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Tizio era rimasto coinvolto in un sinistro stradale nel mentre si accingeva ad attraversare le strisce pedonali poste davanti alla propria abitazione e, questo, nonostante, avesse provveduto a controllare che la strada fosse libera e che non sopraggiungesse alcun veicolo da est (trattandosi di strada a senso unico di marcia). Specificamente assumeva d'essere stato investito dal ciclista Caio che, provenendo a forte velocità dal senso di marcia opposto, lo urtava, provocandogli danni con postumi. Il ciclista coinvolto nell'incidente stava partecipando ad una gara organizzata dalla società che, pertanto, addiveniva all'idea di convenire nel presente giudizio nella persona del suo Presidente. Si costituiva in giudizio anche il datore di lavoro del ciclista rimasto infortunato. |
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A seguito dell'istruttoria di causa era emerso che il contenuto dell'autorizzazione per competizione ciclistica su strada rilasciata dal Dirigente della Polizia Municipale, nonché l'ordinanza emessa in pari data, risultavano essere state osservate dalla società organizzatrice e ciò si evinceva dalle dichiarazioni testimoniali rese da chi, a vario titolo, era presente sul luogo del sinistro la sera in cui si verificava; tutti i testimoni sentiti sul punto, avevano dato una versione dei fatti. La zona era, inoltre, sgombra da autoveicoli e la segnaletica di attenzionamento e divieti vari era stata messa almeno 48 ore dell'evento. Tale circostanza veniva del tutto confermata anche da quanto affermato dal testimone, il quale dava atto di come fosse stata predisposta idonea segnaletica di divieto di transito lungo il percorso già due giorni prima della gara, nonché la chiusura del traffico mediante l'apposizione di transenne laddove era possibile o mediante fettucce (nastri in due livelli) a toccare gli incroci, oltre al fatto che il personale in servizio era munito di bandierine e con la pettorina catarifrangente. Premesso ciò, secondo il giudicante, nella specie doveva addebitarsi in via esclusiva il sinistro occorso al pedone Tizio che, con la propria condotta imprudente – consistente nel non avvedersi degli evidenti segnali di riconoscimento della gara in corso e nell'ignorare i ripetuti appelli di coloro che si trovavano sul posto ad interrompere l'attraversamento delle strisce pedonali – provocava l'urto con il ciclista che stava, invece, regolarmente svolgendo la gara. Né può costituire circostanza rilevante il fatto che il percorso della gara ciclistica fosse diretto nella direzione opposta al normale senso di marcia, giacché, come già sovra accertato, la segnaletica e il personale sul posto, nonché gli avvisi diramati nei giorni antecedenti la gara apparivano senz'altro idonei a garantirne la conoscibilità da parte dell'utenza. A causa di ciò, il giudicante ha ritenuto, inoltre, accoglibile la domanda risarcitoria del datore di lavoro del ciclista per ottenere il risarcimento del danno subìto dalla stessa, in quanto, in conseguenza del sinistro, rimaneva per un periodo prolungato assente dal luogo di lavoro. Per le ragioni esposte, la domanda di Tizio è stata rigettata, con conseguente accoglimento risarcitorio di parte convenuta. |
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La valutazione in ordine alla pericolosità dell'attività non può essere condotta in astratto, essendo necessario considerare, come sempre quando si discute della applicazione di tale norma, se è insita nel successivo svolgimento dell'attività organizzata la probabilità del danno, o se si tratta invece di attività normalmente innocua. In altri termini, si tratta di distinguere tra pericolosità della condotta, che si apprezza rispetto ad un'attività normalmente innocua e che diventa però pericolosa a causa della condotta negligente o imprudente dell'autore, rientrandosi in tal caso nell'ambito applicativo dell'art. 2043 c.c.; e pericolosità dell'attività, laddove questa risulti potenzialmente dannosa di per sé per l'alta percentuale di danni che può provocare per sua natura o per i mezzi adoperati, generando una responsabilità ai sensi e per gli effetti dell'art. 2050 c.c. (Trib. Novara 16 gennaio 2023, n. 28). Premesso ciò, nella fattispecie, lo svolgimento della gara ciclistica su strada ben può farsi rientrare nel novero delle attività pericolose; indici sintomatici di ciò possono, invero, rinvenirsi, oltre che nel fatto che, svolgendosi su circuito cittadino, possono determinare rischi più alti per chi si trova a dover frequentare le zone coinvolte dalla gara, anche – e conseguentemente – nel fatto che, ai sensi dell'art. 9 Codice della strada, sulle strade ed aree pubbliche sono vietate le competizioni sportive con veicoli o animali e quelle atletiche, salvo autorizzazione. Pertanto, “proprio lo svolgimento di una gara ciclistica su un circuito aperto comporta l'insorgenza, in capo all'organizzatore, dell'obbligo di predisposizione di particolari cautele a tutela dell'incolumità degli atleti, degli spettatori e del personale al seguito, il che conduce all'inserimento di tale attività sportiva nell'ambito di quelle "pericolose” (Trib. Arezzo 7 maggio 2012). L'inquadramento della fattispecie de qua nell'ambito applicativo di cui all'art. 2050 c.c. determina conseguenze sul piano dell'onere probatorio giacché, a differenza di quanto avviene in caso di responsabilità da fatto illecito di cui all'art. 2043 c.c., in questo caso spetta al presunto danneggiante (autore dell'attività pericolosa) vincere la presunzione di responsabilità posta a suo carico, dimostrando di aver adottato tutte le misure idonee a scongiurare il danno (poi in effetti verificatosi). La giurisprudenza di legittimità, sul punto, ha osservato come da tale assunto si debba necessariamente desumere che non sia sufficiente «la prova negativa di non aver commesso alcuna violazione delle norme di legge o di comune prudenza, ma occorre quella positiva di avere impiegato ogni cura o misura volta ad impedire l'evento dannoso, di guisa che anche il fatto del danneggiato o del terzo può produrre effetti liberatori solo se per la sua incidenza e rilevanza sia tale da escludere, in modo certo, il nesso causale tra attività pericolosa e l'evento e non già quando costituisce elemento concorrente nella produzione del danno, inserendosi in una situazione di pericolo che ne abbia reso possibile l'insorgenza a causa dell'inidoneità delle misure preventive adottate» (Cass. civ., sez. VI, 19 maggio 2022, n. 16170). In definitiva, nel caso del Tribunale di Pisa, in ragione delle risultanze emerse nel corso dell'istruttoria, la presunzione di responsabilità posta a carico di parte convenuta era stata dalla stessa vinta, così pertanto non poteva muovere a suo carico alcun addebito o censura di sorta rispetto al sinistro stradale. |
Tribunale di Pisa, sez. Civile, sentenza (ud. 30 marzo 2023) 31 marzo 2023, n. 489
Svolgimento del processo /Motivi della decisione
Con atto di citazione che in calce reca la data del 15 settembre 2014, A.P. allegava di essere rimasto coinvolto in un sinistro stradale in data 5.09.2013 nel mentre si accingeva ad attraversare le strisce pedonali poste davanti alla propria abitazione e, questo, nonostante, lui-attore avesse provveduto a controllare che la strada fosse libera e che non sopraggiungesse alcun veicolo da est (trattandosi di strada a senso unico di marcia). Specificamente assumeva d’essere stato investito dal ciclista, R.C., che, provenendo a forte velocità dal senso di marcia opposto, lo urtava, provocandogli danni con postumi temporanei, assoluti e parziali, e permanenti stimati (quelli permanenti) nella misura percentuale del 7%. Spiegava che il ciclista coinvolto nell’incidente stava partecipando ad una gara organizzata dalla società Juventus L., che, pertanto, addiveniva all’idea di convenire nel presente giudizio nella persona del suo Presidente, sull’assunto per cui la stessa società avrebbe omesso di adottare tutte le cautele e le accortezze necessarie, meglio chiarendo che la gara si era tenuta in pieno circuito cittadino in orario notturno, con una illuminazione carente, senza che fossero state transennate o comunque delimitate le zone coinvolte, e senza che fossero destinati addetti alla sicurezza. Su tali presupposti, egli attore concludeva chiedendo di accertare e dichiarare l’esclusiva responsabilità del convenuto, A.G., in proprio e quale Presidente della U.S. Juventus L. per la causazione del sinistro de quo con condanna dello stesso (G.) al risarcimento dei danni subiti, che quantificava in complessivi € 22.424,39, o nella diversa somma risultante di giustizia, oltre interessi e rivalutazione monetaria e con vittoria di spese e compensi del giudizio.
In data 23.12.2014, si costituiva in giudizio A.G., in proprio ed in qualità di Presidente pro tempore della Società U.S. Juventus L. A.S.D., contestando gli addebiti mossigli, sostenendo, per contro, che responsabile unico di quanto occorso dovesse ritenersi lo stesso attore (il P.).
Allegava che la gara ciclistica era stata regolarmente richiesta ed autorizzata dal Comandante territoriale della Polizia Locale di Pontedera e che tutte le prescrizioni di cui all’ora detta autorizzazione erano state osservate dagli organizzatori, i quali avevano provveduto a garantire la massima sicurezza, predisponendo apposita segnaletica nelle zone interessate, destinando personale addetto e munito di bracciale e segnale di riconoscimento, prevedendo, altresì, un passaggio di staffette motociclistiche, opponendo a tanto una condotta del P. imprudente e negligente, tale per cui lui stesso si era messo in una condizione di pericolo, non considerando gli inviti e le indicazioni del personale addetto all’atto di attraversare la strada. Domandava, quindi, d’essere preliminarmente autorizzato alla chiamata in causa di INA Assitalia (oggi Generali Italia S.p.A.) per essere da questa manlevata da quanto eventualmente fosse risultato obbligato a pagare, e comunque, nel merito, chiedeva accertarsi e dichiararsi la carenza di responsabilità della Juventus L. e, per l’effetto, in ogni caso, chiedeva rigettarsi la domanda proposta o, in subordine, accertarsi la responsabilità concorrente, e comunque in misura maggiore, dello stesso deducente P., determinando in maniera corretta il quantum eventualmente dovuto (con ovviamente condanna dell’assicuratrice terza chiamata a pagare in manleva).
Differita la prima udienza ai sensi dell’art. 269 c.p.c., si costituiva in giudizio Generali Italia S.p.A., associandosi alle difese svolte dalla propria assicurata e precisando come, in punto di pagamento delle spese e dei compensi, la richiesta della convenuta di essere dalla stessa compagnia tenuta indenne non potesse essere accolta giacché, in conformità alle previsioni di cui alle condizioni generali di polizza, l’assicurato avrebbe dovuto notiziare la compagnia della citazione in giudizio a lei notificata e conferire a legali designati dalla compagnia medesima la procura difensiva. Domandava, pertanto, che, previo accertamento della esclusiva responsabilità di A. P. nella causazione del sinistro e conseguente rigetto della domanda da questi proposta, venisse, in ogni caso, respinta la domanda di garanzia azionata dalla società convenuta nei propri confronti.
All’udienza del 22.10.2015, il Giudice provvedeva alla riunione al fascicolo de quo del fascicolo r.g.
n. 79/15 pendente tra C. Società cooperativa e A. P., rilevandone la connessione parzialmente oggettiva e soggettiva. L’ora detta società aveva, infatti, adito, il Giudice di Pace e, in riassunzione, l’adito Tribunale, allo scopo di ottenere la condanna di A. P. al pagamento nei propri confronti della complessiva somma di € 2.765,78 – o della diversa somma risultante di giustizia – oltre interessi legali e rivalutazione monetaria a titolo di danno dovuto all’assenza prolungata da lavoro del proprio dipendente, R.C., coinvolto nel sinistro stradale del quale si discute.
La causa veniva istruita a mezzo prova testimoniale e per il tramite di CTU medico-legale sulla persona di A. P.. All’esito, la causa veniva trattenuta in decisione con termine alle parti per il deposito di comparse conclusionali e di replica e decisa per il tramite della presente sentenza.
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La trattazione delle due cause, qui riunite giacché oggettivamente e soggettivamente connesse, impone l’analisi di due questioni, che costituiscono oggetto delle domande delle rispettive parti attrici, l’una consequenziale all’altra: da un lato, infatti, si tratta di verificare la fondatezza della domanda avanzata da A. P. e volta all’accertamento della responsabilità esclusiva del G. (in proprio e quale Presidente della società organizzatrice della gara ciclistica) nella causazione del sinistro che lo ha visto (che ha visto il P.) coinvolto nella serata del 5 settembre 2013, con condanna al risarcimento dei danni-conseguenza patiti; dall’altro, laddove la domanda venisse ad essere respinta e dunque venisse ad essere riconosciuta una responsabilità (anche concorrente) del P. nella causazione dell’incidente, sarebbe necessario analizzare la richiesta di C. (attrice nel procedimento qui riunito) volta ad ottenere dal P. – considerato responsabile esclusivo del sinistro oggetto di causa – il risarcimento del danno da mancata prestazione lavorativa del proprio dipendente, R.C. (coinvolto nell’incidente).
Muovendo, allora, dalla prima delle questioni ora brevemente compendiate, A. P. sostiene la responsabilità della società convenuta invocando la norma di cui all’art. 2050 c.c., annoverando la gara ciclistica su strada nell’ambito delle attività pericolose al quale la norma si riferisce. Rispetto a tale norma, il legislatore non ha inteso adottare alcuna delle soluzioni estreme: né quella che ammetterebbe per tali attività una responsabilità oggettiva, né quella che vi ricollocherebbe l’ordinaria responsabilità per colpa, preferendo, piuttosto, adottare una soluzione intermedia per la quale, sempre mantenendo la colpa alla base della responsabilità, non solo si è posta a carico del danneggiante la prova liberatoria, ma si è ampliato il contenuto del dovere di diligenza che è posto a suo carico. Invero, nell’esercizio di un’attività pericolosa, la prevedibilità del danno è in re ipsa ed il soggetto deve agire tenendo conto del pericolo per i terzi; in questo senso, il dovere di evitare il danno diventa più rigoroso, giacché il soggetto deve adottare, anche a prezzo di sacrifici, tutte le misure atte ad evitare il danno. Il contenuto di tali misure deve, all’evidenza, essere individuato in riferimento alle particolari. norme, tecniche o legislative, inerenti alle singole attività, o alle regole della comune esperienza.
Com’è noto, le attività pericolose cui la disposizione fa riferimento non costituiscono una categoria chiusa e prova ne è il fatto che la norma stessa rinuncia a tipizzarle richiamando, soltanto genericamente, l’ambito di applicazione; dunque, la pericolosità deve ravvisarsi rispetto a un'attività che comporti per i terzi un rischio maggiore delle comuni attività umane, tutte potenzialmente anche minimamente rischiose, da valutarsi secondo la frequenza di sinistri nello svolgimento delle stesse ovvero in base alla gravità dei danni connessi allo svolgimento delle stesse, anche ove i sinistri non si verifichino frequentemente. La valutazione in ordine alla pericolosità dell’attività, peraltro, non può essere condotta in astratto, essendo necessario considerare, come sempre quando si discute della applicazione di tale norma, se è insita nel successivo svolgimento dell’attività organizzata la probabilità del danno, o se si tratta invece di attività normalmente innocua (cfr. Cass. Civ. n.3350 del 13/02/2009). In altri termini, si tratta, a ben vedere, di distinguere tra pericolosità della condotta, che si apprezza rispetto ad un’attività normalmente innocua e che diventa però pericolosa a causa della condotta negligente o imprudente dell’autore, rientrandosi in tal caso nell’ambito applicativo dell’art. 2043 c.c.; e pericolosità dell’attività, laddove questa risulti potenzialmente dannosa di per sé per l’alta percentuale di danni che può provocare per sua natura o per i mezzi adoperati, generando una responsabilità ai sensi e per gli effetti dell’art. 2050 c.c. (si v., sul punto, Tribunale Novara, 16/01/2023, n.28).
Nella fattispecie, lo svolgimento della gara ciclistica su strada ben può farsi rientrare nel novero delle attività pericolose; indici sintomatici di ciò possono, invero, rinvenirsi, oltre che nel fatto che, svolgendosi su circuito cittadino, possono determinare rischi più alti per chi si trova a dover frequentare le zone coinvolte dalla gara, anche – e conseguentemente – nel fatto che, ai sensi dell’art. 9 codice della strada, sulle strade ed aree pubbliche sono vietate le competizioni sportive con veicoli o animali e quelle atletiche, salvo autorizzazione. Pertanto, “proprio lo svolgimento di una gara ciclistica su un circuito aperto comporta l'insorgenza, in capo all'organizzatore, dell'obbligo di predisposizione di particolari. cautele a tutela dell'incolumità degli atleti, degli spettatori e del personale al seguito, il che conduce all'inserimento di tale attività sportiva nell'ambito di quelle "pericolose” (Tribunale Arezzo, 07/05/2012).
L’inquadramento della fattispecie de qua nell’ambito applicativo di cui all’art. 2050 c.c. determina conseguenze sul piano dell’onere probatorio giacché, come accennato, a differenza di quanto avviene in caso di responsabilità da fatto illecito di cui all’art. 2043 c.c., in questo caso spetta al presunto danneggiante (autore dell’attività pericolosa) vincere la presunzione di responsabilità posta a suo carico, dimostrando di aver adottato tutte le misure idonee a scongiurare il danno (poi in effetti verificatosi). La giurisprudenza di legittimità, sul punto, ha osservato come da tale assunto si debba necessariamente desumere che non sia sufficiente “la prova negativa di non aver commesso alcuna violazione delle norme di legge o di comune prudenza, ma occorre quella positiva di avere impiegato ogni cura o misura volta ad impedire l'evento dannoso, di guisa che anche il fatto del danneggiato o del terzo può produrre effetti liberatori solo se per la sua incidenza e rilevanza sia tale da escludere, in modo certo, il nesso causale tra attività pericolosa e l'evento e non già quando costituisce elemento concorrente nella produzione del danno, inserendosi in una situazione di pericolo che ne abbia reso possibile l'insorgenza a causa dell'inidoneità delle misure preventive adottate” (Cassazione civile sez. VI, 19/05/2022, n.16170).
In ragione delle risultanze emerse nel corso dell’istruttoria, ritiene questo Giudice che la presunzione di responsabilità posta a carico di parte convenuta sia stata dalla stessa vinta, così pertanto non potendosi muovere a suo carico alcun addebito o censura di sorta rispetto al sinistro stradale che ha visto coinvolti il pedone, A. P. ed il ciclista, R.C..
In particolare, il contenuto dell’autorizzazione per competizione ciclistica su strada rilasciata dal Dirigente della Polizia Municipale in data 29.08.2013, nonché l’ordinanza n. 610 emessa in pari data (allegate ai fascicoli di parte attrice e di parte convenuta) risultano essere state osservate dalla società organizzatrice e ciò si evince dalle dichiarazioni testimoniali rese da chi, a vario titolo, era presente sul luogo del sinistro la sera in cui si verificava; tutti i testimoni sentiti sul punto, invero, hanno dato una versione dei fatti concordante e precisa, smentita solamente dai due testi di parte attrice, sentiti in qualità di amici del P. e presenti al momento del fatto, che peraltro rilasciavano dichiarazioni in più punti generiche. Il teste P.M., che dichiarava di trovarsi a piedi in via (omissis) a Pontedera nei pressi della scuola elementare (omissis) (si v. verbale d’udienza del 14.06.2017), pur allegando, infatti, di non aver visto segnali di riconoscimento della gara ciclistica in corso, affermava di non aver assistito personalmente all’incidente ma di aver sentito un “tonfo” e di aver visto delle persone che correvano ma non immaginavo (non ha immaginato) cosa fosse successo. L’altro teste di parte attrice, S.P., che pure dichiarava di trovarsi in via (omissis), a piedi, nell’arco temporale di verificazione del sinistro, affermava di aver notato che diversamente dal solito ai lati delle strade non c’erano auto parcheggiate; di aver visto invece transitare delle auto ma di non averci fatto particolare caso. Aggiungeva, poi, di aver visto che c’erano dei divieti di sosta ma di non aver fatto caso ai particolari e di aver notato che c’erano nella via (omissis) dei gruppetti di persone e quindi ho immaginato che potesse esserci qualcosa.
Di tenore sicuramente più puntuale e dettagliato sono le dichiarazioni testimoniali rese dai testi citati da parte convenuta e dalla compagnia terza chiamata, dalle quali – come già accennato – si evince il rispetto e l’adozione di tutte le misure imposte nella già richiamata autorizzazione e, in particolare, per quanto qui di interesse, quelle che richiedevano di dare massima pubblicità della manifestazione al fine di comunicare all’utenza il suo svolgimento attraverso i mezzi di informazione ovvero attraverso altre forme di responsabilità (prescrizione n. 13 contenuta nell’autorizzazione allegata col doc. n. 47 al fascicolo di parte attrice), nonché di presidiare costantemente le intersezioni che interessano lo svolgimento della gara durante il passaggio dei concorrenti, allo scopo di segnalare efficacemente ed in modo non equivoco agli utenti della strada il sopraggiungere degli stessi mediante l’ausilio di personale munito di bracciale o altro indumento con segni di riconoscimento facilmente riconoscibili, dotato di bandierine russe di dimensioni minime 50x50 centimetri (prescrizione n. 18).
Anche a non voler considerare la dichiarazione resa dal teste R.S., socio iscritto all’Associazione Sportiva Juventus L. nonché organizzatore della gara ciclistica del 5 settembre 2013, della cui attendibilità potrebbe in astratto ragionevolmente dubitarsi se si considera l’interesse che potrebbe avere rispetto all’accertamento della responsabilità del sinistro – si noti che la prescrizione n. 3 dell’autorizzazione all’espletamento della gara attribuisce la responsabilità per ogni eventuale danno derivante dalla manifestazione a carico del soggetto autorizzato – il contenuto delle dichiarazioni ora dette conferma pienamente quanto affermato dagli altri due testi sentiti, G.P. e D.T., volontari dell’AVIS di Pontedera in servizio nella zona del sinistro, nonché del teste, M.S., che rivestiva il ruolo di Comandante della Polizia Locale Unione Valdera e che autorizzava l’espletamento della gara ciclistica. Entrambi i volontari che hanno prestato servizio sul luogo dell’incidente hanno dichiarato di indossare la pettorina fluorescente richiesta dalle prescrizioni nonché la bandierina; davano, altresì, atto di come il passaggio di ogni ciclista fosse preceduto da una moto con i lampeggianti accesi e il clacson (il teste G.P. in risposta al capitolo 5 della memoria n. 2 ex art. 183, VI comma, c.p.c.); il teste D.T. aggiungeva, inoltre, che la motocicletta aveva i dispositivi luminosi e acustici e le bandierine arancioni sul retro…suonava il clacson ogni pochino. La zona era, inoltre, sgombra da autoveicoli – come dichiarato dal teste M.S. – e la segnaletica di attenzionamento e divieti vari era stata messa almeno 48 ore dell’evento. Tale circostanza veniva del tutto confermata anche da quanto affermato dal teste R.S., il quale dava atto di come fosse stata predisposta idonea segnaletica di divieto di transito lungo il percorso già due giorni prima della gara, nonché la chiusura del traffico mediante l’apposizione di transenne laddove era possibile o mediante fettucce (nastri in due livelli) a toccare gli incroci, oltre al fatto che il personale in servizio era munito di bandierine e con la pettorina catarifrangente. La presenza di personale, peraltro, veniva ulteriormente confermata anche dalla circostanza, riportata in modo concorde dai testi sentiti, secondo cui nel momento in cui il P., mentre stava parlando al cellulare, si accingeva ad attraversare la strada gli veniva (dal P. e dal T.) urlato di fare attenzione. Il ragazzo, nondimeno, ha continuato ad attraversare ed è stato preso di striscio dal ciclista che sopraggiungeva dietro la moto (si v. la dichiarazione del teste G.P. in risposta al cap. 7); lo stesso T. affermava che dopo passata la motocicletta, ho (ha) visto sulla mia sinistra una persona che stava attraversando la strada in direzione (omissis). Quando ho visto che non si fermava, gli ho urlato più che potevo, ma ha continuato.
Tali circostanze, tutte unitamente considerate ed ulteriormente avvalorate anche nella descrizione della dinamica del sinistro operata dalla Polizia Municipale nella Relazione incidente stradale (doc. n. 46 del fascicolo di parte P.), allorquando venivano sentiti come testimoni ocuL. proprio i due volontari AVIS sentiti in questo giudizio come testimoni, inducono a concludere nel senso di escludere la responsabilità, pure concorrente, della società organizzatrice dell’evento, dovendosi invece addebitare in via esclusiva il sinistro occorso al pedone, A. P. che, con la propria condotta imprudente – consistente nel non avvedersi degli evidenti segnali di riconoscimento della gara in corso e nell’ignorare i ripetuti appelli di coloro che si trovavano sul posto ad interrompere l’attraversamento delle strisce pedonali (a ciò indotto, con ogni probabilità, anche dall’utilizzo del cellulare che, sebbene non sia vietato nel caso in cui il soggetto proceda a piedi, sicuramente costituisce una fonte di distrazione in una situazione che, invece, richiedeva un attenzione se vogliamo maggiore rispetto al normale) – provocava l’urto con il ciclista che stava, invece, regolarmente svolgendo la gara. Né può costituire circostanza rilevante il fatto che il percorso della gara ciclistica fosse diretto nella direzione opposta al normale senso di marcia, giacché, come già sovra accertato, la segnaletica e il personale sul posto, nonché gli avvisi diramati nei giorni antecedenti la gara appaiono senz’altro idonei a garantirne la conoscibilità da parte dell’utenza.
La domanda di parte P. non può trovare in questa sede accoglimento, giacché questi deve essere ritenuto esclusivamente responsabile del sinistro occorsogli e che vedeva coinvolto, nella serata del 5 settembre 2013, anche il ciclista, R.C..
Il rigetto della domanda attorea per le ragioni già sovra esplicitate esime questo Giudice dall’esaminare la domanda di manleva avanzata da parte convenuta nei confronti della terza chiamata Generali Italia S.p.A., posto che nessuna somma è stata posta a carico della convenuta medesima a titolo di risarcimento danni.
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Accertata la responsabilità del P. nella causazione del sinistro de quo, l’attenzione deve adesso spostarsi sulla seconda questione, cioè a dire sulla domanda proposta, dapprima innanzi al Giudice di pace e, poi, in riassunzione innanzi a questo Tribunale (in giudizio inizialmente parallelo e successivamente riunito al presente, stante la connessione oggettiva e soggettiva tra gli stessi), di parte C. Società Cooperativa nei confronti di A. P. per ottenere il risarcimento del danno subito dalla stessa, in qualità di datore di lavoro di R.C. il quale, in conseguenza del sinistro, rimaneva per un periodo prolungato assente dal luogo di lavoro; danno che veniva quantificato in complessivi € 2.765,78, oltre interessi e rivalutazione monetaria. A. P. si opponeva alle doglianze avversarie sul presupposto della totale assenza di responsabilità per l’incidente occorso durante la gara ciclistica, senza peraltro operare contestazione di sorta in ordine al quantum richiesto da controparte.
Avendo riguardo alle allegazioni e produzioni documentali in atti, la domanda di C. Società Cooperativa è fondata e merita in questa sede accoglimento, e ciò sulla scorta della granitica ed ormai costante giurisprudenza (di legittimità e di merito) – in senso contrario, invero, si registra una sola pronuncia del Tribunale di Catania, sez. V, sent. 10/04/2007 – secondo cui “il datore di lavoro ha diritto ad essere risarcito per la mancata utilizzazione delle prestazioni lavorative di un dipendente dal responsabile delle lesioni personali e dell’invalidità a questo cagionata, considerando che quella mancata utilizzazione integra un ingiusto pregiudizio che – indipendentemente dalla sostituibilità o meno del dipendente – è causalmente ricollegabile al comportamento (doloso o colposo) del detto responsabile” (Cass., S.U., 12 novembre 1988, n. 6132); altrettanto pacificamente è stato sostenuto che “in base al principio dell’applicabilità della tutela aquilana, ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., anche al caso di lesione del diritto di credito da parte di soggetto estraneo al rapporto obbligatorio, l’autore del fatto illecito da cui siano derivati a un lavoratore dipendente lesioni personali con invalidità temporanea assoluta è tenuto a risarcire il datore di lavoro del danno sofferto per la corrispondente, cagionata mancanza delle prestazioni lavorative” (Cass., Sez. III, 22 settembre 1986, n. 5699).
Il danno patrimoniale del datore di lavoro è, dunque, dato dalla perdita delle prestazioni lavorative del dipendente infortunato e non dalla corresponsione in sé della retribuzione. Nel danno risarcibile rientra, altresì, ed in forza di un orientamento giurisprudenziale confermato anche in sede di legittimità (si v., sul punto, Cass., Sez. III, 9 febbraio 2010, n. 2844), i contributi dovuti dal datore di lavoro agli enti di assicurazione sociale costituiscono componente del danno patito dal datore di lavoro a causa della mancata percezione della prestazione lavorativa nel periodo di inabilità temporanea del lavoratore infortunato. Del resto, già in precedenza la Corte di legittimità era giunta ad analoga conclusione argomentando nel senso che “non è riconducibile alla necessaria coerenza logico-giuridica il riconoscimento, da un canto, del danno costituito dall’importo della retribuzione pagata a vuoto e l’esclusione, dall’altro, del pregiudizio per il versamento dei contributi previdenziali a quella retribuzione direttamente connessi. In entrambi i casi l’obbligo del versamento è imposto dalla legge e non giova sottolineare che nell’ipotesi di retribuzione ricorre un rapporto di corrispettività delle prestazioni che non è dato invece riscontrare per il pagamento degli oneri previdenziali. La ordinaria corrispettività fra prestazione lavorativa e retribuzione non può dirsi invero concretamente operante allorquando il dipendente infortunato continui a percepire la retribuzione senza espletare il proprio lavoro e senza mettere a disposizione le proprie energie lavorative. Ma va soprattutto sottolineato che il valore economico della prestazione mancata – cui va rapportato il danno del datore di lavoro – non è dato esclusivamente dallo stipendio versato direttamente al dipendente ma dal costo complessivo di quella prestazione, costo che nell’ambito del rapporto di lavoro, così come complessivamente strutturato dalla vigente normativa, è rappresentato anche dall’importo dei contributi previdenziali ai quali il datore di lavoro non può sottrarsi” (Cass., S.U., 12 novembre 1988, n. 6132).
La pretesa risarcitoria in favore di C. ed a carico di A. P. deve essere riconosciuta ed accolta anche in punto di quantum debeatur, attesa peraltro la mancata puntuale contestazione della somma da corrispondere al datore di lavoro, essendosi come detto limitato il P. ad eccepire l’infondatezza della richiesta avversaria in ragione della totale assenza di responsabilità a suo carico nella causazione dell’incidente. Conseguentemente, ritenendo esaustiva e completa la produzione documentale allegata da C., si ritiene assolto all’onere probatorio sulla stessa gravante, così, pertanto, dovendosi concludere nel senso di riconoscere un credito in favore della stessa (della parte attrice) pari ad € 2.765,782, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dal giorno del sinistro al saldo.
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Per quanto concerne le spese di lite, esse seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo sulla base del D.M. n. 55 del 10 marzo 2014, in vigore dal 3.04.2014, recante la determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense (valore € 22.424,39) e, tenuto conto del valore e della complessità della controversia, del numero di udienze e di atti depositati, in misura corrispondente ai compensi medi liquidabili.
In conseguenza di ciò, A. P. dovrà rifondere le spese di lite nei confronti di A.G. e di C. Società Cooperativa mentre si ritiene di dover compensare integralmente le spese di lite tra il convenuto A.G. e la terza chiamata, Generali Italia S.p.A.
Le spese di CTU, come liquidate nel verbale d’udienza del 23.10.2018, restano definitivamente a carico solidale delle parti.
P.Q.M.
Il Tribunale, in composizione monocratica, nella persona della dr.ssa S.S., definitivamente pronunciando, ogni ulteriore istanza, eccezione e deduzione disattese, così provvede:
Rigetta la domanda proposta da A. P. nei confronti A.G., in proprio e quale Presidente pro tempore della Società U.S. Juventus L. A.S.D.
Accoglie la domanda proposta da C. Società Cooperativa, in persona del legale rappresentante pro tempore, nei confronti di A. P. e, per l’effetto,
Condanna A. P. al pagamento nei confronti di C. Società Cooperativa, in persona del legale rappresentante pro tempore, della somma pari ad € 2.765,782, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dal giorno del sinistro al saldo.
Condanna A. P. alla refusione delle spese di lite nei confronti di A. G., in proprio e quale Presidente pro tempore della Società U.S. Juventus L. A.S.D., che liquida in € 5.838,55, oltre IVA e CPA come per legge.
Condanna, altresì, A. P. alla refusione delle spese di lite nei confronti di C. Società Cooperativa, in persona del legale rappresentante pro tempore, che liquida in € 5.838,55, oltre IVA e CPA come per legge.
Compensa integralmente le spese di lite tra A. G., in proprio e quale Presidente pro tempore della Società U.S. Juventus L. A.S.D. e Generali Italia S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore.
Le spese di CTU restano definitivamente liquidate e regolamentate come da verbale d’udienza del 23 ottobre 2018.