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Tizio e Caia chiamavano in giudizio l'avvocato Sempronio per sentirne dichiarare la responsabilità professionale nella controversia insorta tra gli attori e la società di costruzioni. Esponevano gli attori che l'incarico professionale rilasciato aveva ad oggetto la loro tutela legale nel conflitto relativo all'acquisto di un'unità immobiliare, che -dopo l'immissione in possesso, ma prima del rogito- si era rivelata affetta da gravi vizi e difetti costruttivi. Gli attori lamentavano scarsa diligenza del professionista nelle fasi pregiudiziali e comunque gli addebitavano una serie di errori difensivi che incidevano sull'esito del giudizio conclusosi con l'accertamento dei vizi, la risoluzione del contratto e la condanna della società a restituire la caparra, senza alcun riferimento all'acconto anticipato. Inoltre, secondo gli attori, l'avvocato non aveva informato i clienti della scadenza del termine per l'appello e lo lasciava scadere, affermando che gli acconti versati ed i danni avrebbero dovuto essere oggetto di altra causa. Veniva quindi chiesto decreto ingiuntivo per l'importo dell'acconto che non veniva concesso sulla scorta della considerazione che nel primo giudizio la domanda riconvenzionale di restituzione degli acconti versati era stata svolta, sicché la questione era stata coperta del giudicato o, in caso di appello, comunque litispendente. Costituendosi in giudizio, il convenuto eccepiva l'improcedibilità della domanda per tardiva iscrizione a ruolo e la nullità della citazione per genericità della causa petendi. |
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Secondo il giudice, il convenuto era assolutamente consapevole della tardività, quindi la riconosciuta consapevolezza della tardività e quindi dell'inammissibilità avrebbe ben potuto suggerire al difensore di non proporre riconvenzionale ed esercitare prudenzialmente le proprie (fondate) pretese in altra causa chiedendo poi la riunione, senza affrontare il rischio di pronuncia processuale negativa. Ciò nonostante, senza considerare i rischi processuali, l'avvocato aveva introdotto una generica riconvenzionale asseritamente volutamente ambigua. Invero, il difensore aveva concluso chiedendo «dichiarare che la società Costruzioni si è resa inadempiente ai propri doveri come previsti nel contratto preliminare (…) e per gli effetti risolto il contratto preliminare con l'obbligo della restituzione della caparra versata e delle eventuali somme già corrisposte» senza nemmeno specificare l'entità degli acconti già incassati dalla venditrice o riferirsi almeno per relationem ai documenti in ipotesi prodotti né tantomeno alla ammissione indiretta in proposito dell'attrice. Ogni riferimento eventuale alla documentazione prodotta per relationem anche ai fini di precisare la domanda era peraltro frustrato dal mancato deposito del fascicolo di parte completo, con l'eventuale prova dei versamenti ed anche dal mancato deposito della memoria ex art. 183, VI n. 1 c.p.c. e delle conclusioni, nonché del tardivo deposito della comparsa conclusionale. La generica richiesta di restituzione degli acconti versati (per ben euro 78.000,00) risultava implicitamente disattesa, con pronuncia di merito suscettibile di acquisire forza di giudicato. A fronte di tale pronuncia, che disattendeva la richiesta di rimborso degli anticipi, secondo il Giudice «una difesa prudente avrebbe dovuto consigliare l'appello, ma il convenuto non ha chiesto di provare di avere reso i clienti adeguatamente edotti dei termini per l'impugnazione e dei rischi del passaggio in giudicato, suggerendo al contrario di proporre un diverso successivo giudizio per il recupero delle somme versate e dei danni». Secondo il convenuto, però, la scelta era stata dettata dal rischio che il giudice di secondo grado, su controricorso della società beta, rilevasse l'inammissibilità. A tal proposito, il Tribunale precisa l'implicito rigetto, non appellato, è stato coperto da giudicato; sicché, una difesa prudente, a fronte dei limiti processuali e di merito (in ordine alla prova degli acconti) avrebbe potuto rinunciare alla domanda ma avrebbe dovuto farlo in corso di giudizio, non dopo una sentenza, divenuta definitiva, che fa stato tra le parti, di implicito rigetto. Pertanto il diritto al recupero degli anticipi effettivamente versati risultava definitivamente preclusa in ragione della strategia difensiva attuata dall'avvocato. In conclusione, risultava provato che le erronee scelte processuali del difensore avevano definitivamente pregiudicato il diritto dei coniugi a vedersi restituito l'acconto versato di euro 78.000,00, importo che deve essere rifuso dall'avvocato gravato di interessi al tasso legale. |
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Le obbligazioni inerenti all'esercizio dell'attività professionale di avvocato sono, di regola, obbligazioni di mezzi e non di risultato, in quanto il professionista, assumendo l'incarico, si impegna a prestare la propria opera per raggiungere il risultato desiderato, ma non a conseguirlo. Pertanto, ai fini del giudizio di responsabilità, rileva non già il conseguimento o meno del risultato utile per il cliente, ma le modalità concrete con le quali il professionista avvocato ha svolto la propria attività, avuto riguardo, da un lato, al dovere primario di tutelare le ragioni del cliente e, dall'altro, al rispetto del parametro di diligenza a cui questi è tenuto. In generale, l'avvocato è tenuto ad espletare il proprio mandato in conformità al parametro di diligenza fissato dall'art. 1176 comma 2, c.c., che è quello del professionista di media attenzione e preparazione, qualificato dalla perizia e dall'impiego di strumenti tecnici adeguati al tipo di prestazione dovuta, salva l'applicazione dell'art. 2236 c.c. nel caso di prestazioni implicanti la risoluzione di problematiche tecniche di particolare difficoltà. La Suprema Corte ha altresì precisato che: “la responsabilità professionale dell'avvocato deriva dall'obbligo (art. 1176 c.c., comma 2 e art. 2236 c.c.) di assolvere, sia all'atto del conferimento del mandato che nel corso dello svolgimento del rapporto (anche) ai doveri di sollecitazione, dissuasione ed informazione del cliente, ai quali sono tenuti; a rappresentare tutte le questioni di fatto e di diritto, comunque insorgenti, ostative al raggiungimento del risultato, o comunque produttive del rischio di effetti dannosi; di chiedergli gli elementi necessari o utili in suo possesso; a sconsigliarlo dall'intraprendere o proseguire un giudizio dall'esito probabilmente sfavorevole” (Cass. civ., sez. III, 20 novembre 2009, n. 24544). Più in particolare, “l'avvocato deve considerarsi responsabile nei confronti del cliente in caso di incuria o di ignoranza di disposizioni di legge e, in genere, nei casi in cui per negligenza o imperizia compromette il buon esito del giudizio, mentre nei casi di interpretazioni di leggi o di risoluzione di questioni opinabili, deve ritenersi esclusa la sua responsabilità a meno che non risulti che abbia agito con dolo o colpa grave (Cass. civ. sez. II, 11 agosto 2005, n. 16846). Trattasi, dunque, di una responsabilità per colpa commisurata alla natura della prestazione dell'avvocato, che risulta circoscritta ai casi di dolo o colpa grave unicamente quando la prestazione implichi la risoluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà (ex art. 2236 c.c.) o la scelta tra soluzioni comunque opinabili. Come generalmente ammettono dottrina e giurisprudenza, il professionista può liberarsi dalla imputazione di ogni responsabilità se ed in quanto dimostri l'impossibilità della perfetta esecuzione della prestazione (ex art. 1218 c.c.), o di aver agito con diligenza. Quanto al riparto dell'onere probatorio, da tutto quanto precede deriva che il cliente che sostiene di aver subìto un danno, per l'inesatto adempimento del mandato professionale del suo avvocato, ha l'onere di provare: l'avvenuto conferimento del mandato difensivo; la difettosa o inadeguata prestazione professionale; l'esistenza del danno; il nesso di causalità tra la difettosa o inadeguata prestazione professionale e il danno. |
Tribunale di Milano, sez. I Civile, sentenza 31 marzo 2023, n. 2660
Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato il 14/12/17 Roberto F. ed A. C. chiamavano in giudizio l’avv. M. E. V. per sentirne dichiarare la responsabilità professionale nella controversia insorta tra gli attori e G. s.r.l. con risarcimento dei danni, quantificati in euro 95.952,50, e con vittoria di spese di lite, da distrarsi a favore dei difensori.
Esponevano gli attori che l’incarico professionale rilasciato aveva ad oggetto la loro tutela legale nel conflitto relativo all’acquisto di un’unità immobiliare in Gessate, che -dopo l’immissione in possesso, ma prima del rogito- si era rivelata affetta da gravi vizi e difetti costruttivi. Al momento del conferimento dell’incarico i coniugi F. avevano già versato alla venditrice euro 78.000,00 di acconto ed euro 23.000,00 quale caparra. Nel corso di trattative per ottenere uno sconto sul prezzo, GP nel gennaio 2008 aveva promosso una causa nei confronti dei F. per risoluzione del preliminare del 29/10/05, per inadempimento dei promissari acquirenti, con rilascio immediato ed accertamento del diritto a trattenere la caparra, senza alcuna specifica ed esplicita allegazione sull’acconto già ricevuto.
Gli attori lamentavano scarsa diligenza del professionista nelle fasi pregiudiziali e comunque gli addebitavano una serie di errori difensivi che incidevano sull’esito del giudizio conclusosi con l’accertamento dei vizi, la risoluzione del contratto e la condanna di GP a restituire la caparra, senza alcun riferimento all’acconto di euro 78.000,00.
L’avv. E. non informava i clienti della scadenza del termine per l’appello e lo lasciava scadere, affermando che gli acconti versati ed i danni avrebbero dovuto essere oggetto di altra causa. Veniva quindi chiesto decreto ingiuntivo per l’importo di euro 78.000,00 che non veniva concesso sulla scorta della considerazione che nel primo giudizio la domanda riconvenzionale di restituzione degli acconti versati era stata svolta, sicchè la questione era stata coperta del giudicato o, in caso di appello, comunque litispendente.
Seguiva un giudizio sulle spese condominiali, cui i F. venivano condannati, con carico delle spese di lite, e un accordo transattivo.
Gli attori chiedevano anche la restituzione delle spese corrisposte all’avv. E. per euro 6.581,40 e gli oneri per le difese successive nei confronti del professionista.
Si costituiva il convenuto eccependo preliminarmente l’improcedibilità della domanda per tardiva iscrizione a ruolo e la nullità della citazione per genericità della causa petendi, chiedendo nel merito il rigetto della domanda e svolgendo domanda riconvenzionale per il pagamento di euro 51.234,35 per i residui crediti professionali.
Il convenuto ricostruiva le vicende che avevano preceduto la causa introdotta da GP, volte ad addivenire all’acquisto dell’immobile, sia pure ad un prezzo ridotto a causa dei vizi ed affermava di avere ricevuto il mandato a costituirsi troppo tardi per proporre una tempestiva riconvenzionale, allegando di avere comunque svolto una conclusione volutamente ambigua per “contrabbandare soppiattamente una domanda velatamente riconvenzionale”, “raffinata scaltrezza difensiva volta la recupero di una decadenza maturata per l’inerzia della parte assistita”. Comunque, secondo il convenuto, non avendo GP contestato nulla in proposito, la pretesa poteva considerarsi ammessa in giudizio. Pertanto non era stato proposto appello, per evitare che la tardività fosse rilevata in quella sede.
E. ricostruiva poi le vicende successive, volte al recupero dell’importo riconosciuti a favore dei signori F. in sentenza.
Infine la difesa del convenuto contestava tutte le ulteriori pretese attoree, rivolte anche al recupero del fascicolo di parte prodotto nel giudizio promosso da GP. Parte convenuta chiedeva ed otteneva quindi di essere autorizzato a chiamare in causa il proprio I. A.G. s.p.a. (ora G. Italia s.p.a.) che si costituiva non sollevando eccezioni sull’operatività della polizza, salvo lo scoperto contrattuale. Inoltre la terza chiamata sottolineava come la garanzia non coprisse l’eventuale restituzione dei compensi e le spese di difesa, svolte da avvocati di fiducia e non indicati dalla Compagnia. Nel merito G. si associava alle difese di E..
Venivano concessi i termini ex art. 183,VI c.p.c., ammesse ed esperite alcune prove orali, quindi la causa all’udienza del 18/1/22 veniva assunta in decisione.
Con ordinanza 16/4/22 venivano ammessi ulteriori capitoli di prova ed assunti i testi all’udienza del 22/6/22.
Infine, all’udienza del 13/12/22 la causa veniva nuovamente assunta in decisione
Motivi della decisione
Innanzitutto l’eccezione di imporcedibilità per tardiva iscrizione a ruolo, rivelatasi infondata -risultando la data indicata frutto dei tempi burocratici e non di ritardo nell’istanza- è stata abbandonata da parte convenuta.
La questione della apocrifia della sottoscrizione di C. nella procura alle liti, autenticata dal difensore e per ciò solo atto autentico, avrebbe dovuto, se del caso, essere impugnata con querela di falso, affrontando anche le relative conseguenze sanzionatorie. Invero, la funzione certificativa del difensore ha natura essenzialmente pubblicistica (pur trovando la base in un mandato, negozio di diritto privato). In mancanza di querela ex art. 221 c.p.c. , l’eccezione non merita di essere affrontata in questa sede.
Nel merito, occorre premettere alcuni cenni in ordine alla responsabilità professionale dell’avvocato.
In via generale si osserva che le obbligazioni inerenti all'esercizio dell'attività professionale di avvocato sono, di regola, obbligazioni di mezzi e non di risultato, in quanto il professionista, assumendo l'incarico, si impegna a prestare la propria opera per raggiungere il risultato desiderato, ma non a conseguirlo. Pertanto, ai fini del giudizio di responsabilità, rileva non già il conseguimento o meno del risultato utile per il cliente, ma le modalità concrete con le quali il professionista avvocato ha svolto la propria attività, avuto riguardo, da un lato, al dovere primario di tutelare le ragioni del cliente e, dall'altro, al rispetto del parametro di diligenza a cui questi è tenuto (cfr. Cass. n. 18612/13; Cass. 8863/11; Cass. 6967/06).
In generale, l’avvocato è tenuto ad espletare il proprio mandato in conformità al parametro di diligenza fissato dall’art. 1176 comma 2 c.c., che è quello del professionista di media attenzione e preparazione, qualificato dalla perizia e dall'impiego di strumenti tecnici adeguati al tipo di prestazione dovuta, salva l’applicazione dell’art. 2236 c.c. nel caso di prestazioni implicanti la risoluzione di problematiche tecniche di particolare difficoltà.
La Suprema Corte ha altresì precisato che: “la responsabilità professionale dell’avvocato deriva dall'obbligo (art. 1176 c.c., comma 2 e art. 2236 cod. civ.) di assolvere, sia all'atto del conferimento del mandato che nel corso dello svolgimento del rapporto (anche) ai doveri di sollecitazione, dissuasione ed informazione del cliente, ai quali sono tenuti; a rappresentare tutte le questioni di fatto e di diritto, comunque insorgenti, ostative al raggiungimento del risultato, o comunque produttive del rischio di effetti dannosi; di chiedergli gli elementi necessari o utili in suo possesso; a sconsigliarlo dall'intraprendere o proseguire un giudizio dall'esito probabilmente sfavorevole” (Cass. 24544/2009).
Più in particolare, “ l'avvocato deve considerarsi responsabile nei confronti del cliente in caso di incuria o di ignoranza di disposizioni di legge ed, in genere, nei casi in cui per negligenza o imperizia compromette il buon esito del giudizio, mentre nei casi di interpretazioni di leggi o di risoluzione di questioni opinabili, deve ritenersi esclusa la sua responsabilità a meno che non risulti che abbia agito con dolo o colpa grave (cfr. Cass. civ. Sez. II, 11-08-2005, n. 16846). Trattasi, dunque, di una responsabilità per colpa commisurata alla natura della prestazione dell'avvocato, che risulta circoscritta ai casi di dolo o colpa grave unicamente quando la prestazione implichi la risoluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà (ex art. 2236 c.c.) o la scelta tra soluzioni comunque opinabili.
Come generalmente ammettono dottrina e giurisprudenza, il professionista può liberarsi dalla imputazione di ogni responsabilità se ed in quanto dimostri l’impossibilità della perfetta esecuzione della prestazione (ex art. 1218 c.c.), o di aver agito con diligenza.
Quanto al riparto dell’onere probatorio, da tutto quanto precede deriva che il cliente che sostiene di aver subito un danno, per l'inesatto adempimento del mandato professionale del suo avvocato, ha l'onere di provare: a) l’avvenuto conferimento del mandato difensivo; b) la difettosa o inadeguata prestazione professionale; c) l'esistenza del danno; d) il nesso di causalità tra la difettosa o inadeguata prestazione professionale e il danno (Cfr. Cass. 238/07).
Ora, la difesa degli odierni attori nella causa 15000053/2008, introdotta da G. appare caratterizzata da molteplici errori procedurali.
Innanzitutto la costituzione di E. (doc. 10 att.) risulta pacificamente effettuata oltre il termine di cui all’art. 167 c.p.c., con conseguente decadenza dalla proposizione di domande riconvenzionali ed eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio (tra cui, a rigore, l’eccezione di inadempimento).
Ora, la pendenza del giudizio ed il conseguente termine di decadenza era ben noto al difensore (almeno dal 7/2/08, doc. 35 att.), ed avrebbe dovuto sollecitare una sua iniziativa di chiarimento ai clienti dei rischi di difesa insiti nel temporeggiare.
Anche in questa sede il convenuto allega di essere stato assolutamente consapevole della tardività, tanto che chiede di provare che sia dipesa dalla volontà dei clienti di evitare il contenzioso e proseguire nelle trattative.
Innanzitutto, la riconosciuta consapevolezza della tardività e quindi dell’inammissibilità avrebbe ben potuto suggerire al difensore di non proporre riconvenzionale ed esercitare prudenzialmente le proprie (fondate) pretese in altra causa chiedendo poi la riunione, senza affrontare il rischio di pronuncia processuale negativa
Ciò nonostante, senza considerare i rischi processuali E. introduce una generica riconvenzionale asseritamente volutamente ambigua. Invero, il difensore conclude chiedendo “dichiarare che la G.si è resa inadempiente ai propri doveri come previsti nel contratto preliminare (…) e per gli effetti dichiarare risolto il contratto preliminare con l’obbligo della restituzione della caparra versata e delle eventuali somme già corrisposte” senza nemmeno specificare l’entità degli acconti già incassati dalla venditrice o riferirsi almeno per relationem ai documenti in ipotesi prodotti né tantomeno alla ammissione indiretta in proposito dell’attrice GP.
La difesa prosegue poi ricostruendo i molteplici difetti evidenziati nel bene promesso in vendita.
Ogni riferimento eventuale alla documentazione prodotta per relationem anche ai fini di precisare la domanda (come sarebbe stato ammissibile in caso di tempestività della comparsa) è peraltro frustrato dal mancato deposito del fascicolo di parte completo, con l’eventuale prova dei versamenti ed anche dal mancato deposito della memoria ex art. 183,VI n. 1 c.p.c. e delle conclusioni (avendo E. concluso con riferimento alla diversa causa D.M.), nonché del tardivo deposito della comparsa conclusionale, sottolineato dal giudice, che non ne preso in considerazione il contenuto. In concreto, le difese dei convenuti non hanno esplicitato la propria pretesa di restituzione dell’acconto attraverso nessuno degli strumenti processuali messi a loro disposizione e neppure hanno richiamato l’attenzione del giudice sulle implicite ammissioni di parte attrice nel suo atto introduttivo.
In concreto invero, la decadenza, non eccepita da controparte, non è stata rilevata dal Giudice, che, sulla scorta di una CTU sui vizi, accoglieva la domanda dei convenuti di risoluzione per fatto e colpa dell’attrice, con condanna nei limiti di quanto tempestivamente allegato e riconosciuto esplicitamente dalla GP in ordine alla caparra.
La generica richiesta di restituzione degli acconti versati (per ben euro 78.000,00) risulta implicitamente disattesa, con pronuncia di merito suscettibile di acquisire forza di giudicato (come poi rilevato nel decreto 14/7/13 di rigetto della richiesta di provvedimento monitorio a carico di GP doc. 16 att.).
A fronte di tale pronuncia, che disattendeva la richiesta di rimborso degli anticipi, una difesa prudente avrebbe dovuto consigliare l’appello, ma il convenuto non ha chiesto di provare di avere reso i clienti adeguatamente edotti dei termini per l’impugnazione e dei rischi del passaggio in giudicato, suggerendo al contrario di proporre un diverso successivo giudizio per il recupero delle somme versate e dei danni (cfr. doc. 12 att.).
Il convenuto si difende in questa sede allegando che la scelta era stata dettata dal rischio che il giudice di secondo grado, su controricorso di GP, rilevasse l’inammissibilità.
Ora, va considerato che mentre il rilievo dell’intervenuta decadenza dell’autonoma domanda di restituzione, pronuncia meramente processuale, non avrebbe precluso il diritto di coltivare le pretese in altro giudizio, nel concreto l’implicito rigetto, non appellato, è stato coperto da giudicato.
Certo una difesa prudente, a fronte dei limiti processuali e di merito (per esempio in ordine alla prova degli acconti) avrebbe potuto rinunciare alla domanda ma avrebbe dovuto farlo in corso di giudizio, non dopo una sentenza, divenuta definitiva, che fa stato tra le parti, di implicito rigetto.
Pertanto il diritto al recupero degli anticipi effettivamente versati risulta definitivamente preclusa in ragione della strategia difensiva attuata dall’avv. E. V..
Gli attori si lamentano anche delle scelte processuali compiute dal loro difensore in sede di ricupero della somma di euro 23.000,00 riconosciuta a loro favore nella sentenza 10845/12, effettivamente poco prudenziali, ma non svolgono alcuna domanda in proposito.
Gli attori contestano poi errori nella difesa in sede di opposizione a decreto ingiuntivo per spese condominiali nella causa 15001129/2011, ma non chiariscono di quali condotte difensive si lamentino.
Dalla lettura della sentenza 11124/14 (doc. 18 att.) risulta che le spese condominiali per il periodo di occupazione dell’immobile -da calcolarsi, per consolidata giurisprudenza, sino alla data di restituzione delle chiavi- risultavano effettivamente dovute, con conseguente accoglimento della pretesa di GP e oneri delle spese di lite.
Pertanto, pacifico l’incarico di resistere sulla pretesa di GP, la semplice soccombenza non può essere considerata fonte di responsabilità.
Ritenuta quindi la grave responsabilità professionale nella difesa svolta nella causa 15000053/2008, il convenuto avv. E. V. deve essere condannato al risarcimento dei danni causati.
In particolare va considerata la definitiva preclusione del recupero degli anticipi versati, che avrebbero dovuto essere restituiti ex art. 1458 c.c. all’esito della pronuncia di risoluzione per fatto e colpa di GP.
In proposito gli attori non hanno prodotto documentazione bancaria dei versamenti o quietanze (tranne una informe ricevuta su carta libera, non intestata o timbrata).
Inoltre non sono riusciti a provare per testi l’entità della dazione (a nulla rilevando che i testi dedotti siano stati in ipotesi parzialmente reticenti) a conferma dei documenti prodotti (v. docc. 3-5 att.).
Invero, agli atti risultano solo tre fatture, di cui una per caparra (doc. 2 att.) e due per acconti su stato avanzamento dei lavori (doc. 3-4 att.) e una informe ricevuta non si sa da chi sottoscritta e senza causale (doc. 5 att.).
Tuttavia va considerato che il convenuto non contesta in alcun modo ex art. 115 c.p.c. la dedotta entità degli acconti, per i quali aveva tentato il recupero in via monitoria (doc. 16 att.).
Va poi considerato che le fatture indicano come modalità di pagamento la rimessa diretta, confermando implicitamente l’allegazione di contestualità della corresponsione.
Ma soprattutto va considerato che dalla lettura dell’atto di citazione di GP e della sentenza 10845/12 si evince come la difesa di parte attrice nel giudizio quantifica il residuo dovuto dei F., sul prezzo di 310.000,00 più IVA, in euro 214,400,62, riconoscendo così di avere ricevuto rilevanti acconti sostanzialmente coincidenti con euro 78.000,00 (per acconti e opere extra-contratto v. doc. 9 e 11 att.).
Pertanto può ritenersi provato che le erronee scelte processuali del difensore abbiano definitivamente pregiudicato il diritto dei coniugi F. a vedersi restituito l’acconto versato di euro 78.000,00, importo che deve essere rifuso dall’avv. E. V. gravato di interessi al tasso legale dalla sentenza 10845/12, pubblicata in data 8/10/2012, al saldo effettivo.
Come detto, gli importi per oneri condominiali sono risultati dovuti e non appare nemmeno allegata una condotta processuale del difensore erronea o imprudente, sicchè le somme sborsate all’esito della sentenza 11124/14 (doc. 18 att.) per capitale e spese legali sono effettivamente a carico degli odierni attori e non frutto di responsabilità del patrocinante.
Le spese legali corrisposte da Roberto F. all’avv. E. (doc. 22-25) appaiono relative a fondi spese per attività pacificamente prestate, estranee alla difesa nella causa 15000053/2008 e non oggetto di specifiche domande di responsabilità, sicchè non può opporsi una domanda di inadempimento ex art. 1453 c.c. e non devono essere restituite, malgrado la scarsa efficacia nei fatti delle iniziative giudiziali e stragiudiziali. Tantomeno le spese corrisposte ed i costi fiscali (documentati, ma non definiti specificamente) possono essere qualificati come danni da illecito contrattuale.
Le spese legali a favore di terzi professionisti in fase pregiudiziale (doc. 26-28 att.) rispetto alla presente controversia debbono invece fare carico al convenuto, alla stregua di oneri di lite gravanti sul soccombente, nell’importo documentato di euro 4.717,98, con gli interessi legali dall’esborso al saldo effettivo.
Pertanto l’avv. E. V. deve essere condannato a rifondere agli attori l’importo complessivo di euro 82.717,98 con gli interessi legali come sopra.
La richiesta di restituzione del fascicolo di causa nel procedimento 15000053/08, non depositato in giudizio dal convenuto risulta irrilevante ai fini della conclusione risarcitoria effettivamente accolta e pertanto può essere disattesa.
Non merita poi accoglimento la domanda riconvenzionale dell’avv. E. V. per ulteriori crediti professionali, sia in relazione alla grave responsabilità evidenziata ex art. 1460 c.c. ed ancor più della mancata specificazione delle pretese. Non risulta invero prodotta nota spese analitica, suffragata della documentazione comprovante l’attività fatturata ai fini della valutazione alla luce delle Tabelle Professionali vigenti nel tempo. Pertanto la pretesa deve essere integralmente rigettata.
Può altresì essere parzialmente accolta la domanda di manleva svolta dal convenuto nei confronti del suo Istituto assicuratore G. Italia s.p.a. , che dovrà essere condannata a rifondere all’avv. E. V. quanto dovrà corrispondere in forza della presente sentenza per la somma capitale di euro 78.000,00 oltre interessi al tasso legale dalla sentenza 10845/12, pubblicata in data 8/10/2012, al saldo effettivo, dedotto lo scoperto del 5% previsto dalla polizza.
Non devono invece essere poste a carico della terza chiamata le spese legali, tanto pregiudiziali che della presente controversia considerato che alla art. 10 delle condizioni G. di assicurazione si prevede che “la Società non riconosce le spese incontrate dall’Assicurato per legali o tecnici che non siano da essa designati” (del che non doveva essere data particolare informazione prima della costituzione con avvocati di fiducia).
Le spese seguono la soccombenza e quindi il convenuto deve essere condannato a rifonderle agli attori nella misura qui liquidata di euro 16.923,60 per compensi, euro 838,98 per spese, oltre accessori di legge e 15% spese G., da distrarsi a favore dell’avv. G. M., anticipatario.
All’accoglimento della domanda di manleva consegue altresì la condanna di G. Italia s.p.a. a rifondere al convenuto chiamante le spese di difesa nei suoi confronti qui liquidate (considerata la quasi integrale adesione ai suoi argomenti difensivi) in euro 7.000,00 per compensi, oltre accessori di legge.
Non merita accoglimento la domanda di condanna ex art. 96 c.p.c. svolta dagli attori, non evidenziandosi una particolare mala fede o colpa grave nella difese del convenuto a fronte della pretese attoree.
P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente pronunciando sulle domande proposte con atto di citazione notificato il 14/12/17 da Roberto F. ed A. C. nei confronti dell’avv. M. E. V. per sentirne dichiarare la responsabilità professionale nella controversia insorta tra gli attori e G. s.r.l. con risarcimento dei danni, quantificati in euro 95.952,50, ogni altra domanda ed eccezione disattesa:
A) Condanna l’avv. M. E. V. a rifondere agli attori euro 78.000,00, oltre interessi al tasso legale dalla sentenza 10845/12, pubblicata in data 8/10/2012, al saldo effettivo;
B) Condanna il convenuto a rifondere agli attori l’ulteriore importo di euro 4.717,98, con gli interessi legali dall’esborso al saldo effettivo;
C) Rigetta la domanda riconvenzionale del convenuto;
D) Condanna G. Italia s.p.a. a rifondere all’avv. E. V. quanto dovrà corrispondere in forza della presente sentenza per la somma capitale di euro 78.000,00 oltre interessi al tasso legale dalla sentenza 10845/12, pubblicata in data 8/10/2012, al saldo effettivo, dedotto lo scoperto del 5% previsto dalla polizza;
E) Condanna l’avv. M. E. V. a rifondere agli attori le spese di lite, come sopra liquidate di euro 16.923,60 per compensi, euro 838,98 per spese, oltre accessori di legge e 15% spese G., da distrarsi a favore dell’avv. G. M., anticipatario;
F) Condanna G. Italia s.p.a. a rifondere al convenuto le spese di chiamata, come sopra liquidate in euro 7.000,00 per compensi, oltre accessori di legge.