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15 febbraio 2022
Amministrativo
La paura di ritorsione può far anonimizzare i dati dell’attore nel ricorso?
Che cosa succede se l'attore in giudizio notifica al convenuto (o a un controinteressato) un atto giudiziario dove anonimizza il proprio nominativo per paura di ritorsioni commerciali? L'atto giudiziario è nullo oppure è valido perché mira a tutelare legittime esigenze di riservatezza?
di Avv. Fabio Valerini
Il caso

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Il TAR Lazio, sede di Roma, sezione I, 15 febbraio 2022, n. 1808 ha avuto modo di pronunciarsi su una singolare fattispecie dove diritto processuale e diritto alla riservatezza (strumentale ad evitare la paura di ritorsioni commerciali per l'azione promossa) entrano in conflitto.
Nel caso di specie era accaduto che una società avesse segnalato all'Autorità garante per la concorrenza e il mercato una serie di condotte abusive asseritamente poste in essere da una società leader a livello mondiale nella fornitura di sistemi completi impiegati nella produzione di preforme in PET e che l'Autorità avesse rilevato che non sussistessero elementi per affermare che la società leader avesse posto in essere le condotte abusive contestate.
Per proporre ricorso avverso il provvedimento dell'Autorità, la società denunciante ha notificato il testo del ricorso introduttivo alla società leader quale controinteressato dopo aver anonimizzato il proprio nome con la conseguenza che la parte, leggendo l'atto, non ha avuto modo di sapere l'identità dell'attore.
Ed infatti, l'istante aveva presentato un'istanza chiedendo al Tribunale l'autorizzazione alla notifica del ricorso procedendo solo nei confronti dei controinteressati all'oscuramento dei dati identificativi della parte ricorrente e provvedendo al successivo deposito cartaceo del testo integrale del ricorso e all'inserimento nel fascicolo telematico della copia del ricorso notificato alle parti controinteressate senza l'indicazione degli elementi identificativi della parte ricorrente.

Il diritto

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Poiché quell'istanza era stata accolta in via provvisoria, riservando alla sede collegiale propria ogni valutazione circa la corretta e rituale instaurazione del contraddittorio processuale, il TAR ha dovuto esaminare funditus la questione processuale posta dalla ricorrente.
Orbene, secondo il TAR non vi può essere alcun dubbio che l'atto processuale così notificato sia nullo con conseguente dichiarazione di inammissibilità del ricorso proposto.
Ed infatti, la  «spendita del nome»del ricorrente nel processo amministrativo nei confronti di tutte le parti del giudizio è un elemento necessario e imprescindibile per la corretta proposizione dell'azione.
Sul punto l'art. 40, comma 1, lett. a), c.p.a. è chiaro nel momento in cui (come avviene anche per il codice di procedura civile) afferma che il ricorso deve contenere distintamente, a pena di nullità, «gli elementi identificativi del ricorrente, del suo difensore e delle parti nei cui confronti il ricorso è proposto».
Secondo il TAR, poi, occorre considerare che il «principio della parità delle armi, che è un corollario della nozione stessa di processo equo ed è inteso ad assicurare l'equilibrio tra le parti, implica che tutte le parti debbano avere una ragionevole possibilità di presentare la propria causa, e produrre prove, in condizioni che non le penalizzino nettamente rispetto ai propri avversari».
Quel principio non può consentire di negare alla controinteressata di conoscere l'identità della parte ricorrente perché ciò la priverebbe «senz'altro di esercitare le sue prerogative nel presente giudizio, impedendole, tra l'altro, di spiegare attività difensiva avuto riguardo alla legittimazione e all'interesse all'azione dell'odierna esponente».
Ne deriva che l'anonimizzazione sarebbe in contrasto con il diritto di difesa riconosciuto dall'art. 24 della Costituzione e con le garanzie del giusto processo di cui agli articoli 111 Cost., nonché all'art. 117, primo comma, Cost. in relazione all'articolo 6 CEDU.

La lente dell'autore

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Rispetto alle conclusioni raggiunte dal TAR Lazio ci sono ancora due aspetti che meritano di essere richiamati all'attenzione.
Il primo aspetto attiene alla osservazione dell'istante secondo cui nel corso del procedimento conclusosi con la delibera impugnata, la controinteressata abbia avuto accesso ai documenti istruttori in una versione parzialmente omissata e priva dei dati dell'impresa segnalante.
Ebbene, questa circostanza «riguarda il diverso tema delle possibili limitazioni all'ostensione di un documento amministrativo, in ragione della non indispensabilità della conoscenza del documento in forma integrale, nel bilanciamento operato dall'amministrazione tra l'esigenza difensiva del segnalato e quella alla riservatezza del segnalante», ma non esplica effetto alcuno sul piano del diritto processuale.
Il secondo aspetto attiene alla normativa in materia di dati personali che pure la ricorrente aveva richiamato a giustificazione del proprio modus procedendi.
Secondo il TAR, però, «gli articoli 136 c.p.a. e 52 d.lgs. n. 196/2003 richiamati a sostegno dell'istanza sono inconferenti, non afferendo al tema della indicazione dei dati identificativi delle parti nel ricorso ma riguardando esclusivamente la garanzia del diritto alla riservatezza della parte nei confronti di soggetti terzi, estranei al giudizio; segnatamente, l'art. 52 d.lgs. n. 196/2003 consente l'oscuramento dei dati delle parti nelle sentenze e in altri provvedimenti giurisdizionali mentre l'art. 136 c.p.a., comma 2, permette in casi eccezionali di depositare atti e documenti secondo modalità alternative alla forma telematica, al fine di garantirne la riservatezza verso terzi e la non riproducibilità».

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