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11 aprile 2023
Responsabilità professionale
Avvocato condannato al pagamento della perdita economica subita dal cliente per le erronee scelte processuali
Le erronee scelte processuali possono pregiudicare il diritto a vedersi restituito l'acconto versato in una compravendita. Quindi, in tale circostanza, detto importo deve essere rifuso dall'avvocato con aggravio di interessi al tasso legale.
di Avv. e Giornalista pubblicista Maurizio Tarantino
Il caso

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Tizio e Caia chiamavano in giudizio l'avvocato Sempronio per sentirne dichiarare la responsabilità professionale nella controversia insorta tra gli attori e la società di costruzioni. Esponevano gli attori che l'incarico professionale rilasciato aveva ad oggetto la loro tutela legale nel conflitto relativo all'acquisto di un'unità immobiliare, che -dopo l'immissione in possesso, ma prima del rogito- si era rivelata affetta da gravi vizi e difetti costruttivi. Gli attori lamentavano scarsa diligenza del professionista nelle fasi pregiudiziali e comunque gli addebitavano una serie di errori difensivi che incidevano sull'esito del giudizio conclusosi con l'accertamento dei vizi, la risoluzione del contratto e la condanna della società a restituire la caparra, senza alcun riferimento all'acconto anticipato. Inoltre, secondo gli attori, l'avvocato non aveva informato i clienti della scadenza del termine per l'appello e lo lasciava scadere, affermando che gli acconti versati ed i danni avrebbero dovuto essere oggetto di altra causa. Veniva quindi chiesto decreto ingiuntivo per l'importo dell'acconto che non veniva concesso sulla scorta della considerazione che nel primo giudizio la domanda riconvenzionale di restituzione degli acconti versati era stata svolta, sicché la questione era stata coperta del giudicato o, in caso di appello, comunque litispendente. Costituendosi in giudizio, il convenuto eccepiva l'improcedibilità della domanda per tardiva iscrizione a ruolo e la nullità della citazione per genericità della causa petendi.

Il diritto

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Secondo il giudice, il convenuto era assolutamente consapevole della tardività, quindi la riconosciuta consapevolezza della tardività e quindi dell'inammissibilità avrebbe ben potuto suggerire al difensore di non proporre riconvenzionale ed esercitare prudenzialmente le proprie (fondate) pretese in altra causa chiedendo poi la riunione, senza affrontare il rischio di pronuncia processuale negativa. Ciò nonostante, senza considerare i rischi processuali, l'avvocato aveva introdotto una generica riconvenzionale asseritamente volutamente ambigua. Invero, il difensore aveva concluso chiedendo «dichiarare che la società Costruzioni si è resa inadempiente ai propri doveri come previsti nel contratto preliminare (…) e per gli effetti risolto il contratto preliminare con l'obbligo della restituzione della caparra versata e delle eventuali somme già corrisposte» senza nemmeno specificare l'entità degli acconti già incassati dalla venditrice o riferirsi almeno per relationem ai documenti in ipotesi prodotti né tantomeno alla ammissione indiretta in proposito dell'attrice. Ogni riferimento eventuale alla documentazione prodotta per relationem anche ai fini di precisare la domanda era peraltro frustrato dal mancato deposito del fascicolo di parte completo, con l'eventuale prova dei versamenti ed anche dal mancato deposito della memoria ex art. 183, VI n. 1 c.p.c. e delle conclusioni, nonché del tardivo deposito della comparsa conclusionale. La generica richiesta di restituzione degli acconti versati (per ben euro 78.000,00) risultava implicitamente disattesa, con pronuncia di merito suscettibile di acquisire forza di giudicato. A fronte di tale pronuncia, che disattendeva la richiesta di rimborso degli anticipi, secondo il Giudice «una difesa prudente avrebbe dovuto consigliare l'appello, ma il convenuto non ha chiesto di provare di avere reso i clienti adeguatamente edotti dei termini per l'impugnazione e dei rischi del passaggio in giudicato, suggerendo al contrario di proporre un diverso successivo giudizio per il recupero delle somme versate e dei danni». Secondo il convenuto, però, la scelta era stata dettata dal rischio che il giudice di secondo grado, su controricorso della società beta, rilevasse l'inammissibilità. A tal proposito, il Tribunale precisa l'implicito rigetto, non appellato, è stato coperto da giudicato; sicché, una difesa prudente, a fronte dei limiti processuali e di merito (in ordine alla prova degli acconti) avrebbe potuto rinunciare alla domanda ma avrebbe dovuto farlo in corso di giudizio, non dopo una sentenza, divenuta definitiva, che fa stato tra le parti, di implicito rigetto. Pertanto il diritto al recupero degli anticipi effettivamente versati risultava definitivamente preclusa in ragione della strategia difensiva attuata dall'avvocato.

In conclusione, risultava provato che le erronee scelte processuali del difensore avevano definitivamente pregiudicato il diritto dei coniugi a vedersi restituito l'acconto versato di euro 78.000,00, importo che deve essere rifuso dall'avvocato gravato di interessi al tasso legale.

La lente dell'autore

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Le obbligazioni inerenti all'esercizio dell'attività professionale di avvocato sono, di regola, obbligazioni di mezzi e non di risultato, in quanto il professionista, assumendo l'incarico, si impegna a prestare la propria opera per raggiungere il risultato desiderato, ma non a conseguirlo. Pertanto, ai fini del giudizio di responsabilità, rileva non già il conseguimento o meno del risultato utile per il cliente, ma le modalità concrete con le quali il professionista avvocato ha svolto la propria attività, avuto riguardo, da un lato, al dovere primario di tutelare le ragioni del cliente e, dall'altro, al rispetto del parametro di diligenza a cui questi è tenuto. In generale, l'avvocato è tenuto ad espletare il proprio mandato in conformità al parametro di diligenza fissato dall'art. 1176 comma 2, c.c., che è quello del professionista di media attenzione e preparazione, qualificato dalla perizia e dall'impiego di strumenti tecnici adeguati al tipo di prestazione dovuta, salva l'applicazione dell'art. 2236 c.c. nel caso di prestazioni implicanti la risoluzione di problematiche tecniche di particolare difficoltà. La Suprema Corte ha altresì precisato che: “la responsabilità professionale dell'avvocato deriva dall'obbligo (art. 1176 c.c., comma 2 e art. 2236 c.c.) di assolvere, sia all'atto del conferimento del mandato che nel corso dello svolgimento del rapporto (anche) ai doveri di sollecitazione, dissuasione ed informazione del cliente, ai quali sono tenuti; a rappresentare tutte le questioni di fatto e di diritto, comunque insorgenti, ostative al raggiungimento del risultato, o comunque produttive del rischio di effetti dannosi; di chiedergli gli elementi necessari o utili in suo possesso; a sconsigliarlo dall'intraprendere o proseguire un giudizio dall'esito probabilmente sfavorevole” (Cass. civ., sez. III, 20 novembre 2009, n. 24544). Più in particolare, “l'avvocato deve considerarsi responsabile nei confronti del cliente in caso di incuria o di ignoranza di disposizioni di legge e, in genere, nei casi in cui per negligenza o imperizia compromette il buon esito del giudizio, mentre nei casi di interpretazioni di leggi o di risoluzione di questioni opinabili, deve ritenersi esclusa la sua responsabilità a meno che non risulti che abbia agito con dolo o colpa grave (Cass. civ. sez. II, 11 agosto 2005, n. 16846). Trattasi, dunque, di una responsabilità per colpa commisurata alla natura della prestazione dell'avvocato, che risulta circoscritta ai casi di dolo o colpa grave unicamente quando la prestazione implichi la risoluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà (ex art. 2236 c.c.) o la scelta tra soluzioni comunque opinabili. Come generalmente ammettono dottrina e giurisprudenza, il professionista può liberarsi dalla imputazione di ogni responsabilità se ed in quanto dimostri l'impossibilità della perfetta esecuzione della prestazione (ex art. 1218 c.c.), o di aver agito con diligenza. Quanto al riparto dell'onere probatorio, da tutto quanto precede deriva che il cliente che sostiene di aver subìto un danno, per l'inesatto adempimento del mandato professionale del suo avvocato, ha l'onere di provare: l'avvenuto conferimento del mandato difensivo; la difettosa o inadeguata prestazione professionale; l'esistenza del danno; il nesso di causalità tra la difettosa o inadeguata prestazione professionale e il danno.