
Svolgimento del processo
1)Tizia e Caio convennero in giudizio, dinanzi al Tribunale di Mantova, Mevio, ginecologo, ascrivendogli la carenza di adeguate informazioni circa l’amniocentesi pre parto, che non venne effettuata dalla Tizia, dopo il b-test, e che quindi non consentì l’individuazione delle mutazioni cromosomiche nel feto; nacque, quindi, una bambina viva e vitale e non fu riconosciuta dai genitori, bensì data in adozione ad altra coppia.
2)La domanda venne rigettata e l’impugnazione proposta dai Tizia – Caio venne disattesa dalla Corte d’appello di Brescia, la cui sentenza venne cassata, dalla sentenza di questa Corte n. 24220 del 27/11/2015, con rinvio.
3)Riassunta la causa in appello da parte di Tizia e Caio, radicatosi il contraddittorio in fase di gravame, espletata consulenza tecnica di ufficio, la domanda di risarcimento dei danni è stata rigettata dalla Corte d’appello di Brescia con sentenza n. 849 del 30/06/2021.
4)Avverso la detta sentenza della Corte territoriale ricorrono per cassazione la Tizia e il Caio, con atto affidato a due motivi, articolati in plurime censure.
Risponde con controricorso Mevio.
Allianz S.p.a., assicuratrice contro i danni del ginecologo Mevio e che aveva partecipato alla fase di rinvio dinanzi alla Corte d’appello di Brescia, è rimasta intimata.
5)Il Procuratore Generale non ha presentato conclusioni.
Entrambe le parti hanno depositato memoria per l’adunanza camerale del 4/10/2024, alla quale il ricorso è stato trattenuto per la decisione.
Motivi della decisione
I ricorrenti propongono i seguenti motivi di ricorso:
I)nullità e comunque inutilizzabilità della consulenza tecnica di ufficio per violazione degli artt. 62 e 194 c.p.c. e conseguente nullità della sentenza n. 849 del 2021 della Corte d’appello di Brescia per violazione e falsa applicazione delle norme di cui agli artt. 112, 115, 183, comma 8, c.p.c. e per omessa motivazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4 c.p.c., per avere il consulente tecnico di ufficio nominato dalla Corte d’appello nella fase di rinvio ecceduto il mandato conferitogli dai giudici, avendo egli interrogato la Tizia su questioni non pertinenti l’espletamento della consulenza medico legale e per non avere proceduto alla verbalizzazione delle operazioni peritali e alla conservazione e consegna dei verbali.
II)nullità della sentenza per motivazione apparente ai sensi dell’art. 132, comma 2 n. 4 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., per avere la sentenza ritenuto adeguata l’informazione fornita dal ginecologo Mevio alla gestante senza che tanto risultasse da un atto scritto.
III)Ciò posto deve premettersi che la sentenza di questa Corte di cassazione n. 24220 del 27/11/2015 aveva demandato al giudice del rinvio di accertare «se vi sia stata una corretta informazione da parte del ginecologo, che avrebbe consentito alla gestante di autodeterminarsi, in primo luogo, in merito all'esecuzione dell'amniocentesi».
III.1)Ai fini dell’adempimento del mandato cassatorio la Corte d’appello di Brescia ha proceduto alla rinnovazione dell’istruttoria, in particolare mediante l’espletamento di una consulenza medico legale di ufficio.
III.2)L’accertamento demandato al perito d’ufficio dalla Corte d’appello di Brescia, nella fase di rinvio, era, come risulta dal quesito, del seguente testuale tenore (riportato in ricorso, alla pag. 8): «letti gli atti di causa, e le CTU già espletate, visitata se ritenuto opportuno, l’appellante, preso atto della vicenda nella sua complessità, accerti il CTU se, qualora fosse stata data informazione alla sig.ra Tizia, della sussistenza della malformazione di cui era affetto il feto, sarebbe insorto e con quale grado di probabilità, un rischio di grave patologia per la salute mentale della medesima, idoneo a determinare le condizioni previste dalla legge per l’interruzione della gravidanza. Accerti altresì se sussistono postumi permanenti comportanti una riduzione del benessere psico-fisico della Tizia, connessi con la nascita della bambina malformata ed anche, in particolare agli eventi che ne sono immediatamente seguiti, provvedendo alla quantificazione in termini percentuali» e, in conclusione, di carattere prevalentemente psichico.
IV)Alla stregua delle risultanze della rinnovata fase di merito il Collegio ritiene che il primo motivo sia infondato, in quanto il consulente tecnico di ufficio ha accertato, nel compimento delle operazioni peritali, che a Tizia era stata fornita adeguata informazione da parte del ginecologo Mevio.
Assume, invero, efficacia dirimente la dichiarazione della Tizia, riportata nella relazione di consulenza tecnica di ufficio, del seguente testuale tenore «Riferisce nel merito che dopo il primo test di screening negativo non aveva ritenuto di effettuate l’amniocentesi – proposta dal ginecologo – perché era giovane (aveva 29 anni)».
Detta affermazione non risulta essere stata fatta dalla Tizia in risposta a una domanda del consulente d’ufficio Filippini, bensì risulta essere stata resa spontaneamente, nel corso delle operazioni peritali, come si desume dal termine “riferisce”.
Alla stregua di Sez U n. 3086 del 1/02/2022 (Rv. 663786 - 02), sui poteri del consulente medico legale di ufficio, secondo la quale il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell'osservanza del contraddittorio delle parti, può accertare tutti i fatti inerenti all'oggetto della lire, il cui accertamento si renda necessario al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, a condizione che non si tratti dei fatti principali che è onere delle parti allegare a fondamento della domanda o delle eccezioni e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti di fatti principali rilevabili d'ufficio, la questione circa le informazioni fornite alla Tizia dal ginecologo Mevio, al contrario di quanto prospettato dal primo motivo di ricorso, era rilevante e non atteneva a un profilo che doveva restare escluso dall’indagine peritale.
Invero, e quanto più in questa sede rileva, la dichiarazione della Tizia, riportata in consulenza tecnica di ufficio, non risulta essere stata da questa resa in risposta a una domanda del consulente d’ufficio Filippini, bensì era stata resa spontaneamente, nel corso delle operazioni peritali e, peraltro, circostanza assolutamente incontestata, alla presenza dei consulenti tecnici della Tizia e del Caio, aventi qualificata competenza medica, che nulla osservavano nell’immediatezza delle operazioni e, per vero, neppure in seguito, posto che le uniche note di contestazione sono quelle depositate dai difensori della Tizia e del Caio in data 15/10/2020 per l’udienza tenuta in data 21/10/20, con modalità telematica, mediante, appunto, deposito di note scritte e in ordine alle quali il giudice del merito si è già pronunciato, con motivazione di rigetto della richiesta di rinnovazione della consulenza tecnica di ufficio che è pienamente condivisibile, in quanto, come sopra scritto, il consulente medico non risulta avere violato i limiti del mandato affidatogli.
Sfornita di idoneo addentellato in punto di diritto è, inoltre, l’affermazione censoria di nullità della consulenza tecnica di ufficio per avere il consulente dottor Filippini omesso di documentare adeguatamente le operazioni compiute mediante la redazione di un verbale.
Su detto profilo di censura è sufficiente ribaditìre, come pianamente emergente dalla piana lettura delle disposizioni del codice di rito civile in materia di consulenza tecnica legale di ufficio, che la redazione di un verbale è prevista soltanto nel caso in cui le operazioni peritali siano svolte alla presenza del giudice istruttore (art. 195 c.p.c.), caso che nella specie non si è verificato, posto che le operazioni di consulenza non sono state svolte alla presenza del collegio d’appello o di un consigliere del collegio a detto fine delegato, e pertanto non vi era alcun obbligo per il consulente di ufficio di documentare, nella specie, lo svolgimento delle operazioni.
Inoltre, e come già prospettato, i consulenti di parte non mossero alcuna contestazione alla circostanza dell’avere il consulente tecnico d’ufficio Filippini raccolto la dichiarazione spontanea della Tizia che, pertanto, il consulente era tenuto a riportare nell’elaborato peritale depositato a conclusione delle indagini, perché in caso contrario sarebbe venuto meno al suo dovere di collaborazione al fine dell’accertamento della verità giudiziale e comunque si sarebbe esposto alle contestazioni della parte avente interesse contrario a che detta dichiarazione della Tizia fosse riportata.
IV.1)Il primo motivo di ricorso è, pertanto, infondato.
V)Il secondo motivo, incentrato sulla mancanza di un atto scritto con il quale il ginecologo comunicò alla gestante che non era necessaria un’ulteriore indagine in quella fase della gravidanza e in guisa tale da poterla interrompere a norma di legge, riguarda, in concreto, l’apprezzamento della nota scritta in calce all’esame b- test e, quindi, è inammissibile, poiché richiede un diverso apprezzamento di circostanze fattuali come tale demandato al giudice del merito.
Il motivo, peraltro, è formulato secondo il parametro di cui all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. ossia per motivazione apparente ma, in concreto, non indica su quale punto la motivazione sia meramente apparente.
La Corte territoriale ha, invero, adeguatamente assolto il compito motivazionale sulla base delle risultanze di causa, correlando la dichiarazione resa da Libuse Tizia al consulente medico legale di ufficio, sopra testualmente riportata, con la avvertenza apposta in calce al modulo in cui era stampato il risultato del b-test, facendone discendere conseguenze logiche in ordine alla ritenuta consapevolezza della gestante di potere effettuare ulteriori esami, di carattere più penetrante, oltre che maggiormente invasivo.
Il sindacato ai sensi del n. 4 dell’art. 360, comma primo, codice di rito deve, infine, arrestarsi al riscontro di una motivazione non inferiore al cd. minimo costituzionale, il che, nella specie, è dato riscontrare alla stregua della giurisprudenza nomofilattica (Sez. U n. 8053 del 7/04/2014 629830 – 01), secondo la quale l’anomalia della motivazione si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione e, in concreto, vizi che, nella specie, non è dato ravvisare nella sentenza impugnata.
V.1)Il secondo motivo di ricorso è, quindi, inammissibile.
VI)Il ricorso, in conclusione, è infondato, e in parte delle censure, inammissibile e deve, pertanto, essere rigettato.
VII)La spese di lite seguono la soccombenza solidale dei ricorrenti e, tenuto conto dell’attività processuale espletata in relazione al valore della controversia, sono liquidate come da dispositivo in favore del controricorrente.
VII.1) Nulla per le spese nei confronti dell’Allianz S.p.a., che non ha svolto attività difensiva in questa sede di legittimità.
VIII)Ai sensi dell’art. 52 del d.lgs. n. 196 del 2003, deve
essere disposto che, in caso di diffusione del presente provvedimento, siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi dei ricorrenti.
IX)Al rigetto dell’impugnazione consegue, per legge, che deve attestarsi la sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n.
115 del 30/05/2002, per il cd. raddoppio del contributo unificato, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna i ricorrenti in solido al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 12.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti e in favore del competente Ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.