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Tizio con ricorso ex art. 702-bis c.p.c. aveva proposto nei confronti del coniuge (in separazione dei beni) la domanda di condanna in suo favore del 50% di tutte le somme da lui pagate per l'acquisto in comproprietà indivisa di un immobile, nonché la restituzione di ogni somma versata a titolo di rimborso del mutuo ipotecario cointestato eccedente la propria quota di tale debito. Costituendosi in giudizio, Caia eccepiva che il pagamento da parte di Tizio delle somme necessarie all'acquisto dell'appartamento, destinato a residenza familiare, era avvenuto in adempimento dell'obbligo di contribuzione familiare e in ogni caso rappresentava donazione indiretta a favore del coniuge. I giudici di primo e di secondo grado respinsero la domanda. In particolare, secondo i giudici, le somme di mutuo eccedenti il proprio 50%, in quanto erano state sostenute mediante somme depositate su conto corrente cointestato, il pagamento delle somme dovute per l'acquisto e la conservazione della casa coniugale era stato effettuato da quest'ultimo quale adempimento all'obbligo di contribuzione e solidarietà familiare. Inoltre, a differenza del primo giudice, la Corte territoriale ha ritenuto anche che Caia non doveva nulla a Tizio (quindi esclusa la restituzione degli anticipi fatti da Tizio a titolo di caparra e acconto). Per le ragioni esposte, Tizio ha proposto ricorso in Cassazione contestando, tra le varie questioni, il ragionamento dei giudici secondo cui egli avrebbe onorato le rate del mutuo di pertinenza del coniuge in adempimento dell'obbligo di contribuzione familiare, non considerando le prove documentali che erano state da lui dedotte. |
La Corte territoriale, nel motivare il mancato accoglimento dell'appello principale, aveva sostenuto che Tizio non aveva provato la sussistenza di un rapporto di mandato senza rappresentanza (e neppure, tanto meno, di una donazione indiretta). Secondo i giudici del gravame, il pagamento delle somme per l'acquisto e la conservazione della casa familiare era stato effettuato quale adempimento dell'obbligo di contribuzione e solidarietà familiare per assicurare al coniuge e alla prole l'immobile di residenza familiare ex art. 143 c.c. Inoltre, secondo i giudici del merito, non era corretto suddividere le rate di mutuo pro quota, in quanto l'obbligo era solidale, come previsto in contratto e il pagamento da parte di Tizio rispondeva all'obbligo di cui all'art. 143 c.c. Ebbene, alla luce di quanto precisato, la S.C. contesta il ragionamento dei giudici di merito. Difatti, a parere della Corte di Cassazione «non esiste norma che stabilisca la misura minima del contributo che ciascun coniuge è tenuto a fornire alla famiglia; come pure non esiste norma che stabilisca come devono essere distribuiti tra i coniugi i diversi pagamenti che accompagnano lo svolgersi della vita ordinaria della maggior parte delle famiglie (spese per i viveri e per il vestiario; spese per l'auto e per la casa; imposte e tasse, ecc.)». Invero, sotto l'aspetto economico, per determinare l'entità della contribuzione, rilevano in primo luogo le "sostanze" di cui dispone ciascun coniuge (ragion per cui il coniuge, che percepisce uno stipendio più alto, assume generalmente in famiglia l'impegno monetario di maggiore consistenza), ma occorre tener conto anche degli apporti effettuati da ciascun coniuge al momento delle nozze, nonché della circostanza che, come già rilevato, l'obbligo di contribuzione può essere assolto non soltanto con l'attività lavorativa professionale o mettendo a disposizione beni personali (come la casa o l'auto), ma anche il lavoro casalingo. Quindi, occorre ricostruire ex post le vicende della vita familiare, cercando di distinguere tra elargizioni ingiustificate e contribuzioni ai bisogni familiari: in tutti questi casi, invero, le attribuzioni in costanza di matrimonio introducono non di rado il tema delle "restituzioni"; di qui la necessità di individuare la disciplina applicabile a seconda della fattispecie concreta. In via generale ed astratta, può soltanto affermarsi che sono irripetibili tutte quelle attribuzioni che sono state eseguite per concorrere a realizzare un progetto di vita in comune. Quanto al mutuo cointestato ad entrambi i coniugi, ma pagato da uno solo di essi, salvo l'esistenza di un differente accordo inter partes, che va provato, secondo un orientamento giurisprudenziale, la ripetibilità potrà essere fatta valere solo dalla data della separazione e per le somme successivamente pagate (Cass. civ., sez. VI, 17 gennaio 2018, n. 1072), purché l'accollo del mutuo da parte di uno solo dei coniugi non sia imposto dal Giudice quale contributo al mantenimento del coniuge o dei figli, o non sia previsto negli accordi delle parti. In conclusione, il ricorso è stato accolto e, per l’effetto, il provvedimento è stato cassato con rinvio. |
In argomento, si osserva che l'erogazione (eccessiva o non) si presume effettuata in ragione di un comune progetto di convivenza: diviene così irripetibile in quanto sorretta da una giusta causa. Sarà onere della parte che pretende di ottenere la restituzione della somma dimostrare l'eventuale causa diversa (ad esempio, un prestito) in ragione della quale l'operazione economica era stata attuata in costanza di rapporto coniugale o di convivenza. D'altronde, la necessità di soluzioni differenziate discende non soltanto dal diverso contenuto degli accordi che possono in concreto intervenire tra i coniugi, ma anche dalla diversa natura del bene (mobile - immobile) di volta in volta in contestazione, dello strumento giuridico in concreto utilizzato (contratto di donazione, liberalità indirette, contestazioni di diritti, ecc.) nonché della convenzione matrimoniale in concreto adottata. Quanto al mutuo, i pagamenti delle rate del mutuo cointestato, effettuati da uno solo dei coniugi in via esclusiva, talvolta sono stati considerati quale adempimento dell'obbligo di contribuzione di cui all'art. 143 c.c. (e, quindi, espressione di quei «doveri di collaborazione nell'interesse della famiglia, solidarietà e assistenza morale e materiale tra i coniugi» sanciti appunto dall'art. 143c.c.); mentre talaltra sono stati ricondotti (Cass. civ., sez. III, 28 maggio 2009, n. 12551) alla logica di solidarietà che connota la vita familiare (e, quindi, ad una sorta di presunzione di gratuità degli esborsi effettuati in costanza di matrimonio). Peraltro, proprietario dell'immobile (acquistato con il mutuo cointestato) non necessariamente è il coniuge che paga le rate del mutuo in costanza di matrimonio, essendo rilevante sul punto quanto pattuito in fase di rogito notarile: infatti, se un solo coniuge paga il mutuo per intero, ma in sede di rogito è stato pattuito che la casa è intestata all'altro, la proprietà in alcun modo fa capo a chi paga i ratei del mutuo (salvo che non vi sia la comunione dei beni). Tuttavia, come sottolineato dalla Corte di Cassazione, in alcuni casi, in assenza di una espressa ed univoca volontà di accollo da parte di un coniuge dell’obbligo di pagamento per intero del mutuo, lo stesso deve essere pagato da ciascuno dei coniugi. In tal caso, difatti, l’accollo per intero dell’obbligazione di pagamento per intero del mutuo deve essere comprovato da elementi documentali (dichiarazioni del marito, verbali delle udienze di separazione e divorzio) eventualmente avvalorati dal successivo comportamento processuale delle parti (Cass. Civ. ordinanza n. 1072/2018). |
Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza (ud. 16 dicembre 2022) 21 febbraio 2023, n. 5385
Svolgimento del processo
Nel 2015 C.B. presentava davanti al Tribunale di Treviso ricorso· ex art. 702 bis c.p.c. nei confronti" di A.A.
- sua coniuge dal 2004, in regime patrimoniale di separazione dei beni, da cui era consensualmente separato dal 2012 - chiedendo la condanna dell'A.:
-al pagamento in suo favore del 50% di tutte le somme da lui pagate per l'acquisto in comproprietà indivisa, in data 17 marzo 2005, di un immobile (e relative pertinenze) sito in Villorba di Treviso,
-a corrispondergli ogni somma versata a titolo di rimborso del mutuo ipotecario cointestato (da entrambi stipulato in pari data con istituto bancario) eccedente la propria quota di tale debito.
A fondamento delle domande proposte il B. deduceva che: l'acquisto dell'immobile era stato deciso di comune accordo con la A. in vista delle nozze e considerata la nascita del figlio; l'immobile era stato intestato ad entrambi, così come il mutuo ed il conto corrente sul quale le rate del mutuo venivano addebitate; tutte le somme versate a titolo di caparra e di acconto e per spese notarili, come pure tutta la provvista necessaria al pagamento delle rate di mutuo, era stata fornita esclusivamente da lui.
Si costituiva la convenuta Sig.ra A., contestando in fatto ed in diritto la domanda attorea. In particolare, faceva presente che il pagamento da parte del B. delle somme necessarie all'acquisto dell'appartamento destinato a residenza familiare era avvenuto in adempimento dell'obbligo di contribuzione familiare e in ogni caso rappresentava donazione indiretta a favore del coniuge.
Il Tribunale di Treviso con ordinanza ex art. 702 ter del 7 settembre 2016 respingeva la pretesa del B. di ottenere in regresso le somme di mutuo eccedenti il proprio 50%, in quanto, per come emerge dalla sentenza della Corte territoriale (p. 6), dopo aver rilevato che le spese per l'acquisto dell'immobile erano state sostenute dal B. mediante somme depositate su conto corrente cointestato, riteneva che il pagamento delle somme dovute per l'acquisto e la conservazione della casa coniugale era stato effettuato da quest'ultimo quale adempimento all'obbligo di contribuzione e solidarietà familiare; ma, in parziale accoglimento della domanda ex art. 2041 c.c. del B., condannava la A. a corrispondere a quest'ultimo la somma di euro 41.220 (pari alle somme che quest'ultimo aveva anticipato per l'A., a titolo di caparra e a titolo di acconto, alla società Omissis s.r.l., per un importo di euro 39.520, e per spese notarili, per un importo di euro 1700) sul presupposto che, una volta cessata la comunanza di vita fra i coniugi, era venuta meno la causa che aveva giustificato l'acquisto del diritto di proprietà in capo alla A., con conseguente obbligo di quest'ultima ad indennizzare il B. della correlativa diminuzione patrimoniale.
La sentenza di primo grado veniva impugnata: dal B. con appello principale e dalla A. con appello incidentale.
La Corte di Appello di Venezia ha rigettato l'impugnazione principale proposta dal B. avverso l'ordinanza ex art. 702 ter c.p.c. emessa il 7 settembre 2016 dal Tribunale di Treviso, mentre ha accolto l'impugnazione incidentale proposta avverso la stessa ordinanza dalla A., dichiarando che quest'ultima nulla doveva al B.. per i fatti e per i titoli di cui al giudizio di merito.
Il B. ha fatto ricorso avverso la sentenza n. 2977/2019 della Corte di Appello di Venezia.
Ha resistito con controricorso l'A., chiedendo dichiararsi l'inammissibilità e comunque l'infondatezza di tutti i motivi di ricorso.
La trattazione è stata fissata ai sensi dell'art. 380-bis. 1 c.p.c.
In vista dell'odierna adunanza il Procuratore Generale presso la Corte non ha depositato conclusioni; mentre il Difensore di parte ricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione
1 Il ricorso del B. è affidato a 11 motivi.
1.1. I primi sei motivi attengono alla parte della sentenza impugnata nella quale la Corte territoriale ha respinto l'appello principale proposto dal B.. Precisamente, il ricorrente:
Con il primo motivo denuncia la sentenza impugnata per violazione degli artt. 115 primo comma e 116 primo comma c.p.c. nella parte in cui la Corte territoriale, esorbitando dai poteri conferitigli dalla legge ed in spregio alle risultanze della prova legale, non ha posto a fondamento della sua decisione il contratto di mutuo
17 marzo 2005 (da lui prodotto) in forza del quale lui, quale coobbligato in solido con la Sig.ra A., era tenuto in via diretta al pagamento della sua quota (pari al 50%) e in via solidale al pagamento della quota della Sig.ra A. (anch'essa pari al 50%). Sostiene che i giudici di appello hanno erroneamente ritenuto che lui aveva fino ad allora rimborsato le somme prese a mutuo insieme alla Sig.ra A. in adempimento "dell'obbligo di contribuzione e solidarietà familiare per assicurare al coniuge e alla prole l'immobile di residenza familiare ex art. 143 c.c."
Con il secondo motivo denuncia la sentenza impugnata per violazione dell'art. 2729 c.c. nella parte in cui la Corte territoriale, non solo non ha individuato alcun indizio grave, preciso e concordante (sulla base del quale ritenere che lui aveva rimborsato le rate del mutuo cointestato con la volontà di adempiere anche in tal modo al dovere di contribuzione familiare, ma ha financo omesso di considerare prove lega.li (contratti di compravendita immobiliare e di mutuo ipotecario) che positivamente escludevano detta sua volontà ed ha argomentato per presunzioni su fatti per cui la legge esclude la prova per testimoni.
Con il terzo motivo denuncia la sentenza impugnata per violazione dell'art. 112 c.p.c. nella parte in cui la Corte territoriale, pronunciando oltre i limiti della domanda, ha affermato che lui (con il terzo motivo di appello) aveva censurato la sentenza del giudice di primo grado nella parte in cui non aveva accolto la sua domanda di condanna della A. al pagamento delle rate di mutuo a scadere, mentre lui aveva richiesto la condanna generica della A. a corrispondergli, in via di regresso, ogni somma, da lui versata a titolo di rimborso del mutuo, eccedente la propria quota; nonché nella parte in cui ha omesso di pronunciarsi sul terzo motivo del suo appello principale (nel quale lamentava la erronea sussunzione della domanda e la erronea ricostruzione del fatto). Rileva il ricorrente che, durante la convivenza matrimoniale con la Sig.ra A. ed anche successivamente fino alla data dell'intervenuto omologa della separazione consensuale (dicembre 2012), non ha fatto altro che pagare la propria quota di mutuo e che solo dopo la separazione consensuale ha preso a corrispondere alla Banca mutuante le rate di pertinenza della quota di mutuo a carico della Sig.ra A., essendo a ciò tenuto in forza dell'obbligazione solidale di cui al contratto di mutuo (e non, quindi, per volontà di contribuire alle necessità familiari, tanto più che le condizioni di separazione consensuale non prevedevano che lui si doveva far carico della quota di mutuo della Sig.ra A.).
Con il quarto motivo denuncia la sentenza impugnata per violazione dell'art. 132 secondo comma n. 4 c.p.c., nella parte in cui la Corte territoriale, rigettando il primo motivo del suo appellò, ha affermato, senza fondamento sulle risultanze acquisite, che lui avrebbe onorato le rate del mutuo di pertinenza dell'A. in adempimento dell'obbligo di contribuzione familiare; non ha considerato le prove documentali che erano state da lui dedotte; ha incomprensibilmente affermato che "L'appellante non ha provato la sussistenza di un rapporto di mandato senza rappresentanza né tanto meno di una donazione indiretta in difetto di prova dell'animus donandi"; nonché nella parte in cui ha rigettato il secondo ed al terzo motivo di appello, con i quali aveva rispettivamente contestato la violazione dell'art. 2729 c.c. e degli artt. 112 e 115 c.p.c..
Con il quinto motivo denuncia la violazione degli artt. 1298 e 1299 (e/o del combinato disposto di cui agli artt. 1292, 1298 e 1299 c.c.) nella parte in cui la Corte territoriale ha affermato: "Non è corretto, infatti, come fa l'appellante <<suddividere" le rate di mutuo pro-quota in quanto l'obbligo è solidale, come previsto in Contratto (...) e il pagamento da parte del B. risponde all'obbligo di cui all'art. 143 c.c., come sopra scritto... >>. Rileva il ricorrente che, in tema di obbligazioni solidali, come nel caso di specie, la disciplina codicistica opera una fondamentale distinzione tra i rapporti interni (che riguardano i singoli condebitori) ed i rapporti esterni (che riguardano i rapporti intercorrenti tra i singoli condebitori ed il creditore); e che finora lui ha pagato le rate del mutuo soltanto con propri denari; e che ha già corrisposto alla Banca mutuante ben oltre il 50% delle somme da rimborsare. Sostiene che, proprio a motivo di tali rilievi, aveva proposto azione di regresso nei confronti della A., suo condebitore solidale.
Con il sesto motivo denuncia falsa applicazione degli artt. 143 terzo comma e 192 terzo comma c.c. nella parte in cui la Corte territoriale ha sentenziato come ·se l'obbligo di :contribuzione e solidarietà familiare ex art. 143 c.c. gravasse solo su di lui e come se tale obbligo comprendesse il dovere di assicurare al coniuge ed alla prole l'immobile di residenza familiare, senza considerare che la A. è comproprietaria dell'immobile, oggetto di mutuo, al50% ed è proprietaria in via esclusiva anche di altro immobile. Sostiene il ricorrente di avere il diritto di vedersi restituite le somme prelevate dal suo patrimonio personale per spese correlate all'ex immobile di residenza familiare in comproprietà indivisa con la Arnaldi (comprese quelle utilizzate per "spesare", quale obbligato in solido, le rate del muto cointestato contratto anche per l'acquisto di tale immobile). Deduce che la Corte territoriale, se non fosse incorsa nelle violazioni di legge contestate, avrebbe accertato che il maggior onere contributivo gravava sulla A. (per essere lavoratrice dipendente a tempo indeterminato, nonché proprietaria di altro immobile), mentre lui era impiegato della banca mutuante "non portante altre garanzie se non il proprio stipendio".
1.2. I motivi dal settimo all'undicesimo atten1gono alla parte della sentenza impugnata nella quale la Corte territoriale ha accolto l'appello incidentale proposto dalla A. ed ha conseguentemente condannato il B. a restituire la somma di euro 41.220, che gli era stata riconosciuta dal giudice di primo grado. Precisamente, il ricorrente:
Con il settimo motivo denuncia violazione degli artt. 345, primo e secondo comma, 342 e 112 c.p.c., nella parte in cui la Corte territoriale, riformando la sentenza di primo grado, ha affermato che la A. non gli doveva la somma di euro 41.220, in quanto il debito di euro 39.520.000 non era stato provato, mentre la somma di euro 1700 per spese notarile non costituiva arricchimento della A. e comunque rientrava nel progetto familiare dei coniugi ex art. 143 c.c. Sostiene che l'A. non aveva contestato il fatto che lui avesse corrisposto alla società Omissis s.r.l. la somma di euro 79.040 (pari al doppio di quanto lui le chiedeva in restituzione), per acconti sul prezzo di acquisto degli immobili siti in Villorba; e che la stessa soltanto in appello aveva eccepito inammissibilmente l'infondatezza della sua domanda di restituzione. Deduce che la corte territoriale, da un lato, non soltanto ha pronunciato su nova inammissibili ma ha anche pronunciato oltre i limiti di tale nova, in quanto l'inammissibile eccezione dell'A. e la relativa domanda erano giusto riferite all'asserita mancanza di prova della consegna di euro 30 mila in contanti a favore di Omissis s.r.l.; e, dall'altro, ha omesso di pronunciarsi su tale eccepita inammissibilità ed ha omesso qualsiasi valutazione preliminare attinente alla mancata adozione da parte della A. delle forme prescritte dall'art. 342 c.p.c.
Con l'ottavo motivo denuncia la violazione dell'art. 132 comma secondo n. 4 c.p.c. nella parte in cui la Corte territoriale non ha valutato le prove da lui offerte in ordine al versamento della somma di euro 30 mila in favore della società Omissis e non ha considerato che la A. non aveva contestato tale versamento; nella parte in cui senza motivazione gli ha negato il diritto di vedersi corrispondere dalla A. l'importo di euro 24.520 (pari alla metà dei versamenti da lui effettuati con assegni bancari del 5 luglio e del 19 novembre 2004); nella parte in cui ha ritenuto che il pagamento delle spese notarili, da lui effettuato per un importo pari ad euro 1. 700, rientrasse nel progetto familiare dei coniugi.
Con il nono motivo denuncia la falsa applicazione dell'art. 143 terzo comma nonché la violazione del combinato disposto di cui agli artt. 143 terzo comma e 192 terzo comma nella· parte in cui la Corte territoriale ha affermato che lui non aveva diritto al pagamento delle spese notarili per euro 1700 "come se l'obbligo di contribuzione e solidarietà familiare ex art. 143 c.c. gravasse solo su di lui e senza alcuna valutazione di proporzionalità. Sostiene che lui ha il diritto a vedersi restituite tutte le somme, che aveva prelevato dal suo patrimonio personale per spese correlate all'immobile della ex residenza familiare in comproprietà indivisa con la A. (comprese quelle da lui utilizzate per pagare la quota parte, di pertinenza della A., delle spese notarili). Ribadisce che se la Corte territoriale avesse fatto corretta applicazione dell'art. 143 terzo comma c.c., avrebbe accertato che il maggior onere contributivo gravava sulla A. e che lui, disponendo soltanto del suo stipendio (con il quale doveva contribuire anche al mantenimento di altri due figli avuti dal primo matrimonio) non era certo in condizioni economiche tali da dover o poter contribuire ai bisogni della famiglia per la complessiva somma di euro 121.695,03.
Con il decimo motivo denuncia violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto di cui agli artt. 115 primo comma e 116 primo comma, nonché dell'art. 2729 c.c., nella parte in cui la Corte territoriale ha inammissibilmente presunto la sussistenza di un "progetto familiare dei coniugi" in base al quale lui si sarebbe assunto l'obbligo di accollarsi ogni onere relativo all'acquisto dell'immobile (poi adibito a residenza familiare), nonostante la presenza di prove documentali (rappresentate da atti pubblici) di segno opposto. Nel richiamare le argomentazioni svolte nel motivo primo e nel motivo secondo, ricorda ancora una volta che lui e l'A., precedentemente all'acquisto dell'immobile (poi adibito a residenza familiare), in data 16 ottobre 2004, all'atto della celebrazione del loro matrimonio, avevano scelto il regime patrimoniale della separazione ·dei beni.
Con l'undicesimo ed ultimo motivo denuncia violazione e/o erronea applicazione dell'art. 115 primo comma c.p.c. nella parte in cui la Corte territoriale non ha posto a fondamento della propria decisione le prove da lui proposte (in merito alle somme da lui versate alla società Omissis s.r.l. a titolo di acconto per l'acquisto dell'immobile poi adibito a casa coniugale) ed fatti non specificatamente contestati dall'A..
2. I motivi, complessivamente esaminati, ripropongono la problematica del dovere di contribuire ai bisogni della famiglia e del conseguente tema delle restituzioni che può porsi nei casi in cui per una qualsiasi ragione la comunione di vita tra i coniugi abbia a cessare.
2.1. L'art. 143 c.c., rubricato "Diritti e doveri reciproci dei coniugi" - dopo aver disposto che <<Con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri (comma 1°). Dal matrimonio deriva l'obbligo reciproco alla fedeltà, all'assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell'interesse della famiglia ed alla coabitazione (comma 2°)>> - al terzo comma così dispone: << Entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze ed alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia>>.
In particolare, quanto al dovere di contribuire ai bisogni della famiglia, si rileva:
a) la "capacità di lavoro professionale" è parificata alla "capacità di lavoro domestico", per cui il lavoro professionale di chi produce direttamente reddito ha la stessa dignità e rilevanza del lavoro casalingo di chi, pur non producendo direttamente reddito, provvede alle faccende domestiche (prendendosi cura della casa e dei figli);
b) il dovere di contribuzione è per i "bisogni della famiglia" e, dunque, va inteso (non nell'interesse esclusivo dell'altro coniuge, ma) in senso solidaristico (cioè nell'interesse collettivo della famiglia) ed ampio (ad es., costituisce adempimento del dovere di contribuzione: mettere a disposizione della famiglia una casa di cui si era già proprietari prima delle nozze affinché vi si possa vivere senza doverne acquistare un'altra; effettuare le spese di ristrutturazione sulla casa di proprietà dell'altro coniuge per poterla abitare congiuntamente; partecipare alle spese per l'acquisto dell'abitazione familiare da parte del coniuge in regime di separazione dei beni; fare la spesa e cucinare tutti i giorni, pulire la casa, anche se con l'aiuto di una domestica; badare ai figli durante il pomeriggio mentre la mattina ci si dedica alla propria attività lavorativa, ecc.);
c) il dovere di contribuzione opera sia per le coppie sposate in regime di separazione dei beni che per quelle sposate in regime di comunione dei beni (anche se soltanto in quest'ultimo caso il dovere di contribuire ai bisogni della famiglia attribuisce a ciascun coniuge un potere sui beni di proprietà dell'altro; mentre, se la coppia è in regime di separazione dei beni, la donna che ad es. si occupi della casa non può vantare alcun diritto sugli immobili cli proprietà del marito, e, in particolare, non può impedirgli di venderli);
d) il dovere di contribuzione può essere diversamente regolato dai coniugi (che, ad es., possono concordare: che uno di essi svolga esclusivamente un'attività casalinga piuttosto che dedicarsi ad un lavoro esterno; o che uno di essi svolga un lavoro professionale part-time e per il tempo restante si prenda cura della casa e dei figli), ma mai soppresso: pertanto, sarebbe nullo l'accordo tra due coniugi con cui si stabilisca che uno di essi non svolgerà alcuna attività lavorativa (né professionale né casalinga). I relativi accordi non devono essere necessariamente scritti ben potendo essere presi verbalmente, prima o dopo le nozze, e anche stretti per comportamenti taciti (ad esempio, se un coniuge non risulta aver mai contestato la scelta dell'altro coniuge di non lavorare per dedicarsi alla casa ed ai figli, si può fondatamente presumere che tale scelta sia stata condivisa);
e) l'obbligo contributivo è da ricondursi alla categoria degli obblighi di natura personale in quanto, se è vero che esso ha un contenuto economico, la sua funzione è quella di adempiere all'obbligo di natura personale, ossia quello della solidarietà familiare.
2.2. Orbene, non esiste norma che stabilisca la misura minima del contributo che ciascun coniuge è tenuto a fornire alla famiglia; \ come pure non esiste norma che stabilisca come devono essere distribuiti tra i coniugi i diversi pagamenti che accompagnano lo svolgersi della vita ordinaria della maggior parte delle famiglie (spese per i viveri e per il vestiario; spese per l'auto e per la casa; imposte e tasse, ecc.).
Sotto l'aspetto economico, per determinare l'entità della contribuzione, rilevano in primo luogo le "sostanze" di cui dispone ciascun coniuge (ragion per cui il coniuge, che percepisce uno stipendio più alto, assume generalmente in famiglia l'impegno monetario di maggiore consistenza), ma occorre tener conto anche degli apporti effettuati da ciascun coniuge al momento delle nozze, nonché della circostanza che, come già rilevato, l'obbligo di contribuzione può essere assolto non soltanto con l'attività lavorativa professionale o mettendo a disposizione beni personali (come la casa o l'auto), ma anche il lavoro casalingo.
In ogni caso, al riguardo, sono decisivi gli accordi che intervengono tra i coniugi.
2.3. L'applicazione del dovere di contribuzione e particolarmente delicata nei casi di cessazione della comunione di vita tra i coniugi, nei quali occorre ricostruire ex post le vicende della vita familiare, cercando di distinguere tra elargizioni ingiustificate e contribuzioni ai bisogni familiari: in tutti questi casi, invero, le attribuzioni in costanza di matrimonio introducono non di rado il tema delle "restituzioni".
Detto tema è affrontato dal nostro ordinamento con una pluralità di disposizioni (talune speciali, relative al diritto di famiglia, quale ad es., art. 192 c.c.; altre generali, relative all'indebito arricchimento, al possesso, al contratto): di qui la necessità di individuare la disciplina applicabile a seconda della fattispecie concreta.
D'altronde, la necessità di soluzioni differenziate discende non soltanto dal diverso contenuto degli accordi che possono in concreto intervenire tra i coniugi, ma anche dalla diversa natura del bene (mobile - immobile) di volta in volta in contestazione, dello strumento giuridico in concreto utilizzato (contratto di donazione, liberalità indirette, cointestazioni di diritti, ecc.) nonché della convenzione matrimoniale in concreto adottata.
In via generale ed astratta, può soltanto affermarsi che sono irripetibili tutte quelle attribuzioni che sono state eseguite per concorrere a realizzare un progetto di vita in comune. L'erogazione (eccessiva o non) si presume effettuata in ragione di un comune progetto di convivenza: diviene così irripetibile in quanto sorretta da una giusta causa. Sarà onere della parte che pretende di ottenere la restituzione della somma dimostrare l'eventuale causa diversa (ad esempio, un prestito) in ragione della quale l'operazione economica era stata attuata in costanza di rapporto coniugale o di convivenza.
2.4. Quanto al mutuo· cointestato ad entrambi i coniugi, ma pagato da uno solo di essi, secondo la giurisprudenza di legittimità - salvo l'esistenza di un differente accordo inter partes, che va provato - non sono ripetibili le somme pagate da uno solo dei coniugi (in costanza di matrimonio, a titolo di rate del mutuo contratto da entrambi in solido per l'acquisto della casa coniugale, anche se cointestata). Invero, i pagamenti delle rate del mutuo cointestato, effettuati da uno solo dei coniugi in via esclusiva, talvolta sono stati considerati (cfr. sent. n. 18749/2004, n. 18749; sent. n. 10942/2015; ord. n. 10927/2018, che hanno appunto escluso il diritto al rimborso, richiamandosi ai principi di solidarietà matrimoniale) quale adempimento dell'obbligo di contribuzione di cui all'art. 143 c.c. (e, quindi, espressione di quei «doveri di collaborazione nell'interesse della famiglia, solidarietà e assistenza morale e materiale tra i coniugi» sanciti appunto dall'art. 143c.c.); mentre talaltra sono stati ricondotti (in questo senso cfr. Cass. sent. n. 12551/2009) alla logica di solidarietà che connota la vita familiare (e, quindi, ad una sorta di presunzione di gratuità degli esborsi effettuati in costanza di matrimonio). Peraltro, proprietario dell'immobile (acquistato con il mutuo cointestato) non necessariamente è il coniuge che paga le rate del mutuo in costanza di matrimonio, essendo rilevante sul punto quanto pattuito in fase di rogito notarile: infatti, se un solo coniuge paga il mutuo per intero, ma in sede di rogito è stato pattuito che la casa è intestata all'altro, la proprietà in alcun modo fa capo a chi paga i ratei del mutuo (salvo che non vi sia la comunione dei beni).
In caso di interruzione del rapporto coniugale per effetto di separazione, entrambi i coniugi possono decidere di continuare a pagare normalmente le rate del mutuo. Ma se uno" dei due coniugi non vuole più pagare le rate del mutuo, così rinunciando al diritto di proprietà sulla casa, l'altro coniuge può accollarsi interamente il mutuo, versando le rate mancanti fino all'estinzione dello stesso (e, qualora scelga di mantenere lo stesso istituto del credito in cui ha acceso il mutuo, addivenendo con la banca mutuante alla modifica dell'intestazione del mutuo).
La ripetibilità potrà essere fatta valere solo dalla data della separazione e per le somme successivamente pagate (cfr. Cass., sent. n. 1072/2018), purché l'accollo del mutuo da parte di uno solo dei coniugi non sia imposto dal Giudice quale contributo al mantenimento del coniuge o dei figli, o non sia previsto negli accordi delle parti giurisdizionali devono essere motivati. Inoltre, le sentenze, devono indicare la concisa esposizione delle ragioni di fatto e diritto della decisione (art. 132 secondo comma n. 4 c.p.c.)
E' ormai affermazione consolidata che, a seguito della riformulazione dell'art. 360 primo comma n. 5 c.p.c. il sindacato di legittimità sulla motivazione deve intendersi ridotto al "minimo costituzionale".
Proprio nella prospettiva del "minimo costituzionale", secondo consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, è causa di nullità la motivazione che non esprime un autonomo processo deliberativo, ma si limita a confermare le statuizioni del primo giudice, senza alcun esame critico delle stesse in base ai motivi di gravame. In particolare, il giudice di merito è tenuto a dar conto, in modo comprensibile e coerente rispetto alle evidenze processuali, del percorso logico compiuto al fine di accogliere o rigettare la domanda proposta, dovendosi ritenere viziata per apparenza la motivazione meramente assertiva. Ne consegue che è denunciabile in Cassazione l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.
3.2. Orbene, la Corte territoriale, nel motivare il mancato accoglimento dell'appello principale, si è così espressa (pp. 7 ed 8):
-quanto al rigetto del primo e del secondo motivo di appello, ha rilevato che il B. non aveva provato la sussistenza di un rapporto di mandato senza rappresentanza (e neppure, tanto meno, di una donazione indiretta); ha osservato che il giudice di primo grado, proprio su detto presupposto, aveva ritenuto che il pagamento delle somme per l'acquisto e la conservazione della casa familiare era stato effettuato quale adempimento dell'obbligo di contribuzione e solidarietà familiare per assicurare al coniuge e alla prole l'immobile di residenza familiare ex art. 143 c.c.;
-quanto al terzo motivo, ha rilevato che non è corretto suddividere le rate di mutuo pro quota, "in quanto l'obbligo è solidale, come previsto in contratto (...) e il pagamento da parte del B. risponde all'obbligo di cui all'art. 143 c.c.".
La stessa Corte territoriale, nel motivare l'accoglimento dell'appello incidentale, si è così testualmente espressa (p. 8):
<<L'appello incidentale volto a domandare la riforma dell'ordinanza sul punto della condanna a restituire al B. euro 41.220 va accolto. L'appellante principale non prova che le somme esulanti il prezzo di acquisto di euro 135.420 (euro 128.000 + aliquota iva al 4% per B. e 10% per A.) siano riconducibili all'immobile stesso; non documentando il B. il versamento in contanti di euro 30.000 a favore di Omissis s.r.l. né che tale pagamento sia stato effettuato dopo la cessazione del rapporto. Va accolto l'appello incidentale anche per quanto concerne la domanda della A. di riforma della sentenza in punto cfi condanna al pagamento delle spese notarili per euro 1700, in quanto tale somma non costituisce arricchimento dell'impugnante incidentale, ma semmai del notaio, e rientra nel progetto familiare dei coniugi ex art. 143 c.c. essendo stata versata dal B. all'inizio della vita coniugale a saldo dell'atto di compravendita di data 17/03/2005>>.
3.3. Preliminarmente rileva la Corte che il riferimento all'appellante, eccepito dal ricorrente nel motivo quarto, è un chiaro errore materiale: si voleva dire "appellata". Ciò emerge dal fatto che ciò che è stato riferito all'appellante, la sentenza l'ha riferito prima - a pag. 6 - all'appellata, nei cui soli riguardi, del resto, ha senso, trattandosi delle sue difese.
Ciò posto, ritiene il Collegio che dai passi motivazionali, sopra ripercorsi, non si evince l'iter logico-giuridico per il quale sono stati rigettati i motivi di appello principale e sono stati accolti quelli dell'appello incidentale, mentre sono financo manifestamente illogiche le ragioni addotte quanto alle spese notarili, essendo di tutta evidenza che esse costituiscono il legittimo compenso percepito dal notaio per la stipula del contratto di compravendita e del mutuo ipotecario.
Occorre aggiungere che la Corte territoriale, nel respingere il primo motivo di appello, ha richiamato un precedente della corte territoriale ambrosiana (del tutto conforme ai principi di diritto affermati nella giurisprudenza di legittimità), senza tuttavia spiegare come e perché esso trovi applicazione nella fattispecie concreta.
Il tutto in una materia caratterizzata dall'articolato intreccio di regole ordinamentali, convenzionali e giurisprudenziali, che si è cercato sopra di ricostruire.
4. In definitiva, accolti il quarto e l’ottavo motivo, tutti gli altri devono essere dichiarati assorbiti, con esclusione dei primi tre che sono inammissibili.
4.1. Il primo motivo è inammissibile, perché non risponde ai paradigmi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità.
Infatti, per dedurre la violazione dell'art. 115 cod. proc. civ. è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio, fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso art. 115 (mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attiviti1 consentita dal paradigma dell'art. 116 cod. proc. civ., che non a caso è dedicato alla valutazione delle prove; Cass. Sez. U. 05/08/2016, n. 16598).
D'altra parte (tra le ultime: Cass. Sez. U. :27/12/2019, n. 34474, con richiami pure a Cass. 19/06/2014, n. 13960, ovvero a Cass. 20/12/2007, n. 26965), la violazione dell'art. 116 cod. proc. civ. è riscontrabile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato - ·in assenza di diversa indicazione normativa - secondo il suo «prudente apprezzamento», pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore, oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), nonché, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia invece dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il suo prudente apprezzamento della prova, la censura era consentita ai sensi dell'art. 360,. primo comma, n. 5, cod. proc. civ., nel testo previgente ed ora solo in presenza dei gravissimi vizi motivazionali individuati da questa Corte fin da Cass. Sez. U. nn. 8053 e 8054 del 2014.
Il motivo d'altronde è privo di fondamento, giacché diretto a sostenere che dall'atto pubblico di mutuo (stipulato congiuntamente dai coniugi, con assunzione dell'obbligo di restituzione solidale) emergesse il diritto al regresso del ricorrente verso la moglie: è palese che il contratto di mutuo nulla dice al riguardo, derivando il regresso solo da un'eventuale accordo fra i coniugi, che l'atto notarile non documenta.
4.2. Anche il secondo motivo è inammissibile.
La denuncia di violazione o di falsa applicazione della norma di diritto di cui all'art. 2729 cod. civ. si può prospettare (Cass. n. 17457 del 2007; successivamente. Cass. n. 17535 del 2008; di recente: Cass. n. 19485 del 2017) sotto i seguenti aspetti: sotto i seguenti aspetti: aa) il giudice di merito (ma è caso scolastico) contraddice il disposto dell'art. 2729 cod. civ., primo comma, affermando (e, quindi, facendone poi concreta applicazione) che un ragionamento presuntivo può basarsi anche su presunzioni (rectius: fatti), che non siano gravi, precise e concordanti: questo è un errore di diretta violazione della norma; bb) il giudice di merito fonda la presunzione su un fatto storico privo di gravità o di precisione o di concordanza ai fini della inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota, così sussumendo sotto la norma dell'art. 2729 cod. civ. fatti privi di quelle caratteristiche e, quindi, incorrendo in una sua falsa applicazione, giacché dichiara di applicarla assumendola esattamente nel suo contenuto astratto, ma lo fa con riguardo ad una fattispecie concreta che non si presta ad essere ricondotta sotto tale contenuto, cioè sotto la specie della gravità, precisione e concordanza.
Nel caso di specie, la deduzione della violazione dell'art. 2729 c.c. non è stata fatta nel rispetto dei suddetti criteri e neppure di quelli indicati da Cass., Sez. Un., n. 1785 del 2018, in motivazione espressa sebbene non massimata (vedi paragrafi 4 e ss.), alla quale qui si rinvia.
D'altronde il motivo - dopo aver circoscritto la motivazione criticanda nella parte in cui la corte ha affermato, condividendo la motivazione del primo giudice, che il pagamento delle somme dovute per il mutuo era avvenuto per l'adempimento dei doveri di cui all'art. 143 c.c. - non argomenta l'erronea applicazione dell'art. 2729 c.c. in relazione a tale motivazione, e (a pag. 14) evoca circostanze riferite dall'A. (l'intestazione a quest'ultima del 50% della casa di Villorba per volontà del ricorrente con animus donandi, l'impegno del ricorrente a pagare da solo il mutuo) alle quali la corte veneziana non ha dato rilievo, ragion per cui il motivo non si correla alla motivazione.
4.3. Inammissibile è infine il terzo motivo.
L'inammissibilità travolge la prima parte del motivo nella quale sostiene che il giudice di appello, nello scrutinare il terzo motivo dell'appello, avrebbe male ·indicato la domanda proposta contro la A.: il ricorrente, per sostenere l'assunto, riproduce il tenore della domanda, ma - a prescindere dal rilievo che non indica la natura dell'atto riprodotto - non ne fornisce soprattutto l'indicazione specifica quanto alla localizzazione in questo giudizio di legittimità, così violando l'art. 366 n. 6 c.p.c..
Inammissibile è anche la seconda parte del motivo, nella quale il ricorrente, evocando risultanze di documentali indicate come presenti nel fascicolo di primo grado, argomenta in fatto circa la spiegazione del perché, prima della separazione, non era stata formulata domanda di restituzione. Non è dato comprendere a che titolo rilevino dette argomentazioni ai fini della dedotta violazione dell'art. 112 c.p.c. e peraltro, nella seconda proposizione della pag. 17, si argomenta in termini di fondatezza dell'appello, salvo poi introdurre nell'ultima proposizione della stessa pagina una ulteriore censura di violazione del 112, che viene "motivata" solo riproducendo l'intestazione del terzo motivo di appello e senza spiegare come e perché la corte veneziana l'avrebbe mal percepita.
5. Per le ragioni che precedono, cassata la sentenza impugnata, la causa va rinviata alla Corte di Appello di Venezia, in diversa Sezione e comunque in diversa composizione, perché proceda a nuovo esame alla luce dei principi di diritto sopra esposti.
Al giudice di rinvio è demandato anche il compito di liquidare le spese del presente giudizio di cassazione.
Stante l'accoglimento del ricorso, non sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello eventualmente dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
La Corte:
- accoglie il quarto e l'ottavo motivo nei termini di cui in motivazione, assorbiti tutti gli altri motivi, con esclusione dei primi tre, che dichiara inammissibili;
e, per l'effetto:
- cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e
- rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Venezia, in diversa Sezione e comunque in diversa composizione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese relative al presente giudizio di legittimità.