|
La società alfa conveniva in giudizio la società beta e Tizio, formulando domanda di accertamento di responsabilità e, per l'effetto, di condanna, in via esclusiva o in solido tra loro, al risarcimento dei danni, materiali e non, subìti a causa di un'infiltrazione verificatasi nell'aprile 2017. In particolare, parte attrice allegava e deduceva che, quale società operante nel settore dell'alta moda specializzata nella realizzazione di abiti da sposa concludeva un contratto di locazione con la società beta per uno show room. Detto ciò, nel 2017 riscontrava, in vari punti dello show room, ingenti infiltrazioni. A seguito dell'intervento dei Vigili del Fuoco era emerso che le predette infiltrazioni provenivano dallo scarico presente sotto il lavello sito nella cucina dell'appartamento soprastante di Tizio, anch'esso di proprietà di della società beta. Per le ragioni esposte, la società alfa insisteva nel risarcimento dei danni subiti. |
|
Nella vicenda, l'attrice aveva posto in evidenza un ipotetico danno da mancato godimento dell'immobile parametrato al canone di locazione, un ipotetico danno alle parti strutturali dell'immobile e, infine, un ipotetico danno patrimoniale per i costi sostenuti per retribuire il personale dipendente anche nel periodo di chiusura e/o di ridotto godimento dello show room. Nonostante ciò, il thema decidendum era stato circoscritto dal giudicante al solo danno patrimoniale patito dall'attrice in relazione al contenuto dell'immobile da essa locato e al danno da mancati guadagni causati alla società in ragione del fermo dell'attività lavorativa. Ciò posto, quanto alle domande risarcitorie azionate, deve rilevarsi che entrambe le domande risarcitorie formulate erano sussumibili nel disposto di cui all'art. 2051 c.c., azione di responsabilità extracontrattuale da cose in custodia. Ed infatti, con specifico riguardo alla convenuta società beta, parte attrice non aveva dedotto profili di inadempimento in forza del contratto di locazione in essere con la stessa, bensì una responsabilità della predetta società quale società proprietaria dell'immobile sovrastante e, dunque, in tale veste quale custode della res. Tuttavia, secondo la C.T.U., con riguardo alle cause del sinistro, i vigili del Fuoco intervenuti nell'immediatezza riscontravano nella cucina del signor Tizio l'allagamento che, secondo la loro ricostruzione, era stato causato da “un errato allacciamento dello scarico sotto al lavello” dell'immobile locato dal predetto convenuto. Quindi, alla luce di tutte le superiori considerazioni compiute dal C.T.U. all'esito delle verifiche e delle prove svolte in loco, secondo il Tribunale, la causa sufficiente a determinare l'allagamento era da rinvenirsi nel comportamento del convenuto Tizio (conduttore) il quale, lasciando (con ogni probabilità inavvertitamente) il rubinetto aperto nella propria cucina, aveva determinato l'allagamento, dovendosi ritenere tale comportamento avente efficacia causale esclusiva tale da escludere la rilevanza causale di ogni altra eventuale concausa. È stata dunque provata, nei termini di cui si è detto, la responsabilità da cose in custodia del convenuto Tizio per l'allagamento occorso nell'immobile attoreo. Per tutte le ragioni sopra evidenziate, alcun profilo di responsabilità poteva imputarsi alla società beta (locatrice) tenuto conto delle complessive risultanze processuali. In conclusione, per le ragioni esposte, Tizio è stato condannato al risarcimento dei danni materiali pari a circa 71mila euro. |
|
In argomento, avuto riguardo alla responsabilità da cose in custodia, giova premettere che, secondo l'indirizzo della giurisprudenza della Corte di legittimità, ormai consolidatosi (Cass. civ., S.U., 30 giugno 2022, n. 20943), la responsabilità in tema di danni da cose in custodia è di natura oggettiva e si fonda non su un comportamento od un'attività del custode, bensì su una relazione intercorrente tra questi e la cosa dannosa. La radicale oggettivazione dell'ipotesi normativa, insita nella prospettiva adottata – che consente di ritenere trattasi di rischio da custodia (e non di colpa nella custodia) e di presunzione di responsabilità (e non di colpa presunta) – comporta che la responsabilità in questione non esige, per essere affermata, un'attività o una condotta colposa del custode, di talché, il custode negligente non risponde in modo diverso dal custode perito e prudente, se la cosa ha provocato danni a terzi (Cass. civ., sez. III, 19 febbraio 2008, n. 4279). Premesso ciò, al riguardo, si rammenta che l'essere conduttore dei locali interessati dai danni da infiltrazione o allagamento non preclude la tutela risarcitoria ex art. 2051 c.c. Difatti, secondo la più recente giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., sez. III. 5 maggio 2020, n. 8466) il conduttore ha diritto alla tutela risarcitoria nei confronti del terzo che, con il proprio comportamento, gli arrechi danno nell'uso o nel godimento dell'immobile locato, avendo un'autonoma legittimazione per proporre l'azione di responsabilità contro l'autore di tale danno, ai sensi dell'art. 1585, comma II, c.c. Più precisamente, l'art. 1585 c.c. prevede a favore del conduttore una garanzia dovuta dal locatore solo nell'ipotesi delle c.d. “molestie di diritto”, da distinguersi dalle c.d. “molestie di fatto”. Le infiltrazioni d'acqua o gli allagamenti provenienti dall'appartamento sovrastante o dalle parti condominiali devono essere considerate tipiche ipotesi di molestie di fatto, per le quali non opera la garanzia di cui all'art. 1585, comma 1, c.c., ma la legittimazione di cui al comma 2. Pertanto, qualora a carico dell'appartamento locato si verifichi un'infiltrazione d'acqua o un allagamento scaturente da un appartamento sovrastante o da parti condominiali, il conduttore, ex art. 1585, comma 2, c.c., gode di un'autonoma legittimazione per proporre l'azione di responsabilità nei confronti dell'autore del danno (Cass. civ. 20 agosto 2003, n. 12220). In definitiva, nella vicenda in commento, il predetto rubinetto di Tizio era posto evidentemente nella sua sfera di custodia ai sensi e per gli effetti dell'art. 2051 c.c. Sicché, come precisato in giurisprudenza, in tema di danni causati a terzi da cose in custodia ai sensi dell'art. 2051 c.c., originati da un immobile condotto in locazione, sussiste la responsabilità del proprietario ove detti danni siano derivati da vizio strutturale del bene, che investa le mura od impianti ivi conglobati, dovendosi presumere che il conduttore sia stato immesso in queste condizioni nella disponibilità della "res locata". Al contrario, la riconducibilità del menzionato vizio alle anomale iniziative dello stesso conduttore può assumere rilievo qualora essa sia dimostrata dal proprietario ai fini della rivalsa o quale caso fortuito, idoneo ad esonerare il locatore da responsabilità, ma solo nei limiti, tipici del "fatto del terzo" ex art. 2051 c.c., in cui tale riconducibilità, rivelandosi come autonoma, eccezionale, imprevedibile ed inevitabile, risulti dotata di efficacia causale esclusiva nella produzione dell'evento lesivo (Cass. civ., sez. III, 26 novembre 2019, n. 30729). |
Tribunale di Milano, sez. X Civile, sentenza (ud. 26 gennaio 2023) 27 gennaio 2023, n. 675
Svolgimento del processo / Motivi della decisione
Con atto di citazione ritualmente notificato, CUT s.r.l. conveniva in giudizio I.M. s.p.a. e P.M.F., formulando domanda di accertamento di responsabilità e, per l’effetto, di condanna, in via esclusiva o in solido tra loro, al risarcimento dei danni, materiali e non, subìti a causa di un’infiltrazione verificatasi nell’aprile 2017.
In particolare, parte attrice allegava e deduceva: che, quale società operante nel settore dell’alta moda specializzata nella realizzazione di abiti da sposa con marchi “P.L.” e “L.c.”, concludeva, a far data dal 1.1.2014, un contratto di locazione con I.M. s.p.a. per uno show room sito in (omissis) in (omissis); che il giorno 13.04.2017, alle ore 8.00 circa, riscontrava, in vari punti dello show room, ingenti infiltrazioni, che l’intervenuto Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco confermava provenire dallo scarico presente sotto il lavello sito nella cucina dell’appartamento soprastante di P.M.F., anch’esso di proprietà di I.M. s.p.a.; che, a causa degli ingenti danni provocati ai mobili, alle suppellettili e agli abiti, quest’ultima veniva invitata, insieme a P.M.F., alla stipula di una convenzione di negoziazione assistita, che veniva successivamente estesa alla UnipolSai Assicurazioni quale Compagnia assicurativa del fabbricato; che detto tentativo rimaneva senza esito nonostante l’adesione di I.M. s.p.a., stante il rifiuto di P.M.F. e di UnipolSai Assicurazioni; che l’entità dei danni subìti dall’attrice, patrimoniali e non, ammontava ad Euro 172.000,00, già al netto della somma di 17.187,00 euro versata in garanzia diretta dalla propria Compagnia assicuratrice, Axa Assicurazioni s.p.a..
Si costituiva in giudizio I.M. s.p.a., contestando, in via principale e nel merito, la fondatezza della domanda attorea, sotto il profilo dell’an e del quantum, per non aver parte attrice fornito alcuna prova circa l’esistenza e la quantificazione dei danni lamentati, evidenziando altresì l’obbligo contrattuale di P.M.F. di farsi carico delle riparazioni dell’impianto idraulico. In via subordinata, chiedeva dichiararsi UnipolSai Assicurazioni s.p.a., quale propria Compagnia assicuratrice, tenuta a garantire parte convenuta alla luce delle coperture offerte dalle assicurazioni con essa sottoscritte, all’uopo chiedendone, preliminarmente, la chiamata in causa.
Si costituiva altresì in giudizio P.M.F., eccependo, in via pregiudiziale, il difetto di legittimazione passiva o di causa petendi. In via principale e nel merito, chiedeva rigettarsi la domanda attorea nei propri confronti, in quanto infondata in fatto e in diritto, per estraneità agli accadimenti contestati e alle rispettive conseguenze. In via subordinata, chiedeva condannarsi I.M. s.p.a. a tenerlo indenne dalla pretesa avanzata dalla C. s.r.l..
Interveniva spontaneamente in giudizio la Axa Assicurazioni con comparsa di costituzione e risposta depositata in data 11.09.2019 che, stante l’avvenuta surrogazione nei confronti della propria assicurata C. s.r.l. per la somma di Euro 17.187,00 ad essa pagata, chiedeva condannarsi i convenuti alla corresponsione, nei propri confronti, della predetta somma oltre accessori.
Si costituiva infine in giudizio UnipolSai Assicurazioni, eccependo l’inoperatività della garanzia delle polizze invocate, non essendo l’evento occorso riconducibile a quelli indennizzabili. Chiedeva respingersi la domanda attorea nei confronti della propria assicurata I.M. s.p.a. per difetto di legittimazione attiva a reclamare il risarcimento dei danni subìti e, comunque, per infondatezza in fatto e in diritto della domanda attorea. Nella ritenuta ipotesi di operatività della garanzia chiedeva, in subordine, limitare la propria esposizione risarcitoria alla sola quota di esclusiva e diretta responsabilità dell’assicurata, con esclusione dei danni riconducibili ad altre parti e, comunque, nei limiti del massimale.
All’udienza di prima comparizione, la dott.ssa L.I., a seguito di assegnazione avvenuta con decreto presidenziale del 27.06.2019, assegnava alle parti i termini ex art. 183 comma VI c.p.c., fissando per la discussione sulle istanze istruttorie l’udienza del giorno 11.3.2020.
Con provvedimento presidenziale avente efficacia dal 28.02.2020, la causa veniva riassegnata a questo giudice, che la istruiva mediante consulenza tecnica.
Stante l’esito negativo della proposta conciliativa formulata ai sensi dell’art. 185 bis c.p.c., questo giudice chiamava a chiarimenti il consulente nominato, in seguito ritenendo doversi procedere a rinnovazione della c.t.u..
All’udienza del 24.05.2022, celebrata nelle forme della cd. trattazione scritta ai sensi dell’art. 221, comma 4 d.l. n. 34/2020, conv. in l. n. 77/2020, questo giudice riteneva la causa matura per la decisione e fissava l’udienza per la precisazione delle conclusioni in data 8.09.2022.
Alla predetta udienza, anch’essa celebrata nelle forme della cd. trattazione scritta, questo giudice tratteneva la causa in decisione, assegnando alle parti i termini di legge per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.
In via preliminare deve rilevarsi che il convenuto P.M.F. all’udienza di precisazione delle conclusioni non ha precisato le conclusioni, né ha depositato gli scritti conclusivi, pertanto devono tenersi ferme le precedenti conclusioni di cui alla memoria ex art. 183 comma VI n. 1 c.p.c. (cfr. Cass. Civ. 31517/2019).
In relazione alla posizione processuale del predetto convenuto, deve rilevarsi che in data 18.05.2022 l’avv. E.C., procuratore di P.M.F., ha dato atto, nel deposito delle proprie note scritte, di avere rinunciato al mandato e alla procura, purtuttavia, com’è noto, ai sensi dell’art. 85 c.p.c., la rinuncia al mandato o alla procura da parte del difensore non fanno perdere al procuratore lo ius postulandi e la rappresentanza legale del cliente per tutti gli atti del processo, fino a quado non si sia provveduto alla sua sostituzione con un altro procuratore (principio della c.d. perpetuatio dell’ufficio di difensore), pertanto tale rinuncia non ha alcuna efficacia nel processo fino alla sostituzione del difensore (cfr. Cass. civ. 2677/2019: Cass. civ. 11504/2016 e Cass. civ. S.U. 11303/1995).
Sempre in via preliminare, quanto al thema decidendum, deve rilevarsi che parte attrice in sede di atto di citazione ha dedotto la responsabilità dei convenuti per i danni cagionati dal sinistro occorso e, quanto all’esposizione dei danni di cui ha chiesto il ristoro, nell’atto di citazione la società attrice ha chiesto di “ottenere l’immediato e integrale risarcimento dei gravissimi danni, economici e non, ad essa derivati in diretta conseguenza del sinistro in parola […] danni ai mobili, alle suppellettili ed ai materiali, nonché alle merci (abiti) custodite presso lo show room di Via (omissis) al momento del sinistro oltre al lucro cessante derivato dal temporaneo fermo dell’attività lavorativa protrattosi per giorni venti” (v. atto di citazione, p. 2).
È dunque evidente che le domande ritualmente e tempestivamente formulate attengono al risarcimento dei danni patiti al contenuto dell’immobile locato (danni ai mobili, alle suppellettili ed ai materiali, nonché alle merci (abiti) custodite presso lo show room di Via (omissis) al momento del sinistro) e dei danni patrimoniali per il mancato guadagno (lucro cessante) conseguente al temporaneo fermo dell’attività lavorativa protrattosi per venti giorni.
In nessun punto dell’atto di citazione, né della memoria assertiva la cui funzione è quella di precisare le domande già formulate, si fa cenno ad un ipotetico danno non patrimoniale.
Tanto meno si rinviene nella citazione l’allegazione di: 1) un ipotetico danno da mancato godimento dell’immobile parametrato al canone di locazione (dovendosi ritenere quest’ultimo danno ben diverso dal, ritualmente formulato, danno da lucro cessante derivato dal temporaneo fermo dell’attività lavorativa in quanto danno connesso esclusivamente alla perdita dei guadagni della società attrice a causa dell’interruzione dell’attività lavorativa in ragione dell’allagamento), domanda invece formulata per la prima volta in sede di memoria ex art. 183 comma VI n. 2 c.p.c.; 2) un ipotetico danno alle parti strutturali dell’immobile (rispetto alle quali, in ogni caso, parte attrice, in quanto conduttore in locazione, sarebbe priva di titolarità del diritto dal lato attivo), domanda formulata per la prima volta in sede di precisazione delle conclusioni; 3) un ipotetico danno patrimoniale per i costi sostenuti “per retribuire il personale dipendente (Sigg.re E.I., V.R. e A.N.) anche nel periodo di chiusura e/o di ridotto godimento dello show room”, domanda quest’ultima formulata per la prima volta in sede di memoria ex art. 183, comma VI, n. 2 c.p.c..
Pertanto il thema decidendum deve ritenersi circoscritto al solo danno patrimoniale patito dall’attrice in relazione al contenuto dell’immobile da essa locato e al danno da mancati guadagni causati alla società in ragione del fermo dell’attività lavorativa.
Né rileva, in senso inverso, che l’attrice avesse inserito, tra i documenti prodotti in giudizio, una relazione di parte (v. doc. 14, fasc. att.) contenente una elencazione dei danni patiti tra i quali il danno alla immagine.
Ed infatti, come ripetutamente affermato dalla Suprema Corte, l’onere di deduzione dei fatti posti a fondamento della pretesa, richiesto dall’art. 163, n. 4, c.p.c., va adempiuto in primo luogo descrivendo tali fatti: sicché, quando tale deduzione sia mancata, nulla rileva che quei fatti possano risultare provati all’esito della lite, per la semplice ragione che, in mancanza di tempestiva deduzione, essi non sono mai entrati a far parte del thema decidendum.
Questi princìpi costituiscono ormai jus receptum nella giurisprudenza di legittimità, la quale ha ripetutamente affermato sia che la domanda introduttiva di un giudizio di risarcimento del danno esige sempre che l’attore indichi espressamente i fatti materiali che assume essere stati lesivi del proprio diritto (ex multis, Sez. 3, Sentenza n. 17408 del 12/10/2012), sia che quando i fatti pregiudizievoli posti a fondamento della domanda di risarcimento non sono stati compiutamente allegati, "la successiva produzione documentale, che pure attesti l'esistenza di quei fatti, non è idonea a supplire al difetto originario di allegazione, giacché ciò equivarrebbe ad ampliare indebitamente il thema decidendum" (cfr. Cass. civ. 24607/2017).
Il difetto di espressa formulazione di una domanda di risarcimento del danno nei termini perentori all’uopo previsti circoscrive il thema decidendum al solo danno ritualmente allegato e dedotto nell’atto di citazione ed eventualmente precisato in sede di memoria assertiva; ne consegue che tutte le domande risarcitorie formulate da parte attrice per la prima volta in sede di memoria ex art. 183 comma VI n. 2 c.p.c. (danno all’immagine, danno da mancato godimento dell’immobile e danno per i costi sostenuti per retribuire il personale dipendente) nonché quella formulata per la prima volta in sede di precisazione delle conclusioni (danno alle parti strutturali dell’immobile) devono ritenersi inammissibili in quanto tardive.
Ciò posto, quanto alle domande risarcitorie azionate, deve rilevarsi che entrambe le domande risarcitorie formulate sono sussumibili nel disposto di cui all’art. 2051 c.c., azione di responsabilità extracontrattuale da cose in custodia. Ed infatti, con specifico riguardo alla convenuta I.M. s.p.a., parte attrice non ha dedotto profili di inadempimento in forza del contratto di locazione in essere con la stessa, bensì una responsabilità della predetta società quale società proprietaria dell’immobile sovrastante e, dunque, in tale veste quale custode della res.
Avuto riguardo alla responsabilità da cose in custodia, giova premettere che, secondo l’indirizzo della giurisprudenza della Corte di legittimità, ormai consolidatosi (cfr., da ultimo, Cass. Civ., sezioni unite, 20943/2022), la responsabilità in tema di danni da cose in custodia è di natura oggettiva e si fonda non su un comportamento od un’attività del custode, bensì su una relazione intercorrente tra questi e la cosa dannosa; conseguentemente il fondamento della stessa è costituito dal rischio che grava sul custode per i danni prodotti dalla cosa che non dipendano da caso fortuito ed il profilo del comportamento del custode è del tutto estraneo alla struttura della fattispecie sopracitata.
La radicale oggettivazione dell’ipotesi normativa, insita nella prospettiva adottata – che consente di ritenere trattasi di rischio da custodia (e non di colpa nella custodia) e di presunzione di responsabilità (e non di colpa presunta) – comporta che la responsabilità in questione non esige, per essere affermata, un’attività o una condotta colposa del custode, di talché, in definitiva, il custode negligente non risponde in modo diverso dal custode perito e prudente, se la cosa ha provocato danni a terzi (cfr., ex multis, Cass. civ. 19 febbraio 2008, n. 4279).
Il predetto inquadramento normativo riflette peculiari conseguenze in punto di onere probatorio gravante sulle parti: invero il danneggiato, per ottenere il risarcimento da parte del custode, deve dimostrare unicamente l’esistenza del danno e la sua derivazione causale dalla cosa. Al custode, per contro, per andare esente da responsabilità non sarà sufficiente provare la propria diligenza nella custodia, ma dovrà provare che il danno è derivato da caso fortuito (cfr. Cass. civ. 25 luglio 2008, n. 20427).
Declinando i predetti principi alla fattispecie in esame, deve rilevarsi preliminarmente che parte attrice ha fornito prova documentale della sua posizione giuridica soggettiva di conduttore in locazione dell’immobile oggetto dell’allagamento per cui è causa (doc. 1, fasc. att.).
Al riguardo, si rammenta che l’essere conduttore dei locali interessati dai danni da infiltrazione o allagamento non preclude la tutela risarcitoria ex art. 2051 c.c. Difatti, secondo la più recente giurisprudenza di legittimità (cfr., ex multis, Cass. civ. 5 maggio 2020, Ordinanza n. 8466) il conduttore ha diritto alla tutela risarcitoria nei confronti del terzo che, con il proprio comportamento, gli arrechi danno nell’uso o nel godimento dell’immobile locato, avendo un’autonoma legittimazione per proporre l’azione di responsabilità contro l’autore di tale danno, ai sensi dell’art. 1585, comma II, c.c..
Più precisamente l’art. 1585 c.c. prevede a favore del conduttore una garanzia dovuta dal locatore solo nell’ipotesi delle c.d. “molestie di diritto”, da distinguersi dalle c.d. “molestie di fatto”. Le infiltrazioni d’acqua o gli allagamenti provenienti dall’appartamento sovrastante o dalle parti condominiali devono essere considerate tipiche ipotesi di molestie di fatto, per le quali non opera la garanzia di cui all’art. 1585, comma 1, c.c., ma la legittimazione di cui al comma 2. Pertanto, qualora a carico dell’appartamento locato si verifichi un’infiltrazione d’acqua o un allagamento scaturente da un appartamento sovrastante o da parti condominiali, il conduttore, ex art. 1585, comma 2, c.c., gode di un’autonoma legittimazione per proporre l’azione di responsabilità nei confronti dell’autore del danno (così, testualmente, Cass. civ. 20 agosto 2003, n. 12220).
Quanto al merito della lite, giova premettere che l’eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata dal convenuto F. deve qualificarsi in termini di difetto di titolarità del diritto da lato passivo tenuto conto dei principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità secondo i quali la legitimatio ad causam, nel suo duplice aspetto di legittimazione ad agire e a contraddire, consiste nella titolarità attiva e passiva dell'azione e sorge dalla correlazione configurabile tra i soggetti ed il rapporto giuridico dedotto nella domanda, in base alla quale si identificano le parti fra le quali può essere ammessa la statuizione del giudice, pervenendosi a riconoscerla per il solo fatto dell'affermazione della titolarità del diritto, sicché legittimato attivo è colui che si affermi titolare del diritto e legittimato passivo è colui nei confronti del quale la titolarità del diritto sia affermata. Diversamente, non attiene alla legittimazione, bensì al merito della lite, la questione relativa alla reale titolarità attiva o passiva del rapporto sostanziale dedotto in giudizio ed alla concreta identificazione dei soggetti di tale rapporto (cfr. ex multis, Cass. civ., sezioni unite, n. 2951/2016 e Cass. Civ. n. 11284 del 2010 e n. 13756 del 2006).
Orbene, nella specie, l’eccezione sollevata dal convenuto F. (chiamato a rispondere di un danno da cose in custodia ex art. 2051 c.c.) attiene non già alla legittimazione passiva, bensì al merito, avendo il convenuto contestato soltanto l’effettiva titolarità dal lato passivo del rapporto sostanziale affermato dalla società attrice e comunque la corretta identificazione, da parte della C.U.T. s.r.l., dei soggetti di tale rapporto (ed in particolare del soggetto asseritamente responsabile della lesione del diritto fatto valere in giudizio).
Ciò posto, in relazione ad entrambe le domande risarcitorie formulate, giova evidenziare che, al fine di decidere, deve farsi riferimento, in particolare, al verbale dei Vigili del Fuoco n. 7552/1 del 13.04.2017 (v. doc. 2, fasc. att.) nonché, in particolar modo, agli accertamenti tecnici compiuti in corso di causa dall’ing. A.Z. (nominato successivamente al precedente c.t.u. al fine di compiere una rinnovazione delle indagini peritali per i motivi di cui all’Ordinanza del 6.7.2021), le cui risultanze risultano condivisibili dal Tribunale nei termini e nei limiti di seguito indicati.
In ordine agli eventi lesivi occorsi, il c.t.u. ha accertato che “diverse zone del plafond (soffitto) del Salone di Ingresso presentano evidenti aloni, questi ultimi conseguenti a infiltrazioni di acqua. […] che la spalla dell’arco in corrispondenza della scala (scala visibile nell’ultima foto che precede) presenta un tratto di cartongesso “scoppiato” […] e ciò corrisponde esattamente alle dichiarazioni del Dott. L., allorquando una dipendente, alle 06:00 del mattino circa del giorno 13/04/2017, già presente in loco, udì uno scoppio e, recatasi nel Salone di Ingresso vide il cartongesso lacerato e calcinacci a terra, […] danni da infiltrazioni, sul plafond nascosto dalle armadiature del piano soppalco, nell’area disimpegno antistante al bagno; ulteriori aloni sono presenti sul plafond del bagno e, sempre nel bagno, sono evidenti lavorazioni edili con apposizione di intonaco, ma senza provvedere alla ultimazione delle finiture” (v. relazione peritale, p. 19 ss.).
Ancora, il c.t.u. nominato ha in primo luogo accertato che “è certo che l’allagamento ebbe origine nel locale cucina del primo piano ed è assolutamente probabile che l’acqua si sia estesa anche nel locale adiacente, ovvero i due locali illustrati nelle foto che precedono, e la corrispondenza con gli ambienti sinistrati locati da C. S.R.L., è netta. L’acqua si è infiltrata attraverso le fughe del pavimento in ceramica, la soglia con cambio di materiale (da ceramica a legno) e tra i listelli di legno che, per altro, devono avere permesso una rapida permeazione, poiché al momento del sopralluogo non sono stati riscontrati né sollevamenti, né rigonfiamenti del legno del parquette. Il soffitto “a volte” nel Salone Ingresso della Show Room, ha permesso all’acqua in colamento attivo, di correre lungo le pendenze e giungere sino all’imbotte superiore della finestra” (v. relazione peritale, p. 80).
Con riguardo alle cause del sinistro, i vigili del Fuoco intervenuti nell’immediatezza riscontravano nella cucina del signor F. l’allagamento che, secondo la loro ricostruzione, era stato causato da “un errato allacciamento dello scarico sotto al lavello” dell’immobile locato dal predetto convenuto (v. doc. 2, fasc. att.).
Il c.t.u. ha accertato il seguente scenario che causò il sinistro: “il Prof. F. aprì il rubinetto del lavello più piccolo, plausibilmente chiudendo lo scarico di fondo, e sempre plausibilmente per la volontà di riempirlo d’acqua; il Prof. F. aprì il rubinetto del lavello più piccolo, plausibilmente chiudendo lo scarico di fondo, e sempre plausibilmente per la volontà di riempirlo d’acqua; l’acqua riempì il primo lavello, ma non trovando sfogo nel troppo pieno, iniziò a riempire la seconda vasca; poiché l’acqua non trovò sfogo neppure dal troppo pieno della seconda vasca, quella più grande, il livello dell’acqua superò la cornice perimetrale dei due lavelli, sfiorando sul pavimento; l’acqua riempì il primo lavello, ma non trovando sfogo nel troppo pieno, iniziò a riempire la seconda vasca; poiché l’acqua non trovò sfogo neppure dal troppo pieno della seconda vasca, quella più grande, il livello dell’acqua superò la cornice perimetrale dei due lavelli, sfiorando sul pavimento” (v. relazione peritale, p. 84 ss.) e che, dunque, con riguardo alla causa, che “il Prof. F. ha causato l’allagamento dimenticando inavvertitamente il rubinetto aperto” (v. relazione peritale, p. 85).
Ancora, in risposta alle osservazioni del c.t.p. di parte convenuta F. il c.t.u. ha replicato: “Il CTU non ha trovato alcun documento che attestasse le lagnanze del Prof. F. in relazione allo scarico inefficiente o mal funzionante, né tra i documenti prodotti in Giudizio, né tra quelli eventualmente producibili in corso di Contraddittorio, come da invito del CTU e senza incontrare alcun dissenso dal collegio peritale. Il Prof. F. dichiarava che lo scarico nuovo, sotto traccia, è più basso del precedente, e sul punto, ancora una volta, nessuno del collegio peritale ha obiettato alcunché. Il CTU riscontrava certamente che sono stati quietanzati in Giudizio i lavori di rifacimento della nuova tubazione sotto traccia, e riscontrava due rubinetti abbandonati, della precedente configurazione idraulica. Il CTU riscontrava altresì che l’intero complesso di inviti, sifone, raccordi, collettore, scarico lavastoviglie e scarichi di troppopieno, occupano uno spazio significativo, pertanto è stato valutato come pienamente plausibile il vincolo dato dall’attacco troppo alto dello scarico sotto traccia (vecchia configurazione). Il CTU non ha mai parlato di responsabilità in capo a M.I. S.P.A., rispetto alla posizione dell’attacco sotto traccia, poiché trattasi di edificio storico […]. In ogni caso, immaginando che l’attacco sotto traccia fosse assolutamente identico all’attuale, alla stessa altezza, è evidente che se lo scarico non funzionava, era perché era intasato il sifone, o era intasato il tubo di scarico, ma poiché non ci sono stati schiacciamenti della tubazione sotto traccia, il CTU non comprende prima di tutto, come mai un comune idraulico non abbia provato a verificare la funzionalità dello scarico dopo avere ultimato i collegamenti, e sempre un comune idraulico, non abbia disotturato la tubazione sotto traccia, qualora trovata occlusa, e sul punto, non abbia mai neppure rilasciato un Rapporto di Intervento con specificata l’anomalia. Allo stesso modo il CTU non comprende come mai un comune idraulico non abbia proposto un dispositivo tipo “sanitrit”, nel caso in cui l’attacco fosse stato troppo alto, come nei fatti è stato testimoniato nel corso dei Contraddittori. Il CTU desidera ribadire che, un comune idraulico avrebbe dovuto riscontrare l’inefficacia del deflusso dell’acqua e prescrivere dei suggerimenti, e il riferimento è alla ditta, o all’artigiano, a cui il Prof. F. si rivolse in occasione del primo montaggio della cucina. Il CTU valutava anche la scelta che fece M.I. SPA, di abbandonare la vecchia tubazione sotto traccia, scegliendo di realizzare una nuova tubazione, collegata con la colonna fognaria passante dal bagno della CUT SRL al piano soppalco sottostante; il CTU, in merito a questa scelta, non trovava alcuno scritto ove fosse dichiarato che veniva abbandonata la vecchia tubazione di scarico perché intasata, piuttosto che altro riguardante una prova di disotturazione della vecchia tubazione di scarico sotto traccia e, posta l’inefficacia dell’intervento, la tubazione vecchia veniva abbandonata. Il CTU ha dunque ritenuto plausibile uno scenario secondo il quale, al perdurare delle lagnanze mosse dal Prof. F. dopo il sinistro, gli idraulici e gli edili valutarono conveniente fare una traccia a parete, semplicemente spostando la parte bassa del mobilio, scartando a priori un intervento che avrebbe coinvolto il pavimento in parquette e il rivestimento ceramico del bagno, con l’obiettivo di risolvere in modo agevole e risolutivo, la lagnanza” (v. relazione peritale, pp. 96 e ss.).
Alla luce di tutte le superiori considerazioni compiute dal c.t.u. all’esito delle verifiche e delle prove svolte in loco, può conclusivamente ritenersi, condividendo le risultanze peritale all’esito delle risposte fornite alle osservazioni tecniche dei c.t.p., che la causa da sé sola sufficiente a determinare l’allagamento per cui è causa è da rinvenirsi nel comportamento del convenuto F. il quale, lasciando (con ogni probabilità inavvertitamente) il rubinetto aperto nella propria cucina, ha determinato l’allagamento, dovendosi ritenere tale comportamento avente efficacia causale esclusiva tale da escludere la rilevanza causale di ogni altra eventuale concausa.
Non condivisibili sono le deduzioni di parte attrice ribadite negli scritti conclusivi (v. in particolare pp. 2 e ss. della memoria di replica) in ordine ad una corresponsabilità della società M.I. s.p.a.. Ed infatti, sebbene il c.t.u., in sede di relazione peritale, affermi che “l’allagamento non si sarebbe verificato se il rubinetto fosse stato mantenuto aperto, come accadde, ma con scarico adeguatamente funzionante; non vi è alcun indizio che faccia sospettare che lo scarico sotto traccia fosse occluso (di competenza M.I. SPA), perché la ragione tecnica individuata dall’Ausiliario, è sufficiente a giustificare l’inefficienza dello scarico” (v. pp. 85 ss.), invero tale affermazione – valorizzata da parte attrice al fine di sostenere la responsabilità della M.I. s.p.a. – va letta unitamente alle complessive emergenze e valutazioni peritali, laddove il c.t.u. ha chiaramente ritenuto, con motivazione immune da vizi logici e corroborata da argomentazioni di indubbio valore scientifico, che la causa esclusiva dell’evento, senza la quale, accedendo ad un giudizio controffatuale, l’evento lesivo non si sarebbe verificato, è da rinvenirsi nel comportamento del convenuto F..
Ed infatti l’ing. Z. ha ben spiegato che in relazione alle affermate doglianze da parte del F. circa l’inefficienza/malfunzionamento dell’impianto idraulico del lavello della cucina, alcuna prova documentale è stata dallo stesso versata in atti al fine di provare tali doglianze (diversamente da quanto sostenuto dal F. in sede di atto di costituzione in giudizio: v. pag. 5 ss. e ribadito in sede di note scritte del 18.5.2022); il c.t.u. ha inoltre chiarito che, in sede di sopralluoghi, veniva riscontrata la presenza dei vecchi rubinetti abbandonati della precedente configurazione idraulica e che, dunque, certamente erano stati effettuati dei lavori di rifacimento della nuova tubazione sotto traccia, purtuttavia, ha affermato il c.t.u., non vi è alcun riscontro documentale sulle ragioni sottese alla decisione di M. di effettuare tali lavori (se per un accertato intasamento dell’impianto o per una eventuale inefficacia di altro intervento), ritenendo piuttosto plausibile che la F. avesse deciso di intervenire stante il perdurare delle doglianze da parte del F.. Ha spiegato inoltre il c.t.u. che le ragioni sottese alla posizione dell’attacco sotto traccia, poi modificato successivamente all’evento lesivo per cui è causa, sono da individuarsi esclusivamente nella tipologia di edificio di carattere storico e che pertanto la posizione dell’attacco sotto traccia non assume rilevanza causale rispetto ai fatti di causa.
Alle predette valutazioni tecniche devono aggiungersi anche le condizioni del contratto di locazione stipulato dal convenuto F. con la proprietà dell’immobile, la società I.M. s.p.a., nel quale si legge, all’art. 5, che “il conduttore provvederà poi a tutte le riparazioni previste a suo carico dagli artt. 1576 e 1609 c.c. e a qualsiasi altra riguardante gli impianti di pertinenza esclusiva dell’unità immobiliare locata e, precisamente, elettrici, idraulici …” (v. doc. 1, fasc. conv. M.) e, dunque, l’onere manutentivo anche in relazione all’impianto idraulico era posto in ogni caso a carico del conduttore in locazione, P.M.F..
Alla luce delle superiori considerazioni, deve pertanto ritenersi, in applicazione del principio della preponderanza dell’evidenza o “del più probabile che non”, che, più che verosimilmente, la causa esclusiva che ha determinato l’allagamento nell’immobile attoreo è da rinvenirsi nel comportamento del convenuto F. il quale, lasciando (con ogni probabilità inavvertitamente) il rubinetto aperto nella propria cucina, ha determinato l’allagamento; il predetto rubinetto deve ritenersi posto evidentemente nella sfera di custodia del conduttore in locazione ai sensi e per gli effetti dell’art. 2051 c.c. (cfr. sul punto, in relazione alla nozione di custode in capo al conduttore in locazione, ex multis, Cass. civ. 30729/2019) anche tenuto conto delle condizioni del contratto di locazione sopra richiamate.
Deve, dunque, ritenersi provata, nei termini di cui si è detto, la responsabilità da cose in custodia del convenuto P.M.F. per l’allagamento occorso in data 13.04.2017 nell’immobile attoreo.
Per tutte le ragioni sopra evidenziate, alcun profilo di responsabilità può imputarsi alla M.I. s.p.a. tenuto conto delle complessive emergenze processuali.
Le superiori considerazioni in ordine alla responsabilità esclusiva del convenuto P.M.F. determinano altresì il rigetto della domanda di manleva formulata da quest’ultimo nei confronti della M.I. s.p.a., la cui responsabilità civile è stata esclusa.
Quanto al profilo quantitativo del danno, fermo quanto detto supra (sub 2.) in relazione al thema decidendum, deve rilevarsi che in relazione ai danni derivati dall’allagamento alle parti strutturali dell’immobile parte attrice, in qualità di conduttrice in locazione, non ha formulato alcuna domanda giudiziale di ristoro di tali danni nei termini perentori all’uopo previsti e pertanto deve ribadirsi l’inammissibilità della domanda all’uopo formulata per la prima volta in sede di precisazione delle conclusioni (v. supra, sub 3.).
Quanto, invece, ai danni al contenuto e in particolare agli abiti confezionati con i marchi “P.L.” e “L.C.” presenti all’interno dello show room, deve rilevarsi che il c.t.u. ing. Z. si è avvalso dell’ausiliario dott.ssa B.M., Docente Universitario presso l’Accademia della Moda di (omissis) a (omissis), nella disciplina “modellistica, tecniche sartoriali per il costume, progettazione per il costume, tecniche di elaborazione digitale, ed è coordinatrice didattica del corso triennale di I livello in Design della Moda”.
Il c.t.u., tenendo conto di una serie di valutazioni tra le quali il prestigio dell’alta sartorialità dei capi prodotti dalla CUT s.r.l., e quindi, la “garanzia che il Dott. P.L. deve offrire alle proprie Clienti, così che mai potrebbe lavare un capo o sostituirne dei pezzi, vendendo il capo come nuovo, proprio perché la Clientela che si rivolge al prodotto dello Stilista, odierno Attore, cerca proprio questa qualità, che è garanzia che le clienti sono disposte a pagare per vedere soddisfatto il proprio desiderio di acquistare un prodotto di eccellenza”, ha dunque ritenuto di quantificare il danno agli abiti confezionati nella complessiva misura di Euro 84.850,38 (v. relazione peritale, p. 87).
In relazione ai criteri di determinazione del quantum, il c.t.u. ha precisato che “laddove le modifiche possono essere solo marginali, non atte ad adulterare in alcun modo il capo originario, si è provveduto alla quotazione dei ripristini, mentre negli altri casi, ovvero laddove i capi siano stati irreparabili per le motivazioni esposte nella Perizia di cui all’ADDENDUM al presente documento, il CTU ha ritenuto di adottare il prezzo di listino” (v. relazione peritale, p. 96).
Il Consulente dell’Ufficio ha dunque chiaramente esplicato i criteri utilizzati per addivenire alla quantificazione dei danni e, pertanto, le superiori considerazioni devono ritenersi condivisibili dal Tribunale in quanto immuni da vizi logici ed avvalorate da valutazioni di indubbio valore scientifico e non inficiate nemmeno da convincenti critiche di parte, esaustivamente superate dal consulente dell’Ufficio.
Alla luce di quanto sopra, dunque, le argomentazioni tecniche espresse dal c.t.u. devono essere senz’altro condivise dal Tribunale e vanno poste a base per la valutazione del danno al vestiario lamentato dalla società attrice che deve dunque riconoscersi all’attrice nella misura di Euro 84.850,38.
Non è stato contestato nel giudizio che la stima compiuta dal c.t.u. sia espressa in valori monetari al momento della perizia, per cui in tali casi si può presumere che il danno quantificato dal c.t.u. sia espresso in valori monetari del giorno di deposito della relazione peritale che, dunque, rivalutati all’attualità dal giorno del deposito (14.04.2022), sono da liquidarsi nella misura di Euro 91.383,86.
Diversamente, non merita accoglimento la pretesa risarcitoria formulata dalla società attrice quanto al lamentato danno da lucro cessante subìto in conseguenza dei fatti per avere dovuto fermare temporaneamente l’attività lavorativa nello show room interessato dall’allagamento per giorni venti ed avere subìto una perdita patrimoniale.
Preliminarmente, in punto di diritto, deve rilevarsi che il danno da lucro cessante per l’interruzione dell’attività lavorativa derivato da inagibilità totale o parziale dei locali oggetto di allagamento è un danno patrimoniale che necessita di essere adeguatamente provato, anche a mezzo di presunzioni, potendo il giudice ricorrere alla valutazione equitativa solo in relazione all’entità del pregiudizio medesimo, in considerazione dell'impossibilità o della grande difficoltà di dimostrarne la misura (cfr. in tal senso, ex multis, Cass. civ. 11968/2013).
Ebbene, nella specie, pur dandosi atto dell’accertamento compiuto dal c.t.u. che ha affermato che “intendendo per inagibilità, l’impossibilità di ricevere Clienti presso la Show Room, il CTU considera che il “trambusto” durò una giornata, il giorno del sinistro”, deve rilevarsi che parte attrice non ha versato in atti alcuna documentazione fiscale relativa al fatturato della società e quindi ai redditi prodotti dalla stessa dai quali poter evincere una eventuale perdita economica dovuta all’interruzione dell’attività lavorativa (in ogni caso accertata nella limitata misura di un singolo giorno).
La domanda risarcitoria a tal fine formulata deve dunque essere rigettata.
Sulla complessiva somma di Euro 91.383,86, liquidata all’attualità, trattandosi di debito avente ad oggetto il risarcimento del danno e, dunque, di valore, sono riconosciuti gli interessi e la rivalutazione secondo gli indici Istat dal giorno dell’illecito.
Gli interessi compensativi, secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite (Cass. civ., SS.UU., n. 1712 del 17.2.95), decorrono dalla produzione dell’evento di danno sino al tempo della liquidazione e si calcolano non sulla somma già rivalutata ma, di anno in anno, sulle somme iniziali, ossia devalutate alla data del fatto illecito, a mano a mano incrementate nominalmente secondo la variazione dell’indice Istat.
Pertanto, recependo i principi di cui alla sentenza n. 1712 del 17 febbraio 1995 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, appare congruo adottare, anche in applicazione del principio equitativo ex artt. 1226 e 2056 c.c., come criterio di risarcimento del pregiudizio da ritardato conseguimento della somma dovuta, tenuto conto della natura del danno, dell’arco temporale considerato e di tutte le circostanze accertate, quello degli interessi legali, calcolati con le seguenti modalità: essendo la somma rivalutata all’attualità, gli interessi, per evitare una duplicazione del danno risarcibile, sono calcolati sulla somma originaria svalutata alla data dell’evento lesivo (13.04.2017) e poi via via rivalutata anno per anno secondo gli indici Istat e fino alla data di deposito della presente sentenza. Sugli importi come determinati all’attualità sono successivamente dovuti gli ulteriori interessi legali, ex art. 1282 c.c., dalla presente pronuncia e fino al saldo effettivo.
Al fine di determinare il residuo credito risarcitorio della società attrice e di evitare illegittime duplicazioni del ristoro dei danni subìti, tenuto conto che in presenza di acconti occorre rendere omogenei i valori del calcolo, potendosi a tal fine rivalutare gli acconti alla data della liquidazione (Cass. 10/3/99 n. 2074), si ottiene che, alla data della presente sentenza, il pagamento dell’indennizzo da parte di AXA Assicurazioni s.p.a., per il medesimo titolo, pari ad Euro 17.187,00 pagata dalla Compagnia in data 9.1.2018 (v. doc. 13, fasc. att.), sono pari, rivalutati all’attualità, ad Euro 20.022,86.
Detraendo dall’importo riconosciuto all’attrice a titolo di danno patrimoniale di Euro 91.383,86, liquidato all’attualità, l’indennizzo ricevuto, reso omogeneo, di Euro 20.022,86, il residuo credito ammonta ad Euro 71.361,00.
Sulla somma così riconosciuta in favore della società C.U.T. s.r.l. sono inoltre dovuti gli interessi compensativi sulla base dei principi indicati dalla sentenza n. 1712/1995 delle SS.UU. della Corte di Cassazione di cui si è detto supra, sub 4.6..
Ai soli fini del calcolo degli interessi compensativi dovranno, quindi, essere effettuate le seguenti operazioni (v. Cass. civ. 6347/2014; conf. da ultimo da Cass. civ. 16027/2022): la somma corrispondente al capitale liquidato in moneta attuale (Euro 91.383,86) deve essere, anzitutto, devalutata alla data del fatto (13.04.2017); l’importo così devalutato deve essere rivalutato secondo la variazione degli indici Istat del costo della vita per le famiglie di operai e impiegati, dalla data del fatto (13.4.2017) e sino alla data del pagamento dell’indennizzo (9.1.2018) e sulla somma via via rivalutata devono essere calcolati gli interessi al tasso legale; dalla somma rivalutata alla data dell’indennizzo deve detrarsi l’indennizzo medesimo e sul residuo deve procedersi ancora alla rivalutazione e al computo degli interessi sulla somma via via rivalutata fino alla data della presente sentenza. Dalla data della sentenza sono poi dovuti gli interessi al tasso legale sul solo importo residuo di Euro 71.361,00.
Quanto alla domanda proposta da AXA s.p.a. nei confronti dei convenuti ai sensi degli artt. 1916 c.c., la stessa merita accoglimento nei termini che seguono.
Preliminarmente, deve rilevarsi che la compagnia intervenuta agisce ex art. 1916 c.c., ipotesi di surrogazione legale prevista dall’ordinamento che consente all’assicuratore che ha pagato l’indennizzo al proprio assicurato di succedergli a titolo particolare nel medesimo credito risarcitorio fatto valere nei confronti dei terzi responsabili fino alla concorrenza dell’ammontare dell’indennizzo.
Quanto all’onere della prova incombente in capo al surrogante, deve rilevarsi che questi, oltre a dover fornire la prova di avere pagato l’indennizzo al danneggiato, deve fornire la prova della sussistenza del diritto al risarcimento del danno patito dal proprio assicurato, nella cui posizione è appunto subentrato.
Ebbene, nella specie deve rilevarsi che AXA s.p.a. ha fornito la prova dell’avvenuto pagamento dell’indennizzo in favore della società C.U.T. s.r.l. che ha accettato la somma liquidata quale indennità relativa alla polizza “Protezione Artigiano e piccola Industria” n. 400946806 stipulata in data 25.03.2015 (v. doc. 1, fasc. AXA) nella misura di Euro 17.187,00 in data 9.1.2018 (v. doc. 2, fasc. AXA).
Quanto alla prova della sussistenza del diritto al risarcimento del danno patito dal suo assicurato nella cui posizione giuridica AXA è subentrata, devono richiamarsi tutte le superiori considerazioni in punto di accertamento della responsabilità del convenuto P.M.F. per i danni cagionati al danneggiato C.T.U. s.r.l. al contenuto (vestiario) dell’immobile locato dalla società.
Ciò posto, deve ritenersi sussistente il diritto dell’assicuratore AXA s.p.a. a surrogarsi nella posizione del danneggiato C.U.T. s.r.l. per ottenere dal convenuto P.M.F. il rimborso delle somme indennizzate al danneggiato nella misura di Euro 17.187,00, tenuto conto dell’accertamento nella maggiore misura di Euro 71.361,00, oltre rivalutazione ed interessi, trattandosi di credito di valore, in applicazione dei criteri di cui alla pronuncia della Suprema Corte a sezioni unite del 1995 n. 1712 si cui si è detto supra (sub 4.6.), dal dì della corresponsione alla sentenza.
Il rigetto della domanda attorea nei confronti della convenuta M.I. s.p.a. determina l’assorbimento della domanda contrattuale formulata dalla convenuta nei confronti della compagnia assicuratrice Unipolsai Assicurazioni s.p.a..
La domanda formulata ex art. 96 c.p.c. da parte attrice per la prima volta in sede di comparsa conclusionale deve dichiararsi inammissibile in quanto tardivamente formulata, potendo la stessa essere legittimamente proposta sino all’udienza di precisazione delle conclusioni in relazione a comportamenti della controparte posti in essere in tale grado del giudizio (cfr. Cass. civ. 14911/2018).
Quanto al regolamento delle spese di lite, giova rilevare quanto segue.
Avuto riguardo al rapporto processuale tra parte attrice e parte convenuta P.M.F., stante il parziale accoglimento delle pretese attoree rispetto a quelle azionate in relazione al danno patrimoniale al contenuto dell’immobile, del rigetto della domanda per il risarcimento del danno patrimoniale da lucro cessante nonché della declaratoria di inammissibilità delle domande tardivamente formulate (cfr. al riguardo Cass. civ. 3438/2016 in ordine alla sussistenza delle condizioni per la compensazione totale o parziale delle spese processuali), sussistono i presupposti per compensare parzialmente le spese di lite tra le parti nella misura della metà e liquidare la restante metà come in dispositivo in applicazione dei criteri di cui al D.M. 55/2014 e successive modifiche.
Quanto, invece, al rapporto processuale tra parte attrice e parte convenuta I.M. s.p.a., le spese di lite seguono il principio di soccombenza e devono liquidarsi, come in dispositivo, in applicazione dei criteri di cui al D.M. 55/2014 e succ. modifiche.
In relazione alle spese processuali sostenute dalla compagnia Unipolsai Assicurazione s.p.a., poiché la chiamata in garanzia da parte della M.I. s.p.a., con esperimento di azione contrattuale nei confronti della propria compagnia, si è resa necessaria in relazione alle tesi sostenute dall’attrice, sulla scorta del consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo il quale il rimborso delle spese processuali sostenute dal terzo chiamato in garanzia deve essere posto a carico del soggetto che ha causalmente determinato la chiamata in causa (cfr. ex multis Cass. civ. n. 7431 del 2012 e, da ultimo, Cass. civ. 31889/2019), le spese della Unipolsai Assicurazioni s.p.a. devono dunque essere poste a carico di parte attrice in forza del principio di causalità e sono liquidate, come in dispositivo, ex D.M. 55/2014 e succ. modifiche.
Diversamente, nel rapporto processuale tra P.M.F. e la M.I. s.p.a., in relazione alla domanda di manleva formulata dal convenuto F. nei confronti della società convenuta, non essendo stata concretamente svolta da quest’ultima una specifica attività defensionale nei confronti del convenuto F., devono ritenersi sussistenti le “gravi ed eccezionali ragioni” di cui all’art. 92, II comma, c.p.c., all’esito della sentenza della Corte Costituzionale n. 77/2018, che giustificano una integrale compensazione delle spese di lite
Avuto riguardo, infine, al rapporto processuale instaurato da Axa Assicurazioni s.p.a. e parte convenuta P.M.F., le spese di lite seguono il principio di soccombenza e sono liquidate, come in dispositivo, ex D.M. 55/2014 e succ. modifiche.
Diversamente, nel rapporto processuale tra AXA Assicurazioni s.p.a. e la M.I. s.p.a., non essendo stata concretamente svolta da quest’ultima una attività defensionale nei confronti della compagnia intervenuta, devono ritenersi sussistenti le “gravi ed eccezionali ragioni” di cui all’art. 92, II comma, c.p.c., all’esito della sentenza della Corte Costituzionale n. 77/2018, che giustificano una integrale compensazione delle spese di lite.
Devono, invece, essere posti definitivamente a carico di parte convenuta P.M.F. gli esborsi sostenuti per le c.t.u. espletate in corso di causa come liquidati con decreti di pagamento del 31.03.2021 e del 24.5.2022, tenuto conto della contestazione in giudizio della relazione di parte prodotta da parte attrice in sede di atto introduttivo (v. doc. 14, fasc. att.).
P.Q.M.
Il Tribunale di Milano, sezione decima civile, definitivamente pronunciando nella causa civile di cui in epigrafe, ogni diversa istanza, difesa, eccezione e deduzione disattesa, così provvede:
condanna P.M.F. a corrispondere a C.U.T. s.r.l. la somma di Euro 71.361,00, a titolo di danno patrimoniale, già tenuto conto della somma ricevuta da parte attrice in data 9.1.2018 a titolo di indennizzo da parte di AXA Assicurazioni s.p.a., oltre accessori da imputarsi secondo i criteri indicati in motivazione;
rigetta ogni altra domanda formulata da C.U.T. s.r.l. nei confronti di P.M.F. e I.M. s.p.a.;
dichiara inammissibili le domande tardivamente formulate da C.U.T. s.r.l. nei confronti di P.M.F. e I.M. s.p.a.;
rigetta la domanda di manleva formulata da P.M.F. nei confronti di I.M. s.p.a.;
dichiara assorbita la domanda formulata da I.M. s.p.a. nei confronti di Unipolsai Assicurazioni s.p.a.;
condanna P.M.F. a corrispondere ad AXA Assicurazioni s.p.a. la somma di Euro 17.187,00, a titolo di indennizzo assicurativo per il danno patrimoniale patito dall’assicurato, oltre accessori da imputarsi secondo i criteri indicati in motivazione;
previa compensazione delle spese nella misura della metà, condanna parte convenuta P.M.F. alla rifusione delle spese di lite sostenute da parte attrice che si liquidano, per la restante metà, in Euro 5.751,00 per compensi, oltre spese generali, i.v.a. e c.p.a. come per legge; condanna parte attrice alla rifusione delle spese di lite sostenute da parte convenuta I.M. s.p.a. e da Unipolsai Assicurazioni s.p.a. che si liquidano in Euro 7.152,00 ciascuno per compensi, oltre spese generali, i.v.a. e c.p.a. come per legge;
condanna parte convenuta P.M.F. alla rifusione delle spese di lite sostenute da AXA Assicurazioni s.p.a. che si liquidano in Euro 4.137,00 per compensi, oltre spese generali, i.v.a. e c.p.a. come per legge;
compensa integralmente le spese di lite tra le parti AXA Assicurazioni s.p.a. e I.M. s.p.a. e tra le parti P.M.F. e I.M. s.p.a.;
pone definitivamente a carico di parte convenuta P.M.F. le spese di c.t.u. come liquidate in corso di causa con decreti di pagamento del 31.03.2021 e del 24.5.2022.