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14 marzo 2023
Civile e processo
I limiti dello ius postulandi dei praticanti avvocati
In assenza di una previa procura affidata al proprio dominus, la comparsa di costituzione e risposta del praticante avvocato, con richiesta chiamata in causa, è inesistente perché realizzata da un soggetto privo di ius postulandi.
di Avv. e Giornalista pubblicista Maurizio Tarantino
Il caso

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Tizia conveniva in giudizio Caia esponendo che per far visita alla sua amica, odierna convenuta, dopo aver parcheggiato l'auto, l'istante era entrata nell'abitazione della convenuta grazie al superamento di un piccolo cancello, ed immediatamente era stata aggredita dal cane di proprietà.
Nel tentativo di fuga, l'attrice era salita sul tetto della struttura adibita a cuccia per il cane, ma l'animale l'aveva prontamente rincorsa, provocando la caduta dell'istante dalla posizione in cui si trovava.
A seguito di ciò, l'attrice aveva chiesto il risarcimento dei danni subìti, ai sensi degli artt. 2043 e 2051 c.c., a carico della convenuta, in qualità di proprietaria del cane su cui aveva un obbligo di custodia. La convenuta si costituiva in giudizio con la praticante avvocato Mevia, non contestando la domanda e limitandosi a chiedere di essere manlevata dalla compagnia assicurativa, la quale al momento dei fatti copriva i rischi generati dall'immobile. 

Il diritto

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Analizzando il caso di specie relativo alla procura rilasciata in favore di una praticante avvocato, l'orientamento consolidato della Suprema Corte ritiene che la stessa sia inesistente e non nulla.
I Giudici di legittimità hanno sottolineato che all'atto giudiziale di avvocato privo di “ius postulandi” in quanto non abilitato all'esercizio della professione non è applicabile l'art. 182, comma 2, c.p.c. allorquando come nella specie la regolarizzazione non avvenga in favore del soggetto o del procuratore già costituito ma si abbia la costituzione in giudizio di soggetto diverso, iscritto all'albo, previo rilascio di mandato speciale; giacché la sanatoria ivi prevista si applica nelle ipotesi di nullità e non anche, come nella specie, viceversa di originaria inesistenza (Cass. civ., sez. III, 5 luglio 2019, n. 18047). Pertanto, la comparsa di costituzione e risposta con richiesta chiamata in causa era da ritenersi inesistente perché realizzata da un soggetto privo di ius postulandi, in assenza di una previa procura affidata al proprio dominus. Di conseguenza, la chiamata in causa della compagnia assicuratrice era affetta dal medesimo vizio.
Invero, su tale ultimo aspetto, l'assicurazione aveva da sùbito ravvisato la nullità della chiamata in causa effettuata dalla convenuta, deducendo, altresì, che anche se fosse praticante avvocato abilitata alla sostituzione, avrebbe potuto esercitare l'attività professionale soltanto nelle cause di valore non superiore ad euro 25.822,84, limite ampiamente superato nel caso di specie.

Quanto al merito della vicenda, risultava provato il fatto storico che aveva dato luogo all'evento di danno; tuttavia, era sussistente un concorso di colpa da parte dell'attrice ai sensi dell'art. 1227 c.c., per i danni che avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza. Invero, attesi i rapporti di amicizia intercorrenti con la convenuta, l'istante era sicuramente a conoscenza della presenza di un cane in quella abitazione, specialmente nel caso di un cane aggressivo come era emerso anche dalla testimonianza raccolta. Inoltre, l'attrice avrebbe potuto preventivamente segnalare il suo arrivo alla convenuta, prima di introdursi nella proprietà di quest'ultima, superando anche un cancello chiuso, al fine di ottenere un'autorizzazione all'ingresso; circostanza che avrebbe consentito alla convenuta di richiamare prontamente il cane o, quantomeno, avvertire l'istante di fare attenzione alla presenza dell'animale domestico. 
In conclusione, la responsabilità dell'accaduto è stata attribuita al 50% tra attrice e convenuta.

La lente dell'autore

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La vicenda in esame offre lo spunto argomentativo sull'attività posta in essere dal praticante avvocato. Ebbene, il praticante avvocato è un soggetto abilitato ad un'attività di tirocinio propedeutico e di formazione rispetto alla professione di avvocato, ed è titolare quindi, di uno status abilitativo provvisorio, limitato e temporaneo, che consente di compiere le attività proprie della professione ma soltanto sotto il controllo di un avvocato.
L'attuale disciplina (art. 41, comma 12, Legge 31.12.2012 n. 247; decreto Ministero della Giustizia n. 70/2016) ha “ristretto” sia la durata del praticantato a cinque anni, che l'ambito in cui può muoversi il praticante abilitato prevedendo che il praticante avvocato che abbia svolto il primo semestre di pratica legale possa esercitare l'attività professionale in sostituzione e sotto la responsabilità dell'avvocato presso cui svolge la pratica, con un ruolo sostanzialmente sostitutivo dell'avvocato.
Il praticante avvocato può esercitare attività di consulenza e assistenza sia in sede giurisdizionale che in sede giudiziale, ma non può avere cause proprie, né vedere il proprio nome nel mandato difensivo.
L'abilitazione consente di svolgere attività esclusivamente in sostituzione del proprio dominus: il praticante abilitato agisce sempre sotto il controllo e la responsabilità del dominus.
I limiti dello ius postulandi del praticante avvocato sono stati confermati da un indirizzo giurisprudenziale ormai consolidato della Corte di Cassazione (fra le tante, Cass. 8 aprile 2020 n. 7754) in base al quale, anche secondo il regime precedente il nuovo ordinamento professionale di cui alla L. n. 247 del 2012è esclusa la possibilità del patrocinio del praticante avvocato davanti al tribunale in sede di appello. Tale indirizzo è stato ribadito dalla stessa Corte con decisione 5 gennaio 2023 n. 224 affermando che il praticante avvocato non è legittimato ad esercitare il patrocinio davanti al Tribunale in sede di appello neppure a seguito dell'entrata in vigore della L. n. 247/2012 . Inoltre, le Sezioni Unite della Cassazione hanno altresì precisato che è inammissibile il ricorso proposto personalmente dal praticante avvocato al Consiglio Nazionale Forense, col quale si censura il provvedimento emesso dal Consiglio dell'ordine territoriale, di cancellazione dal registro speciale dei praticanti a causa dell'interruzione ultra-semestrale della pratica; analogamente a quanto disposto in tema di procedimento disciplinare, infatti, la possibilità di proporre ricorso al Consiglio Nazionale Forense o alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione da parte di soggetto non iscritto all'albo dei patrocinanti davanti alle giurisdizioni superiori presuppone pur sempre che si tratti di soggetto iscritto almeno all'albo degli avvocati, poiché, in mancanza di tale condizione, il ricorrente è privo dello "ius postulandi" indispensabile per stare in giudizio di persona (Cass. civ. S.U., 14 luglio 2022, n. 22246).
Quanto agli aspetti penali, si configura l'esercizio abusivo della professione per il praticante avvocato che patrocini una causa che ecceda i limiti per valore consentiti dal suo status; mentre il non aver percepito alcun reddito per l'opera prestata non costituisce una scriminante, trattandosi di un reato contro la Pubblica Amministrazione.
Infine, avendo il reato natura "istantanea", la violazione è integrata anche da una sola condotta abusiva (Cass. pen., sez. VI, 10 marzo 2014, n. 11493).

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