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Una donna, dipendente di una grande azienda, portava all'attenzione del datore di lavoro una serie di messaggi WhatsApp che contenevano prova di una relazione sentimentale tra lei ed un collega, più senior, addetto al medesimo ufficio. La donna denunciava che il collega “principe azzurro” l'aveva, dapprima, indotta a tenere nascosta all'azienda la relazione (quantomeno sino alla promozione di lui), poi, l'aveva invitata ad interrompere la gravidanza e, infine, aveva insistito affinché rassegnasse le dimissioni per ricollocarsi presso un'azienda concorrente. Venuta a conoscenza delle descritte condotte, l'azienda procedeva ad addebitarle all'uomo ai sensi dell'art. 7 L. 330/1970; raccolte le giustificazioni, comminava licenziamento per giusta causa, ravvisando nelle stesse un grave contegno abusivo/abusante ed una violazione del codice disciplinare aziendale, che prevedeva il dovere di informare il datore sull'esistenza di relazioni amorose o parentali tra colleghi. L'uomo impugnava il licenziamento deducendo come le condotte contestate non avessero alcuna rilevanza disciplinare. Da un lato, secondo l'uomo, non si sarebbe trattato di una relazione amorosa, bensì di un affaire occasionale inidoneo a creare conflitti di interesse all'interno dell'azienda; dall'altro lato, non vi sarebbe stato alcun contegno abusivo, al contrario, lamentava che la consegna al datore di conversazioni private (WhatsApp) costituisse una grave violazione della sua privacy. |
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Con la sentenza in commento, il Giudice del Lavoro di Roma ha ritenuto sussistere la giusta causa di licenziamento ed ha, quindi, rigettato il ricorso. Per prima cosa, il Giudice ha accertato l'affissione del codice disciplinare nei locali aziendali. In seconda battuta, ha qualificato le condotte addebitate quali violazione del disciplinare medesimo, il quale, pur nella consapevolezza che in una grande azienda possano stringersi rapporti personali significativi, impone di rendere note le relazioni sentimentali e parentali onde evitare conflitti di interessi, favoritismi e ripicche. L'aver celato la relazione è dunque di per sé condotta disciplinarmente rilevante. La gravità della medesima e la conseguente idoneità a giustificare il licenziamento è però rappresentata dall'atteggiamento prevaricatore del lavoratore sulla sua lei: averla indotta a celare la relazione e la gravidanza e a cercare lavoro altrove costituisce un contegno abusivo, rispetto al quale il datore di lavoro aveva il dovere di intervenire per tutelare la salute psicofisica della propria dipendente ex art. 2087 c.c. Non solo, esso dimostra come l'uomo abbia anteposto i propri interessi personali a quelli dell'azienda, facendo venire meno la fiducia in lui riposta. Infine, ma non da ultimo, il Tribunale ha rilevato che la consegna delle conversazioni WhatsApp tra i due “innamorati” non ha rappresentato né una violazione della privacy di lui (in sede di segnalazione all'azienda - whistleblowing) né del principio di segretezza della corrispondenza tra privati (in sede di giudizio). Sul punto la giurisprudenza è granitica: l'esercizio del diritto di difesa prevale sulle esigenze di tutela della riservatezza, a condizione che i dati siano trattati esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento (Cass., 19531/2021; Cass., 33809/2021). Nel caso di specie, peraltro, il datore non ha acquisito le conversazioni private in maniera arbitraria o abusando del proprio potere di controllo, ma le ha conosciute in quanto rese note dalla dipendente personalmente coinvolta. Infine, sulla produzione in giudizio delle conversazioni WhatsApp, peraltro, in copia forense estratta da consulente di parte, il Tribunale ha precisato come esse costituiscano riproduzioni meccaniche ex art. 2712 c.c. idonee a provare i fatti ivi rappresentati, salvo disconoscimento puntuale da parte del soggetto contro cui sono prodotte; disconoscimento che, nel caso di specie, non v'è stato. Da qui, quindi, nessuna violazione del principio di segretezza e del diritto alla privacy. |
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Sarebbe limitativo ed errato sostenere che il licenziamento sia stato comminato per il sol fatto di avere celato una relazione sentimentale al datore di lavoro. Nel caso di specie, infatti, tale condotta ha rilevanza disciplinare essendo esplicitamente prevista dal codice disciplinare aziendale, ma essa è connotata da gravità in virtù di altri comportamenti del lavoratore licenziamento che hanno accompagnato il segreto. La tensione psicologica operata dall'uomo sulla collega non poteva essere ignorata dal datore di lavoro, poiché se così fosse stato, il datore sarebbe andato incontro ad un inadempimento all'obbligo di tutela della salute psicofisica della donna, alla stregua di quanto accade nei casi di mobbing orizzontale. Non solo, l'aver celato una relazione amorosa, tormentato, nata tra due colleghi dello stesso ufficio avrebbe certamente minato la serenità aziendale, condizione invece fortemente tutelata dal codice etico e disciplinare aziendale. |
Tribunale di Roma, sez. Lavoro, sentenza 31 gennaio 2023
Svolgimento del processo
Con ricorso ritualmente notificato alla convenuta meglio identificata in epigrafe, parte ricorrente adiva il giudice del lavoro dell'intestato Tribunale chiedendo in via principale di dichiarare l'illegittimità del licenziamento subito e per l'effetto di essere reintegrato nel posto di lavoro, nonché di condannare la società al pagamento di un'indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del t.f.r. pari ad € 3.296,29 mensili nella misura massima e al versamento dei contributi; in via subordinata chiedeva di dichiarare estinto il rapporto cli lavoro con effetto dalla data del licenziamento e condannare la società convenuta al pagamento di un'indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata sulla base dell'ultima retribuzione cli riferimento per il calcolo del trattamento cli fine rapporto pari ad € 3.296,29 mensili, nonché di condannare la società convenuta al pagamento, in favore del ricorrente, dell'indennità cli mancato preavviso nella misura di € 6.592,58. Il tutto con vittoria cli spese, competenze ed onorari.
A sostegno della domanda, deduceva cli essere stato assunto dalla . a far data dal 23.10.2017 e cli essere passato alle dipendenze della resistente m data 1.1.2020; cli essere stato licenziato con lettera dell'l1.5.2021, con effetto dal 26.4.2021; cli essere stato inquadrato, dapprima nel primo livello e, dall'l.1.2021 come quadro del ccnl Terziario della Distribuzione e Servizi, con ultima retribuzione cli riferimento per il calcolo del trattamento cli fine rapporto pari ad€ 3.296,29; cli avere svolto mansioni di Senior Associate; di aver operato nell'ambito della commessa affidata dal Ministero dell'Interno Dipartimento della Pubblica Sicurezza per il sei-vizio cli supporto specialistico di assistenza tecnica all'Autorità cli Gestione del PON Legalità 2014-2020; cli aver lavorato in modalità cli lavoro agile dal mese cli febbraio 2020 sino a1 licenziamento, salvo occasionali attività in presenza; che con lettera del 26.04.2021, la società resistente aveva contestato a1 ricorrente che, nel periodo da metà febbraio 2020 a luglio 2020, aveva intrattenuto una relazione sentimentale con una collega, addetta allo stesso settore cli attività, violando la policy aziendale contenuta nel Codice di Comportamento, secondo cui avrebbe dovuto segnalare tale circostanza; che l'aveva invitata ad interrompere la gravidanza, le aveva richiesto di comunicare lo stato cli gravidanza solo dopo la data del 15.10.2020 per non ostacolare la sua promozione e aveva cercato cli indurla a cambiare azienda; che, a seguito di giustificazioni presentate per iscritto in data 30.4.2021 e successive integrazioni, con lettera dell'l1.5.2021, la società irrogava il licenziamento, che veniva tempestivamente impugnato. In punto diritto, eccepiva la nullità del licenziamento, l'insussistenza del fatto contestato, la sproporzione della sanzione espulsiva rispetto all'entità dell'infrazione.
Instauratosi ritualmente il contraddittorio, si costituiva in giudizio la società resistente chiedendo il rigetto del ricorso. Il tutto con vittoria di spese, competenze ed onorari.
Deduceva, a sostegno delle proprie ragioni, di aver accertato in data 16.3.2021 tramite il sistema whistleblowing che, nel periodo da febbraio 2020 a luglio 2020, il ricorrente aveva intrattenuto una relazione sentimentale con una collega addetta allo stesso settore di attività, la dr.ssa ; che il ricorrente non aveva segnalato tale circostanza alla società, in violazione delle previsioni del codice etico della società; di aver appreso, che la era rimasta incinta e che il ricorrente l'aveva invitata ad interrompere la gravidanza; che il ricorrente aveva insistito affinché la stessa comunicasse la gravidanza solo dopo la data del 15.10.2021; che il licenziamento risultava essere stato irrogato a causa delle condotte del ricorrente di gravità tali da giustificare l'adozione della sanzione espulsiva; che le conversazioni tra il ricorrente e la riportate nella contestazione disciplinare non fossero in contrasto con le previsioni del Reg. UE 679/16 e del d.lgs. 196/2003, che consentivano il trattamento dei dati sensibili per l'esercizio di un diritto; che non vi era stato alcun controllo o ingerenza nella vita privata da parte della società;
che le comunicazioni con la erano state fornite alla società dalla stessa.
La causa veniva istruita attraverso produzioni documentali e prova testimoniale e quindi rinviata per la discussione e, quindi, su richiesta delle parti, rinviata alla data odierna, da trattarsi con le modalità della trattazione scritta.
All'esito della camera di consiglio, veniva decisa mediante pronuncia contestuale di dispositivo e motivazione depositati telematicamente.
Motivi della decisione
La domanda non è fondata e pertanto non può essere accolta.
Giova preliminarmente osservare che, ai sensi dell'art. 7, co. 1, L. 300/1970 "le norme disciplinari relative alle sanzioni, alle infrazioni in relazione alle quali ciascuna di esse può essere applicata ed alle procedimento di contestazione delle stesse, devono essere portate a conoscenza dei lavoratori mediante affissione in luogo accessibile a tutti. Esse devono applicare quanto in materia è stabilito da accordi e contratti di lavoro ove esistano. ".
Come ribadito recentemente dalla Suprema Corte di Cassazione "ai sensi del primo comma dell'art. 7 dello Statuto dei lavoratoti, l'affissione del codice disciplinare, rappresenta una forma di pubblicità condizionante il legittimo esercizio del potere disciplinare del datore di lavoro, il cui adempimento deve essere provato dal datore medesimo. Tale formalità pubblicitaria, che non ammette equivalenti, ha la funzione di assicurare la conoscibilità legale della normativa disciplinare. Pertanto, come il lavoratore non può invocare la ignoranza delle norme disciplinari regolarmente affisse, così il dato di lavoro, ove sia mancata la regolare affissione delle stesse norma, non può utilmente sostenere che il lavoratore ne fosse altrimenti a conoscenza”.
Nel caso di specie, a fronte dell'eccepita mancata pubblicazione del codice disciplinare nei luoghi di lavoro, la società resistente ha dedotto di averne assicurato la diffusione mediante pubblicazione nei locali aziendali, nonché sul sito internet e che in ogni caso il ricorrente ne aveva preso visione al momento dell'assunzione.
Ebbene, occorre dato atto che l'espletata istruttoria con i testimoni citati dalle parti ha evidenziato i seguenti elementi di fatto.
La testimone ha dichiarato "ho lavorato per la convenuta, già P. dal dicembre 2017 al giugno 2012 e mi occupavo di consulenza per programmi comunitari. La mia sede di lavoro era in (omissis) di cui non ricordo il civico, anche se lavoravo presso il cliente. Non ricordo se in sede fosse affisso il codice disciplinare in quanto ci sono andata poche volte in tutto il rapporto ".
Da tale deposizione non è emerso alcun elemento significativo, atteso che la teste ha dichiarato di non rammentare se il codice disciplinare fosse esposto nei locali aziendali.
La teste ha dichiarato "dirigente della società di servizi della non parente, non ho mai lavorato per la convenuta; indifferente. La sede della società convenuta era la stessa della mia, situata in (omissis). Da quando io lavoro li, dal 2006, il codice disciplinare è sempre stato affisso nel piano ammezzato, all’interno di una bacheca, vicino alle macchinette del caffè. Era inoltre disponibile presso il portale aziendale assieme a tutta la documentazione ed estratto del ccnl. Il luogo è rimasto lo stesso per tutta la durata del rapporto del ricorrente. È stato portato al secondo piano, a seguito delal ristrutturazione dei locali conseguente alla uscita dal gruppo di A. la mia sede di lavoro è sempre stata a Milano, ma ho sempre frequentato con continuità la sede di Roma, almeno due volte al mese in ragione delle mie funzioni”.
Dalla suddetta testimonianza, diversamente, è emersa la prova dell'avvenuta affissione da parte della società del codice disciplinare nel luogo di lavoro.
Ne consegue la legittimità della condotta datoriale, sotto il profilo del rispetto formale dell'affissione del codice disciplinare.
Ciò posto, in merito alle censure sollevate dal ricorrente in merito all'utilizzabilità delle conversazioni a mezzo "whatsapp" intrattenute dallo stesso con la dr.ssa , si osserva quanto segue.
Contrariamente a quanto dallo stesso sostenuto, non si rileva alcuna violazione della disciplina sulla privacy di cui al Reg. UE 679/16 e al d.lgs. 196/2003.
Difatti, come da principio granitico della giurisprudenza di legittimità, l'esercizio del diritto di difesa prevale sulle esigenze di riservatezza, sempre che i dati siano trattati esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento (da ultimo Cass. 19531/2021; Cass. 33809/2021)
A ciò si aggiunga che, come correttamente rilevato dalla società, il datore di lavoro non ha acquisito le conversazioni private tra i dipendenti in maniera arbitraria o in esercizio di un potere di controllo contrario all'art. 4 L. 300/1970.
Difatti, come risulta anche dalla documentazione in atti (cfr. doc. 3 fase. società resistente), le suddette conversazioni sono state prodotte alla società direttamente dalla dr.ssa
Ne consegue l'infondatezza anche della censura di illegittimità della condotta datoriale, per violazione dell'art. 15 Cost., non risultando leso il principio di segretezza della corrispondenza privata.
Ciò posto, occorre altresì sottolineare che, le riproduzioni informatiche delle
conversazioni di messaggistica "whatsapp" costituiscono riproduzioni meccaniche ai sensi dell'art. 2712 c.c. idonee a provare i fatti ivi rappresentati, salvo il disconoscimento puntuale e circoscritto da parte del soggetto contro cui sono prodotte.
Ed invero, come chiarito dalla Suprema Corte di Cassazione ''per far perdere in un processo la qualità di prova delle riproduzioni informatiche di una chat occorre un disconoscimento «chiaro, circostanziato ed esplicito», che si deve concretizzare «nell'allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza tra realtà fattuale e realtà riprodotta». Sono perciò inefficaci i semplici richiami, fatti dal ricorrente, ai propri scritti difensivi nei quali dichiarava che quanto rappresentato dalle riproduzioni informatiche non corrispondesse alla realtà dei fatti in essa descritta. A precisarlo è la Cassazione confermando in tal modo l’importanza delle riproduzioni informatiche di conversazioni via sms, messaggi mail o whatsapp. Nel caso di specie, si trattava di una 1rlazione extraconiugale intrattenuta dal ricorrente a cui i giudici di merito avevano addebitato la separazione" (Cass. 12794/2021).
Ebbene, nel caso di specie, parte ricorrente si è limitata ad una mera contestazione generica del contenuto delle conversazioni oggetto di addebito disciplinare, limitandosi ad eccepire che l'estrapolazione di singoli stralci risultava avulsa dal contesto e dal tenore complessivo delle comunicazioni intervenute con la , senza ulteriormente precisare ed esplicitare le ragioni della censura e la non corrispondenza tra realtà fattuale e quella riprodotta. In tali termini, pertanto, non può ritenersi che sia stata operato un disconoscimento chiaro, circostanziato ed esplicito, come invece richiesto dalla giurisprudenza della Suprema Corte sopra riportata.
A nulla poi rileva la contestazione operata in merito all'inutilizzabilità di tali messaggi, in quanto oggetto di copia forense operata da tecnico di parte.
Difatti, la stessa giurisprudenza riconosce che ''l'acquisizione di dati informatici mediante la cosiddetta copia forense è una modalità conforme alla legge, che mira a proteggere, nell’interesse di tutte le parti, l’integralità e affidabilità del dato così acquisito" (ex multis, Cass. 1822/2022).
Ed invero, anche le singole contestaz1om alle modalità di acquisizione informatica risultano prive di pregio, in quanto dalla relazione tecnica (cfr. doc. 3 fase. soc. resistente) si evince che la clonazione del dispositivo della è avvenuto mediante l'utilizzo di applicativo forense "Ufed" e nella stessa sono puntualmente descritti tutti i passaggi compiuti dal consulente per l'acquisizione dei dati.
Le censure del ricorrente, sul punto, si appalesano generiche, limitandosi lo stesso senza elementi specifici a lamentare l'alterazione della procedura.
Ciò posto, nel merito si osserva che, ai sensi dell'art. 2119 c.c. "Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se il contratto è a tempo determinato, o senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto. Se il contratto è a tempo indeterminato, al prestatore di lavoro che recede per giusta causa compete l'indennità indicata nel secondo comma dell'articolo precedente. Non costit1Jisce giusta causa di risoluzione del contratto la liquidazione coatta amministrativa dell'impnsa. Gli effetti della liquidazione giudiziale sui rapporti di lavoro sono regolati dal codice della crisi e dell’insolvenza.
Orbene, ai fini della valutazione della legittimità del licenziamento di natura disciplinare, risulta preliminare l'accertamento della sussistenza del fatto addebitato a1 lavoratore.
Nel caso di specie, il licenziamento risulta essere stato disposto nei confronti del ricorrente con lettera dell'11.5.2021, all'esito del relativo procedimento disciplinare, avviato dalla società convenuta con comunicazione del 26.4.2021.
In particolare, la società, ritenute irrilevanti le giustificazioni rese per iscritto con lettere del 30.4.2021 e dell'S.5.2021, ha posto a fondamento del provvedimento espulsivo la violazione del codice di comportamento della società resistente.
In particolare, risulta che le condotte ascritte al ricorrente si sostanzino nell'intrattenuta relazione con una collega del gruppo di lavoro in cui lo stesso risultava inserito nel periodo da febbraio a luglio 2020, nonché nell'aver adottato un contegno abusivo nel confronti della stessa, inducendola a tacere lo stato di g1'avidanza al datore di lavoro e a rassegnare le dimissioni per ricollocarsi presso altra società competitor.
Ebbene, dalle conversazioni intercorse tra il ricorrente e la si evince che gli stessi fossero legati da una relazione di tipo affettivo, celata all'interno della società.
Risulta, altresì, comprovato che il ricorrente abbia creato uno stato di tensione psicologica nella ricorrente, inducendola dapprima ad interrompere la gravidanza (verosimilmente attribuibile a1lo stesso, come si evince dal tenore delle conversazioni versate in atti) e, successivamente, a tacere la circostanza alla società fino alla data del 15.10.2020, al fine di non ostacolare il proprio avanzamento di carriera.
Dal tenore delle conversazioni, è emerso altresì che lo stesso ricorrente abbia in diverse occasioni tentato di allontanare la dal contesto lavorativo, persuadendola a rassegnare le dimissioni e a ricollocarsi presso altra società competi/or del datore di lavoro. Ebbene, in conformità al codice di comportamento adottato dalla società resistente, lo stesso ricorrente avrebbe dovuto informare il datore di lavoro della relazione sentimentale intrapresa con la· , essendo peraltro pacifico che entrambi fossero adibiti alla stessa commessa affidata dal Ministero dell'Interno alla società.
Difatti, in merito ai "rapporti di parentela e relazioni personali" il codice di comportamento sancisce che "riconosce che all'interno di una grande organizzazione si possano instaurare relazioni personali stratte tra colleghi, siano questi Partner o altri lavoratori. Inoltre, consente l’assunzione di persone imparentate con partner e membri dello staff. Tuttavia, è necessario prestare adeguata attenzione per garantire che le relazioni personali strette e i rapporti di parentela non creino situazioni in cui: membri dello staff beneficino o soffrano a causa di una relazione personale o di parentela dentro e fuori; sorgano questioni di riservatezza, indipendenza e conflitti di interesse, questi ultimi anche solo percepiti; risulti un reale o percepito nepotismo e/o favoritismo…partner o membri dello staff non possono essere impiegati nella stessa unità organizzativa/funzione in cui lavorano parenti o individui con cui hanno stretto una relazione personale. In nessun caso una delle due persone dovrà essere il diretto superiore dell’altro né in alcun modo partecipare ai processi di valutazione, avanzamento carriera, assunzioni di responsabilità e decisioni riguardanti il trattamento economico dell’altro.
Inoltre, ai sensi dell'art. 5.4.2 del codice etico della società “in coerenza con i valori di onestà e correttezza, si impegna a mettere in atto le misure necessarie a prevenire ed evitare fenomeni di conflitto di interessi. Questo vale tra l’altro nei casi in cui un Destinatario: persegue un interesse diverso dalla mission della Società, si avvantaggi personalmente idi opportunità d’affari della Società, agisca in contrasto coni doveri fiduciari legati alla propria posizione. I Destinatari sono tenuti ad evitare tutte le situazioni e tutte le attività in cui si possa manifestare un conflitto con gli interessi della Società o che possano interferire con la propria capacità di assumere, in modo imparziale, decisioni nel migliore interesse della Società e nel pieno rispetto delle norme del Codice etico, del Modello di Organizzazione e Gestione ed DLgs 231/01 della Società i più in generale di tutte le direttive e procedure aziendali”.
A nulla rileva quindi che, come dedotto dal ricorrente, si trattasse di una mera relazione sessuale caratterizzata da sporadici incontri, posto che il divieto di relazioni tra dipendenti addetti alla medesima unità risponde all'esigenza di garantire l'imparzialità e la trasparenza delle scelte lavorative adottate dai lavoratori, nonché la serenità dell'ambiente lavorativo.
Alla luce delle argomentazioni che precedono, si osserva quanto segue, m merito al giudizio di proporzionalità tra la condotta e la sanzione disciplinare.
Ebbene, deve ritenersi che l'art. 2106 c.c. imponga al giudice non solo di accertare l'effettiva sussistenza del fatto contestato al lavoratore, ma anche di valutare se questo fatto sia talmente grave, da giustificare la sanzione disciplinare in concreto adottata dal datore di lavoro, tenendo anche conto dell'elemento intenzionale della condotta del lavoratore.
Nel caso di specie, il fatto ascritto al ricorrente risulta lesivo del codice di comportamento e del codice etico, adottati dalla società datrice, nonché più in generale dei doveri di correttezza e lealtà che devono essere rispettati nel rapporto di lavoro.
La diligenza richiesta dall'art. 2105 c.c. nell'espletamento della prestazione lavorativa ricomprende, infatti, anche l'obbligo di adottare un contegno conforme alle disposizioni organizzative e ai protocolli di comportamento imposti dal datore di lavoro, a protezione degli interessi aziendali.
A ciò si aggiunga che, dal canone generale di buona fede sorgono obblighi aggiuntivi di protezione della controparte contrattuale, nei limiti dell'apprezzabile sacrificio dei propri interessi.
Non vi è dubbio, quindi, che sul lavoratore incombe l'obbligo di comunicare al datore di lavoro qualsiasi situazione di potenziale conflitto che possa compromettere gli interessi aziendali.
Nel caso di specie, risulta che il ricorrente volontariamente abbia anteposto il proprio interesse personale all'avanzamento di carriera, rispetto agli interessi della società resistente, celando una situazione di potenziale conflitto di interessi m violazione dell'obbligo di discosure e compromettendo la serenità sul luogo di lavoro con 1 componenti del suo gruppo di lavoro (tale essendo la collega con la quale aveva intrapreso la relazione).
A ciò si aggiunga che, il ricorrente, seppur non essendo formalmente posto in una posizione di supremazia gerarchica rispetto alla tale da configurare un vincolo di subordinazione in senso stretto, ricopriva in ogni caso un profilo professionale più elevato.
Da quanto dedotto dalla società, in maniera 11011 specificamente contestata dal ricorrente, la valutazione professionale dei lavoratori con profilo junior, presuppone il confronto del dirigente con i senior del gruppo lavorativo.
Tale circostanza induce a ritenere che, il ricorrente, in quanto profilo senior; fosse nella posizione di esercitare pressioni sulla collega, rivestendo quest'ultima il profilo
junior.
Ne consegue che, le pressioni esercitate dallo stesso sulla collega al fine di indurla a tacere finanche lo stato di gravidanza alla società, nonché ad abbandonare il posto di lavoro assumano il carattere della gravità tale da pregiudicare il vincolo fiduciario di cui all'art. 2105 c.c..
Non nuoce rammentare, infatti, che ai sensi dell'art. 2087 c.c sul datore di lavoro incombe l'obbligo di vigilare sulla sicurezza e sulla salute psico-fisica dei dipendenti, assumendo anche la responsabilità per le condotte abusive adottate nel contesto lavorativo.
Pertanto, la condotta, complessivamente ascrivibile al ricorrente, risulta dal punto di vista oggettivo e soggettivo connotato da una gravità tale da non ritenere la stessa punibile con una diversa sanzione conservativa.
Ne consegue che, la sanzione del licenziamento disciplinare, irrogata dal datore di lavoro al ricorrente, ai sensi dell'art. 238 CCNL di comparto risulta proporzionata rispetto all'addebito contestato con lettera di contestazione del 26.04.2021.
Difatti, la norma contrattuale collettiva, pacificamente applicabile al caso di specie, nella individuazione delle diverse sanzioni conservative applicabili al lavoratore, elenca le varie condotte sanzionabili, graduandone la gravità e prevedendo per ciascuna di esse l'espressione del potere disciplinare del datore di lavoro.
In particolare, testualmente l'art. 238 prevede che "La inosservanza dei doveri da parte del personale dipendente comporta i seguenti provvedimento, che saranno presi dal datore di lavoro in relazione alla entità delle mancanza e alle circostanze che l’accompagnano: 1) biasimo inflitto verbalmente per le mancanze lievi; 2) biasimo inflitto per iscritto nei casi di recidiva delle infrazioni di cui al precedente punto 1; 3) multa in misura non eccedente l’importo di 4 ore della normale retribuzione di cui all’art. 206; 4) sospensione della retribuzione e dal servizio per un massimo di giorni 10; 5) licenziamento disciplinare senza preavviso e con le altre conseguenze di ragione e di legge. Il provvedimento della multa si applica nei confronti del lavoratore che: -ritardi nell’inizio del lavoro senza giustificazione, per un importo pari all’ammontare della trattenuta; -esegua con negligenza il lavoro affidatogli; -si assenti dal lavoro fino a tre giorni nell’anno solare senza comprovata giustificazione; -non dia immediata notizia all’azienda di ogni mutamento della propria dimora, sia durante il servizio che durante i congedi. Il provvedimento della sospensione dalla retribuzione e dal servizio si applica nei confronti del lavoratore che: -arrechi danno alle cose ricevute in dotazione ed uso, con dimostrata responsabilità; -si presenti in servizio in stato di manifesta ubriachezza; -commetta recidiva, oltre la terza volta nell’anno solare, in qualunque delle mancanze che prevedono la multa, salvo il caso dell’assenza ingiustificata. Salva ogni altra azione legale, il provvedimento di cui al punto 5 (licenziamento disciplinare) si applica esclusivamente per le seguenti mancanze: -assenza ingiustificata oltre tre giorni nell’anno solare; -recidiva nei ritardi ingiustificati oltre la quinta volta nell’anno solare, dopo formale diffida per iscritto: grave violazione degli obblighi di cui all’art- 233, 1° e “à comma; -infrazione alle norme di legge circa la sicurezza per la lavorazione, deposito, vendita e trasporto; -l’abuso di fiducia, la concorrenza, la violazione del segreto d’ufficio; -l’esecuzione, in concorrenza con l’attività dell’azienda, di lavoro per conto proprio o di terzi, fuori dell’orario di lavoro; -la recidiva, oltre la terza volta nell’anno solare in qualunque delle mancanze che prevedono la sospensione, fatto salvo quanto previsto per la recidiva nei ritardi. L’importo della multe sarà destinato al Fondo pensioni dei lavoratori dipendenti. Il lavoratore ha facoltà di prendere visione della documentazione relativa al versamento“.
Pertanto, ciascuna sanzione dovrà essere applicata, valutando in concreto non solo la gravità della condotta e l'entità delle mancanze ascritte al lavoratore, ma anche e specialmente "le circostanze che le accompagnano"; vale a dire che la singola condotta dovrà essere valutata anche nel contesto in cui la stessa è stata posta in essere, mutuando da esso il concreto e specifico disvalore.
Pertanto, tenendo conto che la sanzione del licenziamento disciplinare si applica per: " assenza ingiustificata oltre tre giorni nell'anno solare; - recidiva nei ritardi ingiustificati oltre la quinta volta nell'anno solare, dopo formale diffida per iscritto; grave violazione degli obblighi di cui all'art. 233, 1° e 2° comma" (art.238 cit), deve ritenersi che il provvedimento irrogato sia proporzionato alla gravità della condotta di cui al presente giudizio, delle condizioni soggettive del lavoratore, della impossibilità di sanzionare la condotta tenuta con altre sanzioni di minore gravità, come previste dai punti 1-4 dell'art.238 ccnl.
Ne consegue, la legittimità della sanzione espulsiva.
Il ricorso deve essere deciso come in dispositivo.
La condanna al pagamento delle spese di lite segue la regola della soccombenza con liquidazione come da dispositivo.
P.Q.M.
Il giudice, definitivamente pronunciando, così decide:
- rigetta il ricorso;
- condanna parte soccombente al pagamento delle spese di lite, in favore della società resistente, che liquida in complessivi € 5.323,35, oltre iva e cpa come per legge.