
Svolgimento del processo
1.- (omissis) (omissis) era dipendente della società (OMISSIS) srl allorché, in data 24.5.2005, salito sul lastrico solare dello stabilimento per riparare il refrigeratore, è caduto di sotto, a causa della rottura del lucernaio in plexiglass, ed è morto.
I suoi familiari, ed in particolare il padre, la madre e la sorella, hanno citato in giudizio la (omissis) srl, per il risarcimento dei danni conseguenti a tale tragico evento. Erano infatti emerse, dalla ispezione dei luoghi da parte della autorità amministrativa, numerose violazioni della normativa antinfortunistica da parte, per l’appunto, della società convenuta e datrice di lavoro del (omissis).
2.- La (omissis) srl si è costituita, ha eccepito nel merito l’infondatezza della domanda, ma soprattutto ha chiesto ed ottenuto la chiamata in causa della società (omissis) srl, ora in liquidazione, la quale aveva l’uso dell’immobile in quanto incaricata della manutenzione. La (omissis) srl, infatti, ha ritenuto l’appaltatrice responsabile diretta del danno o comunque corresponsabile ed ha anche chiesto di essere da quest’ultima manlevata in caso di condanna.
3.- Durante il corso del giudizio di primo grado è intervenuto il fallimento della (omissis) srl. Il giudizio è stato dunque interrotto e riassunto nei confronti della curatela, che si è costituita ribadendo le domande ed eccezioni già fatte.
Il Tribunale di Salerno ha accolto la domanda sia verso (omissis) srl che verso (omissis) srl, ritenendo quest’ultima responsabile al 50% dell’evento e dunque tenuta in quella misura al risarcimento.
Il Tribunale, in particolare, ha osservato che (omissis) srl aveva la custodia del bene ed era consapevole del fatto che i lucernai in plexiglass erano rotti, e dunque non reggevano il peso di una persona, e non ha avvisato il committente, né ha posto segnaletica di pericolo.
Ha escluso dunque concorso di colpa del danneggiato.
4.- Questa decisione è stata integralmente confermata dalla Corte di appello di Salerno, avverso la quale ha proposto ricorso per cassazione la società (omissis) srl in liquidazione, con otto motivi di ricorso, cui hanno fatto seguito i distinti controricorsi di (omissis), madre del defunto e di (omissis)(omissis), sorella del defunto. Entrambe poi contraddicono altresì quali eredi di (omissis) (omissis), padre del defunto, deceduto in corso di causa.
La ricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione
1.- Il primo motivo prospetta violazione dell’articolo 305 c.p.c. oltre che difetto di motivazione.
La tesi della ricorrente è la seguente.
Come si è detto, nel corso del giudizio di primo grado, è intervenuto il fallimento della (omissis) srl, la causa è stata interrotta, ed è stata fatta riassunzione nei confronti della curatela.
Secondo la ricorrente, la riassunzione avrebbe dovuto farsi con la procedura fallimentare e nel termine di cui all’articolo 305 c.p.c.
Invece, è avvenuta fuori termine e davanti al medesimo giudice originariamente adito, dunque non secondo la procedura fallimentare, come invece avrebbe dovuto farsi la riassunzione. Secondo la ricorrente, infatti, il credito vantato avrebbe dovuto fare parte della massa.
Il motivo è in parte infondato in parte inammissibile.
Intanto, la sentenza impugnata, facendo corretta applicazione del principio enunciato da Cass. sez. un. 12154/2021, ha ritenuto che il termine per la riassunzione decorra da quando la dichiarazione di fallimento è portata a conoscenza delle parti. E ne ha tratto la conclusione che quel termine è stato rispettato (p. 15 della sentenza impugnata).
Questa ratio, ossia che il termine decorra da quel momento e non da altro, non è inoltre contestata.
La seconda censura attiene invece alla necessità che la riassunzione avvenisse davanti al giudice del fallimento anziché a quello adito originariamente, per la natura ormai concorsuale del credito fatto valere.
La decisione impugnata ha osservato come il credito fatto valere era quello al risarcimento del danno iure proprio, volto ad una condanna generica ai danni, e che, come tale, non era attratto dalla competenza fallimentare e poteva proporsi in via ordinaria (sulla scia di Cass. 13226/2016).
Questa ratio, fondata o meno che sia, non è impugnata con il motivo di ricorso in questione: la ricorrente non ha contestato la natura della domanda svolta nei suoi confronti, non ha cioè eccepito che non si tratta di domanda generica di risarcimento, anziché di domanda che contiene la determinazione del quantum, e dunque il motivo, relativamente a tale aspetto, deve dirsi inammissibile.
2.- Il secondo motivo prospetta violazione degli articoli 409, 412 e 428 c.p.c.
Secondo la ricorrente, la causa avrebbe dovuto essere di competenza del giudice del lavoro, in quanto la domanda ha ad oggetto il risarcimento danni subiti da un lavoratore per effetto della violazione delle norme antiinfortunistiche e <<l’azione in oggetto tratta del “danno differenziale” preteso dagli eredi di (omissis) (omissis)>>.
La tesi della Corte di Appello, avverso la quale la ricorrente propone censura, è invece che la domanda ha ad oggetto danni propri dei parenti della vittima, e non iure hereditatis, e che, proprio per la natura dei danni, conformemente alla giurisprudenza di questa Corte (da ultimo Cass. 907/2018), la controversia appartiene alla cognizione del giudice ordinario.
Inoltre, secondo la Corte di Appello l’eccezione di incompetenza è stata fatta tardivamente oltre il termine di cui all’articolo 38 c.p.c.
Il motivo è dunque inammissibile.
Infatti, non dice alcunché sulla tardività della eccezione, che è ratio autonoma, ossia da sola sufficiente a giustificare il rigetto e tanto assorbe ogni altra questione sollevata in tema di competenza del giudice adito. Ma ribadisce senza altri svolgimenti quanto già proposto in appello in ordine alla domanda svolta ed al tipo di competenza conseguente: cioè non contesta specificamente che la domanda sia di risarcimento dei danni iure proprio, che è il presupposto per l’attrazione della controversia al giudice civile, anziché a quello del lavoro, e fa altresì riferimento al “danno differenziale” senza neppure precisare quando e in quali esatti termini abbia proposto nel giudizio di merito tale questione.
3.- Con il terzo motivo si prospetta violazione degli articoli 32, 108 e 331 c.p.c.
La censura è la seguente.
La (omissis), qui ricorrente, è stata condannata in base alla chiamata in causa della (omissis) srl, ma, stando al motivo di ricorso, senza che vi fosse domanda nei suoi confronti da parte degli originari attori.
I giudici di merito hanno ritenuto estesa la domanda, per effetto della chiamata in causa, che hanno qualificato come chiamata del terzo responsabile, in quanto basata sullo stesso titolo su cui si fondava la domanda principale, e non sul diverso titolo di garanzia. Il ricorrente contesta questa ricostruzione adducendo argomenti apodittici in contrario, ossia affermando che invece la chiamata era basata su titolo autonomo e che non poteva ravvisarsi solidarietà.
Il motivo è infondato.
E’ principio di diritto che <<diversamente dall'ipotesi in cui il convenuto in giudizio chiami in causa un terzo, indicandolo come il soggetto tenuto a rispondere della pretesa dell'attore (caso, questo, nel quale la domanda attorea si estende automaticamente al terzo, pur in mancanza di apposita istanza, dovendosi individuare il vero responsabile nel quadro di un rapporto oggettivamente unitario), nell'eventualità della chiamata del terzo in garanzia la predetta estensione automatica non si verifica, in ragione dell'autonomia sostanziale dei due rapporti, ancorché confluiti in un unico processo>> (Cass. 516/2020; Cass. 15232/2021).
Risulta pacifico che la (omissis) srl ha chiamato in causa la (omissis) srl non già perché quest’ultima, in base ad un qualche titolo, accordo, o negozio di sorta, avesse assunto l’obbligo di garanzia, ma in quanto la (omissis) srl ha ritenuto corresponsabile diretta del danno la società cui aveva affidato la manutenzione e dunque la custodia dell’immobile, ossia per via del medesimo titolo in base al quale era chiamata lei stessa a rispondere: un caso di estensione al terzo chiamato della domanda originaria.
4.- Vengono poi proposti insieme il quarto, quinto, sesto e settimo motivo.
Questa unica rubricazione è riassuntiva di censure diverse tra loro, contenute in sottoparagrafi dell’unico motivo di ricorso.
Esse hanno tuttavia in comune la contestazione di come i fatti sono stati accertati e la valutazione delle prove.
In particolare, si contesta alla Corte di merito di avere ritenuto attendibili i testi escussi (p. 15.-16, poi nuovamente p. 24 e ss. e 29 del ricorso), di non avere tenuto conto della CTU svolta nel giudizio penale che riteneva responsabile la sola (omissis) srl (p. 17, ivi), di avere escluso il concorso di colpa del danneggiato (p. 18 e 32, ivi); di avere erroneamente ritenuto che la ricorrente fosse custode dell’area (p. 19, 25, 36, ivi); di avere infine ritenuto un nesso di causa tra la condotta della ricorrente e la morte del lavoratore (p. 38, ivi), e di aver comunque quantificato erroneamente quel contributo causale nella misura del 50% (p. 39 e ss., ivi).
Il motivo è inammissibile.
Si tratta di un motivo, dunque, che contiene in sé una serie di censure che attengono, innanzitutto, alla valutazione dei testi, rimessa al giudizio del giudice di merito e da costui motivata adeguatamente, qui non censurabile. Né si può dire censurabile il giudizio sulla incapacità a testimoniare, che, a dire il vero, a differenza di quanto suppone la ricorrente (p. 31 e ss.) non fa parte della ratio decidendi. Piuttosto, i giudici di merito hanno ritenuto capaci di testimoniare i dipendenti della (omissis) srl, in quanto il rapporto di lavoro si era risolto, e dunque non vi era più quella situazione che, in alcuni casi, e non astrattamente, può condizionare la testimonianza del dipendente.
Allo stesso modo, è accertamento in fatto rimesso al giudice di merito l’esistenza di un rapporto di custodia tra il convenuto e la cosa che ha causato danno.
La Corte di Appello ha fatto corretta applicazione, ai fini di tale accertamento, dei principi di diritto di questa Corte, secondo cui, quando vi sia trasferimento del potere di fatto sulla cosa dall’appaltante all’appaltatore, il primo deve considerarsi custode, e, se il secondo mantiene comunque l’ingerenza o il potere di disporre della cosa, la custodia è in capo ad entrambi (su questo ultimo aspetto Cass. 41435/2021; Cass. 11671/2018).
La conseguente questione se l’appaltatore abbia un potere di fatto sulla cosa, nel caso concerto, è questione di fatto rimessa all’accertamento del giudice di merito, il quale, nella fattispecie, l’ha ricavata da alcuni elementi (avevano l’accesso a tutto l’immobile per fare la manutenzione, si erano avveduti della rottura dei lucernai, e via dicendo) che costituiscono una motivazione sufficiente.
Una volta accertato in fatto, ed è accertamento, si ripete, qui non sindacabile, che l’appaltatore aveva anche lui la custodia del bene, costui può liberarsi solo dimostrando il caso fortuito, il quale ben può consistere nel concorso di colpa del danneggiato, che però è onere del custode provare.
Nella fattispecie, il giudice di merito ha escluso concorso di colpa del danneggiato con una motivazione adeguata, che ha tenuto conto delle risultanze probatorie. Anche in tal caso quell’accertamento è qui incensurabile.
Parimenti, è questione di fatto, incensurabile in Cassazione, l’accertamento del nesso di causa, in concreto. E’ censurabile in Cassazione l’uso errato delle regole giuridiche in materia di accertamento del nesso causale, ma non già l’accertamento in concreto di quel nesso, ossia il giudizio circa la sussistenza del nesso di causa basato sulle prove di accertamento del fatto. Anche in tal caso la Corte territoriale ha motivato adeguatamente, evidenziando come non fosse stato avvisato il committente e non fossero stati messi avvisi del pericolo esistente.
Né può dirsi (p. 38 del ricorso) che la condotta della ricorrente, in tal modo intesa, altro non è che una occasione e non già un antecedente causale.
L’occasione è infatti la modalità di luogo e di tempo che rende possibile l’evento, e non è questo che si imputa a (omissis), cui non è contestato di avere soltanto creato il luogo o il tempo per il verificarsi del danno, ma proprio di avere causato il danno, ossia di aver posto in essere una condotta che, se evitata, o se effettuata diversamente, avrebbe evitato l’evento.
Infine, appartiene sempre al giudizio di fatto la ripartizione interna della solidarietà, proprio perché essa attiene al contributo dato da ciascuno all’evento.
5.- L’ottavo motivo prospetta violazione degli articoli 1226 e ss. c.c. Esso attiene alla stima del danno.
La ricorrente contesta genericamente il ricorso al criterio equitativo.
Non contesta la stima in sé, per violazione dei criteri che vi presiedono, ma la ritiene illegittima per conseguenza degli accertamenti in fatto di cui si è detto prima: la ricorrente si duole che si sia arrivati ad addebitarle parte del danno, si duole cioè di essere stata ritenuta responsabile. E dunque contesta la stima del danno, in quanto contesta di averlo causato.
Il motivo è inammissibile.
La contestazione riguarda propriamente i presupposti di fatto di quella liquidazione: il concorso causale dato all’evento, il concorso di colpa del danneggiato, negato dai giudici di merito, e via dicendo, e dunque la censura sta e cade con quelle precedenti, rivolte, per l’appunto, all’accertamento dei presupposti in fatto della stima equitativa.
Inoltre, va evidenziato che nella rubrica del mezzo in esame si prospetta un vizio della motivazione della sentenza impugnata neppure argomentato nella illustrazione del motivo e comunque non denunciabile, vertendosi in ipotesi di cd. doppia conforme, sicché, anche sotto tale profilo, il motivo in parola risulta inammissibile.
Il ricorso va pertanto rigettato, le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite, nella misura di 7.000,00 euro, oltre 200,00 euro di esborsi, in favore di ciascuna parte controricorrente, oltre spese generali come per legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13