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20 febbraio 2025
Concordato fallimentare e imposta di registro: l'accollo è fuori dalla base imponibile
Il Fisco, con la risoluzione n. 13/2025, recepisce l'orientamento della Cassazione secondo cui al decreto di omologa del concordato fallimentare con l'intervento del terzo assuntore va applicato il comma 3, e non il comma 2, dell'art. 21 del TUR.
di La Redazione
Con la risoluzione n. 13/2025, l'Agenzia delle Entrate fornisce chiarimenti in merito alla determinazione della base imponibile dell'imposta di registro relativa alle disposizioni negoziali contenute nel decreto di omologa del concordato fallimentare con terzo assuntore (artt. 124-140 R.D. n. 267/1942).

precisazione

Nel caso oggetto di interpello, il terzo assuntore si obbliga a soddisfare i crediti concorsuali nella misura concordata, in base allo schema civilistico dell'accollo (art. 1273 c.c.) dietro la cessione delle attività fallimentari, addossandosi le passività della società fallita risultanti dalla sentenza di omologazione, così diventando il proprietario di tutte le attività.

Nel documento di prassi, il Fisco rileva innanzitutto il mancato allineamento in materia tra giurisprudenza e prassi fiscale.
 
Da una parte, la circolare n. 27/2012 dell'Amministrazione finanziaria ha concluso che, considerato l'accollo intrinsecamente connesso al trasferimento dei beni fallimentari, allo schema negoziale va applicata l'imposta proporzionale di registro secondo il criterio previsto dall'art. 21, comma 2, D.P.R. n. 131/1986 (TUR). In sostanza, tale interpretazione si fonda fatto che l'accollo dei debiti del concordato e la cessione dei crediti rappresentano due disposizioni distinte seppur legate da un vincolo di derivazione necessaria, tanto che l'accollo deve essere considerato come un atto autonomo nell'ambito del concordato fallimentare.
 
D'altro lato, la Cassazione ha affermato che, poiché gli effetti del concordato con assuntore derivano direttamente dalla legge, non è configurabile un accordo negoziale tra le parti: l'assunzione delle passività discende direttamente dalla disciplina fallimentare quale effetto fisiologico. Di conseguenza, all'omologa del concordato fallimentare con terzo assuntore va applicata la tassazione prevista dall'art. 21, comma 3, TUR; l'imposta di registro va applicata in misura proporzionale su una base imponibile corrispondente al valore dei beni e dei diritti fallimentari trasferiti.
 
Operata tale ricostruzione, il Fisco decide di superare i chiarimenti forniti con la circolare n. 27/2012 e di aderire all'indirizzo offerto dalla giurisprudenza di legittimità. Pertanto:

esempio

al decreto di omologa del concordato fallimentare con l'intervento del terzo assuntore si applica il comma 3, dell'art. 21 del TUR, e non il comma 2 dello stesso, e l'imposta di registro in misura proporzionale deve, dunque, essere determinata su una base imponibile corrispondente al valore dei beni e dei diritti fallimentari trasferiti.

La risoluzione, inoltre, fornisce anche istruzioni operativa in linea con i nuovi criteri. In particolare, viene precisato che l'imposta proporzionale di registro dovrà essere applicata sui beni dell'attivo fallimentare, oggetto di trasferimento, identificato analiticamente nelle singole res che lo compongono e applicando per ciascuno di essi, in base alla relativa natura, l'aliquota prevista nella tariffa.
 
Stesse conclusioni, ai fini dell'imposta di registro, per la procedura di concordato nella liquidazione giudiziale, disciplinato dal nuovo CCII (articoli 240-253), istituto che non presenta differenze sostanziali rispetto al previgente “concordato fallimentare”.
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