercizio delle relative funzioni (art. 127, comma 1, del d.P.R. 554/1999).
Alla luce delle suddette disposizioni, secondo la giurisprudenza di questa Corte, non è pertanto revocabile in dubbio che, in caso sia necessaria la figura del coordinatore per l'esecuzione, le sue funzioni vengono svolte dal direttore dei lavori, il quale è infatti espressione della committenza e generalmente dotato dei requisiti di professionalità richiesti. Ove poi così non dovesse essere - ossia ove egli risultasse sprovvisto di tali requisiti - soccorrerebbe il secondo periodo della medesima disposizione (Cass. Sez. 4, n.25816 del 18-01.2018, in motivazione). Il B., dunque, anche nell'espletamento delle sue funzioni di direttore operativo, sarebbe stato comunque investito di una posizione di garanzia che gli imponeva di collaborare con il direttore dei lavori nel verificare che lavorazioni di singole parti dei lavori da realizzare fossero eseguite regolarmente e nell'osservanza delle clausole contrattuali.
Inoltre, nella sentenza di primo grado è stato evidenziato che, se è vero che il B. avesse effettuato sopralluoghi, valorizzando le dichiarazioni dei testi a discarico che avevano affermato di averlo visto sul cantiere, allora la sua condotta avrebbe dovuto essere considerata ancor più grave, essendo egli rimasto inerte dinanzi al conclamato pericolo di crollo.
Pertanto, anche in tal veste, sarebbe venuto meno ai suoi doveri; infatti, pur consapevole del rischio di crollo del muro dovuto alla mancanza di adeguato puntellamento, non assunse alcuna iniziativa atta a contenere l'evidente pericolo, a cui era tenuto .
A fronte delle suddette emergenze, è generico il profilo di censura con cui si eccepisce l'erronea attribuzione del ruolo di direttore dei lavori, anziché quella di direttore operativo, in capo al B., il quale in tal veste non avrebbe assunto - secondo il ricorrente - alcuna posizione di garanzia in merito al doveroso controllo della situazione di pericolo di crollo del muro da cui è derivata la morte di D.C. e U.M..
Non è infatti specificato per quale ragione il B., anche nella veste di direttore operativo, pur presente in cantiere, non dovesse vigilare, segnalare e far si che l'ufficio di sua appartenenza potesse esercitare i poteri di sospensione riconosciuti.
2. All'inammissibilità dei motivi sin qui esaminati consegue l'inammissibilità del terzo motivo col quale la difesa ha chiesto dichiararsi l'improcedibilità del reato per intervenuta prescrizione.
Questa Corte di legittimità ha più volte ribadito che l'inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 cod. proc. pen. (così Sez. U. n. 32 del 22/11/2000, De Luca, Rv. 217266 relativamente ad un caso in cui la prescrizione del reato era maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso; conformi, Sez. U., n. 23428 del 2/3/2005, Bracale, Rv. 231164, e Sez. U. n. 19601 del 28/2/2008, Niccoli, Rv. 239400; Sez. 2, n. 28848 del 8/5/2013, Ciaffoni, Rv. 256463).
Per completezza, si evidenzia che, per il reato di omicidio colposo, commesso, come in questo caso, con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, il raddoppio dei termini di prescrizione era stato già stabilito dall'art.6 della L.5 dicembre 2005, n.251; inoltre, la pena massima era stata portata a sette anni dall'art.1, comma 1, lett.c) del d.lgs.23 maggio 2008, n.92, convertito nella 1.24 luglio 2008, n.125. Pertanto, il termine prescrizionale è pari ad anni 17 e mesi 6 (dato da anni 7 pena base, aumentata di 1/4 e così anni 8 e mesi 9, raddoppiata ad anni 17 e mesi 6), decorrente dalla verificazione dell'evento (2 aprile 2009) e non ancora spirato.
3. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero in ordine alla causa di inammissibilità (Corte cost. n. 186/2000), ma non anche la condanna alla rifusione delle spese in favore delle costituite parti civili: le conclusioni scritte depositate nel loro interesse, infatti, non hanno fornito alcun contributo alla dialettica processuale a causa della loro assoluta genericità (sul punto, Sez. U, n. 34559 del 26/6/2002, De Benedictis, Rv. 222264; Sez. U, n. 877 del 14/7/2022, dep. 2023, Sacchettino, in motivazione).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Nulla per le spese in favore delle parti civili.